Perché alcune scuole ritardano a chiamare i supplenti?

da La Tecnica della Scuola

Perché alcune scuole ritardano a chiamare i supplenti?

Le scuole, in genere da settembre a novembre, effettuano le chiamate dei supplenti, docenti ed Ata, di prima seconda e terza fascia delle graduatorie d’istituto, proponendo contratti fino a nomina dell’avente diritto, fino al termine delle attività didattiche, e fino al 30 giugno o 31 agosto.

Sembrerebbe, però, che alcune scuole, durante queste operazioni di reclutamento di inizio anno scolastico, svolgano dei movimenti non troppo limpidi, per usare un eufemismo.

La prassi vuole che le istituzioni scolastiche “chi prima, chi dopo” inizino ad inviare le mail per raccogliere la disponibilità dei docenti e degli Ata aspiranti alle supplenze dalle suddette graduatorie d’istituto.
Il problema si nasconde proprio in quel “chi prima, chi dopo”.

Infatti, parrebbe che molte istituzioni scolastiche definite “furbette”, forti del fatto che non esiste una norma specifica che le obblighi a chiamare i supplenti in un giorno specifico o comunque in una ristretta cerchia di giorni, “ritardino volutamente” ad inviare le mail di convocazione, in modo tale che i docenti e gli Ata “sgraditi” che si collocano nelle posizioni superiori della graduatoria, vengano arruolati da altre istituzioni scolastiche, e loro, indisturbate, quando tutti “i fastidiosi aspiranti” sono stati sistemati in altre scuole, chiamano i loro prediletti dal punteggio più basso.
Ovviamente, così facendo, penalizzano non poco il personale con maggior punteggio che magari avrebbero interesse per vari motivi a lavorare nella scuola cosiddetta “furbetta”, e che invece, a causa di questo proditorio ed illecito comportamento, si devono accontentare della prima scuola che li chiama e che magari si trova pure a 50 km di distanza, perché, qualora non accettassero, si troverebbero depennati da quest’ultima.
E’ sotto gli occhi di tutti che l’atteggiamento di queste scuole che “ritardano volutamente le chiamate”, oltre ad essere fortemente lesivo dei diritti dei lavoratori, potrebbe anche ricadere nel campo penale per reati propri dell’incaricato di pubblico servizio o pubblico ufficiale ai danni della pubblica amministrazione.
Infatti, vista l’imperversante disoccupazione, si potrebbero avere anche interessi o benefìci “non meglio identificati” nel far ricadere la supplenza su un aspirante piuttosto che su un altro, mettendo in atto questo illecito e meschino meccanismo della “chiamata volutamente ritardata” .
La materia, ad oggi, è regolata (evidentemente solo in modo parziale), dal Decreto Ministeriale n. 131/2007 (regolamento sulle supplenze).

Dal prossino anno scolastico 2016/2017 “dovrebbero” entrare in vigore le nuove modalità di conferimento delle supplenze, introdotte dalla recente legge n. 107/2015 legge sulla cosiddetta “buona scuola”.

Anche queste novità, pongono non pochi interrogativi e perplessità sulle modalità di conferimento delle supplenze al personale scolastico, più o meno della stessa natura di quanto su esposto.

Sempre meno studenti studiano religione

da La Tecnica della Scuola

Sempre meno studenti studiano religione

Gli studenti che nelle scuole italiane hanno scelto di non seguire l’ora di religione sono cresciuti anche nell’ultimo anno, arrivando al 12,1 per cento. E nonostante circa un milione, su un totale di 7,8 milioni, avrebbe deciso di avvalersi della cosiddetta “ora alternativa”, gli insegnanti di religione continuano tuttavia  ad aumentare. Per quest’anno nell’organico sono previsti 137 posti in più.

Molte classi, soprattutto nelle scuole superiori del Nord Italia, dove in alcuni casi si raggiunge quasi il 40% di esoneri, durante l’ora di religione restano quasi vuote. Come ha raccontato l’edizione milanese di Repubblica, in una classe del liceo scientifico Beccaria durante l’ora di religione dietro ai banchi restano solo due studenti a cui fare lezione.

La soluzione più logica sarebbe quella di accorpare le classi, riducendo quindi anche il numero dei docenti. Ma, in base all’accordo del 1984 col Vaticano, anche quando il numero per classe è inferiore a 15, durante l’insegnamento della religione cattolica non sono possibili gli accorpamenti. In una circolare ministeriale del 1987 si dice che l’esercizio del diritto di scelta dell’ora di religione «non può costituire criterio per la formazione delle classi e che pertanto deve essere mantenuta l’unità della classe cui appartiene l’alunno». E le classi sono in aumento: 1.167 in più nell’anno scolastico 2015-2016 rispetto allo scorso anno. E quando alcuni presidi hanno tentato l’accorpamento di classi con pochi studenti, la risposta è stata subito un no.

Tra le regioni, quella con maggiori defezioni è l’Emilia Romagna, con oltre il 20 per cento. Con punte del 36% per le scuole superiori toscane. E anche le scuole paritarie non scherzano: nelle scuole superiori non statali abruzzesi ben il 70% degli alunni ha rinunciato all’ora di religione

Ecco perché, nonostante dal 2002 a oggi gli esonerati siano cresciuti dal 7 al 12 per cento, gli insegnanti di religione non hanno subito lo stesso calo. L’organico totale dei docenti di religione per l’anno scolastico 2015-2016 è  in corso di aggiornamento, mentre per quest’anno l’organico previsto è di 137 posti in più. Per un totale di 24.131. Di cui la metà (12.583) con contratto a tempo indeterminato.

Rispetto a dieci anni fa, nelle scuole italiane si contano circa duemila docenti di religione in più.

Il costo dell’insegnamento della religione cattolica, che già oggi supera i 600 milioni di euro all’anno, continuerà ad aumentare. Nonostante gli alunni presenti in aula, anche per via dell’aumento degli studenti stranieri (+24mila le previsioni per l’anno scolastico 2015-2016) continueranno a diminuire.

Statali: “la mobilitazione sarà durissima”

da La Tecnica della Scuola

Statali: “la mobilitazione sarà durissima”

“Non accettiamo la provocazione di Matteo Renzi. I 300 milioni, che poi diventano 200 a fine serata, della ‘stabilità’ elettorale del governo, non sono un contratto ma una mancia. I lavoratori pubblici vogliono un rinnovo dignitoso. La nostra mobilitazione sarà durissima”.

A tuonare con minaccia sono Rossana Dettori, Giovanni Faverin, Giovanni Torluccio e Nicola Turco, segretari generali di Fp-Cgil, Cisl-Fp Uil-Fpl e Uilpa, dopo che il Consiglio dei ministri ha approvato la Legge di stabilità

“Una scelta politica precisa sta nascosta dietro la decisione di non finanziare il rinnovo del contratto di più di 3,2 milioni di lavoratori – attaccano le quattro sigle confederali di categoria – Aumentare il conflitto sociale e professionale, eliminare la motivazione, mortificare la competenza e la dedizione al servizio delle comunità. Siamo alla disgregazione non solo dello stato sociale, ma del Paese. E noi diciamo no”.

“Modernizzazione, produttività, merito? Ma dove? Con questa legge si blocca solo l’innovazione organizzativa, la qualità, la formazione, la sicurezza nel lavoro e nei servizi pubblici – rincarano Dettori, Faverin, Torluccio e Turco – E si aumenta l’odio tra i cittadini che chiedono garanzie sui diritti e lavoratori abbandonati alla più bieca politica da consenso liquido. Il resto sono chiacchiere da talent show. Vogliamo un Paese finalmente avanzato? Salute, sicurezza, prevenzione, sostegno ai più deboli, crescita delle aziende… Questo non si fa né con il solito diluvio di norme, né tanto meno con provocazioni come quella di Renzi. Si fa con gli investimenti nell’innovazione e nella professionalità. Come in tutte le migliori imprese del mondo”.

“La nostra mobilitazione sarà durissima – concludono i quattro sindacalisti – Vogliamo un contratto dignitoso per i lavoratori pubblici e per il Paese”.

Furlan: lavoratori hanno ragione a essere arrabbiati – “I lavoratori e le lavoratrici del pubblico impiego hanno tutte le ragioni per essere arrabbiati – dice Annamaria Furlan, segretario generale della Cisl – E’ da sei anni che hanno il contratto bloccato”.

“Con le risorse stanziate in Finanziaria – sottolinea – per il rinnovo dei contratti pubblici non si arriva a 10 euro al mese. Allora è evidente che questa è una cosa irricevibile, va assolutamente cambiata e vanno trovate le risorse per fare un contratto dignitoso. La contrattazione del pubblico impiego peraltro è importantissima perché attraverso quella, in modo particolare la contrattazione di secondo livello, noi vogliamo davvero realizzare una riforma effettiva della qualità del lavoro e della qualità del servizio della pubblica amministrazione”.

Barbagallo: risibili risorse per contratti pubblico impiego – Critico anche il leader della Uil Carmelo Barbagallo. Guardando la legge di stabilità “l’aspetto più negativo è il finanziamento risibile per il rinnovo dei contratti dei lavoratori del pubblico impiego – osserva – i 300 milioni stanziati per il 2016 equivalgono a un incremento di soli 8 euro mensili lordi”.

Barbagallo parla di una “scelta in palese violazione della sentenza della Corte costituzionale che ha prescritto la necessità di rinnovare i contratti già a partire dal 2015”. “Quel che è più grave, però – aggiunge – è che emerge un’indicazione regressiva: uno Stato che non si preoccupa dei propri lavoratori è uno Stato che non crede nel lavoro”.

Natsume Sōseki, Guanciale d’erba

In Giappone l’arte

di Antonio Stanca


 Natsume Sōseki, pseudonimo di Kinnesuke Natsume, è uno scrittore giapponese nato nel 1867 a Tokyo, quando la città si chiamava Edo, e morto nel 1916, a quarantanove anni, a causa di un’ulcera duodenale. Dal 1984 al 2004 la sua immagine risulterà impressa sulle monete giapponesi da 1.000 yen.

Sōseki studiò Inglese presso l’Università Imperiale di Tokyo e dopo la laurea si trasferì in Inghilterra per perfezionare la conoscenza della lingua e della letteratura inglese. Dopo alcuni anni tornò in Giappone e fu incaricato dell’insegnamento di Letteratura Inglese presso l’Università Imperiale di Tokyo. Nel 1905 pubblicò il primo romanzo Io sono un gatto, che sarà seguito da altri. Nel 1907 Sōseki otterrà un incarico presso l’ “Asahi Shinbun”, il più importante quotidiano giapponese, e lascerà l’insegnamento per dedicarsi completamente alla scrittura. Sarà anche autore di saggi ma la narrativa rimarrà il suo genere preferito e qui otterrà i risultati migliori. Recentemente dalla casa editrice BEAT di Vicenza è stato ristampato il romanzo Guanciale d’erba, che Sōseki scrisse nel 1906. La traduzione dal giapponese è di Lydia Origlia.

Gli anni dello scrittore furono quelli durante i quali il Giappone si apriva alle influenze straniere, attraversava un periodo di passaggio che avrebbe comportato dei radicali cambiamenti nell’ambito sociale e culturale, nelle istituzioni economiche. Di questa transizione che il suo paese stava vivendo ha risentito Sōseki nelle sue opere. In ognuna si può notare la tendenza ad un confronto tra prima e dopo, tra tempi passati e tempi presenti e mentre i primi vengono giudicati positivamente, i secondi sono considerati volgari perché disposti ad accogliere tutto e tutti, a non distinguere, a confondere, a disperdere la qualità nella quantità. In tale contesto isolati, di pochi sono diventati i valori dello spirito, dell’anima. Perciò vanno difesi, non li si deve abbandonare, non si deve permettere che si disperdano, che finiscano e l’arte, che rappresenta una delle loro migliori espressioni, dovrà essere un modo per conservarli, continuarli e farli valere. Questa convinzione di Sōseki diventerà un motivo ricorrente nei suoi romanzi. Tra i personaggi di ognuno di essi, se non nel protagonista, sarà sempre possibile intravedere la figura dell’autore che soffre la situazione creatasi nel nuovo Giappone, la vive, la interpreta e come artista si pone a difesa dei principi che l’arte rappresenta e che i tempi stanno profanando. Così avviene pure in Guanciale d’erba, dove si dice di un artista, poeta e pittore, che, all’età di trent’anni, intraprende un viaggio a piedi lungo un sentiero che sale in cima ad una montagna dove si trovava un tempio antico. Dice di volerlo fare per liberarsi da ogni contatto con le persone e le cose comuni, dalle impurità, dalle bassezze alle quali queste potrebbero indurlo, per elevarsi a quell’altezza priva di ogni ombra, di ogni impurità che è propria del suo spirito artistico, per raggiungere quella condizione perfetta, incontaminata che è simile a quella della divinità immortale, eterna.

Il viaggio dell’artista sarà lento, faticoso, diventerà il simbolo di quanto richiede il processo di purificazione che vuole realizzare, l’ascesi che vuole compiere verso una condizione diversa da quella comune. Egli s’imbatterà in persone e situazioni di ogni genere, rischierà di rimanere intrappolato tra esse ma riuscirà sempre a liberarsi perché l’idea di dover raggiungere la sommità di quel monte, di dover, cioè, attuare quelle conquiste morali, spirituali che si è proposto lo farà sentire estraneo a quanto accade, gli farà superare ogni circostanza, ogni contingenza che potrebbe impedire, danneggiare i suoi propositi.

Nella casa da tè saprà di tristi, tragiche vicende vissute da giovani donne innamorate, di una storia che ancora sta avvenendo. Nella locanda dove alloggerà si troverà a contatto con la giovane figlia del padrone che è stata lasciata dall’uomo che aveva sposato. Parlerà con lei, ora la sentirà vicina, ora lontana, ora sarà una luce, ora un’ombra. I toni, i modi della visione, del sogno, della favola assumerà spesso la narrazione, i colori, le luci della fantasia, dell’immaginazione segneranno spesso i suoi ambienti. Alla descrizione di quei colori, di quelle luci l’autore-pittore si concederà, li identificherà con i colori, con le luci della natura che in un posto simile gli si offriranno al massimo grado di bellezza. Le piante, le acque, le rocce, gli uccelli della montagna che sta scalando lo attireranno al punto da fargli attribuire alla natura l’altezza che ritiene sia propria dell’arte, da fargliela considerare un valore unico, insostituibile, un segno della divinità. Entrambe, l’arte e la natura, lo sorreggeranno nel suo viaggio di elevazione sulle volgarità del mondo, di raggiungimento di una dimensione pari a quella divina.

Eccessivamente ideale, teorico diventa a volte il discorso di Sōseki dal momento che mostra il protagonista convinto di potersi liberare con facilità dalla condizione concreta, quotidiana dell’uomo sulla terra, dell’uomo tra gli altri uomini e di poter raggiungere una dimensione diversa.

Ricca è l’opera di riferimenti alla cultura, alla storia, alla religione, alle tradizioni, alle leggende, ai miti del Giappone, di confronti tra Oriente ed Occidente, tra le loro letterature.

Con chiarezza la lingua del Sōseki scorre tra tanti contenuti e giunge al lettore. La scoperta di un mondo poco noto gli procura, l’incanto che proviene da luoghi così lontani.

Quanta ignoranza trasuda dalla legge 107

Quanta ignoranza trasuda dalla legge 107

di Enrico Maranzana

 

La finalità della legge di riforma del servizio scolastico è enunciata nei commi iniziali: “Il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza”, deriva da “l’innalzamento dei livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti .. per realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica”.

 

Se ne focalizzino i nuclei portanti:

  • L’odierna società della conoscenza si caratterizza per
  • La velocità di crescita del sapere che evolve per ristrutturazioni e non per accumulazione;
  • L’aumento della dimensione dei problemi che conduce alla levitazione della relativa complessità;
  • Il superamento del lavoro individuale con l’introduzione di processi di scomposizione del compito e con l’individuazione dei soggetti cui affidare i sottoproblemi individuati;
  • L’aggregazione dei saperi intorno a problemi, non alle discipline;
  • L’annullamento dello spazio: il mondo è un villaggio;
  • La cultura informatica che si sostanzia nella modellazione, nella descrizione e nel controllo di processi, nel testing.

 

  • Competenze
  • Le competenze sono i comportamenti che esibiscono le persone quando affrontano un compito.
  • Le competenze rendono visibili capacità, abilità e conoscenze.
  • Le competenze, essendo comportamenti, non possono essere insegnate: si promuovono con l’esercizio.
  • Laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica
  • La finalizzazione del sistema scolastico “all’innalzamento dei livelli d’istruzione e di competenza” implica la dilatazione del significato di “conoscenza”.
  • Conoscere, quando la società era statica, corrispondeva al possesso e all’articolazione della struttura concettuale delle discipline.
  • In una società dinamica e complessa, in cui la scuola mira a promuovere competenze, in cui il sapere è funzionale al loro sviluppo, è essenziale valorizzare l’aspetto vitale delle discipline. Queste sono da concepire come folletti che saltellano per il mondo: le tracce che lasciano sono gli inerti argomenti disciplinari. Il loro spirito vitale risiede nell’energia, nella curiosità, nella determinazione e nella vivacità del loro carattere: quale meraviglia manifestano quando percepiscono nuovi problemi, quanta attenzione dimostrano quando ne circoscrivono l’ambito. E che dire della loro precisione nello scavare per trovarne soluzioni, dei trilli di gioia che accompagnano la cattura di nuove questioni.

 

I documenti di riordino della scuola elaborati dal Miur nel 2010 fanno propria tale visione. Il profilo culturale, educativo e professionale dei licei, ad esempio, “fissano alcuni punti fondamentali e imprescindibili che solo la pratica didattica è in grado di integrare e sviluppare”. Tra questi “la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari”, “lo studio delle discipline in una prospettiva sistematica, storica e critica”.

 

 

In questo quadro è da collocare l’ipotesi operativa indicata dalla legge 107 per “perseguire la piena realizzazione del curricolo della scuola .. mediante le forme di flessibilità dell’autonomia didattica e organizzativa .. in particolare attraverso”:

  1. L’articolazione modulare del monte orario annuale di ciascuna disciplina, ivi compresi attività e insegnamenti interdisciplinari;
  2. Il potenziamento del tempo scolastico anche oltre i modelli e i quadri orari, nei limiti della dotazione organica dell’autonomia di cui al comma 5, tenuto conto delle scelte degli studenti e delle famiglie;
  3. La programmazione plurisettimanale e flessibile dell’orario complessivo del curricolo e di quello destinato alle singole discipline, anche mediante l’articolazione del gruppo della classe”.

 

L’assenza di sensibilità e la mancanza d’attenzione per le problematiche formative e per le dinamiche educative sono sufficienti per soppesare, senza l’ausilio di commenti, la validità del modus operandi formulato dal legislatore.


La finalità del sistema scolastico è enunciata nel comma d’apertura della legge 107/15: “Per affermare il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza e innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti, rispettandone i tempi e gli stili di apprendimento, per ..”.

 

Istruzione [Treccani.it]: termine sotto il quale si è soliti comprendere tre significati distinti:

  1. Una serie di attività volte a far apprendere un insieme coordinato di conoscenze;
  2. Il risultato riscontrabile nel soggetto dell’insegnamento a lui impartito;
  3. L’insegnamento istituzionalizzato entro strutture scolastiche ed extrascolastiche.

La ratio del comma d’apertura fa coincidere il significato di “istruzione” col punto 2).

 

Competenza Termine non primitivo: descrive il comportamento di un soggetto che affronta un compito.

Le sue componenti elementari sono

  1. “la conoscenza” che costituisce l’ambito operativo;
  2. “le capacità e le abilità”, qualità individuali percepibili attraverso l’osservazione del percorso risolutivo.

 

Il testo del comma della legge esige l’elisione dei punti 1) e 3) e la scelta del campo semantico che i due termini condividono: più esteso quello di “competenza” per la presenza di aspetti legati a qualità umane. Una considerazione che il legislatore non è stato in grado di cogliere perché il significato di “competenza” gli è sconosciuto. Carenza comprovata dal comma 7 della legge che elenca gli obiettivi formativi prioritari: il 53% dei traguardi non ha la natura di “competenza”.

Un’anomalia che ha condotto alla banalizzazione di “innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti”: l’espressione “competenza” è stata fagocitata da “istruzione” che, in conformità al senso comune, è stata fatta corrispondere, specularmente, a “insegnamento”.

L’errata riformulazione del problema formativo/educativo ha sterilizzato la scuola e occultato, nel contesto dinamico e complesso contemporaneo, la sua ragion d’essere: nessuna ipotesi sulle modalità di promozione delle competenze è stata formulata. Una strategia risolutiva era stata elaborata dal Miur, sintetizzata in “La promozione delle competenze”, visibile in rete.

 

Enunciate le finalità il legislatore, come un imbonitore che attribuisce ai suoi prodotti qualità fantasiose, asserisce: “Per i fini di cui al comma 1, le istituzioni scolastiche garantiscono la partecipazione alle decisioni degli organi collegiali e la loro organizzazione è orientata alla massima flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia del servizio scolastico”.

La struttura decisionale, infatti, non possiede:

  • Flessibilità. Il modello organizzativo che la legge introduce ha natura gerarchico – lineare, è rigido, è valido solo in situazioni statiche e di dimensioni ridotte. Un’introduzione al corretto disegno organizzativo è visibile in rete: “Coraggio! Organizziamo le scuole”, applicazione delle scienze dell’amministrazione alla scuola; “Quale formazione per il dirigente scolastico?” colloca la figura del preside all’interno di un apparato scolastico razionalmente costituito.
  • Diversificazione. La legge 107 appiattisce la gestione scolastica:
  • Il consiglio di Istituto è espropriato delle responsabilità strategiche;
  • la programmazione dell’azione educativa”, spazio vitale del Collegio dei docenti, è tacitamente abrogata;
  • Il Consiglio di classe, il cui compito è l’identificazione dei traguardi cui tutti gli insegnamenti devono convergere, non ha più ragione d’essere.
  • Efficacia. Un’utopia: il sistema scolastico non è stato correttamente orientato

Un’insegnante, commentando un articolo sulla figura del docente esperto e in particolare l’asserzione “La trasmissione delle conoscenze non è il traguardo della scuola contemporanea. Essa è orientata alla promozione di competenze” sentenziava: ”Non esistono competenze senza conoscenze: smettiamola di fare danni!”.

Una contestazione che sintetizza un paradosso: a scuola si certificano le competenze senza conoscerne il significato.

La fissità, l’incapacità di abbandonare il proprio punto di vista, il rifiuto di valutare le innovazioni, l’insicurezza derivante dall’abbandono della tradizione sono all’origine di una contrapposizione che sterilizza i fermenti del necessario cambiamento.

Razionalità esige che ogni scuola ricerchi una propria, condivisa definizione di competenza.

Tra queste si propone:

Le competenze, entità non primitive, sono i comportamenti che esibiscono le persone che affrontano un compito.

Le sue componenti elementari sono

  1. “le conoscenze” che costituiscono l’ambito operativo;
  2. “le capacità e le abilità”, qualità individuali, percepibili attraverso l’osservazione dei percorsi risolutivi.

Una definizione che mette in risalto l’inconsistenza, l’infondatezza e il disorientamento di “smettiamola di fare danni!”.

Una definizione che illumina il campo del problema e che evidenzia la contrapposizione tra due modelli di scuola. Uno con cardine il sapere disciplinare, l’altro teso alla promozione e al consolidamento delle qualità dei giovani con l’utilizzo strumentale delle discipline, la cui acquisizione avverrà specularmente.

Ne derivano due strutture organizzative. La prima avente a fondamento l’attività dei singoli docenti, la seconda collegiale: tutti gli insegnamenti sono coordinati per convergere verso i condivisi obiettivi formativi e verso gli obiettivi educativi derivanti.

Ne scaturiscono due strutture decisionali con metodologie di sviluppo contrapposte. Il primo di natura bottom_up: la strategia risolutiva è insita nei dati del problema e affiora spontaneamente; il secondo muove, procedendo per successive approssimazioni, dal risultato atteso ai dati [Top-down].

Ne discendono due configurazioni datate. La prima risalente alla metà del secolo scorso, la seconda introdotta dai decreti delegati del 1974 e rinforzata dal DPR sull’autonomia scolastica del 1999 che “si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana”.

Si concretizzi la norma prendendo come esempio due competenze generali elencate nella legge 107 [aspetto formativo]:

  1. valorizzazione e potenziamento delle competenze linguistiche, con particolare riferimento all’italiano;
  2. potenziamento delle competenze matematico-logiche e scientifiche.

Non esistono insegnamenti che possono prescindere dalle competenze comunicative e dalla razionalità.

Una scuola scientificamente governata deve individuare le capacità e le abilità sottese alle competenze generali, formulare e controllare ipotesi di lavoro [aspetto educativo], prefigurare piani per la convergenza di tutti gli insegnamenti verso i comuni e condivisi traguardi [aspetto concernente l’istruzione].

L’insegnamento chiude il percorso progettuale. I docenti ideano, eventualmente come membri dei dipartimenti disciplinari, gestiscono “occasioni d’apprendimento” aventi una duplice finalità: concretizzare quanto deliberato dagli organismi collegiali, trasmettere una corretta immagine della propria disciplina [competenze specifiche].

 

I decreti del 1974 avevano individuato e costituito soggetti cui affidare le corrispondenti responsabilità.

 

Questo è lo scenario in cui si colloca la legge di riforma 107/2015 che, fatto proprio lo slogan “smettiamola di fare danni”, rade al suolo la collegialità, abbatte la corrispondente struttura organizzativa, abroga tacitamente l’art. 1 del Dpr 275/99 sull’autonomia scolastica, sopra trascritto.

La relazione di presentazione del disegno di legge “La buona scuola” non lascia spazio a interpretazioni: “La riforma degli organi di governo della scuola, istituiti con decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416, si pone come esigenza indifferibile .. pertanto, procedere a un complessivo rinnovamento della governance della scuola, in coerenza con il processo di realizzazione dell’autonomia, avviato con l’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 “.

N.B. La legge 59/97 è una delega al governo, estinta dalla promulgazione del corrispondente decreto [CFR in rete: “L’inoppugnabile dimostrazione dell’incostituzionalità della legge n. 107/2015”]