Scuola, +11% di posti stabili sul sostegno

Scuola, +11% di posti stabili sul sostegno
Già 25.000 i posti in deroga assegnati

Sono 90.034 i posti sul sostegno per l’anno scolastico 2015/2016. L’11% in più dell’anno scorso quando erano 81.137. L’organico potenziato istituito dalla legge Buona Scuola prevede ulteriori 6.446 posti per il potenziamento delle attività di sostegno. Gli alunni certificati ad oggi sono già 217.000.

Le assunzioni effettuate fra agosto e settembre hanno colmato 14.000 posti finora rimasti vuoti di anno in anno consentendo la copertura del 100% del fabbisogno (deroghe a parte) in quasi tutte le regioni.

Sono poi già 25.000, ad oggi, i posti in deroga assegnati dal Miur per rispondere ulteriormente alle esigenze degli alunni diversamente abili e delle loro famiglie. Numero destinato ad aumentare per le nuove certificazioni di disabilità o aggravamento che abitualmente arrivano subito dopo l’inizio delle lezioni. A tali necessità il Miur darà tempestiva risposta con l’istituzione dei posti occorrenti.

ASSEMBLEA CONTRO LA CATTIVA SCUOLA

RIUSCITISSIMA ASSEMBLEA CONTRO LA CATTIVA SCUOLA DI RENZI

 

Molto partecipata l’assemblea indetta per oggi dall’Unicobas scuola per le scuole di Livorno e Collesalvetti alla Cassa Edile. Nonostante la “concorrenza” dell’altra assemblea indetta da Cgil, Cisl, Uil e Snals più di 100 lavoratori hanno partecipato per tutto il tempo previsto all’assemblea, intervenendo ripetutamente contro la legge 107.

In particolare si è discusso su come opporsi all’insediamento del comitato di valutazione e di limitarlo solo alla funzione di valutazione dei neoimmessi in ruolo e su come calibrare i p.o.f. annuale e triennale, riaffermando la funzione del collegio dei docenti. Inoltre è stata evidenziata la pericolosità della miriade di deleghe che il governo si da nella legge ( commi 180 e 181), come per esempio la riscrittura del testo unico e la probabile regionalizzazione della scuola dell’infanzia.

E’ stata ampiamente criticata la proposta di CGIL, CISL, UIL e SNALS di far partecipare la RSU alla valutazione del “merito”: il cosiddetto merito di Renzi è solo un’arma per dividere con pochi spiccioli i lavoratori e come tale va respinto.

Inoltre si è riaffermata la necessità, di fronte ad un governo che continua a tagliare posti, in questa fase soprattutto di personale ATA, di smettere di fare straordinari ed attività aggiuntive, in modo che la scelta politica del governo di lasciare le scuole sguarnite risulti evidente alla opinione pubblica.

E’ stato illustrato e distribuito il documento approvato dall’assemblea nazionale dei movimenti della scuola tenutasi a Bologna il 6 settembre a cui l’Unicobas ha partecipato attivamente. L’assemblea ha fatto proprie le iniziative previste: riscrittura e nuova presentazione della legge di iniziativa popolare alternativa alla legge 107, verifica della fattibilità di un referendum contro la legge 107, notte bianca della scuola il 23 settembre.

Qualche risata poi quando sono emerse le “norme” che alcuni dirigenti scolastici si inventano per cercare di mandare avanti le scuole: la sostituzione del collega assente obbligatoria per il più anziano, la banca delle ore, …..

Il segretario regionale Claudio Galatolo

Scuola, Rapporto Save the Children: “In Italia troppa povertà educativa”

da Il Fatto Quotidiano

Scuola, Rapporto Save the Children: “In Italia troppa povertà educativa”

Presentato il Rapporto “Illuminiamo il futuro 2030 – Obiettivi per liberare i bambini dalla Povertà Educativa”, nell’ambito della Campagna “Illuminiamo il Futuro”. La ricerca fornisce dati ed elaborazioni inedite e propone 3 Obiettivi entro il 2030 per sradicare le povertà economica ed educativa di milioni di minori

Il nuovo anno parte tra le incognite. Il governo: investiamo tre miliardi

da Il Sole 24 Ore

Il nuovo anno parte tra le incognite. Il governo: investiamo tre miliardi

di Claudio Tucci

L’antipasto c’è stato ieri con diverse scuole a Catanzaro dove l’accoglienza degli alunni al rientro tra i banchi dopo le vacanze estive si è svolta solo per le prime classi. Le altre aule sono invece rimaste vuote per l’indizione di assemblee sindacali. Situazione “difficile” anche in Campania. Ma l’anno scolastico per oltre 8 milioni di ragazzi è iniziato regolarmente, senza particolari agitazioni e blocchi delle attività. Un altro test importante ci sarà oggi, con l’avvio delle lezioni in altre regioni, e potrebbero esserci alcuni disagi, soprattutto, a Roma e a Firenze (qui c’è un’assemblea sindacale indetta per tutta la provincia).

Le dichiarazioni del governo
La prima campanella è suonata con circa 38mila docenti precari stabilizzati, un investimento di tre miliardi di euro l’anno, risorse in più per edilizia e funzionamento degli istituti. Il premier, Matteo Renzi, ha sottolineato che dopo un lungo periodo di tagli, sull’istruzione finalmente «si investe»; e il ministro, Stefania Giannini, ha aggiunto che tutto questo sforzo è stato fatto perché gli studenti siano «protagonisti». Il governo ha evidenziato le principali novità in arrivo con la riforma, che entra ufficialmente in vigore: gli insegnanti avranno un bonus di 500 euro netti per acquistare libri, biglietti per teatri e concerti, corsi di approfondimento e formazione; per gli studenti è previsto un potenziamento di alcune materie, matematica, lingue, arte, musica, diritto ed economia, la possibilità di individuare insegnamenti opzionali (nelle superiori), e si rafforza il collegamento con il mondo del lavoro, con il decollo dell’alternanza e dei laboratori territoriali per l’occupabilità (questa misura viene finanziata con 45 milioni).

Leproteste
I sindacati non smettono però di protestare, e i primi collegi docenti stanno boicottando l’avvio del processo di valutazione degli insegnanti (in tutti i principali paesi del mondo si giudica da decenni l’operato dei docenti, in Italia ancora no). L’argomento di maggior frizione con l’esecutivo è il maxi-piano assunzionale: per i sindacati si sposteranno migliaia di insegnanti; la “supplentite” quindi non sparirà, e per effetto anche delle misure varate nella legge di Stabilità 2015, che ha ridotto l’utilizzo di personale precario per brevi periodi, si rischierà di avere classi sovraffollate. Il ministro Giannini ha ribattuto che si sposterà una minima parte dei professori neo-assunti (10-15% del totale degli immessi in ruolo, che saranno in tutto circa 93mila) e che lo si dovrà fare perché «ci si muove dove sono gli studenti». Alle proteste sindacali, si sono aggiunte anche le polemiche politiche: in una scuola elementare di Brescia due classi sono composte di soli studenti stranieri, e il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, ha subito rilanciato l’idea di un “tetto” per gli alunni stranieri nelle aule (tuttavia è ancora in vigore il limite del 30% introdotto dall’ex ministro, Mariastella Gelmini, che comunque prevede deroghe).

Il nodo “qualità”
Il punto è che finora il dibattito sulla «Buona Scuola» si è incentrato su temi “quantitativi”; mentre è del tutto mancata l’attenzione all’aspetto qualitativo dell’insegnamento, che adesso è fondamentale mettere al centro. Visti soprattutto i scarsi risultati dei nostri ragazzi, evidenziati da tutte le principali indagini nazionali e internazionali. In quest’ottica, il governo deve subito riprendere a bandire, con regolarità, i concorsi per salire in cattedra (a dicembre il ministro Giannini ha annunciato una nuova selezione per oltre 60mila posti – vedremo se l’impegno verrà rispettato), con l’obiettivo di ringiovanire il corpo docenti, favorendo l’ingresso di giovani preparati. La qualità dell’istruzione va poi collegata con gli sbocchi occupazionali, valorizzando le competenze utili a trovare un impiego. E va potenziato l’inglese, puntando su docenti madrelingua ed esperti (senza accontentarsi di maestri “formati” dopo poche settimane di corso intensivo).

Rafforzare le misure per gli studenti
Tutto questo perchè la scuola deve avere come unico fine «il valore che essa crea per gli studenti», e non può essere perenne terreno di scontro, come evidenziato più volte nei giorni scorsi dal Sole24Ore. L’esigenza di guardare agli studenti e alle loro necessità è condivisa da Francesca Puglisi ed Elena Centemero, responsabili Scuola, rispettivamente, del Pd e di Fi. Anche per il leader dei presidi (Anp), Giorgio Rembado, «la scuola è per chi la frequenta e non per chi ci lavora». Ma cosa ne pensa il sindacato? «Non c’è dubbio che la scuola è per i ragazzi – risponde il numero uno della Cisl Scuola, Francesco Scrima –. Noi contestiamo la legge 107 e l’arroganza del governo che ha evitato ogni confronto di merito. Sulle assunzioni, in particolare, serviva maggior buonsenso per evitare disagi e problemi che sono sotto gli occhi di tutti».

Tutti divisi anche sulle proteste dal primo giorno? «Un grave errore, no giuste»

da Il Sole 24 Ore

Tutti divisi anche sulle proteste dal primo giorno? «Un grave errore, no giuste»

di Mar.B.

La scuola è partita regolarmente, nonostante contestazioni e proteste. Ma cosa pensano gli operatori della scuola di questo avvio del nuovo anno scolastico e della necessità di guardare ai reali destinatari della scuola che sono proprio gli studenti?

La politica: «No al Vietnam già dal primo giorno»
Da due rappresentanti di spicco di maggioranza e opposizione – i due responsabili Scuola del partito democratico e di Forza Italia – c’è piena condivisione sulla necessità di non trasformare subito questi primi giorni di scuola in un “Vietnam ”. Per Francesca Puglisi (Pd) «bloccare con un’assemblea per diverse ore il primo giorno di scuola, come potrebbe accadere in diverse scuola in Toscana, è un errore perché non si può danneggiare gli studenti che devono poter vedere integro il proprio diritto all’istruzione soprattutto in una giornata così attesa dai ragazzi e dalle loro famiglie. Ai docenti dico di non temere questa riforma che dà più autonomia agli istituti e più risorse come mai in passato». E sui due punti più criticati – l’esclusione di tanti precari dalle chiamate della Buona scuola e l’avvento del super preside – la Puglisi rassicura: «Presto ci sarà uno straordinario concorso per gli esclusi per oltre 70mila posti, mentre sui dirigenti dico che per la prima avranno più poteri, ma anche più responsabilità con tanto di valutazione che potrà mettere a rischio anche parte della loro retribuzione». Sulla stessa linea Elena Centemero (Forza Italia): «Condivido assolutamente l’appello a mettere al centro della scuola gli studenti e non i docenti come invece è accaduto negli ultimi anni, da docente e da dirigente scolastico prima che da parlamentare non capisco proprio che esempio possano dare ai loro ragazzi gli insegnanti che utilizzano questi primi giorni di scuola per protestare». La Centemero critica comunque il ministero per la «poca trasparenza nell’operazione assunzioni visto che i docenti non hanno saputo in base a quali criteri sono stati assegnata a una sede o un’altra».

I presidi: la scuola è per gli studenti
Per il leader dei presidi dell’Anp, Giorgio Rembado, non c’è dubbio che la scuola è per gli studenti e non per chi ci lavora. Sono comprensibili le proteste sindacali, ma ciò non può portare nocumento alle esigenze educative dei ragazzi.

Il sindacato: non contestiamo contro gli alunni, ma contro il governo
Anche il leader della Cisl Scuola, Francesco Scrima, ritiene che la scuola debba guardare ai bisogni educativi dei ragazzi. Ma il sindacato fa bene a protestare perchè critica il governo accusato di arroganza e di scarso dialogo.

Le associazioni degli studenti sul piede di guerra
Le associazioni studentesche non rinunciano invece alle mobilitazioni che ormai quasi tradizionalmente accompagnano il ritorno tra i banchi. «Se lo abbiamo fatto negli anni passati quest’anno dopo l’approvazione della riforma della Buona scuola ha ancora più valore la protesta», avverte Alberto Irone, portavoce della Rete degli Studenti Medi. «Ci mobilitiamo fin dal primo giorno di scuola perché siamo contrari alla legge 107/15 e rivendichiamo una scuola nuova dove l’apprendimento, la didattica e lo studente siano realmente al centro». L’Unione degli studenti già ieri, in diverse città, ha tappezzato le scuole di cartelli di divieto di accesso per “Buona Scuola”, “presidi manager”, “fondi privati” e ha costruito barricate di cartone all’ingresso delle scuole. Tanto per far capire l’aria che tira: «Se il Governo ha pensato di aver vinto il grande movimento della scuola si sbaglia di grosso: la riforma non sarà applicata, ogni scuola sarà una barricata!».

Si rafforza l’alternanza con il lavoro. In arrivo un «vademecum» per i presidi

da Il Sole 24 Ore

Si rafforza l’alternanza con il lavoro. In arrivo un «vademecum» per i presidi

di Francesca Malandrucco

Dai banchi di scuola alle imprese. L’anno scolastico è appena iniziato, e tra le prime novità subito in vigore c’è il rafforzamento dell’alternanza con il lavoro, previsto dalla riforma Renzi-Giannini. La novità riguarda non solo gli studenti degli istituti tecnici e professionali, che in alcuni casi hanno già sperimentato il sistema dell’alternanza, ma anche quelli dei licei per i quali stage, tirocini e didattica in laboratorio sono una vera novità: la legge ha fissato un numero minimo di ore da passare in azienda, almeno 400 per gli iscritti agli istituti tecnici e 200 per quelli che frequentano i licei.

Il vademecum del Miur
Per facilitare il lavoro dei presidi il Miur sta per emanare una circolare-vademecum per illustrate passo passo tutte le operazioni e gli adempimenti da fare per far muovere i primi passi agli studenti dentro le imprese.

Il lavoro nel curriculum scolastico

L’esperienza di lavoro dovrà essere strettamente legata al percorso formativo dei ragazzi ed entrerà a tutti gli effetti a far parte del loro curriculum scolastico che sarà poi valutato dalla commissione esaminatrice durante l’esame di stato conclusivo del percorso di istruzione secondaria. Per questo motivo le ore di alternanza non dovranno essere svolte solo presso le imprese. Gli studenti potranno scegliere di fare un’esperienza di “lavoro” anche negli ordini professionali, nei musei, negli enti che si occupano di cultura, arte e musica, o addirittura negli enti di promozione sportiva, a patto che siano riconosciuti dal Coni. Per chi, poi, vuole approfondire una lingua straniera, c’è la possibilità di fare un’esperienza di alternanza scuola-lavoro direttamente all’estero.

Si tratta, quindi, di una vera e propria novità che rivoluziona i rapporti tra mondo della scuola e mondo del lavoro e crea, almeno nelle intenzioni, un ponte tra due realtà rimaste per troppo tempo lontane.

Fino ad oggi la formazione on the job in Italia non superava le 100 ore l’anno, coinvolgendo meno del 9% del totale dei ragazzi delle scuole superiori, ed era lasciata all’iniziativa di singoli dirigenti scolastici o di aziende. Nel nostro paese appena il 4% dei ragazzi under 29 studia e fa pratica in azienda, mentre la media europea si attesta intorno al 13%, fino ad arrivare al 22,1% in Germania.

Dirigenti scolastici, studenti e aziende ora hanno pochi mesi di tempo per organizzarsi. La maggior parte di stage e tirocini partirà nel luglio 2016. La riforma della scuola, infatti, prevede che le ore di alternanza scuola-lavoro siano concentrate soprattutto nei periodi in cui l’attività didattica è sospesa.

Registro per le disponibilità

Per far fronte alle moltissime richieste che arriveranno da tutte le scuole italiane, le Camere di commercio devono istituire subito un registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro, aperto e consultabile gratuitamente, dove sono elencate le imprese e gli enti disponibili a svolgere i percorsi. Non solo. Ogni azienda dovrà indicare i periodi dell’anno in cui sarà possibile fare l’esperienza e il numero massimo degli studenti ammissibili. In una sezione speciale del registro nazionale verranno riportati anche dati più sensibili, dal tipo di attività svolta ai dati del fatturato, al personale. Tutto naturalmente nel rispetto della legge sulla privacy.

Sarà poi compito del dirigente scolastico fare una selezione delle realtà più interessanti e contattare le singole aziende e gli enti pubblici disponibili, stipulare con loro convenzioni sia per attivare i percorsi di alternanza che per favorire l’orientamento scolastico e universitario dello studente. Le scuole potranno firmare convenzioni anche con gli uffici centrali e periferici del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo.

Faranno parte integrante dei percorsi di alternanza scuola-lavoro anche le attività di formazione in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro organizzati, in questo caso, direttamente dalle scuole secondarie di secondo grado. I corsi serviranno a preparare i ragazzi che frequentano l’ultimo triennio delle superiori a fronteggiare gli eventuali rischi che potranno incontrare durante le attività di stage.

L’intera operazione, però, non dovrà pesare troppo sui bilanci delle scuole. Per far partire i percorsi di alternanza scuola-lavoro, il Governo ha previsto un extra budget di 100 milioni di euro, disponibili dal 2016, che dovranno essere ripartiti tra tutti gli istituti scolastici.

Gli studenti italiani hanno competenze inadeguate: 1 su 4 insufficiente in matematica, 1 su 5 in lettura

da Il Sole 24 Ore

Gli studenti italiani hanno competenze inadeguate: 1 su 4 insufficiente in matematica, 1 su 5 in lettura

di Pierangelo Soldavini

Solo il 14% dei bambini tra 0 e 2 anni riesce ad andare al nido, il 68% delle classi della scuola primaria non offre il tempo pieno e il 64% dei minori non accede ad attività ricreative, sportive o culturali. Il risultato di questa scarsa offerta di servizi educativi ha conseguenze dirette: un quindicenne su quattro è sotto la soglia minima di competenze in matematica e quasi uno su cinque in lettura. Basti pensare che quasi la metà dei minori tra 6 e 17 anni non ha letto neanche un libro l’anno precedente, più della metà (55%) non ha visitato un museo e il 45,5% non svolto alcuna attività sportiva. È un quadro sconfortante quello che emerge dal rapporto “Illuminiamo il futuro 2030” pubblicato da Save the Children, tanto più che i dati peggiorano notevolmente nelle fasce più povere, tenendo conto che il 13,8 dei minori vive oggi in povertà assoluta: tra di loro il 36% ha competenze insufficenti in matematica e il 29% in lettura.

L’allarme
Non è una scoperta che povertà economica e povertà educativa vadano a braccetto e, anzi si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione, ma i numeri fotografano una realtà in cui«una parte troppo ampia degli adolescenti è priva di quelle competenze necessarie per crescere e farsi strada nella vita», sottolinea Valerio Neri, direttore generale dell’organizzazione che tutela i bambini e i loro diritti.
Proprio per evitare il proliferare del fenomeno e che il futuro dei ragazzi sia determinato dalla loro provenienza sociale, Save the Children lancia tre «obiettivi per liberare i bambini dalla povertà educativa»: entro il 2030 “tutti i minori devono poter apprendere, sperimentare, sviluppare capacità, talenti e aspirazioni; tutti i minori devono poter avere accesso all’offerta educativa di qualità; eliminare la povertà minorile per favorire la crescita educativa”.

Emergenza Sud
Le povertà educative colpiscono in particolare il Meridione, dove la percentuale di adolescenti con competenze insufficienti in matematica e lettura raggiunge il 44 e il 42% rispettivamente, mentre, per quanto riguarda il genere, le ragazze sono svantaggiate per la matematica (23% contro il 20% dei maschi) e i ragazzi sulla lettura (23% contro 11%).

Il programma
Per ciascuno dei tre obiettivi viene individuata una tabella di marcia e obiettivi precisi. Entro il 2030 tutti i ragazzi di 15 anni dovranno raggiungere le competenze necessarie in matematica e lettura, il tasso di dispersione scolastica dovrà scendere dal 15 al 5% e tutti i minori dovranno svolgere almeno quattro attività culturali e sportive. Sempre entro il 2030 l’offerta educativa dovrà garantire che la differenza della copertura pubblica dei servizi per l’infanzia tra le regione scenda dal 25 al 10%, che tutte le classi della scuola primaria e secondaria offrano il tempo pieno e attività extracurriculari e garantiscano un servizio mensa di qualità e gratuito per i minori in povertà, che tutti gli alunni sia in infrastrutture adeguate per l’apprendimento e dotate di connessione a internet veloce (oggi assente nel 28% delle scuole). Ma, soprattutto, entro il 2030 il tasso di povertà assoluta dei minori, oggi al 13,8%, dovrà essere azzerato, con l’impegno di azzerarlo entro il 2020.
Per contribuire all’azione di riduzione della povertà educativa, dal maggio 2014 Save the Children ha lanciato la campagna “Illuminiamo il futuro”, con l’apertura dei “Punti luce”: 13 spazi educativi in quartieri svantaggiati delle città, che garantiscono una serie di attività gratuite per i minori e le loro famiglie.

Ocse: le nuove tecnologie digitali da sole non bastano a migliorare il rendimento

da Il Sole 24 Ore

Ocse: le nuove tecnologie digitali da sole non bastano a migliorare il rendimento

di Pierangelo Soldavini
La scuola digitale non mantiene fede alle promesse della tecnologia. Almeno per ora. Perché finora non ci sono evidenze che dimostrino che l’introduzione del digitale nelle aule scolastiche porti automaticamente a un miglioramento del rendimento scolastico degli studenti. Così i Paesi che hanno fatto grandi investimenti nelle dotazioni tecnologiche delle loro scuole non hanno risultati apprezzabili nelle performance in lettura, matematica o scienze. E la tecnologia non ha avuto neanche effetti rilevanti per quanto riguarda l’inclusione e nel recupero degli studenti più poveri e disagiati. È una fotografia deludente per i fautori della tecnologia quella che esce dal primo rapporto compilato dall’Ocse sulle Digital skills appena pubblicato. Anche se la stessa organizzazione consiglia prudenza e auspica una maggior attenzione nell’utilizzo del digitale in chiave di didattica innovativa. Invece finora le tecnologie sono state interpretate prevalentemente come strumenti da affiancare (o sovrapporre) a una didattica tradizionale

Le competenze digitali
Non c’è dubbio che le competenze digitali rappresentino un elemento fondamentale per l’inclusione in una società in cui la tecnologia è sempre più pervasiva: chi non ha le conoscenze di base per navigare e orientarsi nel mondo del web non sarà in grado di partecipare in maniera attiva alla vita economica, sociale e culturale del mondo del futuro prossimo. Questa è una certezza da cui parte l’Ocse. Il dato di fatto è però che queste competenze vengono acquisite sempre più spesso in maniera informale al di fuori della scuola. Nel 2012, anno a cui si riferiscono i dati Ocse, il 96% dei quindicenni nei Paesi più ricchi del mondo dichiaravano di avere un computer a casa, ma solo il 72% ne aveva a disposizione in aula.
Una competenza fondamentale è, per esempio, il digital reading, la capacità cioè di saper non solo leggere testi su internet, che non ha differenze rispetto alla carta, ma sapersi orientare tra le fonti e filtrare le notizie rilevanti e autorevoli dall’oceano del web. Due Paesi come Corea del Sud e Singapore, che hanno buone performance nel “digital reading” dei ragazzi, hanno senz’altro buone infrastrutture digitali, ma non sono certo in testa per l’uso di internet nelle scuole.
Il rendimento scolastico
Gli stessi studenti coreani hanno buone performance per quanto riguarda la matematica sulla base della classifica Pisa dell’Ocse, oltre al digital reading, anche se solo il 42% di loro utilizza computer a scuola. Mentre, al contrario, Paesi che hanno un uso più capillare del digitale a scuola hanno visto addirittura un peggioramento nelle capacità di lettura. Insomma, sostiene l’Ocse, l’impatto dell’introduzione delle tecnologie sulla performance scolastica non è chiara e non ci sono evidenze di una correlazione positiva. I paesi che hanno fatto ingenti investimenti in tecnologia a fini didattici sono rimasti ampiamente delusi. Un uso moderato può anche portare a risultati migliori, ma al contrario un uso troppo frequente porta a un deterioramento dei risultati: le curve delineate dall’Ocse sulle performance dimostrano che oltre un certo limite l’uso del digitale diventa addirittura controproducente. Così i ragazzi che stanno online per più di sei ore al giorno, prevalentemente al di fuori della scuola, non solo sono più a rischio di disturbi derivanti dalla solitudine, ma accusano anche ritardi a livello scolastico.
Le differenze economico-sociali
Una volta superato il digital divide legato all’accesso alla rete, la capacità di utilizzare in maniera efficace gli strumenti digitali per l’apprendimento personale dipende ancora in maniera significativa dalle differenti condizioni socio-economiche e, quindi, dalle diverse competenze di alfabetizzazione di base. Quindi – è il consiglio dell’Ocse – bisogna investire ancora di più nell’istruzione e nella didattica. Perché appare sempre più chiaro dalla statistiche che la tecnologia non è efficace se utilizzata in maniera sostitutiva rispetto alla didattica: riempire le aule di computer, insomma, risulta alla fine di scarsa utilità.
Ma se gli insegnanti sono formati da parte loro all’utilizzo delle risorse digitali, i ragazzi percepiscono un approccio più mirato a un apprendimento personalizzato e al lavoro collaborativo e imparano a lavorare in una logica di problem solving: quando la rete viene utilizzata per migliorare l’approfondimento e le capacità di studio, anche la performance degli studenti migliora.

Libri di testo, la qualità conta più del prezzo

da Il Sole 24 Ore

Libri di testo, la qualità conta più del prezzo

di Romano Luperini

Dei libri di testo a scuola si parla solo per dire che costano troppo. Ovviamente la questione del prezzo di vendita è molto importante. Seguendo lo spirito della norma costituzionale, essi dovrebbero essere gratuiti nella scuola dell’obbligo, e per le superiori sarebbe giusto consentire la detrazione fiscale, come da anni chiedono le associazioni dei genitori e degli editori.

Non si discute invece della qualità dei libri di testo e della funzione, ancor oggi decisiva, che essi hanno nella formazione delle giovani generazioni. Attraverso l’insegnamento della letteratura e della storia, per esempio, passa l’educazione alla identità, nazionale e oggi anche europea, dei cittadini italiani. Per secoli, a partire dal Risorgimento, lo studio della letteratura e della storia ha formato la cultura e la coscienza civile. La Storia della letteratura italiana di De Sanctis è nata come testo scolastico, e proprio l’assunzione a capostipite di questo capolavoro ha determinato la continuità del genere e l’originalità della manualistica della letteratura italiana in Europa. Di fatto studiare la letteratura è stato un modo per confrontarsi con l’evoluzione della società italiana, per capirne il carattere e lo spirito. Negli ultimi trent’anni l’orizzonte si è allargato e lo studio della letteratura è diventato un capitolo dello studio della cultura europea, dei suoi sviluppi e delle sue radici. Si è diffuso un approccio didattico di tipo non solo civile o tecnico-formale, com’era stato sino allora, ma tematico-culturale e antropologico, e i manuali hanno dato un contributo decisivo a questa svolta. Anche cambiamenti radicali nella impostazione didattica, come il passaggio dallo storicismo postbellico allo strutturalismo e poi all’approccio ermeneutico e tematico degli ultimi anni, sono stati resi possibili dai nuovi manuali, ai quali peraltro hanno lavorato non casualmente insigni studiosi (ricordo, fra gli ultimi, Cesare Segre). D’altra parte il rinnovamento è stato imposto dai fatti. Il processo di unificazione europea e quello stesso della globalizzazione hanno determinato il superamento del limite nazionale, mentre lo sviluppo delle specializzazioni tecniche e delle risorse elettroniche hanno indotto a rivedere il tradizionale carattere specialistico e retorico delle discipline storico-letterarie e a ricorrere anche all’ausilio dei nuovi strumenti audiovisivi.

In questa situazione fare un manuale scolastico che sia all’altezza dei tempi è compito arduo, molto difficile e impegnativo. Come testimone, in quanto autore di un fortunato manuale di letteratura italiana nei licei, posso attestare che negli anni novanta il lavoro che feci per elaborarlo è stato il più impegnativo e il più gravoso della mia non breve carriera. Ci lavorai ininterrottamente per sei anni, coordinando un gruppo di insegnanti e di giovani studiosi, alcuni dei quali specialisti in discipline un tempo ignorate in questo tipo di manuali, come la musica, il cinema, la letteratura comparata, la storia dell’arte, ma divenute nel frattempo indispensabili.

Fare un manuale, insomma, comporta oggi sia una capacità di semplificazione e di divulgazione di un ampio spettro di conoscenze, sia una complessità di approcci che esige studi specifici e adeguata preparazione. Improvvisare manuali, magari autogestiti da gruppi di insegnanti e di studenti che operano in orario curricolare, può essere un buon esercizio didattico per verificare delle conoscenze, ma non può certo sostituire un libro di testo che tali conoscenze fornisca in modo aggiornato e innovativo.

Si può dunque capire la recente iniziativa dell’AIE (associazione italiana editori) chiamata Libro in chiaro che intende offrire alla scuola e alle famiglie una sorta di carta d’identità, e insieme di marchio di qualità, che certifichi le ragioni di ogni libro scolastico, il progetto da cui nasce, il rapporto fra digitale e cartaceo che propone. Potrebbe sembrare una azione puramente difensiva perché pone l’accento sul momento squisitamente produttivo del lavoro editoriale. Ma il momento produttivo è decisivo non solo sul piano economico, ma anche su quello culturale. Si pensi alla fortuna attuale del marchio del Made in Italy, ritenuto fondamentale nel mondo per la capacità, tutta italiana, di salvaguardare, insieme alla funzionalità, il gusto del bello e il senso della storicità (è questo, si dice giustamente, il segreto dell’italian theory). Ebbene, credo che uno dei meriti specifici dell’editoria scolastica stia proprio nella sua capacità di fondere questi aspetti diversi.

Se è indubbiamente vero che il genere saggistico del manuale di storia letteraria, di storia e di filosofia quale si è affermato in Italia ha caratteri propri, non facilmente riscontrabili in altri paesi, ciò non significa che si tratti di una tradizione superata e da sostituire con qualche bignami non importa se veicolato per via informatica. Viviamo anni difficili, e pericolosi, di cambiamenti epocali in cui si riaffacciano dogmatismi religiosi e tentazioni autoritarie. In questa situazione diffondere in Europa un tipo di cultura e di civiltà che consideri i testi artistici come documento storico da custodire e come monumento estetico da interpretare liberamente e mostri come la scommessa di senso di qualunque testo (non solo letterario) sia complessa e problematica, mai dogmatica, è stato impegno meritorio e originale della scuola italiana e della sua manualistica. Difendere la storicità e la problematicità dell’insegnamento umanistico attestando che la verità non è un assioma ma un processo e dunque un prodotto storico in continua elaborazione, è stato il contributo specifico che esse hanno dato e danno alla formazione democratica delle giovani generazioni nel nostro continente.

Caccia aperta ai supplenti

da ItaliaOggi

Caccia aperta ai supplenti

Sono circa 8 mila a copertura dei posti avanzati dalla fase B. Ma aumenteranno. E per la durata del contratto, il termine è ballerino

Carlo Forte

Circa 8 mila cattedre rimaste vuote dalla fase B, e a cui si aggiungono quelle che saranno libere perché il titolare preferisce accettare una supplenza vicino casa piuttosto che trasferirsi. Una stima parla di almeno 14 mila cattedre da coprire con contratti a tempo determinato, ma i numeri esatti si conosceranno in queste ore quando sarà reso noto l’esito della fase B, che ha visto assegnare 8.532 cattedre a fronte di 16.210 disponibilità. I contratti di supplenza saranno di durata fino al 30 giugno e poi, se del caso, prorogati al 31 agosto. A ciò vanno aggiunti circa 30mila posti in deroga sul sostegno da coprire con altrettante supplenze fino al 30 giugno.

La novità del termine ballerino dal 30 giugno al 31 agosto è contenuta in una nota emanata dal ministero dell’istruzione l’11 settembre scorso (1949). L’amministrazione ha chiarito che i posti rimasti disponibili a causa del differimento, previsto dalla legge 107/2015, dell’assegnazione della sede al personale nominato in ruolo nella fase B del piano assunzionale, in prima battuta, dovranno essere coperti con contratto a tempo determinato fino al 30 giugno.

Il termine potrà essere prorogato fino al 31 agosto «qualora successivamente ne dovessero ricorrere le condizioni di legge». Ipotesi, questa, che potrebbe verificarsi qualora, ad esito delle assegnazioni di sede ai neoimmessi in ruolo della fase B, dovessero rimanere vacanti alcune cattedre sulle quali sia stata disposta una supplenza fino al 30 giugno. Si pensi, per esempio, alle cattedre dei 52 destinatari di proposta di assunzione che hanno rinunciato all’immissione in ruolo. Oppure ai posti lasciati liberi dai 192 docenti che non hanno risposto alla chiamata e, per questo motivo, hanno perso il diritto all’immissione in ruolo. Ma anche e soprattutto agli oltre 8mila posti residuati dalla mancata copertura dell’organico di diritto che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto essere l’effetto della fase B del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge 107.

Ad esito di questa fase, dunque, le scuole potranno acquisire gli elenchi dei neoimmessi in ruolo con le relative sedi di destinazione. E qualora dovessero riscontrare che una o più cattedre, già disponibili in organico di diritto, fossero rimaste non assegnate, potranno innovare i contratti in essere prorogando il termine fino al 31 agosto. Trasformando l’oggetto da supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche a supplenze annuali. Proprio quelle che, se reiterate oltre i 36 mesi, fanno scattare, in sede giudiziale, sanzioni che vanno dalle 9 alle 20 mensilità di stipendio. Perlomeno stando all’orientamento della prevalente giurisprudenza di merito. Che in questo caso affonda le radici nella famosa sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre 2014, la quale ha dichiarato incompatibile con l’ordinamento comunitario la norma delle legge 124/99 che consente la reiterazione delle supplenze annuali sui posti vacanti senza prevedere alcuna sanzione. Va detto subito che la legge 107 prevede uno stanziamento di 10 milioni di euro per il 2015 e altri 10 per il 2016. Proprio per coprire le necessità finanziarie dovute ai risarcimenti. Che però potrebbero non bastare. Perché il governo aveva stimato l’entità delle somme facendo affidamento sul fatto che il piano straordinario avrebbe coperto tutti i posti dell’organico di diritto. Così da precludere la possibilità di reiterare ulteriormente le supplenze annuali, evitando così il rischio dei risarcimenti seriali. Fin qui la questione delle supplenze annuali.

Le supplenze non brevi e saltuarie presso le istituzioni scolastiche dimensionate, ha spiegato sempre il Miur, dovranno essere disposte con termine fino a nomina dell’avente diritto. Si tratta di una particolare tipologia di contratto prevista dall’articolo 40 della legge 449/97, che l’amministrazione utilizza quando non fa in tempo ad aggiornare le graduatorie entro l’inizio dell’anno scolastico. È il caso delle cosiddette istituzioni scolastiche dimensionate: istituti che hanno modificato la loro composizione con l’aggiunta o la sottrazione di plessi, sezioni staccate o intere scuole. Un fenomeno, definito «residuale» dal ministero dell’istruzione, che riguarda ogni anno dal 5 al 10% delle istituzioni scolastiche. Tutte prevalentemente ubicate nelle aree interne del paese, dove lo spopolamento sta determinando una forte diminuzione anche della popolazione scolastica. Che a sua volta determina la necessità di ridisegnare la conformazione delle istituzioni scolastiche, per farle rientrare nei parametri minimi previsti dalla legge: almeno 300 alunni in luogo dei 500 ordinariamente previsti.

Esodo forzato per 3mila prof

da ItaliaOggi

Esodo forzato per 3mila prof

Sono i neoimmessi in ruolo della fase B costretti a partire subito verso la nuova sede

Carlo Forte

Neoimmessi in ruolo nella fase B costretti a partire a causa dei ritardi degli uffici scolastici nel conferimento delle supplenze. È l’effetto della ristrettezza del termine per l’accettazione delle nomine in ruolo della fase B (11 settembre) e dei ritardi degli uffici nel conferimento delle supplenze. Che hanno impedito ai docenti esclusi la possibilità di ottenere supplenze dai presidi in tempo utile. E dunque, chi non è rientrato nella fase provinciale delle nomine a tempo determinato ha dovuto rassegnarsi a partire, per prendere servizio nella provincia di destinazione subito dopo la nomina in ruolo. Il fenomeno riguarda circa 3mila docenti del Sud, immessi in ruolo nella fase B. E cioè nella fase in cui è prevista l’assegnazione delle cattedre dell’organico di diritto residuate dalla fase A.

Paradossalmente si tratta di docenti più anziani, sia d’età che in termini di anni di permanenza nelle graduatorie a esaurimento. Che dovranno andare a lavorare anche a 1000 chilometri da casa. Mentre i loro colleghi meno competitivi in termini di punteggio rientreranno nella fase C. E quindi potranno concorrere anche sui nuovi posti dell’organico del potenziamento, che saranno costituti nella provincia di residenza o nelle province più vicine. A complicare la situazione c’è anche il proliferare dei contratti di supplenza con termine fino a nomina dell’avente diritto: una prassi censurata dalla Corte di cassazione fin dal 2010 (si veda Italia Oggi del 16 aprile 2010). Che poggia su alcune disposizioni contenute nell’articolo 40 della legge 449/97e genera contratti inutili per ritardare la partenza.

Insomma, solo i docenti che sono riusciti ad ottenere un incarico di supplenza almeno fino al 30 giugno prima di accettare la nomina in ruolo eviteranno con certezza la partenza immediata. A questo proposito, il ministero dell’istruzione, con una nota emanata il 7 settembre scorso (28853) ha fatto sapere che gli uffici scolastici conoscono già i nomi dei docenti che hanno accettato la nomina in ruolo entro venerdì scorso e sono anche titolari di un contratto a tempo determinato. Ed ha spiegato che «non si rende necessario, nell’attuale fase, e presso gli uffici scolastici regionali di destinazione, la scelta della sede scolastica del personale nominato in ruolo e che sia stato nominato supplente per l’anno scolastico 2015/2016 fino al termine dell’anno scolastico o delle attività didattiche».

Secondo il ministero, quindi, l’accettazione della nomina in ruolo dovrebbe bastare ai fini della costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ai fini giuridici. Fermo restando il differimento del termine degli effetti economici. Quanto all’assegnazione della sede, l’amministrazione centrale ha distinto due situazioni. La prima è quella dei titolari di supplenza annuale (fino al 31 agosto). Che otterranno la sede dal 1° settembre 2016 partecipando alle operazioni di mobilità a domanda. La seconda è quella dei titolari di contratti a termine fino al 30 giugno. Questi ultimi otterranno l’assegnazione della sede con effetti dal 1° luglio 2016. E dunque, dovranno fare riferimento alle indicazioni operative che saranno emanate dagli uffici scolastici regionali. Ciò non toglie che i diretti interessati abbiano comunque titolo a presentarsi presso le sedi indicate dagli uffici territoriali alle date prefissate per scegliere la sede di assegnazione. Salvo poi prendere materialmente servizio dal 1° luglio. E fermo restando che dovranno comunque partecipare alle operazioni di mobilità a domanda, presentando l’istanza a tempo debito, per ottenere la sede definitiva. Sede che dovranno raggiungere dal 1° settembre 2016. Resta l’obbligo, per coloro che abbiano rinunciato all’eventuale incarico di supplenza, di recarsi presso l’ambito provinciale per il quale abbiano accettato la proposta di immissione in ruolo per scegliere la sede di destinazione. In quest’ultimo caso, più che di un obbligo vero e proprio si tratta di una prassi dettata da motivi di opportunità.

Il fatto di avere accettato l’immissione in ruolo, infatti, dovrebbe comportare, per gli assenti alla convocazione, l’assegnazione di una sede d’ufficio. In ogni caso, chi non ha ottenuto un incarico di supplenza non breve o saltuaria prima dell’accettazione della nomina in ruolo, non rientrerà nell’ambito di applicazione del comma 99, dell’articolo 1, della legge 107/2015. E dunque, non potrà fruire del diritto al differimento del termine della presa di servizio nella provincia di immissione in ruolo.

Se il pc a scuola non aiuta i ragazzi “Risultati peggiori in lettura e scienze”

da la Repubblica

Se il pc a scuola non aiuta i ragazzi “Risultati peggiori in lettura e scienze”

Uno studio Ocse: l’apprendimento peggiora nelle classi dove si usa troppo la tecnologia

Corrado Zunino
Lo dice l’Ocse, che è l’organizzazione dei paesi al mondo più industrializzati: non vi è certezza che i grandi investimenti pubblici e familiari su computer in classe e connessioni internet a scuola migliorino le performance scolastiche dei nostri ragazzi. Il programma Ocse per la valutazione degli studenti, guidato da Andreas Schleicher, ha elaborato un dossier — “Making the connection” — che, tra molte cautele, sostiene: «Studenti incapaci di navigare attraverso un complesso paesaggio digitale non saranno in grado di partecipare completamente alla vita economica, sociale e culturale intorno a loro», tuttavia «i primi risultati comparativi basati sui test Pisa dicono che i quindicenni che usano moderatamente i computer a scuola tendono ad avere un miglior apprendimento dei coetanei che lo usano poco o nulla, ma quelli che lo utilizzano in modo massiccio tendenzialmente peggiorano nella lettura, in matematica e nelle scienze». Risulta, questo, nei paesi più avanzati, che negli ultimi quindici anni hanno investito forti risorse nell’informatica. Inoltre, la tecnologia scolastica spinta allarga la forbice di apprendimento (“skills divide”) tra ricchi e poveri. In Italia siamo quarti (su quaranta) nel rapporto tra condizioni economiche e performance educative: i poveri che usano troppo internet vanno davvero male a scuola.
Nelle nazioni in cui stare online in classe è abitudine si assiste a un declino della capacità di lettura, e così nell’esercizio della matematica (sedici paesi migliorano, venti peggiorano). L’Italia è settima in digital reading, alta in classifica quindi, e sulla matematica tra il 1993 e il 2012 ha guadagnato venti punti. Il risultato, secondo lo studio Ocse, è da attribuire al fatto che da noi la cultura di internet a scuola è recente e frammentaria: non facciamo parte dei paesi che hanno investito strutturalmente sull’online e quindi non avvertiamo ancora i peggioramenti scolastici che ne derivano. Ogni quindicenne italiano usa il computer in classe 19 minuti al giorno, contro una media Ocse di 25 minuti e picchi in Grecia (42 minuti) e Australia (52). Corea e Shanghai, che hanno le migliori perfomance mondiali in lettura digitale e matematica al computer, hanno pc solo nella minoranza delle loro scuole (42% e 38%).
Il dossier lascia molte domande inevase, ma tenta una prima interpretazione della questione “troppo internet non fa crescere l’apprendimento”. Uno, in nessun passaggio educativo si può prescindere da un’interazione intensiva docente-discente e la tecnologia a volte distrae da questo fondamentale «rapporto umano». Due, l’insegnamento non è ancora adeguato: un‘ipertecnologia del XXI secolo oggi si inserisce su una pedagogia del Ventesimo. Infine, i software educativi sono ancora di basso livello, «molto inferiori ai giochi elettronici» che i quindicenni nel mondo sono abituati a maneggiare. «Se gli studenti usano gli smartphone per fare copia e incolla delle risposte prefabbricate non diventeranno più intelligenti. La tecnologia può amplificare un grande insegnamento, non sostiturne uno mediocre». L’Ocse chiede agli insegnanti di diventare agenti attivi del cambiamento, «non solo per far crescere le innovazioni digitali, ma per disegnarle ». I docenti che meglio integrano computer e lezioni sono anche quelli più innovativi e vicini ai ragazzi nelle pratiche di insegnamento.
L’adolescente che usa internet più di sei ore il giorno, in classe si sente più solo, arriva tardi a scuola, la salta. E un eccessivo uso del web regala povere perfomance accademiche. Sono pochi gli studenti italiani, rivela l’Ocse, che dicono: «A scuola mi sento solo». Tra il 5 e il 9 per cento. Una sana arretratezza.

Registro elettronico, 1 docente su 4 lo usa ma assieme a quello su carta

da La Tecnica della Scuola

Registro elettronico, 1 docente su 4 lo usa ma assieme a quello su carta

Cresce l’uso del registro elettronico, ma un docente su quattro continua ad utilizzare pure il cartaceo: con il sovraccarico di lavoro di questi docenti, in certi casi lenito dai loro allievi.

Il dato del doppio utilizzo è contenuto in un’indagine di Skuola.net, da cui risulta che al 53% dei docenti che utilizza esclusivamente il registro in formato digitale, si affianca “un buon 27% di chi usa entrambe le versioni”.

Detto che a fornire le percentuali sull’utilizzo dei registri non sono stati i docenti, ma i loro allievi, bisogna ricordare che lo scorso anno la situazione era peggiore: appena il 37% aveva detto del tutto addio ai metodi tradizionali. Per quanto riguarda la compilazione, oggi ben il 70% dei docenti usa direttamente il pc o sul tablet presente in classe. L’anno scorso era solo il 61%.

Continuano però a essere comuni quei metodi “ibridi” di compilazione, tra cui il più frequente è scrivere le annotazioni di voti e assenze scritte su carta, per inserirle in un secondo momento nel pc del laboratorio informatico. “Tuttavia anche questa abitudine sta progressivamente andando a scomparire”, spiega il portale specializzato”. Oggi è il 21% degli studenti a vedere adottare questa soluzione in classe, 8 punti in meno rispetto al 2014.

Ma gli studenti non stanno solo a guardare. Perché, siccome non tutti i docenti sembrano all’altezza di “governare” il software di gestione del registro on line, sarebbero diversi “gli insegnanti che invitano gli studenti a compilare il registro elettronico al posto loro e se per il 16% dei ragazzi il permesso viene concesso solo raramente, il 12% sostiene che il registro di classe è spesso compilato dagli studenti”.

E “per il 7%, non è tabù neanche quello personale del prof”. La domanda sorge spontanea: anche se la percentuale è bassina, questi docenti, che coinvolgono i loro allievi nel compilare le loro valutazioni, non sarebbe il caso che si astenessero da tale pratica?

Renzi: il 97% dei docenti ha accettato il ruolo proposto, grazie per la dedizione

da La Tecnica della Scuola

Renzi: il 97% dei docenti ha accettato il ruolo proposto, grazie per la dedizione

“Sono grato per la straordinaria dedizione e professionalità della stragrande maggioranza dei professori”. A dirlo è il premier Renzi citando gli esiti della fase B del piano assunzioni.

“Non è questo il momento di fare polemiche su tanti slogan di questi mesi che la realtà ha dimostrato essere falsi. Il tempo – scrive REnzi su Facebook – è galantuomo e i prossimi mesi dimostreranno che la Buona Scuola non era il mostro paventato. Il 97% dei docenti ha accettato il ruolo che gli è stato proposto. Migliaia di precari hanno adesso un lavoro stabile”.

Il premier ha continuato il suo commento sull’avvio del nuovo anno scolastico, ricordando che “migliaia di precari hanno adesso un lavoro stabile. Alla fine della fase di assunzioni ogni scuola avrà in media sette insegnanti in più, meno classi numerose, più attività per integrazione, approfondimenti, sostegno”. La soddisfazione del premier è quindi palese: i precari che hanno fatto domanda hanno, infatti, superato in larghissima parte le remore per la lontananza di collocazione rispetto alla terra d’origine.

Inoltre, ha concluso Renzi, col nuovo anno “gli insegnanti avranno anche a disposizione un piccolo bonus di 500 euro netti per acquistare libri, biglietti per teatri e concerti, corsi di approfondimento, formazione personale permanente. Niente di stratosferico, no. Ma è un piccolo gesto di attenzione ed è la prima volta che accade”.

Graduatorie istituto triennio 2014/2017: riconoscimento priorità in terza fascia

da La Tecnica della Scuola

Graduatorie istituto triennio 2014/2017: riconoscimento priorità in terza fascia

L.L.

Con D.D.G. 6 luglio 2015 n. 680, in attuazione del D.M. n. 326 del 3 giugno 2015, sono state disciplinate le procedure inerenti le graduatorie di istituto del personale docente ed educativo, valevoli per il triennio 2014/17.

Con avviso del 14 settembre 2015 il Miur informa che, ai fini del riconoscimento della priorità in terza fascia per l’attribuzione delle supplenze, i docenti che hanno dichiarato il titolo di abilitazione presentando il modello A3 possono presentare l’istanza “Graduatorie di Istituto Personale Docente – Dichiarazione Conseguimento Abilitazione per Priorità in III fascia” per lo stesso insegnamento in attesa del completamento della procedura per l’inserimento in seconda fascia aggiuntiva.