Bologna, 5 e 6 settembre 2015: Assemblea comitati territoriali e Incontro nazionale di mobilitazione della scuola

Il 5 ed il 6 settembre si svolgeranno a Bologna rispettivamente l’Assemblea dei comitati territoriali della LIP (sabato 5) e l’Incontro nazionale di mobilitazione della scuola (domenica 6). Quest’ultimo è stato programmato in occasione del precedente incontro di Roma tenuto il 12 luglio scorso.

Entrambi gli incontri si terranno dalle 10:00 alle 18:00 presso l’Aula 3 della Scuola di Economia dell’Università di Bologna (Piazza Scaravilli 3).

Hanno finora comunicato le loro adesioni all’incontro del 6 settembre le seguenti realtà (elenco aggiornato al 30 agosto):

COMITATI E GRUPPI LOCALI

Coordinamento scuole del VII Municipio di Roma, Comitato bolognese Scuola e Costituzione, Comitato genitori ed insegnanti per la Scuola pubblica di Padova, Coordinamento Genitori Democratici (Genova), Comitato docenti autoconvocati di Cosenza, Coordinamento scuole Versilia, Comitato scuola Corato (Bari), Autoconvocati della Scuola Roma e Lazio, Mida precari, Retescuole Milano, CESP Centro studi per la scuola pubblica di Padova, “Cattive maestre”, “Sostengo il sostegno”, Assemblea genitori ed insegnanti delle scuole di Bologna e provincia, Manifesto dei 500, Assemblea sciopero della fame Bologna, Assemblea Difesa Scuola Pubblica di Vicenza, Gruppo L.S. Amaldi di Bitetto-Bari, Coordinamento scuole Viterbo, Partigiani della scuola pubblica, Snals Bologna, Coordinamento docenti Marche, Comitati Lip di Trentino, Lombardia, Veneto, Friuli, Liguria, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna.

SINDACATI e ASSOCIAZIONI NAZIONALI

FLC, Gilda, Cobas, Unicobas, Per la Scuola della Repubblica, Una nuova primavera per la scuola pubblica, Non Uno di Meno, Gessetti Rotti, Illumin’Italia, Unione degli studenti, Rete della conoscenza, Coordinamento nazionale per la scuola della Costituzione, Coordinamento Nazionale Professori Associati (Conpass), Forum italiano dei movimenti per l’acqua bene comune, Libertà e Giustizia (nazionale e Bologna), Coordinamento democrazia costituzionale

PARLAMENTARI e GRUPPI POLITICI

Movimento 5 Stelle, SEL, Gruppo Misto Senato, PRC, Altra Europa con Tsipras, Azione civile, Sinistra anticapitalista.

Cadaveri in cerca d’autore

Cadaveri in cerca d’autore

di Vincenzo Andraous

 

Partendo dall’idea che di galera non si debba parlare, dei morti ammazzati dentro una cella neppure, del suo sovraffollamento meno ancora, volendo così significare che l’ingiustizia è stata finalmente sanata, mi sovviene un pensiero che rafforza drammaticamente quel che è già risaputo da tempo: più la galera sarà ridotta a un lazzaretto disidratato, più chi poco conosce della prigione risulterà contento.

Chiaramente si tratta di una disattenzione che renderà il cittadino ulteriormente allarmato, ovvero alla ricerca di sempre nuove sanzioni restrittive che però non risolveranno i problemi che affliggono la società di cui è parte.

Una sorta di autoipnosi collettiva, perché è provato dalla recidiva inequivocabile che le carceri punitive non consentono alcuna rieducazione, alimentando ben poca “sicurezza” per quei cittadini che invece auspicano una giustizia giusta.

Sul carcere è franato un silenzio spesso come la pece, frutto di un’architettura sofisticata al punto da non obbligare ad alcuna indignazione, neanche per le patologie a doppia diagnosi che s’espandono nelle celle di una prigione.

C’è silenzio feroce della notizia, tramortita dall’estate in dirittura conclusiva, contiene un messaggio sottotraccia, non bisogna parlarne troppo, occorre evitare strilli e urla, sono “eventi critici” che dalla notte dei tempi appartengono al novero delle “insindacabilità” carcerarie.

Sei detenuti suicidi, ognuno ospite in un Istituto diverso, ciascuno strozzato in gola, con le orbite esplose nei polmoni.

Sei persone all’ammasso, corpi denudati, cadaveri in cerca d’autore.

Sei residenti in quella sorta di terra di nessuno, dove non si vuole guardare, sei interrogativi rapinati brutalmente di soggetto e complemento oggetto, sei uomini azzerati della propria esistenza nello spazio di un mese o giù di lì.

Manca il personale, non ci sono mezzi necessari a tutelare e garantire se non una parvenza vita, una possibile sopravvivenza.

In questi frangenti le colpe non sono mai di nessuno, ovvero sono “semplicisticamente” riconducibili alla fragilità umana, genuflessa al peso della colpa e del rimorso incombente.

Episodi licenziati sbrigativamente dall’urto e nel fastidio della piaga endemica dell’Amministrazione Penitenziaria, il sovraffollamento, come unica condizione d’irrappresentabilità della pena da scontare.

Non c’è da farla tanto lunga, tante e troppe persone per bene muoiono ingiustamente nel consorzio sociale libero!

Non fa una grinza, ma forse c’è da tener in debita considerazione che queste dipartite appartengono anch’esse a cittadini detenuti, sì, privati della libertà, ma a norma di legge con le mani e con i piedi interamente affidati allo Stato che li detiene, che però non dovrebbe spogliarli della propria dignità.

C’è arrendevolezza di comodo al male minore, rispetto alla condizione di inaccettabilità cui è costretto il carcere.

Sei detenuti di ogni età, terra di origine, si sono “volutamente” estinti in altrettante regioni della penisola, dunque non è la solita letteratura di parte che riguarda una ben definita Cayenna, quel famoso inferno, quella unica e malcelata dependance del diavolo.

Sei esseri umani hanno preferito la ferita scarnificata al collo, il cappio stretto alla gola, se ne sono andati in sei nell’arco di un mese, scacco alla sofferenza, al dolore, all’abbandono e alla follia che imperversa in ogni disperazione solitudinarizzata da una politica scardinata dei propri ideali.

Sei morti ammazzati nello scorrere di qualche settimana non sono una miserabile materia di rimbalzo, tacerne la gravità sottende latitanza di una dignità da rispettare per norma costituente, se non per un diritto e un dovere di umanità che riguarda l’intera collettività.

Forse è giunto il tempo di mettere mano davvero alla Riforma Penitenziaria, quanto meno per riconsegnare al carcere il suo scopo e la sua utilità.

B. O’ Carroll, Agnes Browne mamma

La “mamma” di tutti

di Antonio Stanca

ocarrolAd aprile del 2015 dalla casa editrice BEAT è stato ristampato il romanzo Agnes Browne mamma del sessantenne scrittore irlandese Brendan O’Carroll (pp.167, € 9,00). La traduzione dall’inglese è di Gaja Cenciarelli.

O’Carroll, nato a Finglas nel 1955, lo scrisse nel 1994, quando aveva trentanove anni e dopo aver tenuto un dramma alla radio. Fu il suo esordio letterario ed ebbe tanto successo da indurre l’autore a farlo seguire da altri tre romanzi incentrati sul personaggio di Agnes Browne, I marmocchi di Agnes, Agnes Browne nonna, Agnes Browne ragazza. Una saga familiare avrebbe prodotto O’Carroll ed avrebbe anche esteso la sua attività, sarebbe entrato a far parte del mondo dello spettacolo, del cinema, del teatro, della televisione non solo come autore ma anche come regista, sceneggiatore, attore. Nel 1999 avrebbe collaborato alla riduzione cinematografica di Agnes Browne mamma che procurerà al romanzo ulteriore successo, lo farà tradurre in molte lingue e renderà O’Carroll un autore internazionale.

“Una delle opere migliori della letteratura irlandese contemporanea” è stato definito per l’umorismo che lo attraversa e per la capacità mostrata da O’Carroll nel creare una figura femminile come Agnes Browne, nel rappresentarla in modo così autentico, così ricco di valori e significati da farla diventare un personaggio emblematico, un “caso” letterario, un classico della modernità.

Tramite O’Carroll dalla lontana e solitaria Irlanda è provenuta un’immagine femminile ovunque ammirata, un esempio di donna a tutti gradita. E ancor più sorprende questo fenomeno se si pensa che Agnes non è una donna fuori dal comune, non ha qualità eccezionali, non è una persona eletta ma una semplice fruttivendola che ha il suo piccolo banco al mercato del Jarro, un quartiere popolare della Dublino degli anni ’70, sette figli e un marito, Rosso, che non vuole saperne di lavorare e che la maltratta. Rosso morirà lasciandola con i figli ancora piccoli che Agnes, tramite espedienti di ogni genere, riuscirà a far crescere, ad istruire, a far diventare adulti senza che le difficoltà della condizione familiare pesino su di loro poiché in esse saprà coinvolgerli, di esse li saprà rendere responsabili al punto che le sentiranno non come una limitazione, come un motivo d’inferiorità ma come un aspetto tra gli altri della loro vita.

Anche Marion, la migliore amica di Agnes, morirà. Anche lei faceva mercato, aveva un banco di frutta accanto al suo e tra loro si era creata una tale intimità che non c’era pensiero, azione di una che non fosse anche dell’altra. Insieme vendevano la loro merce, insieme facevano la pausa per la colazione, insieme chiacchieravano su quanto di nuovo ogni mattina si veniva a sapere, insieme si trovavano a dire dei problemi, dei bisogni delle loro famiglie. Ci volle molto tempo perché Agnes si adattasse all’idea di essere rimasta senza Marion. Dopo la sua morte non avrà più la coetanea con la quale dire di tutto ed unico, esclusivo diventerà il pensiero della famiglia, dei figli, dei problemi legati alla loro crescita, delle risposte da dare alle loro incessanti domande, del lavoro suo e di quello di alcuni dei figli ormai adulti, dell’economia familiare sempre ridotta e del suo impegno a non farla apparire un impedimento ad essere felici nella loro modesta casa e a guardare al futuro. Tutto questo saprà fare Agnes, questo ambiente sarà capace di creare e mantenere nella sua famiglia. Un esempio di donna forte, coraggiosa, eroica ha voluto offrire con lei O’Carroll, un caso di donna tipicamente irlandese capace di procedere tra molte difficoltà, tra molti pericoli, di muoversi tra le persone, le case, le strade di una Dublino così affollata, così movimentata, di non smettere mai di occuparsi, di affaccendarsi. L’intera vita della città fa conoscere lo scrittore tramite quella di Agnes poiché in essa si svolge, in essa è lei sempre alla ricerca di una soluzione per i suoi tanti problemi.

Anche la madre di O’Carroll era stata una donna forte, anche lei aveva perso il marito quando lui e le cinque sorelle erano ancora piccoli. Tutti, prima dei quattordici anni, avevano dovuto abbandonare la scuola e arrangiarsi nel mondo del lavoro. A dodici anni O’ Carroll era cameriere poi lattaio e dalla vita sua e della sua famiglia gli era venuta l’idea del romanzo, da sua madre quella di Agnes Browne, della “mamma” che avrebbe conquistato il pubblico di ogni parte del mondo, che sarebbe diventata di tutti.

La sua scrittura semplice, chiara, facile gli avrebbe procurato altra ammirazione. E’ una scrittura capace di attirare, coinvolgere come sempre succede quando di cose semplici si dice con parole semplici. Non è il linguaggio delle favole quello di O’Carroll ma delle favole ha quel tono che non finisce mai di piacere, dalle favole deriva quella morale nella quale tutti possono ritrovarsi poiché per tutti vale.