Classenemy

“Classenemy”
Un film per riflettere sulla scuola, sui giovani e sull’Europa

di Mario Coviello

classenemyLa scuola italiana è alle prese in queste settimane con l’ennesima riforma della scuola. “ La buona scuola “ di Renzi inizia il dibattito in Parlamento tra lo sciopero del 25 aprile dei Cobas e quello proclamato per il cinque maggio dai maggiori sindacati della scuola.

Ho visto in questi giorni “Classenemy”, piccolo film sloveno di un debuttante dell’85, Rok Bicek, che sa comporre allo stesso tempo una disamina semiautobiografica sull’educazione, un racconto metaforico del suo giovane paese, indipendente dal 1991, e una sofisticata lettura dell’Europa politica contemporanea, spaccata tra le sue componenti e nell’atteggiamento verso il rigore imposto dalla Germania, che da dietro la cattedra in tedesco dispone di “fare i compiti a casa”

Questo film, in lizza per il Leone d’oro alla 70ma Mostra del cinema di Venezia del 2014, può aiutarci a riflettere sulle questioni nodali che la riforma vuole affrontare.

In un liceo di Lubiana arriva un nuovo professore di tedesco, Robert. L’uomo imprime subito un cambiamento nell’insegnamento: non ha atteggiamenti violenti né volontà di sottomettere, ma impone una severità ai suoi studenti, al loro modo di rapportarsi verso lo studio e la vita. E’ una scuola superiore, quindi non dell’obbligo, loro hanno scelto di iscriversi e devono agire di conseguenza: “Essere studenti non è un diritto, ma un gran privilegio”, è una sua battuta fulminante. Nelle sue lezioni fa studiare ai ragazzi il “Tonio Kröger” di Thomas Mann, un capolavoro sulla difficile età della crescita, di cui la pellicola recupera molti spunti, specie nei rapporti tra alcuni personaggi. Basta parlare tedesco ed essere severi per essere considerato una specie di nazista? Ed esiste autorevolezza senza l’autorità di far rispettare le regole? Dove si ferma la comprensione e comincia l’indulgenza? E come si corregge l’errore, ignorando o punendo? Il professore, a priori privo di emozioni è in realtà animato da una passione per l’educazione scolastica che gli fa prendere il suo lavoro molto sul serio, lasciando poco spazio ai compromessi.  Nel film c’è una frase ricorrente di Mann che dice: “La morte di un uomo conta meno per se stesso che per chi gli sopravvive”. E’ una frase che il professore usa per indurre gli studenti a costruirsi una forte personalità nel difficile percorso che li aspetta, ma è una frase che suona drammatica quando succede la tragedia: una delle studentesse si uccide. L’evento sconvolge i ragazzi, travolgendoli nelle loro già delicate psicologie segnate da vari problemi più o meno dichiarati, e induce parte di loro a riversare la colpa sul professore. Il capro espiatorio. La situazione diventerà sempre più problematica, dividendo lo stesso fronte dei ragazzi. Ed evolverà verso una soluzione che non distribuirà i torti e le ragioni, ma lascerà aperta la domanda più dura: dove sta la colpa?

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Esplorando le zone d’ombra che separano i torti dalle ragioni, i buoni dai cattivi, i vincitori dai vinti, la partitura di Classenemy segue implacabile l’evolversi di quella piccola comunità che è la classe, chiusa claustrofobicamente tra le pareti dell’aula e i corridoi: non vediamo mai le case di studenti e professori, la loro vita fuori, anzi non vediamo nemmeno oltre i vetri delle finestre perché la luce è sempre troppo bianca. Il mondo è tutto quella classe ed è rivelato tra le altezze di Mann e l’eco struggente di un preludio di Chopin, mentre assistiamo allo svolgersi della quotidianità scolastica soffocata ed esplosiva degli studenti. Classenemy smonta gelidamente le certezze più categoriche e invita a riflettere.   Il giovane regista nel suo film, mette anche un po’ di sé, con il ricordo della radio scolastica e l’episodio cardine del suicidio di una ragazza.
Soprattutto, mette in gioco una riflessione tra la modernità educativa, intesa come deresponsabilizzazione e protezione ad oltranza dei giovani dai dolori della vita, e vecchia scuola, più formativa ma meno empatica. Nel mondo odierno del “Al lupo! Al lupo!”, la serietà di Zupan lo porta a venir accusato niente meno che di nazismo e ad essere identificato con un sistema -questo sì inflessibile e immutabile- rispetto al quale la sua cultura è invece probabilmente l’unico antidoto possibile.

Aspettando la buona scuola

Aspettando la buona scuola


di Franco Buccino


Il documento “La buona scuola” è stato pubblicato il 3 settembre 2014. In questi giorni, ad aprile inoltrato, è cominciata la discussione in Parlamento del ddl di attuazione del progetto presentato dal governo. A tempo ampiamente scaduto, se si pensadi attuarne i contenuti dal 1° settembre prossimo. Ma chi ci pensaa rispettare la data? Non l’Amministrazione scolastica, già tutta presa dalle uniche operazioni che giustificano la sua esistenza: trasferimenti, assegnazioni provvisorie, utilizzazioni, ricorsi, controricorsi e rettifiche; poi le immissioni in ruolo, modeste come negli anni precedenti (in assenza della legge chistituisce l’organico funzionale); infine, incarichi e supplenze. E così i precari dopo la sbornia di annunci tornano alla triste realtà. Non ci pensa neppure il governo. Renzi in persona, esauritasi la carica mediatica degli annunci sulla buona scuola, ha affermato che da settembre prossimo si passa alla “buona università, e in anteprima ha lanciato le relative parole d’ordine: meno burocrazia, piùricerca, maggiore attenzione alle funzioni dei rettori, e  asso nella manica  un jobs act universitario per stabilizzare i precari. Verrebbe da dire, con tutto il rispetto, che ci vuole una bella faccia tosta.

In tutti questi mesi una breve consultazione e poi tanti discorsi, tante discussioni, tanti interventi, tanti temiproposti, quasi sempre in termini un po’ strumentali, da tutti gli uomini e le donne del Presidente. Che hanno trovato compiacenti casse di risonanzein organi d’informazione e riviste specializzateL’argomento principe è il numero e le modalità di stabilizzazione dei precari. Con cinismo e indifferenza si passa da centotrentamila, a cento, novanta, quaranta, fino ai soliti ventisettemila; per non parlare delle sedi eventualmente loro assegnate: si passa da piccoli spostamenti in regione a esodi biblici da un capo all’altro del paeseE poi, graduatorie ad esaurimento svuotate, anzi no, ma di sicuro abolite. Graduatorie d’istituto e idonei nel concorso, dentro e fuori in un’altalena continua. Paritarie: scarso rilievo ai 400 eurodi detrazione fiscale; molta enfasi, invece, alla rassicurazione che i loro docenti non passeranno in massa nei ruoli dello stato (?).(Nessuno spiega come si fa a passare nei ruoli della scuola statale con i servizi prestati nella scuola privata)E poi il merito, questo sconosciuto. Un anno di prova altamente formativo: peccato che arrivi con molto ritardo, perché i formandi hanno già almeno una decina di anni di servizio al loro attivo. Nessun coraggio a riconoscere la formazione già fatta, in particolare quella di quanti hanno frequentato, dopo la selezione, una scuola di specializzazione interuniversitaria per due anni e oltre, con relativo esame finale. La loro è un’abilitazione uguale a quella che hanno conseguito i frequentanti di un modesto corso durato poche settimane, avendo come unico requisito di accesso 360 giorni di servizioE pensare che questa modalità di reclutamento, il corso-concorso, è quella che è stata scelta per i futuri dirigenti scolastici.

capi d’istituto, il grande tema delle ultime settimane. Sono passati da potenti dirigenti che stilano il piano dell’offerta formativa, definiscono la consistenza dell’organico funzionale, chiamano direttamente i docenti dagli albi territoriali, valutano l’anno di prova deglinsegnantisemplici presidi (cioè che presiedono il collegio)a mini dirigenti che dopo un mandato possono tornare a fare gli insegnanti. Gli stessi che denunciavano la deriva autoritaria, ora cercano di conservare ai capi d’istituto ruolo e funzioni per evitare che le scuole diventino ingovernabili.Verrebbe da chiedersi chi è che vuole veramente l’autonomia scolastica. L’ Amministrazione scolastica non vuole cedere il potere, non ha fiducia nelle competenze delle scuole, scarica su di esse in nome della loro autonomia i problemi che non riesce a risolvere. Ma viene qualche dubbio pure sulle precise volontàdelle diverse componenti della scuola. L’autonomia, e relativo organico funzionale, può immaginarsi solo per scuole di dimensioni molto più ampie delle attuali. Chi è d’accordo?L’autonomia di poter scegliere alcuni insegnamenti specifici, previsti dal piano dell’offerta formativasignifica che non si possono generalizzare trasferimenti, graduatorie interne, forse neppure stipendi determinati solo dall’anzianità. Significa che qualcuno, dopo il lavoro istruttorio di una commissione, si assume la responsabilità di una chiamata diretta. O no? Significa pure che una scuola, con il suo organico funzionale, oltre a crearsi figure di staff, copre da sola, di norma, le assenze del personale.Soprattutto, autonomia significa dar conto del proprio operato, dei risultati ottenuti, la scuola e il suo dirigente. Solo in questa logicafigure, ruoli e funzioni si sottraggono all’inveterato verticismo e autoritarismo, ai meri criteri economicistici e amministrativi, alla vuota e autoreferenziale meritocrazia, e si consegnano alla scuola democratica, come la definisce e la vuole la nostra Costituzione. Perché, in ogni caso, il problema non è la scuola autonoma o il suo dirigente, ma, se mai, gli organi della scuola, in particolare ilconsiglio dell’istituzione scolastica, il suo livello di rappresentatività e competenze.

Mentre anche noi cadiamo nel tranello delle divagazioni, in Parlamento è il momento degli emendamenti: si chiede tutto e il contrario di tutto. Del resto tutto ciò è determinato anche dal fatto che l’intero ddl manca di organicità e di una visione complessiva della scuola che ne giustifichi il pomposo titolo. Anzi, a dir la verità, la buona scuola che c’è, la parte buona della scuola,memore di pessime non lontane riforme, si augura che non si facciano ulteriori danni.

Scuola, test Invalsi a rischio per sciopero. Presidi: “Precettiamo”. Ira dei sindacati

da Il Fatto Quotidiano

Scuola, test Invalsi a rischio per sciopero. Presidi: “Precettiamo”. Ira dei sindacati

Le sigle hanno programmato lo stop alle lezioni il 5, 6 e 12 maggio. Alcuni istituti prospettano lo spostamento della data del quiz. Cgil, Cisl, Uil Snals e Fgu con un comunicato hanno diffidato i presidi. Bernocchi (Cobas) si dice “pronto a denunciare”. Pantaleo: “Prove non comprese tra le prestazioni indispensabili, quindi nessun docente può essere precettato”

Scuola, Tribunale lavoro dice sì a scatti d’anzianità per prof precaria in pensione

da Il Fatto Quotidiano

Scuola, Tribunale lavoro dice sì a scatti d’anzianità per prof precaria in pensione

Accolto il ricorso di una docente: il Ministero dovrà riconoscerle tutte le differenze non pagate, con tanto di interessi e spese legali. L’avvocato che ha curato il ricorso Salvatore Russo: “E’ una sentenza storica”

Elezioni CSPI: poco interesse (anche da parte del Miur)

da La Tecnica della Scuola

Elezioni CSPI: poco interesse (anche da parte del Miur)

In molte scuole non sono state neppure affisse le liste dei candidati, come previsto dall’Ordinanza Ministeriale. Stefano d’Errico (Unicobas): “E’ in atto il tentativo di delegittimare il risultato del voto che sicuramente sarà favorevole per il sindacalismo alternativo”.

Martedì 28 aprile si vota per eleggere i rappresentanti del personale docente, dirigente e Ata nel Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, ma nelle scuole se ne sa poco o nulla. L’acceso dibattito che aveva accompagnato le ultime settimane prima del voto del 1998 è solamente un lontano ricordo forse (ma non solo) perchè ormai le attribuzione del CSPI appaiono inferiori a quelle del vecchio CNPI che si articolava anche al proprio interno nelle commissioni per la disciplina a cui era affidato il compito di esaminare i casi di infrazioni disciplinari del personale (docenti delle superiori in particolare).
Ma va anche detto  che ormai sono cambiate di molto le regole per la rappresentanza.
Faranno infatti parte del CSPI 36 membri, 18 eletti e 18 nominati dal Ministro (nel CNPI, la “quota” di posti di nomina ministeriali era di gran lunga inferiore e minoritaria.
Cè però un  altro motivo ancora che non contribuisce a creare interesse intorno all’evento.
In molte scuole non sono state neppure affisse le liste dei candidati (l’OM prevedeva come termine ultimo per tale adempimento la data del 21 aprile)  e la “campagna elettorale” è stata molto contenuta. Gli stessi sindacati rappresentativi non si sono “spesi” più di tanto per mantenere viva l’attenzione di docenti e Ata.
“Quello che sta accadendo – sottolinea Stefano d’Errico, segretario nazionale Unicobas, candidato per la sezione scuola primaria – è un fatto molto grave e rappresenta una ulteriore limitazone degli spazi di democrazia, già scarsi,  all’interno delle scuole. E’ gravissimo che il Miur non abbia ricordato alle scuole la necessità di dare la massima pubblicità possibile a questa scadenza. Quasi quasi il Miur dà più spazio al concorso per l’alunno più buono d’Italia che alle elezioni del CSPI”
“Ma anche le organizzazioni sindacali rappresentative – prosegue d’Errico – non hanno brillato per iniziativa: sembra quasi che a loro vada bene una scarsa affluenza alle urne per poter delegittimare o minimizzare il successo che molto probabilmente otterranno le liste del sindacalismo alternativo che – almeno in questa circostanza non ha dovuto sottostare alle regole capestro che per il rinnovo delle RSU di istituto”.
Tutte le liste presentate e ammesse dalla Commissione elettorale centrale potranno infatti essere votate in qualsia scuola italiana, mentre per il rinnovo delle RSU il meccanismo attuale penalizza fortemente i sindacati più piccoli che non hanno una presenza diffusa e capillare sul territorio nazionale; nel caso delle elezioni del CSPI tutte le liste avevano diritto di assemblea, mentre nel caso del voto per le RSU tale diritto vale solo per i sindacati rappresentativi a livello nazionale o per quelli che già sono presenti nella scuola con una propria RSU.
Vedremo se almeno nella giornata di lunedì il Miur ricorderà alle scuole di dare adeguati risalto a questa importante scadenza.

Prove Invalsi: procedure rigorose, caos assicurato (o quasi)

da La Tecnica della Scuola

Prove Invalsi: procedure rigorose, caos assicurato (o quasi)

Cosa succederà il 5 maggio se i docenti incaricati di prelevare presso la sede centrale i fascicoli con le prove aderiranno allo sciopero?  Basterebbero 4-5 insegnanti in sciopero per far “saltare” tutto il meccanismo.

Potrebbero essere le stesse regole fissate dall’Invalsi e rigidamente applicate dai dirigenti scolastici a mettere in crisi la somministrazione delle prove di italiano prevista per il 5 maggio prossimo.
Per ridurre al massimo il rischio di “fughe” di materiali che potrebbero rendere dubbia la rilevazione in quasi tutte le scuole viene messa in atto una procedura piuttosto precisa che prevede che la mattina del 5 maggio il “pacco” con tutto il materiale venga ritirato dal responsabile del plesso o del team d classe e quindi consegnato ai docenti interessati.
Ma, in caso di sciopero, la procedura entra in crisi – se correttamente applicata – comporterebbe l’impossibilità di svolgere le prove anche se ad aderire allo sciopero fossero pochi insegnanti.
Il caso più banale si verifica se il docente incaricato di prelevare i materiali presso la sede centrale aderisce allo sciopero: se la procedura è stata formalizzata dal dirigente scolastico con una circolare ufficiale diventa difficile – nella giornata dello sciopero e all’ultimo momento – affidare l’incarico ad un altro docente perchè si potrebbe configurare una forma di comportamento antisindacale da parte del dirigente.
Paradossalmente se in una scuola scioperassero anche soltanto i 4-5 insegnanti incaricati di trasportare i materiali dalla sede centrale ai singoli plessi, i test non potrebbero essere somministrati.
L’unico modo per evitare tutti questi problemi sembra essere quello di far pervenire i materiali ai doceenti già nel pomeriggio del giorno precedente, modalità in contrasto con quanto previsto dall’Invalsi che però, di qui al giorno 4 potrebbe anche diramare una nota per “liberalizzare” le modalità di consegna dei fascicoli contenenti le prove alle classi interessate (II e V di primaria).

DDL: primo parere favorevole della Camera

da La Tecnica della Scuola

DDL: primo parere favorevole della Camera

E’ quello – per la verità marginale – della Commissione Bilancio che ha preso atto che il disegno di legge è coerente con gli obiettivi del DEF 2015

Nel pomeriggio del 24 aprile è arrivato dalla Camera il primo parere sul disegno di legge sulla scuola. Per la verità si tratta soltanto di un parere per così procedurale e non sul merito e quindi non esclude che la stessa Commissione Bilancio possa formulare ulteriori osservazioni nei prossimi giorni quando dovrà esaminare i contenuti del ddl.
Per il momento, infatti, il parere della Commissione riguarda solamente il rapporto fra il ddl e il DEF 2015 e mette in evidenza che il provvedimento del Governe “concorre al raggiungimento degli obiettivi programmatici fissati dal DEF, con esclusione di quelli relativi alla fissazione dei saldi, nonché all’attuazione del Programma nazionale di riforma, anche attraverso interventi di carattere ordinamentale, organizzatorio ovvero di rilancio e sviluppo dell’economia”.
“Le disposizioni del provvedimento medesimo – osserva la Commissione –  pur presentando in molti casi carattere ordinamentale e organizzatorio, sono volte a garantire la massima flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia del sistema scolastico attraverso un uso ottimale delle risorse e delle strutture e all’introduzione di tecnologie innovative in raccordo con le esigenze del territorio, con ricadute positive sulla qualità della vita dei cittadini e sulla competitività del tessuto produttivo, e, pertanto, sono suscettibili di concorrere al conseguimento degli obiettivi programmatici”.
Nel corso della settimana la Commissione Cultura è invece rimasta completamente ferma; a partire da lunedì 27, per 4 giorni consecutivi, i deputati della stessa Commissione saranno sottoposti ad una vera e propria “full immersion” nel tentativo di prendere in esame i 2mila emendamenti presentati da tutti i gruppi parlamentari.
Nel documento allegato il testo completo della seduta svoltasi presso la Commissione Bilancio e del parere approvato.

DDL scuola stoppato dal Consiglio superiore della pubblica istruzione?

da La Tecnica della Scuola

DDL scuola stoppato dal Consiglio superiore della pubblica istruzione?

Si parla della possibilità che il CSPI intervenga nel dibattito sul disegno di legge con l’obiettivo di modificarlo o addirittura di bloccarlo. La notizia è priva di qualunque fondamento.

Martedì 28 si svolgeranno le elezioni per il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (in Sardegna si voterà il 29) e c’è molta attesa per gli esiti del voto che servirà per misurare ancora un volta il peso reale delle diverse sigle sindacali all’interno della scuola.
Secondo voci che si stanno diffondendo nei sociali network votare martedì è importante perchè il Consiglio potrebbe in qualche misura contrastare l’approvazione del ddl sulla scuola.
La voce è priva di qualunque fondamento per almeno due motivi.
Intanto va detto che l’esito del voto non sarà immediato e quasi certamente diventerà ufficiale fra qualche settimana. Senza considerare che ben difficilmente la prima convocazione del nuovo organo potrà essere effettuata prima di settembre.
Ma il motivo fondamentale è un altro.
L’articolo 22 del disegno di legge prevede in modo inequivocabile che i provvedimenti che derivano dal ddl (decreti legislativi previsti dall’articolo 21 ed eventuali altri decreti ministeriali o interministeriali collegati) non necessitano del parere del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.
Peraltro va anche detto che i pareri del CSPI sono per lo più non vincolanti e non obbligano quindi il Governo o il Ministero ad uniformarsi.
E’ pur vero che il CSPI ha sempre la facoltà di formulare pareri di propria iniziativa ma è davvero molto improbabile che, una volta insediato, possa in qualche misura intervenire sui contenuti del ddl.

I comportamenti clientelari sono un reato e anche i docenti devono denunciarli

da La Tecnica della Scuola

I comportamenti clientelari sono un reato e anche i docenti devono denunciarli

I timori che in queste settimane molti esprimono sulla possibile trasformazione in senso “clientelare” della scuola sono assolutamente compensibili.
D’altra parte in un Paese come il nostro, dove clientelismo e corruzione hanno una importante e consolidata tradizione è del tutto normale che si diffondano preoccupazioni del genere.
Ma, con altrettanta chiarezza, bisogna anche sottolineare un paio di questioni importanti.
Le pratiche clientelari non sono solo un fatto di malcostume e neppure segnale di scarsa “moraità”.
Il pubblico dipendente (e a maggior ragione il dirgente pubblico) che mette in atto comportamenti clientelari sconfina pienamente nel codice penale e – a seconda dei casi – può commettere uno o più reati specifici di chi riveste una funzione pubblica (interesse privato, abuso di potere, e così via).
Ipotesi che – secondo noi – dovrebbero rappresentare un significativo deterrente.
C’è poi chi sostiene che già adesso ci sono comportamenti illegittimi e clientelari da parte dei dirigenti scolastici e che le nuove regole non farebbe altro che incrementare tali pratiche.
Può anche darsi, ma allora bisognerebbe anche chiedersi per quale motivo tali pratiche vengano accettate e tollerate.
E’ bene non dimenticare che i docenti, per il ruolo che rivestono, sono anch’essi tenuti a segnalare alla autorità giudiziaria fatti di cui vengono a conoscenza che possono avere rilevanza penale.
Mettere in atto un comportamento clientelare può configurare un reato, ma anche fare finta di nulla e non segnalarlo all’autorità giudiziaria può configurare una qualche forma di responsabilità.
Per eliminare corruzione e clientelismo, insomma, è necessario che chi è a conoscenza di fatti precisi li segnali e li denunci.
O, parafrasando Martin Luther King: “Bisogna aver paura non delle cattive azioni dei malvagi, ma del silenzio degli onesti”.

Pagamento delle posizioni economiche Ata? Sì, ma non per tutti

da La Tecnica della Scuola

Pagamento delle posizioni economiche Ata? Sì, ma non per tutti

L.L.

Ripristinate le posizioni con decorrenza 1° gennaio 2015 ma solo per coloro che risultano beneficiari dell’attribuzione, con decorrenza 1° settembre 2011 e fino al 31 agosto 2014

Nell’incontro al Miur del 20 aprile scorso si è parlato di posizioni economiche Ata.

La Flc Cgil fa sapere che sul pagamento delle posizioni ancora non liquidate è tuttora in corso la verifica incrociata sui nominativi degli aventi titolo, che dovrebbe terminare entro una decina di giorni.

Intanto, il MEF ha inviato una prima risposta sul numero complessivo dei soggetti, sia della prima che della seconda posizione, che hanno percepito l’emolumento una-tantum, a seguito dell’Accordo del 7 agosto all’Aran: in totale, le posizioni già pagate sono 10.114.

Per quanto riguarda il ripristino delle posizioni con decorrenza gennaio 2015 , il Ministero dell’Economia provvederà soltanto a favore di coloro che risultano beneficiari dell’attribuzione, con decorrenza 1° settembre 2011 e fino al 31 agosto 2014.

Non sono, invece, comprese per il momento altre posizioni non ancora liquidate, in quando non ancora individuabili al sistema NoiPA.

Il MEF ha inoltre comunicato che è in corso di realizzazione una nuova procedura informatica per il ripristino del beneficio e che indicherà la data di erogazione degli eventuali arretrati a partire dal 1° gennaio 2015.

Gli emendamenti del Pd al ddl scuola, c’è attenzione alle criticità

da tuttoscuola.com

Gli emendamenti del Pd al ddl scuola, c’è attenzione alle criticità

Autonomia delle scuole, nessun docente di serie A e di serie B, collegialità e valutazione dei dirigenti, coinvolgimento degli studenti, centri per la gestione amministrativa, lotta all’analfabetismo di ritorno, ridefinizione delle deleghe, concorso per soli abilitati“. Sono questi alcuni degli obiettivi cui puntano gli emendamenti al ddl sulla scuola presentati dai deputati Pd della Commissione Cultura (cfr. Ddl scuola, 2100 emendamenti. Attesa per quelli del Pd), secondo quanto rendono noto i medesimi in una nota stampa.

Autonomia delle scuole – si addentrano nella spiegazione i deputati democratici – deve sempre essere considerato come punto centrale. Gli organici funzionali saranno garantiti con un potenziamento dell’8% in più di docenti per ogni scuola, per una scuola davvero coerente con le richieste degli studenti, delle famiglie e del territorio. I docenti dell’autonomia non vengono impegnati sui posti vacanti ma come vera ricchezza a disposizione della scuola perché tutti sono organico dell’ autonomia”.

Il dirigente scolastico sarà chiamato ad assumere responsabilità maggiori, da vero leader educativo – proseguono i deputati Pd – e le sue scelte saranno sottoposte a valutazione. Non abbiamo trascurato il ruolo degli organi collegiali che elaborano e approvano il piano triennale e abbiamo proposto non solo un maggior coinvolgimento degli studenti nel processo decisionale ma la valorizzazione del loro curriculum nella valutazione finale per gli esami. Inoltre lo staff organizzativo e di supporto didattico del dirigente potrà essere costituito dal 10% dei docenti dell’istituto”.

Come avevamo detto – aggiungono i deputati Pd – abbiamo previsto un piano straordinario di mobilità per i docenti già di ruolo con superamento del vincolo triennale, abbiamo ridefinito gli albi territoriali, che coincidono con le reti di scuole. In questo modo nessuna esclusione di personale, ma risorse in comune, soprattutto per garantire l’opzionalità dei curricula degli studenti. Previsti poi centri di servizio per la gestione di aspetti amministrativi“.

Fondamentale – proseguono – la scelta del concorso per i soli abilitati con diverse modalità che valorizzano titoli professionali e servizio da definire nel bando; attenzione a tutti coloro che sono inseriti nelle graduatorie di merito del concorso 2012 e finalmente uno spazio all’educazione degli adulti contro il preoccupante analfabetismo di ritorno”.

Si punta poi a una diminuzione delle deleghe, con una più chiara definizione di alcune di esse: nuove modalità per diventare docenti, una valutazione degli alunni coerente con il ruolo formativo e di orientamento, nuove modalità per gli esami del primo e del secondo ciclo, una nuova delega per valorizzare anche la bellezza del made in Italy attraverso la scuola”, concludono i deputati democratici della Commissione Cultura.

Fin qui, il testo del comunicato. In sede di primo commento, si nota certamente un processo di approfondimento delle criticità del disegno di legge da parte dei parlamentari del partito di maggioranza alla Camera: dall’attenuazione dei poteri dei dirigenti scolastici mediante un maggiore coinvolgimento nella governance degli organi collegiali, alla mobilità straordinaria dei docenti prima delle assunzioni (un vero e proprio deja vu nella storia del reclutamento italiano, a tutela del personale già in ruolo rispetto ai neoassunti); dal concorso per soli abilitati, che sembra venire incontro alle istanze più “morbide” dei ‘tieffini’ e dei ‘passini’ (potrebbero dunque essere esclusi dalle future selezioni i semplici ‘laureati d’annata’), al tentativo di soluzione della deroga al Testo Unico in odore di incostituzionalità per quello che riguarda i cosiddetti idonei 2012 (per definire i quali si usa finalmente il termine scolasticamente corretto “inseriti nelle graduatorie di merito del concorso 2012”). Spicca infine la volontà di dare concretezza al sistema di deleghe in bianco di cui all’articolo 21 del disegno di legge, che a molti erano parse troppo ampie.

Naturalmente, occorrerà verificare i testi dei singoli emendamenti, non ancora caricati sul sito della Camera, la loro ammissibilità e la determinazione della Commissione nel votarli. L’attesa non pare lunga però, visto il calendario – molto intenso – dei lavori che si prospetta nella VII Cultura, convocata per lunedì 27 aprile alle ore 10 in sede referente e poi ogni mattina fino a giovedì 30 alle 8,30, e con votazioni quotidiane al termine di ogni giornata, presumibilmente in notturna.

Ci sono i nuovi dirigenti tecnici. Qualcuno se ne è accorto?

Ci sono i nuovi dirigenti tecnici. Qualcuno se ne è accorto?

di Mavina Pietraforte
Dirigente Tecnico Miur

 

Dirigenti tecnici, alias ispettori tecnici, come vuole il T.U. sull’istruzione del ’94.

Reclutati in base al possesso di requisiti quali la provenienza dai ruoli scolastici o come dirigente scolastico o come docente con 9 anni di anzianità.

Ma tutti noi di anzianità nei ruoli ne avevamo molto di più. Dunque non giovanissimi, tranne qualche rara eccezione.

Non certo per colpa nostra, basti pensare che l’ultimo concorso ispettivo risale all’89, dunque a più di un quarto di secolo fa. Non stupisce quindi nemmeno il numero elevatissimo degli aspiranti candidati al bando di concorso del lontano 2008, intorno ai 16.000.

Un numero decisamente inferiore arrivò effettivamente a sostenere i test, nel 2009 e poi le prove scritte nazionali, a Roma, in un mega istituto freddo in giornate piovose del marzo 2011 per le prime due prove, e poi scaglionati per le prove dedicate al settore disciplinare di provenienza, fino al mese di Aprile 2011.

A sorpresa, come un regalo di Natale, con la neve, arrivarono i risultati delle prove e la lista dei vincitori, nel dicembre 2012. In 76 avevamo superato le prove scritte. Ma la selezione non era ancora finita. Nel mese di aprile 2013 la graduatoria dei vincitori finali, appena 57.

Immessi in ruolo nel febbraio 2014 e da lì il passaggio da un mondo ad un altro, dalla scuola agli uffici, centrali o periferici.

Dal mondo della scuola, dalla vicinanza continua con i ragazzi, con il vissuto nelle classi e il suono della campanella, dallo schema lezione-classe-orario-lavoro a casa-consigli di classe-collegi docenti, o se eri dirigente scolastico dagli affanni burocratici, dalle lamentele dei genitori, degli studenti, a quello della realtà amministrativa.

Qualcuno è stato assegnato al Ministero, a Roma, la gran parte di noi è approdata negli Uffici Scolastici Regionali dove arriva ciò che dall’Amministrazione Centrale è ritenuto importante attivare per le scuole e che viene realizzato grazie al filtro dei dirigenti di seconda fascia preposti agli uffici, i quali consegnano quanto di dovere ai  docenti e ai funzionari che, laboriosi, promuovono, raccordano, diffondono il verbo nelle scuole.

La scuola arriva di riflesso, al più qualche rete di scuole, quelle meglio organizzate, quelle meglio dirette che hanno rapporti con l’Ufficio Scolastico Regionale e che assurgono a punte di diamante, ad esempi luce di “buone pratiche”.

Ma noi non possiamo dirigere gli uffici di direzione non generale che si occupano di ordinamenti, di personale della scuola, di politiche per gli studenti, né a livello centrale né periferico.

Con la procedura di reclutamento dei dirigenti di seconda fascia che ha fatto seguito alla riorganizzazione recente del Miur e degli Uffici scolastici regionali, possiamo, al massimo, essere dei reggenti di quegli uffici, solo se qualche amministrativo prima di ruolo e poi quelli ex lege, art. 19 comma 5bis e 6 del D.lvo 165/01, ovvero scelti e indicati dalle maestranze politiche e sindacali, lascia vuota qualche carica.

 

E allora sorge spontanea una domanda: si ha bisogno di dirigenti tecnici?

Cosa potrebbero fare? Quanto già fanno i docenti comandati o distaccati? Quelli che magari sono lì da decenni, mentre noi eravamo nelle scuole ad insegnare o a fare i presidi.

 

Posso dire quello che ho fatto io come dirigente tecnico, raccontare come abbia ancora visto uno spaccato di scuola vera, l’ho vista dalle lenti dell’ufficio procedimenti disciplinari dove passava la sofferenza dei docenti, a volte la loro inadeguatezza anche a fronte di un sistema di reclutamento pesato solo sull’accumulo di TFA, PAS, in una rincorsa insensata di certificazioni a mo’ di lasciapassare, come se lo Stato non avesse il coraggio di riconoscere il valore di una laurea e di consentire l’accesso alla docenza per concorso pubblico, semplicemente, costituzionalmente.

Ho cercato di essere equa, di avere il profilo da ispettore scolastico che vagheggiavo nelle mie motivazioni allo studio ai tempi del concorso, un tipo di ispettore che ascolta prima ancora di giudicare, cercando di temperare il “decreto Brunetta” nei suoi aspetti formali e punitivi per calarlo in una realtà che non è certo e non solo impiegatizia.

Questo ho fatto, questo ho potuto fare, non di più, oltre a qualche ispezione, visita disposta, obbligatoria, e diversi accertamenti sulle paritarie, in discreto numero, con adempimenti che risentano la professione del tecnico di manutenzione degli impianti.

 

Si potrebbe fare di più?

Con il Sistema Nazionale di Valutazione sarà consentito ai dirigenti tecnici di tastare il polso al disagio e alle preoccupazioni degli operatori della scuola, raccogliere le loro fatiche e allievarle in un progetto educativo che parta dalle loro istanze e dalle loro sconfitte e vittorie di ogni giorno?

 

I flashmob dei docenti che di notte, nero vestiti e illuminati solo da cerini, come dire ci siamo anche se non ci vedete, che in questi giorni stanno riempiendo le piazze d’Italia, parlano di difficoltà e palesano una ricerca di identità che forse non è solo quella che può provenire dai palazzi ministeriali.

Come gli angeli nel film di Wim Wenders, “Il cielo sopra Berlino”, si potrebbe, chissà, affiancare e sostenere chi ogni giorno a vario titolo e in vario modo, si reca a scuola per imparare e per insegnare ad imparare.

Mettere a frutto quella idea di scuola di cui si poteva essere portatori, quel credere che si possa uscire da un bozzolo di scuola ancora tardo novecentesca, innovarla verso il terzo millennio, spezzare quella didattica affossata tra i banchi, chiusa nella classe, umiliata da quotidiane sopraffazioni a volte persino dei ragazzi che in gruppo uniti, loro sì, possono per primi non avere desiderio di imparare o cogliere la difficoltà di insegnare in quelle condizioni date e allora provocare, irrompere, dissacrare, come è giusto nella loro natura ribelle adolescenziale che purtroppo non attinge forza e ispirazione dalle ideologie che hanno alimentato i giovani di ieri.

Le controragioni dello sciopero

LE CONTRORAGIONI DELLO SCIOPERO

di Alessandro Basso

 

Lo scioperò si farà e sarà compatto, questo ormai lo sanno tutti. Ed è legittimo e legittimato, sgombriamo il campo da ogni interpretazione fuorviante sulla natura stessa dello strumento più “alto e moderno” in mano ai sindacati.

È stato proclamato contro il D.D.L. La Buona Scuola; a dire il vero, forse un po’ ingenuamente, non avrei creduto dopo il governo Berlusconi si potesse ripresentare una stagione di così alta contrapposizione nel mondo della scuola.

A qualche residuale unità di lettore, potrebbe addirittura venire in mente che qualsiasi proposta di cambiamento nella scuola venga messa in discussione dagli insegnanti, ma non è certo così: lo sciopero è finalizzato al cambiamento, all’innovazione, alla buona scuola, a mettersi al passo con l’Europa, all’ampliamento dell’offerta formativa, al potenziamento del tempo scuola, alla riforma degli organi collegiali, alla revisione dello stato giuridico dei docenti. Chi sciopererà, lo farà per questi motivi.

Non è scritto da nessuna parte? Poco importa.

Al momento, quello che si legge è la parola NO. No a prescindere, no al cambiamento, no al bene dei ragazzi.

Qualcuno pensa a loro? Poco importa se capita di aver un insegnante inadeguato, l’importante è che venga assunto, che nessuno lo possa licenziare, che possa prendere lo stipendio alla pari di tutti gli altri colleghi che lavorano decorosamente.

Qualche arguto commentatore postula che la scuola non è un comparto ministeriale, non abbiamo a che fare con i faldoni, ma con i ragazzi.

Non è forse per loro che dovremmo cercare, noi presidi sceriffi-ranger-sindaci-despoti, di fare in modo che quei (pochi, per fortuna) insegnanti poco preparati o maldisposti verso la professione possano andare altrove?

Trovino i sindacati un modo, assieme al governo, per non licenziarli e per preservare i loro diritti occupazionali, ma intanto non sarebbe bene toglierli dalla classe?

Si dirà: lo potete già fare…è vero, ma solo in parte: al momento, quello che possiamo fare, è spedirli in un’altra scuola, se siamo fortunati e sufficientemente tenaci perché presentino domanda di trasferimento, inseguendoli per i corridoi con i moduli in mano, con il rischio di essere denunciati per mobbing.

E il problema si sposta di scuola, altri ragazzi, altro preside, altri genitori, altre lettere, altre assemblee, altre proteste.

Il nostro potere è ampio: possiamo toglierli dalle classi più difficili e far espiare la colpa a quelle più tranquille, oppure possiamo fare in modo che, se insegnano lettere, non insegnino italiano ma solo geografia: cosa importa se geografia non la imparano, non è mica una materia fondamentale?

Siamo fortunati quando insegnano discipline secondarie: i genitori arrivano più tardi, è sufficiente che raccomandiamo loro di non esporsi troppo, che non combinino guai.

Con tutto il rispetto per il fattore occupazionale, che importanza ha se un collaboratore scolastico può far tutto meno che le pulizie? Le possono fare i colleghi. Il preside non si azzardi a spostarlo di scuola, non è mica un suo dovere (non diritto!), non è stato contrattato.

Questa è l’autonomia? Questo è il ruolo di garanti delle tre libertà costituzionali (libertà di insegnamento, libertà di scelta educativa della famiglia, diritto di apprendimento degli alunni) che la Legge ci assegna quando stipuliamo un contratto di qualifica dirigenziale?

Il primo passaggio necessario è capire cosa significa la parola dirigente. I colleghi sanno bene quali siano le attribuzioni e le responsabilità che dobbiamo affrontare quotidianamente, ma queste non contano: non conta che se cade il tetto della scuola e siamo noi a risponderne pur non essendo proprietari dei locali.

Non ha importanza ed è normale che le contravvenzioni amministrative siano in capo al dirigente, anche quando la pratica è affidata ai propri dipendenti (i colleghi penseranno alla multa per il ritardo oltre alle 48 per la denuncia di un infortunio all’Inail).

La dirigenza non è quello che viene presentato in questi giorni, da nessuna parte nel DDL si parla di presidi sceriffi.

Quello che il governo sta facendo è completare un passaggio riformistico iniziato negli anni Novanta.

Si tratta di regolamentare, anzi regolare, ciò che avviene in tutte le amministrazioni pubbliche, senza tirare in ballo il mondo del privato (vige una legge dello stato che prevede la privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, privatizzazione che ha attivato la contrattazione e, quindi, ha dato maggiore peso ai sindacati).

È facile pensare che questi discorsi siano frutto di una pensiero della categoria, ma è altrettanto vero il contrario, che nelle categorie altre, vi è la precisa volontà di far rimanere le cose come stanno, anzi possibilmente, tornare indietro.

La riforma della governance della scuola, quella che ci porta a votare per il CSPI martedì 28 p.v., non nasce da una riforma degli organi collegiali del 1999 e mai attuata? Possiamo lasciare gli organi collegiali come stanno? Quanti genitori si presentano a votare nelle vostre scuole per eleggere le loro rappresentanze?

Con questo, non si vuole certo dire che si debbano cancellare le forme di democrazia nella scuola, ma i tempi sono cambiati ed è necessario rivedere le attribuzioni di tutti gli organi, a partire dalla dirigenza, ovviamente, in quanto, piaccia o no, al momento ai vertici di una scuola è preposto un soggetto con funzioni dirigenziali.

Altrimenti, è meglio tornare ai direttori didattici, così come potremmo tornare al grembiule nero delle maestre e magari a scrivere con il pennino.

Ci sarà chi sciopererà per solidarietà con i colleghi precari, sempre legittimamente. Nel DDL non si parla di assumere più di 100.000 docenti? È un dovere farlo, sia per assecondare la giustizia europea sia per il dovere morale di porre fine a questo scempio di proliferazione di precari, che hanno scuramente il diritto di trovare pace. Poi si vedrà come impiegarli, intanto assumiamoli, il contrario non si poteva fare, ma pazienza.

Non sia mai che i ragazzi delle superiori lavorino d’estate, imparino un mestiere, facciano l’alternanza scuola-lavoro: sfruttamento!

Non va bene l’organico funzionale, vuoi mai che i dirigenti utilizzino i docenti per sostituire i docenti assenti e non si crei nuovo precariato; è troppo ardito pensare che un dirigente scelga la propria squadra e valorizzi le persone che assieme a lui stanno a scuola 12 ore al giorno: meglio i collaboratori scelti dal collegio dei docenti, o addirittura i presidi scelti dal collegio che, al primo atto gestionale impopolare possa riunirsi e rovesciare il vertice.

Il dado, però, è ormai tratto. Lo sciopero è avviato e pare sia destinato ad aver un buon successo e tutti i NO si sono concentrati contro i presidi. È un caso che sia stata individuata la data delle prove Invalsi, una esempio di serietà, di professionalità e di buona scuola.

Il Governo mi auguro abbia il coraggio di andare avanti e dimostrare di essere credibile, che abbia il coraggio di ascoltare le parti, di sedersi al tavolo con quelle che vogliono costruire qualcosa e che in qualche modo dicano qualche “si” e non tutti “no”.

J. Barnes, Metroland

I giovani di Barnes

di Antonio Stanca

barnesHa sessantanove anni e vive a Londra, si chiama Julian Barnes ed è scrittore noto in ambito internazionale. Noti sono soprattutto i suoi romanzi e racconti anche se in altre direzioni si è egli impegnato ed ancora s’impegna. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Tra gli altri nel 2011, quando aveva sessantacinque anni, gli è stato assegnato il prestigioso Booker Prize per il romanzo Il senso di una fine.

Barnes è nato a Leicester nel 1946 ma è cresciuto, è vissuto, ha studiato a Londra e qui ha cominciato a lavorare come lessicografo e poi come giornalista. Agli anni ’80 risale l’inizio della sua attività di narratore ma non cesserà di essere giornalista e saggista. Nel 1980 Metroland sarà il suo primo romanzo. Con questo vincerà, l’anno successivo, il Premio Somerset Maugham Award. L’opera verrà pubblicata in Italia nel 1981 e a Febbraio del 2015 la casa editrice Einaudi di Torino l’ha ristampata nella serie “L’Arcipelago Einaudi”, pp. 224, € 15,00. La traduzione è di Daniela Fargione.

Già in questo primo romanzo compaiono quelli che saranno gli aspetti ricorrenti nella narrativa di Barnes, cioè l’attenzione alla psicologia dei suoi personaggi, ai loro problemi interiori, ai difficili contrasti che sono chiamati a vivere, e la cura della forma, dell’esposizione che risulterà sempre chiara, facile pur se riguarderà segreti così complicati come quelli dell’anima. Scriverà sempre in questo modo e di questi problemi Barnes, lo farà fino ad oggi quando è diventato famoso oltre i confini della sua nazione. Di postmodernismo in letteratura ha fatto parlare la sua vasta produzione narrativa poiché è stata inserita in quel movimento culturale ed artistico che a partire dalla metà degli anni Settanta ha mostrato di voler rifiutare la certezza, la razionalità, la funzionalità della precedente età moderna, del suo progresso, delle sue tecnologie, ed ha accolto una visione della vita, della storia più ampia, più varia anche dal punto di vista espressivo. C’è, in effetti, in Barnes quest’apertura, questa disposizione verso quanto non rientra nelle regole ma più che all’adesione ad un particolare movimento d’idee essa è da attribuire alla tendenza propria dell’autore, alla sua naturale inclinazione a voler dire della vita dell’anima, di come sia difficile conciliarla con la realtà, di quanti problemi vi possano trovar posto. Non di quanto avviene all’esterno intende scrivere Barnes ma di quel che si muove nelle profondità dello spirito. I giovani spesso fa egli interpreti delle sue opere perché gli esempi migliori gli sembrano di una condizione spirituale, di un problema che è sempre stato dell’uomo, quello del passaggio dalla prima vita alla vita matura, del contrasto tra le idee nutrite da ragazzi e le realtà incontrate dopo. Con Barnes i giovani diventano il simbolo di tale contrasto, la figura che meglio lo rappresenta. Si spiega, così, come quello dei giovani che sono stati compagni di scuola, che hanno sognato una vita fatta di grandi cose e poi si sono arresi ad una realtà completamente diversa, dopo essere stato il motivo centrale di Metroland, primo romanzo del Barnes, ritorni nel suo capolavoro, Il senso di una fine, scritto ventuno anni dopo. Entrambe le opere sono ambientate nel Sessantotto, durante la contestazione giovanile, ma questi sono avvenimenti che rimangono sullo sfondo della narrazione poiché allo scrittore interessa soprattutto osservare la vita interiore dei suoi giovani protagonisti, i risvolti pur minimi dei loro pensieri, le mosse del loro spirito, la maniera con la quale queste si riflettono nelle loro azioni, cosa li inducono a fare, come li fanno vivere. Un intero romanzo riesce a ricavare Barnes da tali osservazioni, una costruzione articolata e ben costruita.

In Metroland i giovani saranno Chris e Toni. Essi vivono la loro adolescenza all’insegna di un futuro luminoso, splendente, col pensiero di come riusciranno bene nella vita, delle conquiste che saranno capaci di compiere. Invasi sono i loro discorsi dall’idea di un avvenire pieno di successi. Avverrà, invece, che diventati adulti debbano accorgersi dell’impossibilità di realizzare quanto sognato a causa di urgenze, situazioni che sono insorte e che sono state ben diverse dalle vecchie aspirazioni. Una serie di sconfitte sarà la vita per loro. Si erano innamorati della grandezza degli autori, poeti, scrittori, filosofi, pittori, scultori studiati a scuola, li nominano, li citano in continuazione, come loro avrebbero voluto diventare ma non così è stato né capiscono come sarebbe potuto essere diversamente.

E’ questa la vita che Barnes accoglie nei suoi romanzi perché è la vita intesa come esperienza aperta ad ogni soluzione, perché così è la vita.