Al via le Olimpiadi di Italiano

Scuola, al via le Olimpiadi di Italiano

On line il bando della sesta edizione per l’anno scolastico 2015/2016
 Al via la sesta edizione delle Olimpiadi di italiano, l’ormai tradizionale competizione organizzata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per la valutazione del sistema nazionale di istruzione. Le Olimpiadi vogliono rafforzare nelle scuole lo studio della lingua italiana e sollecitare gli studenti a migliorare la padronanza della propria lingua.
Lo scorso anno gli studenti che hanno partecipato a tutte le selezioni sono stati quasi 25mila, circa 10mila in più rispetto all’anno precedente. Le Olimpiadi sono gare individuali di lingua italiana, rivolte a tutti gli alunni degli istituti secondari di secondo grado (statali e paritari). Quattro le categorie previste: Junior, Senior, Junior-E (esteri) e Senior-E (esteri). Sono distinte in base al livello scolastico dei partecipanti e al contesto d’uso della lingua italiana.
La finale italiana si svolgerà a Firenze il 18 marzo 2016, nella sede di Palazzo Vecchio, nell’ambito della più ampia iniziativa delle “Giornate della lingua” che il Ministero dell’Istruzione organizza per celebrare gli anniversari della lingua e della letteratura italiana e per approfondire temi di particolare attualità. Potranno accedervi gli studenti che avranno superato tutte le varie fasi di selezione, da quella di istituto a quella provinciale, a quella regionale.
Le Olimpiadi di Italiano sono promosse con la collaborazione del Comune di Firenze, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci), gli Uffici Scolastici Regionali, l’Accademia della Crusca, l’Associazione per la Storia della Lingua Italiana (Asli), l’Associazione degli Italianisti (Adi), Rai Radio3, Rai Cultura, Premio Campiello Giovani.

Le iscrizioni dovranno essere effettuate entro il prossimo 12 gennaio 2016.
Per le Olimpiadi di Italiano è disponibile on line un portale dedicato: http://www.olimpiadi-italiano.it/

La messa a punto che occorre

La messa a punto che occorre
Tra distrazioni e silenzi, dimenticati i Consigli di classe…

di Domenico Sarracino

 

Di scuola in questi ultimi anni si è parlato tanto, e non c’è stato ministro che non l’abbia strattonata da un lato o dall’altro, con fughe in avanti e retromarce, inseguendo questa o quella emergenza, questa o quella suggestione di novità.

E così si sono andate smarrendo attenzioni e cure alle cose veramente importanti che incidono sul fare scuola: sulle condizioni di apprendimento-insegnamento, su ciò che avviene nelle classi e che effettivamente determina successi ed insuccessi, sui cambiamenti nei modi di apprendere, del formare e formarsi. Insomma si è parlato di tante problematiche scolastiche, ma sullo stato di salute dei Consigli di classe (anche di interclasse ed intersezione) – il loro funzionamento, il loro ruolo di cerniera con il Collegio dei docenti, con il Pof e i genitori, la loro centralità ed importanza – c’è da tempo una coltre di silenzio.

Bisogna però osservare che, seppure dimenticato o lasciato vivere in sordina, il Cdc è l’organo collegiale che più mantiene intatto il suo importante ruolo nella vita delle scuole, fungendo effettivamente da cerniera e raccordo tra il momento della riflessione-progettazione didattica e quello operativo- applicativo.

Eppure, come accennavamo, è da tempo che su di esso non si compiono indagini e riflessioni di una certa portata. E non c’è alcun cenno ad esso neppure nell’ultima riforma scolastica.

 

I Cdc sono organismi nati per programmare e, quindi, coordinare, condividere, verificare-valutare e poi ricalibrare le attività di insegnamento-apprendimento relative alle singole classi in attuazione delle linee e degli indirizzi del POF.

La loro centralità nello svolgimento pratico dell’azione scolastica è indiscutibile e dipende in gran parte dal loro buon funzionamento il realizzarsi di una attività scolastica di qualità. Sono infatti i Cdc le articolazioni in cui si declinano e si specificano le scelte compiute nel Collegio dei docenti e articolate nel Pof, prima che diventino l’agire scolastico effettivamente praticato. Dipendono da loro, dalle scelte condivise, dalla loro coesione ed organizzazione la qualità del lavoro e la tenuta del gruppo, il profilo della classe, il clima di aula, il profitto degli allievi. Dipendono da loro, dai Cdc, il carattere unitario, continuativo e condiviso delle metodologie didattiche, le relazioni educative e le modalità comunicative che nelle singole istituzioni scolastiche si mettono in atto.

“Cattivi” Cdc – quelli discontinui, luoghi di contrasti e litigiosità, quelli lasciati a se stessi, quelli in cui si parla tanto, spesso disordinatamente e con argomentazioni prive di conclusioni chiare – pregiudicano l’insieme del lavoro, azzoppano le scelte e le buone iniziative della scuola e dei singoli insegnanti, fanno emergere incongruenze e contraddizioni, generano incomprensioni, conflitti e caduta di credibilità dell’istituzione scolastica.

Non abbiamo dati statistici e precise quantificazioni, ma l’impressione che empiricamente si ricava (dalle reti di scuole, dai siti, dai gruppi su FB, dal mondo dell’informazione) è che sia tempo che questi organismi rifacciano il tagliando.

E allora riaccendiamo i riflettori e poniamoci alcune considerazioni-domande, alcune più generali, altre più specifiche. Si tratta di mettere sotto le luci lo svolgimento effettivo dei Cdc, focalizzando l’attenzione sugli “attori”, sugli argomenti, sul metodo di lavoro, sulla qualità del tempo ad essi dedicati, sull’organizzazione.

Di seguito si riportano alcuni punti “caldi” che certamente meritano l’attenzione delle scuole.

L’importanza e il ruolo di chi presiede e/o coordina i Cdc e quello dei docenti e delle altre componenti;il cosa si discute nei Cdc (gli argomenti e la loro distribuzione nel corso dell’anno); come si organizzano gli incontri e le discussioni (l’attenzione, la partecipazione, la condivisione, le decisioni); la predisposizione dei materiali, la “preparazione” dei singoli docenti alle riunioni, etc.; l’esame dei punti all’odg. e i tempi disponibili; quali sono i più ricorrenti problemi didattici e psico-pedagogici che si discutono e le risposte che ad essi vengono date e proposte, le questioni irrisolte; l’importanza di una corretta e chiara verbalizzazione, “memoria”e “storia” del Consiglio di classe.

Una particolare attenzione merita l’utilizzo del tempo: occorre evitare che ci sia chi parla troppo, chi non parla per niente o chi si disinteressa. Non solo, la gestione del tempo diventa determinante perché i lavori riescano ad affrontare tutte le tematiche poste all’ordine del giorno. Inoltre, l’”analisi” degli apprendimenti degli alunni va calibrata con la problematizzazione e la ricerca di ipotesi concrete di lavoro (il che cosa debbono mettere in campo i docenti).

 

In questo quadro appare evidente quanto sia decisiva la buona professionalità dei docenti, i veri protagonisti di questo organismo, le figure-chiave che devono elaborare ed attuare le decisioni assunte nel Cdc . Dalla qualità della loro partecipazione dipende l’efficacia delle riunioni. E’ utile perciò che ciascuna scuola rifletta su come i docenti discutono, preparano i lavori, si rapportano tra loro, come e se costruiscono condivisione, sulla capacità di ascolto reciproco e sulle modalità di attenersi agli argomenti in discussione, sul rispetto dei punti di vista e dei tempi.

 

Nel contempo è altrettanto importante ribadire che il Ds si dedichi con priorità alla cura ed al buon funzionamento dei Cdc. La sua “frequentazione” assidua ai Cdc serve alla scuola e ai docenti, ma anche al Ds stesso: per dare unitarietà e continuità ai lavori ed all’impostazione didattico-educativa, per conoscere più direttamente le dinamiche educative e formative, per approfondire le problematiche degli alunni e il modo di lavorare dei docenti, per consigliare, informare, stimolare, garantire il buon lavoro dei consigli di classe.

Per questo occorre ri-orientare le politiche scolastiche e , in esse , ripensare il ruolo del Ds, come figura professionale che presidia prima di tutto i luoghi della didattica e della pratica educativa, della ricerca e dell’innovazione, del tentare e ritentare l’organizzazione e l’intervento più efficace.

Ma bisogna mettere il Ds in condizione di poter fare tutto ciò. Il che significa, ad esempio, che si rende necessario ricondurre le mega-scuole a dimensioni gestibili, riparametrandole su dimensioni meglio considerate, fornendole di supporti organizzativi e professionali intermedi, decongestionandole da aspetti burocratici ed amministrativi che possono essere concentrati in altre sedi e svolti da specifiche competenze professionali (che potrebbero trovare luogo negli attuali UST); il che significa, inoltre, che nel reclutamento dei Ds, nella loro formazione, nel nuovo profilo professionale bisogna recuperare soprattutto competenze psicopedagogiche e didattiche, culturali e formative, relazionali e comunicative di alto profilo, che permettano di stimolare e valorizzare – guidando, coordinando e incoraggiando – tutte le risorse professionali possibili.

Giusta protesta studenti

Scuola, Mascolo: “Giusta protesta studenti” Poletti sbaglia su formazione professionale Sicilia

“Non possiamo che concordare con gli studenti che questa mattina hanno manifestato a Roma contro la ‘Buona Scuola’: nonostante il dissenso di tutte le parti coinvolte, il governo continua imperterrito a mascherare da riforma il suo tentativo di sminuire il ruolo della scuola pubblica italiana”. Lo dichiara il segretario generale dell’Ugl Scuola, Giuseppe Mascolo, evidenziando come “a partire dai prossimi giorni, l’Ugl Scuola organizzerà iniziative di protesta su tutto il territorio nazionale, per supportare lavoratori, alunni e famiglie nella loro giusta protesta”. In particolare “dobbiamo constatare che chi ci governa non conosce il reale funzionamento delle istituzioni scolastiche. Infatti, dopo i numerosi solleciti in merito alle problematiche legate alla sostituzione del personale assente per brevi periodi – prosegue -, lo stesso Miur, con una circolare dello scorso 30 settembre, ha stabilito che, per il personale docente la questione viene rimandata a dopo la conclusione del piano straordinario di assunzione, fatto che rappresenta una vera e propria assurdità perché le lezioni sono oramai iniziate da settimane; per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, la decisione viene affidata ai dirigenti scolastici, sui quali viene dunque scaricata tutta la responsabilità”. “Un altro esempio lampante è offerto dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, il quale alla recente Festa dell’Unità a Palermo ha dichiarato che la formazione professionale è un modo per ‘distribuire moneta’: anziché ledere la dignità di tanti lavoratori – conclude -, il governo dovrebbe adoperarsi al fine di trovare soluzioni concrete per l’annosa vertenza della formazione professionale siciliana, tutelando le professionalità e l’importante servizio offerto ad alunni e genitori”.

60.000 Euro di risarcimento del danno per abuso di contratti a termine e discriminazione

60.000 Euro di risarcimento del danno per abuso di contratti a termine e discriminazione: l’ANIEF sbanca il MIUR a Pistoia.

 

Il Giudice del Lavoro di Pistoia condanna il MIUR a circa 60.000 Euro per violazione di norme comunitarie e riconosce a quattro iscritti ANIEF, docenti immessi in ruolo negli ultimi anni, il diritto al risarcimento del danno per l’abuso subito durante il lungo periodo di precariato e al contestuale riconoscimento degli scatti di anzianità mai percepiti. Gli Avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli, Leonardo Tovoli, Denis Rosa e Piervincenzo Vantaggiato danno nuovamente una sonora lezione al MIUR in tribunale e ottengono quattro sentenze di identico tenore che condannano il MIUR per illecita reiterazione di contratti a termine e per discriminazione del lavoro precario.

 

È disfatta completa per il Ministero dell’Istruzione contro le tesi da sempre sostenute dall’ANIEF: il Tribunale di Pistoia emette ben quattro sentenze che non danno scampo al MIUR e lo condannano per violazione della Direttiva 1999/70/CE e del relativo Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato. I quattro docenti, infatti, si erano rivolti al nostro sindacato per la tutela dei propri diritti e per contestare l’apposizione del termine a una lunga serie di contratti stipulati in successione con il MIUR per sopperire a carenze di organico stabili e non transitorie. Il Giudice del Lavoro ha riconosciuto tale diritto, constatando che il comportamento dello Stato italiano, con il ricorso a contratti a tempo determinato in successione nel conferimento di supplenze scolastiche, “non è conforme all’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato (clausola 5 punto 1), essendo tali supplenze destinate a coprire carenze di organico ordinarie e non a sopperire esigenze meramente transitorie”. Per questo motivo, ha accolto le richieste patrocinate con estrema perizia dai legali ANIEF e condannato il MIUR a corrispondere a ciascun ricorrente un indennizzo pari a otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

 

Sul diritto al riconoscimento degli scatti di anzianità maturati durante il periodo di precariato, il Giudice del Lavoro ha rilevato come, anche in questo caso, la normativa interna “e la conseguente condotta dell’amministrazione scolastica non rispettano i principi comunitari che vietano ogni disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato” e ha accolto anche la domanda relativa al riconoscimento degli scatti non corrisposti durante il periodo di precariato.

 

MIUR condannato, dunque, a un risarcimento del danno che supera i 60.000 Euro nonostante i quattro ricorrenti siano stati, nel frattempo, immessi in ruolo per naturale scorrimento delle Graduatorie di appartenenza. L’ANIEF ricorda a tutti i docenti precari che è sempre possibile ricorrere e ottenere giustizia contro l’illecita reiterazione di contratti a tempo determinato stipulati su posti vacanti e disponibili per un periodo superiore a 36 mesi di servizio e ottenere anche il riconoscimento della medesima progressione di carriera corrisposta dal MIUR ai soli docenti a tempo indeterminato.

CLIL e dintorni

CLIL e dintorni
…TO CLIL, OR NOT TO CLIL, THAT IS THE QUESTION…

Commento a margine dell’avviso pubblico n. 938/2015 relativo a progetti finalizzati alla sensibilizzazione e diffusione della metodologia CLIL nelle scuole statali del I e II ciclo

di Lorella Zauli

 

Introdotto nelle scuole secondarie di secondo grado con i DD.PP.RR. 88 e 89/2010 ed entrato di fatto nelle classi con la nota MIUR n. 4969 del 25 luglio 2014, l’insegnamento di una disciplina non linguistica secondo la modalità CLIL (Content and Language Integrated Learning) è ormai entrato a pieno titolo nel lessico e nella didattica delle scuole italiane, in particolare nelle secondarie di secondo grado, dove è diventato ordinamentale nelle classi quinte dei licei e degli istituti tecnici (oltre alle terze e alle quarte dei licei linguistici). Scriviamo “in particolare” poiché, in via sperimentale, esistono progetti sul CLIL anche nelle scuole del primo ciclo e persino nelle scuole dell’infanzia. Alla luce di queste esperienze è stata emanato l’Avviso n. 938 del 15 settembre 2015, a firma del Direttore Generale degli Ordinamenti, che definisce finalità, requisiti e specifiche per i “progetti delle reti di istituzioni scolastiche statali del primo e del secondo ciclo e della produzione dei relativi materiali digitali ai fini dello sviluppo della metodologia CLIL”, avviso che merita opportuni approfondimenti e specifiche considerazioni.

 

FINALITA’ E DESTINATARI DELL’AVVISO PUBBLICO N. 938 DEL 15 SETTEMBRE 2015

L’avviso è rivolto a reti di scuole statali del primo e del secondo ciclo su base regionale, formate da un minimo di 6 a un massimo di 10 istituzioni scolastiche, le quali possono optare per una sola tipologia di progetto fra le quattro proposte (“Eccellenza CLIL” e “E-CLIL” per il primo ciclo; “E-CLIL” e “Read on for eCLIL” per il secondo ciclo). Ammontano a un milione e cinquecentomila euro le risorse investite: seicentomila per il primo ciclo, novecentomila per il secondo. Le candidature delle scuole, da inoltrarsi al MIUR entro il 5 ottobre 2015, verranno valutate direttamente a livello centrale, dalla Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, con l’aiuto di una commissione di valutazione e di un comitato di coordinamento nazionale.  Sorgono spontanei un paio di quesiti:
–    I progetti per il secondi ciclo sono altro dal CLIL ordinamentale che vede impegnate le classi quinte (più terze e quarte dei licei linguistici) delle secondarie di secondo grado? Si tratta, come sembrerebbe, di una diffusione dell’insegnamento, di un potenziamento della qualità, della documentazione, dell’uso delle tecnologie?
–    Non è anacronistico chiedere per il progetto “Eccellenza CLIL” agli insegnanti di scuola primaria un livello B2 QCER e ai docenti di scuola secondaria di primo grado, che probabilmente sono loro colleghi negli istituti comprensivi, un meno ambizioso B1? Certo non è l’ordine di scuola a decretare il prestigio o il valore dei docenti. Alberto Manzi ebbe infatti a dire in una intervista che “la scuola dell’infanzia dovrebbe avere gli insegnanti più preparati e i meno qualificati, per paradosso, potrebbero anche andare all’università, dove farebbero meno danno”. L’incongruenza appare tuttavia evidente, tanto più che per il secondo progetto rivolto alle scuole del primo ciclo, “E-CLIL”, viene richiesto un generico e più vago “adeguato livello linguistico preferibilmente certificato secondo il QCER”. Non si potrebbe chiedere il B2 a tutti?

 

IMPEGNI E PROSPETTIVE

Alla luce degli ultimi decreti, tutti afferenti al DM 435 del 16 giugno 2015 (ex legge 440/97), di cui l’avviso 938, accompagnato dalla recentissima nota MIUR n. 8865 del 24 settembre 2015, rappresenta l’ultimo tassello in ordine temporale inerente il CLIL, è evidente che il MIUR ha investito e continua a investire in questa innovativa modalità di insegnamento/apprendimento consistenti risorse finanziarie e professionali. E’ infatti costantemente impegnato in una serie di azioni a sostegno del CLIL, fra adempimenti, ordinamenti, bandi, avvisi, monitoraggi e ambiziosi piani di formazione dei docenti. A livello territoriale occorre accompagnare con cura e attenzione questi processi. Sono necessari una programmazione di ampio respiro, interventi calibrati sui bisogni, continuità nelle soluzioni, azioni di supporto e di accompagnamento, riconoscimento adeguato delle professionalità, sinergie amministrative, temporali e territoriali. Piani approssimativi e frettolosi, docenti senza una buona padronanza linguistica, senza un adeguato approccio metodologico e con scarsa motivazione (quest’ultima, almeno in questa fase, appare ancora molto alta) non gioverebbero né ai ragazzi/discenti, né all’inglese, né tantomeno alla nostra lingua madre.

 

L’INGLESE A SCUOLA. TROPPO POCO?

Detto questo, è doveroso e imprescindibile il riferimento al dinamico e vivace dibattito culturale sulla diffusione della lingua inglese come lingua veicolare internazionale, lingua universale e di massa, lingua ufficiale di decine di stati, che coinvolge, a diversi livelli, importanti intellettuali, fra cui linguisti, storici, sociologi. Citiamo all’uopo due posizioni affatto diverse, espresse nella medesima pubblicazione, scritta a quattro mani da Gian Luigi Beccaria e Andrea Graziosi. Quest’ultimo, storico contemporaneo, riconosce che sta nascendo un mondo globale in cui sono in grado di muoversi meglio le società plurilingui e che l’inglese è ormai diventato anche la lingua ufficiale delle scienze (naturali, mediche, sociali, umanistiche), nonché del commercio, dell’industria, del cinema, della cultura popolare di massa. Egli auspica una riforma della scuola che permetta l’apprendimento dell’inglese come seconda lingua d’uso a strati crescenti della popolazione e osserva che il protezionismo, ossia il monolinguismo, genera nel lungo periodo una rigidità che ostacola la crescita. L’italiano, secondo lui, non è in pericolo, poiché, pur perdendo alcune funzioni, è destinato a rimanere la lingua degli affetti, dei sentimenti, dell’intimità e della vita pubblica.
Di tutt’altro avviso il linguista Gian Luigi Beccaria, il quale riconosce all’inglese lo status di lingua universale, itineraria, panterrestre, che è assolutamente necessario conoscere e osserva che a essere in pericolo non è l’italiano come lingua parlata bensì come lingua scientifica. L’inglese  è partito alla conquista del mondo come lingua non umanistica, ma settoriale (economica, bancaria, del marketing) ora è diventato lingua delle scienze e suo è il lessico specialistico in diversi campi. Beccaria non teme tanto l’afflusso di parole inglesi, poiché le lingue sono sempre state duttili e aperte ai prestiti, bensì una contaminazione esercitata  a livelli talmente intensi da rasentare talvolta il ridicolo. Gli inglesi, continua, sono i primi a dolersi di tanta fortuna e si rammaricano della diffusione massiccia della loro lingua quale lingua parallela, che porta con sé lo scempio della pronuncia. Decisamente critico nei confronti del CLIL e dei corsi universitari in lingua, che denotano secondo lui una decisa scelta di campo nella politica linguistica, teme una deriva aziendalistica ed efficientista della scuola pubblica e, nel caso dell’inglese, una anglicizzazione modesta, fatta di una lingua maltrattata, approssimativa, semplificata, basica, senza le ricchezze, il colore e lo spessore di una lingua vera, poiché una lingua non è solo veicolo, ma anche sostanza della conoscenza. Non dovranno mai mancare, conclude, a uno scienziato, a un architetto o a un ingegnere le parole adeguate e gli appropriati stili argomentativi, così come non deve mancare una conoscenza diffusa a tutti gli strati della popolazione.
Modestissimo e personalissimo parere di chi scrive: si impari e si insegni bene l’inglese, sin dalla più tenera età, senza dimenticare la nostra lingua madre (nella quale gli studenti continuano a non eccellere), in tutti i suoi multiformi aspetti, registri, ambiti di conoscenza e si scelga di parlare in inglese o in italiano, a seconda dei contesti, senza ornare la nostra lingua di superflui forestierismi che sembrano avere come scopo principale un manifesto autocompiacimento.
A onor del vero, bisogna dire che l’avviso immediatamente successiva al 638, ossia il 639 del 15 settembre, destina, sempre sulla base delle finalità del DM 435/2015 (ex legge 440/97), quattrocentomila euro allo sviluppo delle competenze in italiano e alla promozione dello studio degli autori del ‘900 nelle scuole secondarie di secondo grado. Questa però è (quasi) tutta un’altra storia…

Strumenti di inclusione scolastica

Strumenti di inclusione scolastica

Lunedì, 12 ottobre 2015, dalle ore 17.00 alle ore 20.00.
Strumenti e metodologie di supporto per l’inclusione scolastica degli alunni DSA. Incontro gratuito.

Incontro con esperti sui temi dell’inclusione scolastica, per conoscere gli strumenti di supporto e le metodologie didattiche specifiche rivolte agli alunni DSA che possono contribuire e supportare il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento e il successo formativo. Ci si soffermerà particolarmente sui seguenti aspetti:

I disturbi specifici di apprendimento (DSA) – cosa cambia con il DSM 5
Adattare la didattica – il profilo funzionale
Gli strumenti compensativi – miti e realtà
Gli strumenti dispensativi – miti e realtà
Garantire il successo formativo … e non solo ai DSA
A cura di: dott.ssa Luisa Lopez, formatore AID- Roma Associazione Italiana Dislessia. Specialista in Neurofisiopatologia, PhD in Neuropsicopatologia dei processi di apprendimento in età evolutiva. Responsabile dell’Ambulatorio Centro di Riabilitazione “Villaggio Eugenio Litta” Grottaferrata (Roma).

Realizzato in collaborazione con Unicoop Tirreno.

Grazie a Pigna.

Lunedì, 12 ottobre 2015, dalle ore 17.00 alle ore 20.00.
Incontro gratuito, a numero chiuso, rivolto ai docenti.
Quota d’iscrizione annuale:
15,00 euro, l’iscrizione annuale consente di frequentare tutti i corsi e gli incontri gratuiti ed è valida per l’anno scolastico 2015/2016.

ISCRIVITI AL CORSO *campi obbligatori

https://www.mdbr.it/strumenti-di-inclusione-scolastica/#more-7960

Corso per genitori di bambini con un disturbo dello spettro dell’autismo in età prescolare

corso_genitori_bambini_dsa_prescol_programma

 

MODULO DI ISCRIZIONE

Il sottoscritto_______________________________ e la sottoscritta________________________________ genitori del bambino_____________________________ di anni __________ residenti
a ________________in via__________________________________, telefono______________________, cellulare________________, @mail_____________________________________________ aderiscono al corso per genitori ci bambini con disturbo dello spettro autistico che partirà il 15 ottobre p.v.

Si impegnano a rispettare il regolamento e a versare la quota di partecipazione di 300 € a famiglia

  • in un unica soluzione al 1° incontro
  • in due soluzioni al 1° e al 5° incontro

Le iscrizioni possono pervenire

  • via posta (Officina Psicoeducativa Via Dionisotti 12 13100 Vercelli)
  • tramite @mail all’indirizzo officinapsicoeducativa@gmail.com
  • telefonicamente al n° 3288475845 (Dr.ssa Tettamanzi)

e verranno accolte in ordine di arrivo e confermate tramite telefonata o mail.

Data                                                                                                                              Firma_____________________

Firma_____________________

 

 

Consenso Informazioni legali: In conformità al D.Lgs. 196/2003 La informiamo che i dati inseriti saranno utilizzati negli stretti limiti del perseguimento delle medesime finalità per le quali i dati sono stati raccolti, e ad essere informato/a sulle altre nostre iniziative. I dati saranno conservati con la massima riservatezza e non verranno divulgati.

 

Data                                                                                                                                                      Firma___________________

 

 

I ciechi leggono tre volte più di chi vede: cresce il digitale, tramonta il Braille

da Redattore Sociale

I ciechi leggono tre volte più di chi vede: cresce il digitale, tramonta il Braille

“In troppi ancora credono che non possiamo… Peccato che dobbiamo aspettare mesi perché vengano resi disponibili i best seller del momento, per via della resistenza delle case editrici”. Se ne parla l’1 ottobre al convegno “Leggere: come si può?” promosso da Uici

ROMA – I ciechi leggono, e tanto: ed è ora che si sappia. Lo dice forte e chiaro Luisa Bartolucci, della direzione nazionale dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti, che tra due giorni lo ribadirà al convegno che ha contribuito a organizzare, “Leggere: come si può?”. Un’iniziativa che prende spunto da una sorprendente presa di coscienza: “in tanti, ancora, sono convinti che i ciechi non leggano – spiega Bartolucci a Redattore sociale – Me ne sono resa conto ultimamente, partecipando a una trasmissione radiofonica in cui si parlava di libri. Arrivarono tanti messaggi dagli ascoltatori, che chiedevano: come fa un cieco a leggere? E non erano solo persone di una certa età, legate a un passato in cui la cecità era vista in un certo modo, ma anche tanti giovani, da cui mi sarei aspettata una maggiore conoscenza delle tecnologie che consentono l’accesso alla lettura”.

Tre volte di più di chi ci vede
Così, il convegno nasce innanzitutto per spazzare questo luogo comune e far sapere a tutti che i ciechi sono grandi lettori, “più assidui perfino di chi vede bene – riferisce Bartolucci – come dimostrano diverse indagini”, come quella condotta alcuni anni fa per conto dell’Uici e dell’Associazione italiana editori, in collaborazione con la Cnudd (Conferenza nazionale universitaria dei delegati per la disabilità) su un campione di 1.505 persone: risulta che i ciechi e gli ipovedenti leggono libri tre volte più di chi ci vede bene e che i formati digitali sono sempre più spesso i preferiti, rispetto al Braille e al testo a caratteri ingranditi, in particolare dalle fasce dei più giovani (18-34enni ma anche 35-50enni).

Ma perché i ciechi leggono tanto?
“Credo che dipenda dal grande desiderio che abbiamo di arricchirci ogni giorno di più culturalmente, formarci e informarci. E questo passa attraverso la lettura”, spiega Bartolucci. E poi “siamo educati alla lettura – aggiunge – riceviamo tante proposte e le accettiamo”. E in effetti oggi gli strumenti e le modalità non mancano: ci sono i libri in Braille, ma anche gli audiolibri (o “libri parlati”) e i libri elettronici. “Peccato che dobbiamo vivere di passato”, lamenta Bartolucci. Il fatto è che, tra la pubblicazione di un libro cartaceo e la sua trascrizione passano spesso diversi mesi. “Le strutture che ci forniscono i libri in formato accessibile, prime fra tutte il Centro nazionale per il libro parlato e la Biblioteca Braille, non dispongono del formato elettronico dei libri – riferisce Bartolucci – Le case editrici naturalmente lo hanno, ma non glielo forniscono, soprattutto per paura della pirateria”.

“Praticamente, i lettori con problemi di vista devono attendere che le due strutture, la Biblioteca Braille e il Centro libro parlato, acquistino il libro e lo trascrivano: non solo, è necessario chiedere la liberatoria, perché l’Italia non ha aderito al Trattato di Marrakesh, il quale introduce una deroga al diritto d’autore nel caso di produzione e divulgazione di libri per ciechi e ipovedenti. E così, i tempi si allungano. “I più informatizzati – racconta Bartolucci – acquistano la copia in nero e la scansionano con gli appositi software, ma non tutti sono in grado di farlo”.
Ridurre i tempi non sarebbe difficile, basterebbe una maggiore collaborazione da parte delle case editrici: “Se fornissero alle nostre strutture il libro in formato elettronico – spiega Bartolucci – magari anche con qualche giorno di anticipo, potremmo leggere i best seller in tempo reale, e non quando ormai si è smesso di parlarne!”. E’ quanto è accaduto ora con Susanna Marcellini, autrice di “Bomber”, il libro che sarà presentato proprio al convegno di mercoledì. “Con lei e la sua casa editrice – spiega Bartolucci – abbiamo fatto un accordo, grazie al quale il suo prossimo libro, che uscirà a fine novembre, ci sarà messo subito a disposizione in formato elettronico, così che possiamo subito realizzarne la copia audio: per una volta, insomma, potremo leggere il libro non appena uscirà sugli scaffali!”.
Come leggono i ciechi?
Tornando alla domanda iniziale, che dà titolo al convegno, la risposta è: in tanti modi. Diverse sono infatti le modalità che esistono oggi per leggere senza vedere. E ciascuna di queste modalità ha le proprie caratteristiche. “Io leggo moltissimo – racconta Bartolucci – e ho una predilezione per il libro Braille cartaceo: mi piace la fisicità, il contatto con la carta, mi consente un acceso più diretto alla lettura, detto io le pause e i respiri. Certo però, un libro Braille è ingombrante: una pagina di libro “in nero” corrisponde a circa tre pagine in Braille”. Anche per questo motivo, c’è chi preferisce l’audiolibro, “perché apprezza la mediazione dello speaker e oltretutto può esser eletto anche con piccoli dispositivi. E’ insomma molto trasportabile”, così come il libro elettronico, che viene invece letto da un sintetizzatore vocale: “e qualcuno apprezza la neutralità di questo strumento, lo trovano più asettico e lo preferiscono all’audiolibro”.

In conclusione, i ciechi leggono, leggono tanto e in tanti modi: leggerebbero anche più volentieri, se non dovessero attendere mesi prima di avere in mano il best seller del momento. Chissà che anche questo scoglio non venga presto superato. (cl)

Immaginario Scientifico: porte aperte agli insegnanti

Immaginario Scientifico – Presentazione attività didattiche 2015-2016
Immaginario Scientifico: porte aperte agli insegnanti

Lunedì 5 ottobre all’Immaginario Scientifico di Trieste e di Pordenone porte aperte agli insegnanti che vogliono scoprire le proposte didattiche 2015-2016 dell’Immaginario Scientifico per le scuole

Un nuovo anno scolastico è iniziato e l’Immaginario Scientifico, il museo della scienza interattivo e sperimentale, si presenta puntuale all’appuntamento con il suo catalogo di proposte didattiche: per conoscere meglio le diverse possibilità, lunedì 5 ottobre dalle 17.00 alle 19.00 – in occasione della Giornata Mondiale degli Insegnanti promossa dall’UNESCO – gli insegnanti potranno accedere gratuitamente a due dei centri dell’Immaginario Scientifico, a Trieste e a Pordenone. Potranno così visitare i percorsi espositivi, confrontarsi con i responsabili delle attività didattiche e con gli animatori dei laboratori, richiedere tutte le informazioni necessarie per pianificare le visite con le classi

In un’ottica di supporto al mondo della scuola e con l’obiettivo di aumentare il dialogo tra le nuove generazioni e la scienza, le attività didattiche proposte dall’Immaginario Scientifico si configurano come un percorso di conoscenza attraverso le diverse sezioni museali, in un crescendo di coinvolgimento che va dallo spettacolo multisensoriale alla sperimentazione diretta e autonoma.

Ognuna delle cinque sedi della rete museale dell’Immaginario Scientifico (a Trieste, Pordenone, Montereale Valcellina e Tavagnacco) è divisa in diverse sezioni museali, a seconda della specificità del centro, della configurazione degli spazi e dell’edificio che ospita l’IS. Si va dalle sezioni che fanno leva principalmente su stimoli audio-visivi, per innescare il motore della curiosità e del ragionamento, alle postazioni interattive attraverso le quali, secondo la filosofia del ”vietato non toccare”, gli studenti passano da una posizione di spettatore a un ruolo di attori. Non mancano gli spazi per cimentarsi in semplici esperimenti, nel corso dei quali gli studenti, anche i più piccoli, sono coinvolti nelle operazioni e invitati a formulare le loro ipotesi di interpretazione. Con i laboratori più sperimentali e interattivi infine, il percorso della comprensione passa attraverso il lavoro di gruppo, la condivisione e la collaborazione.

Corsi di formazione per insegnanti

Per il quarto anno consecutivo poi l’Immaginario Scientifico, nelle sedi di Trieste e Pordenone, offre agli insegnanti delle scuole primarie e secondarie di I e II grado corsi di aggiornamento in ambito scientifico-tecnologico, su materie come fisica, alimentazione e nuove tecnologie. Attraverso sessioni sperimentali, presentazioni e discussioni, gli insegnanti hanno modo di avvicinarsi alle tecniche di didattica utilizzate nelle attività dell’Immaginario Scientifico.
Gli incontri sono gratuiti e sono riconosciuti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Decreto USR FVG, prot. AOODRFR/5875 di data 22/07/2015). Tutte le informazioni saranno a breve disponibili su questo sito.

Per maggiori informazioni si può visitare il sito www.immaginarioscientifico.it o telefonare al numero 040 224424.

“Quantum Art”: new visions of the future of knowledge

“Quantum Art” – : new visions of the future of knowledge.

By : Paolo Manzelli & Daniela Biganzoli

 

-> From the beginning of Uncertainty (1927) quantum physics, has revolutionized the way we see the world, highlighting the conceptual limits of an objective view of a traditional realism where the ‘external environment is regarded as being separate from the capacity building of the brain images, sounds, colors and other sensations produced by the subject’s brain. Below the quantum biology has been applied to the living system from the book of Schroedinger (1935 -on the theme: “What is Life”) and it showed that the mechanical reductionism of science that was founded on a vision of local and deterministic , is very different from the actual mode ‘of evolution of biological processes, which are based on criteria of probability and non-local communication, deriving from’ quantum-entangement. The entanglement between bio-systems of life becomes are very complex because’ an inherently collaborative activities in their fundamental quantum levels. It ‘s from these aspects of cognitive change that EGOCREANET, from 2012, began to promoting the new perspective of creative innovation of the’ Art Quantum with the ‘intent to give birth to new developments aware of the opportunities of a creative symbiosis “Art and quantum science

 

We live in the transition between a digital culture towards a culture of renewal of knowledge.

In this situation the ‘contemporary art lives today in a state of general creative-apathy.

 

The new digital media depress the challenge of ‘modern art expressions in developing innovative aesthetic abandoning the cultural paradigm of mechanical science. (1)

In fact, with the predominance of the rapidity of communication of interactive Internet, visual art tends to lose its creative identity closing itself only in seeking strong sensations of emotional effect that is found on the goal of growing a business plan , rather than producing innovative ideas of a generative aesthetic anticipation of new knowledge. Modern art therefore does not perceive the new horizon of creative opportunities consistent with the needs of contemporary social and cultural change of science, that can be get by combining new aestheics with a critical and ethical dimension of economic development to be perceived through new creative meanings and immagination of art.

 

Some exceptions to the loss of thrust in creative and innovative aesthetic meaning of ‘contemporary art have been developed from EGOCREANET conference on: “FUTURE HORIZON QUANTUM OF ART AND AUGMENTED REALITY” (2) by the movement of the ‘Quantum Art, that has’ taken a responsible promotion of a program of “art and science” with heuristic purposes oriented to express visions of innovative knowledge, closely related to modern neuro-aesthetics and the quantum science .

The development of intrigue (entanglement) between art and quantum science, has produced to date a conversion program in semantics and aesthetics of ‘contemporary art starting from systematic overcome reductionism “mechanic” concepts of industrial society addressed in order to facilitate new horizons of future Knowledge Society. (3)

 

The expressive potential coming from new purposes to make Quantum Art are oriented in promoting an aesthetic scientific information in the virtual-era, with the pivot goal in the overturning of dualism between subject and object of sensory perception. This goal follows the Theory of Quantum Brain (QBT) that applies to the brain the knowledge gained from the bio-quantum science. The cultural change of QBT is focused on proposing a clear transition between the Mechanical Culture to the Culture of Quantum Biology. (4)

In the conception of QBT the brain is not just a machine that processes physical signals of information (photons, and other electrical or mechanical vibrational signals) received from the eyes and the senses. This because the brain processes the bio- information both “genetic and epigenetic ” in quantum process that transform the physical information on biological models of probabilities of perceptual and sensory forms all constructed inside of the brain in order to give a simple meaning to the living world around us. For QBT what we see and feel is therefore not a film or a photographic reproduction of the external world. In fact we know that the images and sensations built internally by the brain, we can also dream with eyes closed in a semi-conscious state. The external reality, that it is known through epigenetic signals of information it is read by the brain through integrating epigetitc’s signals with the genetic information. The brain in making such a combination of biological information, acts as a bio-quantum computer. The result of this quantum processing of the brain are the models probablity of man-enviroment interactions that are constructed inside of the Quantum-Brain. So that all we see and perceive are a prediction or an anticipation of our possible intereractivities with the environment. Therefore following the QBT, the Cartesian dualism, that makes irreconcilable mind and matter and produces the arbitrary opposition between nature and culture, both they lose all cognitive meanings.

Consequently QBT permits to break these cultural barriers and will open new horizons to the scientific and artistic creativity. In particular, the action of EGOCREANET, in furthering the development of the movement of “Quantum Art” highlights the new opportunities to investigate the dynamics of future integration between “art and science” in order to build a culture of disruptive innovation , on the basis of creative possibilities to modulate with the artistic imagination the epigenetic information, so as to induce expression of emotional and aesthetic innovation-oriented to become aware of the profound changes of the’ ecosystem. (5)

 

The Quantum Art recreates the passion for the modern art precisely because definitively abandoned its relationship with the concept of observation outside world, which was fundamental in experimental mechanics, and replaces it with the ability to make viewable creativity through aesthetic expressions of innovative quantum processes of creation of forms and emotions generated by the construction of images and sensations in relation to what happen to the internal brain processes that are very complex and hidden. So that without the creative imagination of the artist permit that the new quantum reality do not remain obscure and incomprehensible as when it is conceived exclusively on a purely cognitive science.               This new complementarity between “quantum art and science” induces the’ contemporary artist to express representations that are no longer completely arbitrary in that they are not without scientific meaning.

 

The contemporary crisis of art consists in producing works of imagination with a representative capacity and emotional impact that have an end in itself, this because contemporary art is fundamentally based on a questionable rhetorical criticism, exclusively oriented in raising the economic merchant-value of artistic production. Conversely the “Quantum Art” becomes a cognitive innovation activity that can investigate the future prospects of cultural development, ranging beyond the pure and simple hypothesis, since they are consistent with the needs of a profound change of consciousness, that produces a necessary conceptual advance in correspondence with the need to implement an overcoming of mechanical conceptions of the obsolete reductionist science.

Viceversa, in the perspective outlined by QBT, the Quantum Art, my be considered as a direct product of the brain evolution, that becomes as a modern form of collaborative renewal quantum science and innovative culture. In fact the ‘Quantum Art, through new methods of display aesthetic features , become adapt at anticipating solutions for a renewed search on unobservable reality , by means some creative tools of Quantum Art innovation that powerfully the shape the future development of creative thinking. (6)

 

CONCLUSION: Galileo Galilei became aware of the relativity of perception by noting that when the moon appears behind a mountain has a size much larger than when it seems to rise to the sky. The observed variation of the variable size of moon get a vision of an apparent physical quantities while the distance between Moon-Earth remains unchanged. This apparent change of physical perceived dimensions for the QBT it is interpreted as the probable ‘expectations of interaction of man with the’ ambient relatively to the quantum brain entanglement between observer and observed reality. (7)

 

After becoming aware of the new possibilities of creative imagination resulting combination of interdisciplinary art and science, the modern Quantum Art aims to accelerate the transition between the old dualistic science and culture, dividing the mind of matter, and to favor the new paradigmatic dimension of creative thinking, by proposing a renewed synthesis no more ‘limited to an exercise reproductive appearances of the outside world. In fact the Quantum Art combines the Universe outside and the quantum biology , in a new perspective of innovation that highlights the “real probabilistic uncertainty of knowing” that comes from the essential relationship of simultaneity between the observer and observed reality. The extension to the functioning of the brain quantum biology (QBT), therefore extends the Uncertainty Principle to life, while at the same time leads to more extensive freedom ‘of evolution of knowledge with modes more in a way that it is consistent of a holistic aware of an hidden reality where man himself is an integral part of the nature of life. 30th / SEPT / 2015.

 

Biblio on Line.

 

1)-New Optics: http://www.steppa.net/html/scienza_arte/scienza_arte1.htm

2)- http://met.provincia.fi.it/news aspx? n = 131682

3)- Cultural Change : https://dabpensiero.wordpress.com/2015/09/13/strategie-di-cambiamento-culturale-e-scientifico-per-favorire-la-crescita-della-living-economy-2/

4)- QBT: https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=59450

5) – https://dabpensiero.wordpress.com/2014/09/01/quantum-art-design-paolo-manzelli/

6) – Neuro-aesthetic : http://neuroesthetics.org/pdf/lartista_e_un_neurologo.pdf

7)-http://www.meteoweb.eu/2012/03/la-luna-piena-dietro-il-monte-hamilton-ad-est-di-san-jose/123601/123601/

Insegnanti, il rapporto Intercultura: la maggioranza è troppo local, non sa l’inglese e non ha mai lavorato all’estero

da Il Fatto Quotidiano

Insegnanti, il rapporto Intercultura: la maggioranza è troppo local, non sa l’inglese e non ha mai lavorato all’estero

Per la prima volta l’internazionalizzazione di chi insegna è stata esaminata dal punto di vista dei docenti anziché degli studenti, intervistando 480 insegnanti e 63 dirigenti delle scuole secondarie di secondo grado rappresentative delle diverse aree geografiche

In Europa l’abbandono scolastico si combatte con la formazione: qualifica on the job per un terzo dei «dispersi»

da Il Sole 24 Ore

In Europa l’abbandono scolastico si combatte con la formazione: qualifica on the job per un terzo dei «dispersi»

di Alessia Tripodi

Un’indagine del Cedefop rivela: nei Paesi Ue con il maggior numero di iscritti ai percorsi Iefp la dispersione è più bassa. Buone performance anche per l’apprendistato

I percorsi di istruzione e formazione professionale (Iefp) aiutano a combattere l’abbandono scolastico. E in Europa un terzo di chi abbandona precocemente i banchi arriva poi a conseguire una qualifica proprio con i corsi Iefp. Sono i risultati di un rapporto appena pubblicato dal Cedefop – il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale – che ha analizzato il ruolo della didattica più orientata al lavoro (apprendistato compreso) nei sistemi educativi dei paesi dell’Unione.

I dati
Dall’analisi del Cedefop emerge che otto Paesi europei su nove con alti tassi di iscrizione ai percorsi di istruzione e formazione professionale (oltre il 65% dei giovani) presentano un basso tasso di abbandono scolastico precoce, che resta al di sotto dell’obiettivo Ue. L’Italia non rientra in questo gruppo, ma – dicono i dati – si piazza a metà della classifica, con un tasso di iscrizione ai corsi di formazione compreso tra il 44 e il 65% e una percentuale di abbandono precoce superiore al 10 per cento.
Oltre la metà dei giovani europei che abbandonano la scuola, vale a dire il 52%, finisce col diplomarsi a livello di secondo ciclo di istruzione o superiore. E di questi, dice ancora l’analisi, i due terzi conseguono tale risultato frequentando percorsi di istruzione e formazione professionale. «I corsi Iefp – dice il Cedefop – consentono a questi giovani di acquisire anche preziose abilità e competenze e di maturare esperienze lavorative» e per questo «tali percorsi sono particolarmente apprezzati da chi vuole passare velocemente dall’apprendimento al guadagno, e da chi – spiega ancora il rapporto – riprendendo a studiare non vuole o non può rinunciare ad una fonte di reddito durante il periodo di apprendimento formale».

Il ruolo dell’apprendistato
I dati del Cedefop dicono che nei paesi a maggior incidenza di apprendistato il numero di abbandoni scolastici precoci è tendenzialmente più basso, perchè questo strumento formativo, spiega l’analisi, «impegnando i giovani in un processo lavorativo reale riesce a produrre una forte carica motivazionale» e inoltre «agli studenti in situazioni svantaggiate consente di studiare e guadagnare allo stesso tempo».
Anche per quel che riguarda la diffusione dell’apprendistato tra i 15-29enni in rapporto al tasso di abbandono, l’Italia si trova in una posizione «di mezzo» rispetto agli altri Paesi Ue: se in Germania, Austria e Danimarca l’incidenza dell’apprendistato tra gli under 30 supera il 5%, nel nostro Paese il valore può scendere in alcuni casi fino all’1,5 per cento.

Le best practice Ue
In ogni caso, secondo il Cedefop l’approccio pedagogico dell’Iefp – con apprendimento basato sul lavoro, visite in azienda e workshop – conquista soprattutto i giovani che preferiscono un approccio meno accademico ( e che, dunque, sono a maggior rischio di abbandono). Per questo in alcuni Paesi dell’Unione l’approccio più «job oriented» viene utilizzato in programmi per combattere abbandono e dispersione: il rapporto cita l’esempio di un progetto di Iefp nei Paesi Bassi, che prevede un percorso in Ict e punta su un alto grado di motivazione dello studente, e quello dell’adozione della cosiddetta pedagogia “waterhole” in Danimarca, che, secondo i dati, ha ridotto il tasso di abbandono scolastico al 21%, ben al di sotto del 28% registrato per i corsi di base.

Solo il 18% degli insegnanti è “internazionale”

da La Stampa

Solo il 18% degli insegnanti è “internazionale”

Molto poche le esperienze di insegnamento all’estero o le collaborazioni con docenti di altri Paesi

Solo il 18% degli insegnanti italiani ha maturato esperienze di insegnamento all’estero o collaborazioni con docenti di altri Paesi. È quanto emerge dal VII rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, promosso dalla Fondazione Intercultura.

 

La ricerca, presentata oggi al ministero dell’Istruzione, è stata realizzata intervistando 480 docenti delle scuole secondarie di secondo grado, rappresentativi di tutto il corpo di riferimento, e 63 presidi delle scuole secondarie di secondo grado, anche loro rappresentativi del corpo a cui appartengono. A fronte di questo 18% di “prof internazionali” c’è un 60% che non ha né formazione all’estero né esperienze internazionali e che «è tuttora ancorato a un modo classico di concepire la scuola, basato più sul possesso della materia di studio che sull’esperienza sul campo».

 

Un altro 22% di insegnanti, prosegue il rapporto, ha invece un “potenziale di internazionalita´”, avendo partecipato a corsi di lingua o avendo coinvolto i propri studenti in progetti all’estero come gli scambi di classe, i gemellaggi etc. Dall’altra parte della barricata ci sono gli studenti che, con la complicità dei genitori, sempre di più vogliono correre, per arricchire il proprio cv scolastico e umano con un periodo di studio all’estero (la crescita di chi ha aderito a questi programmi è stata pari a un +109% tra il 2009 al 2014, anno in cui sono partiti 7.300 adolescenti per un periodo compreso tra i tre mesi e l’intero anno scolastico. Fonte: Osservatorio 2014).

 

In un sistema scolastico dove il programma è il cardine per valutazioni e attività, l’unico voto positivo attribuito dagli insegnanti alla scuola secondaria in Italia è quello relativo alla qualità dell’insegnamento (6,2); vengono invece bocciate la capacità di accoglienza e valorizzazione degli studenti stranieri (5,8), il grado di insegnamento delle lingue straniere (5,4), la capacità di formare cittadini europei (5,3), l’apertura a collaborazioni con scuole estere (5,1), la predisposizione al cambiamento (5,0), il sostegno ai programmi di mobilità individuale degli studenti (5,0), il grado di partecipazione ai programmi internazionali (4,9).

 

La bocciatura più sonora riguarda però la conoscenza delle lingue straniere da parte dei prof non di lingua con un voto pari a 4,2, con più della metà dei professori, il 57%, che valuta la propria conoscenza dell’inglese bassa o medio/bassa.

 

Ma come aiutare il sistema scolastico a intraprendere la strada del cambiamento? Secondo i docenti la scuola ideale dovrebbe offrire loro le condizioni e le risorse per lavorare al meglio: 2 su 3 (il 61%) chiedono autonomia e flessibilità (32%) mentre, per un docente su quattro (24%) la necessità primaria è l’aggiornamento perché la scuola sia al passo con la società; un altro 10% preferirebbe avere maggiori riconoscimenti, dal proprio ruolo a quello economico.

 

I presidi, dal canto loro, ritengono che la riforma della scuola in atto, garantendo loro l’autonomia di cui essi sentono il bisogno, migliorerà anche il processo di internazionalizzazione (lo afferma il 73% dei presidi). Gli insegnanti al proposito rimangono scettici: solo il 40% ritiene che la riforma aiuterà le scuole ad assumere un profilo più internazionale, mentre addirittura il 27% è di parere completamente opposto.

 

«La sfida che si pone di fronte a noi è quella di innescare un processo virtuoso per sostenere i docenti nella loro formazione internazionale – spiega il segretario generale della Fondazione Intercultura, Roberto Ruffino – Può farlo la singola scuola, può farlo il privato, possono farlo le istituzioni. Sarà un processo a tre velocità: alcuni docenti andranno valorizzati nel loro già essere internazionali, altri, quelli “aperti”, dovranno essere meglio formati, altri ancora, la fetta più grande, dovranno essere sostenuti, con tempi più lenti e più lunghi. I presidi, grazie anche alla maggiore autonomia di cui godranno, avranno un ruolo fondamentale per questa evoluzione. Saranno loro a dover cogliere gli spunti provenienti dagli insegnanti più attivi e far sì che questi non si limitino a generare iniziative estemporanee, ma possano essere capitalizzati in buone pratiche ripetibili e condivisibili».

Rinnovo del contratto, riduzione comparti e trasferimenti soprannumerari PA: ci siamo

da La Tecnica della Scuola

Rinnovo del contratto, riduzione comparti e trasferimenti soprannumerari PA: ci siamo

Sembra essere giunta finalmente alla riapertura la trattativa sulla contrattazione nel pubblico impiego, ferma ormai da sei anni, con diverse nuove norme in arrivo.

Il segnale più incoraggiante è arrivato, il 1° ottobre, direttamente dal ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, che ha dato mandato all’Aran per riaprire il tavolo convocando i sindacati sulla questione dei comparti: si tratta di un passaggio cruciale, perché in base alla riforma Brunetta della P.A., la legge 150/09, sino ad oggi rimasta inattuata, i comparti dovrebbero essere ridotti da undici a non più di quattro. L’atto siglato da Madia è il segnale atteso dai sindacati, che accolgono con soddisfazione la mossa del Governo, preliminare alla discussione sugli aumenti salariali.

Perchè per i sindacati diminuire i comparti, semplificando, è auspicabile e fattibile anche in tempi ravvicinati. Anche perchè dal numero dei comparti dipende quello dei contratti in cui si divino gli oltre 3 milioni di dipendenti pubblici, che aspettano lo sblocco degli stipendi. Fermi dal 2010, nella scuola dal 2009, e sempre più inadeguati rispetto al costo della vita.

Intanto, è entrato in vigore il decreto che detta tempi e criteri per l’operazione mobilità. Un crono-programma scandito tappa per tappa, con le prime scadenze ad appena dieci giorni: entro il 10 ottobre il personale in distacco o comando passerà definitivamente all’amministrazione che lo ha in prestito. Poi c’è il 31 ottobre, termine entro cui le Province dovranno stilare gli elenchi con tutti gli esuberi (si parla di una quota non lontana da 20mila). Per fine anno la Funzione Pubblica renderà pubblica la mappa dei posti liberi in tutte le amministrazioni. A questo punto i soprannumerari faranno le loro richieste, daranno le loro preferenze ed entro febbraio il ministero incrocerà domanda ed offerta.

La ricollocazione verrà rispettando i criteri di vicinanza, si terrà conto anche della Legge 104 sulla tutela della disabilità grave. Inoltre alcuni spostamenti sono già stati tracciati: 2mila persone saranno trasferite agli uffici giudiziari, dove c’è carenza di personale, e altri, per continuità di funzioni, al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Per la Scuola, ricordiamolo, sono stati messi a disposizione gli oltre 6.200 posti del turn over degli Ata, con altrettante assunzioni “congelate” sino alla prossima estate. Quando si saprà, a quel punto, quanto sono i posti effettivamente assorbiti dal personale delle province perdente posto.

Intanto, su queste vicende arrivano i commenti sindacali. Secondo il segretario generale della Cisl Fp, Giovanni Faverin, “sei anni di blocco contrattuale non hanno congelato solo i salari ma anche il cambiamento”, con regole che risalgono al 2009, come appunto la riduzione dei comparti, rimaste finora sulla carta. Insomma si apre ufficialmente la partita sulla contrattazione, dopo la sentenza di luglio della Corte Costituzionale, che dichiarava illegittimo il blocco seppure senza effetti retroattivi, e a meno di due settimane dalla presentazione della legge di stabilità, dove verranno inserite le risorse per il rinnovo.Dalla Fp Cgil, Susanna Dettori, spiega come una proposta già c’è: “unire le funzioni centrali (ministeri, presidenza consiglio, agenzie fiscali, enti pubblici non economici), mettere insieme tutta la sanità, poi gli enti locali e infine il settore della conoscenza (scuola, università, enti di ricerca)”.

Anche la Uil con il segretario confederale, Antonio Foccillo, si dice “pronto”, anzi “troppo tempo è stato perso visto che i primi a chiedere il tavolo siamo stati noi”.