DI UNA DIRIGENZA FASULLA E DI UN LEGISLATORE SCHIZOFRENICO
di Francesco G. Nuzzaci
1-Consumatasi la breve pausa pasquale, la Camera dei deputati e l’Aula del Senato della Repubblica saranno chiamati a dare corpo normativo rispettivamente alla Strepitosa Rivoluzione della Buona Scuola e alla Riforma Epocale della Pubblica Amministrazione, che avrebbero dovuto materializzarsi, quae unico actu perficiuntur, entro il primo e il secondo mese dall’insediamento del Governo Renzi, di fine febbraio 2014, un anno e spiccioli fa.
Nulla però qui diremo sulle possibili ipotesi di questi clamorosi ritardi: contrappuntati dalla produzione di ponderosi dossier – dopo sei mesi – e dalla reiterazione – nella seduta del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2015 , altri sei mesi – di variopinte e accattivanti slide, seguite da tre bozze normative (apocrifa, semiufficiale, ufficiale) nell’arco dei successivi quindici giorni; ovvero segnati dai tempi biblici concessisi dalla Commissione cultura del Senato che solo ora – forse – è in procinto di rimettere all’Aula un testo pressoché identico a quello ricevuto all’incirca (in una quarta e finalmente definitiva versione) dieci mesi or sono.
E nulla diremo né sui singoli contenuti dei due disegni di legge – A.C. 2994/15 e A.S. 1577/14 – né sulle aporie, le omissioni e , soprattutto, la reale fattibilità dei principi normativi che hanno rinforzato, nell’ordine, la dirigenza scolastica e risemantizzato la generale dirigenza pubblica.
Diremo solo, e per l’appunto, dei predetti principi. Che nei testi si evidenziano de plano e/o sono deducibili con agevole operazione ermeneutica semplicemente scorrendone gli articolati: sempreché si stimi conveniente vederli e determinarsi ad agire di conseguenza.
2-E’ indiscutibile – concordi del resto tutti i commentatori – che il disegno di legge 2994 fa perno sulla figura del dirigente scolastico per dare piena attuazione al processo di realizzazione dell’ autonomia e di riorganizzazione dell’intero sistema di istruzione. Per cui, nelle more della revisione del quadro normativo di attuazione dell’artico 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, è rafforzata la funzione del Dirigente scolastico per garantire un’ immediata e celere gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali, fermi restando – quale vincolo ineludibile – i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio, nonché gli elementi comuni dell’intero sistema scolastico pubblico.
Queste disposizioni, figuranti nel primo comma dell’articolo 2, sono riprese ed esplicitate nel successivo primo comma dell’articolo 7, rubricato Competenze del dirigente scolastico, laddove è statuito che, nell’ambito dell’autonomia dell’istituzione scolastica, egli ne assicura il buon andamento e, a tale scopo, svolge compiti di gestione direzionale, organizzativa e di coordinamento ed è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio nonché delle scelte didattiche, formative e della valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti.
Rispetto alla lasca e generica declaratoria che si legge nell’articolo 25 del decreto legislativo 165/01, parimenti intestato ai Dirigenti delle istituzioni scolastiche, ora si rimarcano, anzitutto, con opportuna analiticità – e dunque non più necessitanti lo sforzo, per definizione precario, di doverli dedurre in via interpretativa – i tipici poteri e strumenti d’intervento connotanti ogni figura dirigenziale e a prescindere dal luogo di esercizio della funzione, che si leggono segnatamente negli articoli 4 e 17 del poc’anzi citato decreto, dopo le modifiche e integrazioni di cui al D. Lgs 150/09, c.d. Riforma Brunetta; tra i quali:
1)adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa e di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, con correlata responsabilità, in via esclusiva, dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati;
2)attuazione dei progetti e delle gestioni assegnati, con l’adozione dei relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate;
3)svolgimento di tutti gli altri compiti delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;
4)direzione, coordinamento e controllo dell’attività dei dipendenti uffici e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso d’inerzia;
5)concorrenza nell’individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui si è preposti, anche al fine dell’elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale;
6)gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici;
7)valutazione del personale assegnato ai propri uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica…nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti;
8)facoltà di delega, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, di alcune competenze proprie a dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici affidati.
Uno o più preannunciati decreti legislativi prefigurano poi, sul punto, l’ulteriore dettagliata regolazione della responsabilità del dirigente scolastico nella scelta e nella valorizzazione del merito del personale docente nonché dell’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse umane, finanziarie e strumentali. E prevedono il riordino delle modalità di assunzione e formazione del dirigente scolastico, nonché del sistema di valutazione dello stesso conseguentemente al rafforzamento delle proprie funzioni attraverso:
a)l’assunzione mediante concorsi pubblici nazionali per titoli ed esami nella selezione di candidati in possesso di competenze didattiche nonché manageriali e organizzative adeguate alle nuove funzioni;
b)l’aggiornamento continuo e strutturale, in relazione alle predette nuove funzioni;
c)la valutazione e valorizzazione del merito, anche sulla base dei criteri e modalità adottati per la scelta dei docenti e in base ai miglioramenti conseguiti dalla scuola, con particolare riferimento alla dispersione scolastica e alla valutazione degli apprendimenti.
Alla luce di quanto testé sintetizzato non può più revocarsi in dubbio il fatto che quella svolta nelle istituzioni scolastiche è una dirigenza pleno iure, siccome ora dotata degli inerenti strumenti normativi per essere agita, come peraltro già da tempo posto in luce dalle corti superiori (si vedano, da ultimo e tra i più significativi, Corte dei conti, Sezioni riunite di controllo, 7 aprile 2006 e 14 luglio 2010; Consiglio di Stato, Commissione speciale P.I., n. 529 del 16 ottobre 2013; Corte dei conti per la regione Sicilia, sezione controllo, 4 marzo 2014).
Sicché, e qualora lo siano mai state, risultano, ancor più ora, prive di ogni fondamento giuridico le ardite elucubrazioni, risalenti e ricorrenti alla stregua di un fiume carsico, della dirigenza scolastica come forma differenziata dell’unica funzione docente: pertanto di un dirigente scolastico primus inter pares, semplice coordinatore della didattica in una conviviale comunità scolastica auto consistente e, dunque, autoreferenziale, fondata sulla libertà dell’arte e della scienza e sul loro libero insegnamento, sciolta da qualsivoglia vincolo che non sia quello che sovranamente si determini di autoimporsi.
La norma, invero, è di una chiarezza cristallina: la dirigenza scolastica partecipa di tutti quei profili oggettivi, strutturali e funzionali, della ordinaria dirigenza pubblica, richiedente la comune acquisizione e l’esercizio di generali competenze di tipo manageriale e giuridico-istituzionale, nonché di leadership organizzativa, consistente nella capacità di conseguire gli obiettivi nella chiarezza della mission e della vision, motivando e valorizzando la risorsa fondamentale del fattore umano.
3-Come la Buona scuola, anche la riforma della Pubblica Amministrazione ruota attorno alla rivisitata dirigenza, normata nell’art. 10 dell’afferente citato DDL 1577, al di cui tenore è dirigente – ogni dirigente, a prescindere dal luogo di esercizio della funzione – colui che è attributario di autonomi poteri di gestione di risorse umane, finanziarie e strumentali, che deve combinare in modo ottimale – secondo i criteri di efficienza, efficacia ed economicità – per la realizzazione dello scopo-programma-progetto, non importa se predefinito dal committente politico (paradigma: art. 16, D. Lgs 165/01, per i capidipartimento e direttori generali) o assegnato dal dirigente di vertice (successivo art. 17, per i dirigenti amministrativi e tecnici di attuale seconda fascia) o direttamente prescritto da fonte normativa e con possibilità di ulteriori obiettivi specifici nel provvedimento d’incarico (per i dirigenti scolastici, di pari seconda fascia, preposti alla conduzione di istituzioni scolastiche, enti-organi dello Stato, funzionalmente autonome, secondo il paradigma figurante nell’art. 1, comma 2, D.P.R. 275/99, integrabile con i contenuti della funzione compendiati nell’art. 25 del D. Lgs 165/01, cit.): valendo per tutti l’ esclusiva responsabilità di risultato.
Conseguentemente, vengono istituiti tre ruoli unici (per lo Stato, per le regioni, per gli enti locali), distinti ma coordinati e suscettibili di reciproche compenetrazioni: ciò che importa l’abolizione delle due attuali gerarchizzate fasce, di una dirigenza a carriera garantita, non più compatibili con una dirigenza che si vuole position based, connotata dalla piena interscambiabilità e rotazione degli incarichi in virtù dei titoli e competenze culturali e professionali volta per volta allegabili – e valutabili – da ogni dirigente che aspiri a quell’incarico disponibile e a prescindere dall’amministrazione di provenienza. Con l’ulteriore conseguenza dell’omogeneizzazione delle retribuzioni, quindi della riparametrazione delle inerenti voci tabellari, posizione fissa, posizione variabile e rimodulazione della retribuzione di risultato, nei limiti delle risorse complessivamente destinate dalle vigenti disposizioni legislative e contrattuali, rapportate esclusivamente ai carichi quali-quantitativi di lavoro e inerenti responsabilità.
In un Paese normale dovrebbe risultare pacifico che tutti i connotati dell’appena riscritta dirigenza pubblica si attagliano alla perfezione all’ancor più rafforzata dirigenza scolastica e perciò ne impongono la sua inclusione nel ruolo unico, per l’esattezza nel ruolo unico della dirigenza statale, diversamente non essendoci dirigenza ipso iure, difettando in radice l’obbligato presupposto per l’eventuale collocazione in una delle sezioni interne del medesimo, previste dal DDL 1577/14 per le carriere e/o professionalità speciali, vale a dire per quelle figure dirigenziali connotate da intrinseche peculiarità. Ed è il caso della dirigenza scolastica, per il cui accesso, oltre ai requisiti ordinari per accedere ad ogni dirigenza, è imposta la provenienza dalla funzione docente; evidentemente perché lo stesso Legislatore, con libera valutazione, ha ritenuto e ritiene che chi è preposto alla conduzione delle istituzioni scolastiche debba avere confidenza con i processi educativi, affinità di linguaggio con i professionisti dell’educazione-istruzione-formazione chiamato a coordinare, familiarità con contesti organizzativi contrassegnati da legami deboli, in cui l’interpretazione prevale sull’esecuzione, in luogo dei lineari canoni propri delle procedure prevalentemente standardizzate.
Senonché – in un mirabile capolavoro di coerenza – la Commissione del Senato ha concluso, alla buon’ora, i suoi lavori confermando che dai ruoli unici è esclusa la dirigenza scolastica, con questa stravagante motivazione resa dalla presidente Anna Finocchiaro: Sono inammissibili gli emendamenti, d’iniziativa sia parlamentare che governativa, che rechino disposizioni contrastanti con le regole di copertura stabilite dalla legislazione vigente o estranee all’oggetto dei disegni di legge stessi, come definiti dalla legislazione vigente nonché dal documento di programmazione economico-finanziaria come approvato dalle risoluzioni parlamentari.
In chiaro e prosaicamente: Le risorse finanziarie restano quelle a legislazione vigente e pertanto la loro riparametrazione-redistribuzione non può intaccare gli pseudo diritti acquisiti e cristallizzati di tutte le odierne dirigenze vere, già collocate nelle sette delle vigenti otto aree dirigenziali. Per cui non possono partecipare alla divisione della torta coloro che, gioco forza, devono restare confinati nell’Area quinta a contemplare la loro ineffabile specificità.
Comunque potranno questi contare sull’incremento del Fondo unico nazionale, per il riconoscimento e la valorizzazione delle specificità che ne caratterizzano i compiti e il profilo professionale ( art. 7, comma 7, A.C. 2994, cit.). Peccato però che quella spacciata per le nuove competenze attribuite al dirigente scolastico in realtà è una doverosa – e parziale – reintegrazione del Fondo unico nazionale per la retribuzione di posizione e di risultato; che vale solo dal primo settembre 2015 e non sana le decurtazioni imposte dal MEF, e subite dal MIUR, per gli anni scolastici 2012-13, 2013-14, 2014-15, pertanto andati in cavalleria: per cui – secondo conti già fatti da esperti – o dovrà restituirsi quanto in parte già percepito oppure si dovrà rinunciare alla (miserabile) retribuzione di risultato per almeno un paio d’anni. In conclusione, siamo di fronte a uno dei tanti sperimentati giochi di prestigio o, se più piace, ad una tipica operazione da magliari.
4-Uno dei cinque sindacati al momento ufficialmente rappresentativi della dirigenza scolastica ha sottolineato che, pur risultando confermata la sua esclusione dal ruolo unico, si è tuttavia aperto un piccolo spiraglio, in forza di un emendamento minimale che inserisce nel testo licenziato dalla Commissione la salvezza della disciplina speciale in termini di reclutamento e inquadramento della stessa (id est: della dirigenza scolastica). Sicché risulterebbe allontanato il rischio di una esclusione dei capi d’istituto (sic!) dal profilo dirigenziale.
Potrebbe anche essere una chiave di lettura plausibile, dovendosi tuttavia far notare preliminarmente che non c’è da far salva alcuna disciplina speciale poiché quella così qualificabile, contenuta nel previgente art. 29 del D. Lgs 165/01, è stata già abrogata dall’art. 17 del D.L. 104/13, convertito dalla legge 128/13, in favore di una esplicita generale e uniforme disciplina, sia di reclutamento che di formazione, valevole per tutta la dirigenza pubblica, e ora affidata alla neo istituita Scuola Nazionale dell’Amministrazione; che nei concorsi pubblici nazionali per titoli ed esami nella selezione degli aspiranti dirigenti scolastici dovrà certamente accertare le competenze didattiche, ma non di meno quelle gestionali e organizzative adeguate alle nuove funzioni (A.C. 2994, art. 21, comma 2, lett. d, 1).
In realtà, abbiamo fondato motivo di temere che il solo effetto dell’emendamento in discorso sia quello di conservare il mero nomen iuris di dirigenza, che magari con suggestive ridenominazioni continuerà ad essere relegata in una sorta di retrobottega per farvi stazionare l’unico scarto della dirigenza pubblica.
Prendiamo doverosamente atto della presa d’atto del menzionato sindacato, che considera soddisfacente il compromesso provvisoriamente raggiunto ma che conferma l’impegno nel perseguire l’obiettivo del pieno inserimento nel ruolo unico. Ci permettiamo solo una piccola malignità, sperando di non essere nuovamente minacciati di querela e soprattutto di essere in prosieguo smentiti dai fatti: Fino a che punto il suo presidente che è anche presidente di una confederazione di dirigenti veri sarà disposto a spendersi per far valere le ragioni di ottomila cirenei: troppi, ingombranti e pezzenti?
Sono, questi dirigenti veri, pour cause i nemici solari di una dirigenza scolastica che rivendica il suo giusto diritto ad una piena equiparazione normativa e conseguentemente economica.
Di ciò occorre essere consapevoli. Ma occorre esserlo ancor più dei nemici non apertamente dichiarati e per questo più insidiosi. Sono le associazioni sindacali generaliste che, nella percentuale di 100: 1, rappresentano l’indistinto personale di comparto, docenti e ATA, e altresì la loro , qualificata e considerata, controparte, ieri datoriale e oggi padronale, grazie al mirabile autolesionismo della categoria nel rilasciare loro anche doppie o triple deleghe, naturalmente usate poi per eroderne i poteri e per condizionarla in funzione della tutela impiegatizia e massiva dei propri reali referenti. E’ emblematica, da ultimo, la posizione congiunta delle medesime sul disegno di legge della Buona scuola, naturalmente letto a modo loro:
a)La scuola non è un’azienda e la libertà d’insegnamento non può essere messa a mercato e sottoposta a premialità;
b)E’ inaccettabile affidare al dirigente scolastico la chiamata diretta dei docenti e l’attribuzione del salario accessorio legato alla premialità;
c)Tutto ciò che riguarda salario, orario, mobilità, estensivamente diritti e doveri del personale, è materia contrattuale;
d)Riassuntivamente, per evitare danni irreparabili al nostro sistema d’istruzione l’intero disegno va rigettato.
E per intanto hanno indetto, dal 9 al 18 aprile, uno sciopero delle attività aggiuntive di tutto il personale docente e ATA.
Qualcuno ha scritto che non esiste il destino, ma la minaccia di un destino. Conoscere, o almeno essere informati, è premessa imprescindibile per agire al fine di capovolgerlo, dismettendo l’illusione di poter fare affidamento su gratuite benevolenze altrui, per poi continuare ad abbaiare alla luna.
Post scriptum
Taluni, trovando affinità tra la dirigenza scolastica e la dirigenza medica, hanno fatto notare che nel DDL 1577 è prevista anche l’esclusione di quest’ultima dal ruolo unico della dirigenza regionale.
A prescindere da ogni considerazione sul fatto che la categoria dei medici ha una considerazione sociale, e per corollario una forza contrattuale, oltre a un trattamento economico, possibilità di remunerazioni aggiuntive e percorsi di carriera incomparabili con quelli dei dirigenti scolastici, mette conto far rilevare che i circa centomila attuali dirigenti medici, suddivisi in quattro fasce, esercitano prevalentemente, se non esclusivamente, il c.d. atto medico, ovvero una funzione tipicamente professionale, di natura squisitamente tecnica, all’interno della struttura organizzativa, cioè privi di compiti di gestione di risorse umane e finanziarie, se non in misura marginale o eventuale in capo a soggetti numericamente circoscritti, come gli ex primari ospedalieri che, pur preposti alla conduzione di strutture dipartimentali complesse, hanno comunque anch’essi, come funzione preponderante, il compimento del predetto atto medico.
E già che ci siamo potremmo incidentalmente aggiungere che sono dei professional anche gli odierni dirigenti tecnici, compresi i dirigenti tecnici del MIUR, già ispettori scolastici e poi ispettori tecnici, che sicuramente non gestiscono risorse umane e finanziarie e che spesso sono del tutto privi di una minima struttura fisica da governare, in ordine ai quali non è però in discussione la loro appartenenza al previsto ruolo unico!
Per contro, quella scolastica non può di certo qualificarsi come dirigenza professionale (di per sé una sorta di ossimoro), quasi che la sua funzione fosse quella di un maestro o di un docente disciplinarista, giustamente fondata sull’insegnamento con quel che lo integra e lo supporta: che costituisce il contenuto tipico della funzione docente (cfr. art. 395 del D. Lgs 294/97 e artt. 26 e 27 CCNL Scuola), distinta dalla funzione direttiva di ieri (cfr. art. 396 dello stesso decreto) e dalla funzione dirigenziale di oggi (cfr. art. 25 del D. Lgs 165/01 e art. 1 del CCNL dell’Area quinta della dirigenza scolastica).
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