Volontariato, 44 mila le associazioni in Italia. In calo costante da 7 anni

da Superabile

Volontariato, 44 mila le associazioni in Italia. In calo costante da 7 anni

Il primo rapporto Csvnet-Ibm offre la fotografia più dettagliata di sempre. Operano soprattutto in assistenza sociale e sanità (minori e anziani le categorie più assistite). La metà non ha più di 16 volontari. Solo lo scorso anno le nuove costituzioni sono diminuite del 15%

ROMA – Si occupano soprattutto di assistenza sociale, sono di piccole dimensioni e si trovano per la maggior parte al nord: sono le organizzazioni di volontariato in Italia, censite nel primo rapporto nazionale del Csvnet, Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato, promosso dalla Fondazione Ibm Italia. In totale, sono stati raccolti i dati riguardanti 44.182 associazioni: non solo quelle iscritte ai registri pubblici, ma anche quelle registrate unicamente nelle banche dati dei Centri di Servizio. Il risultato è fotografia più dettagliata del mondo del volontariato mai realizzata in Italia.

La maggior parte opera nel campo dell’assistenza sociale (11.812) e della sanità (9.098): da sole queste due classi racchiudono il 55 per cento del totale delle associazioni. Seguono quelle che si occupano di cultura, sport e ricreazione. Anziani e minori sono le categorie primarie di utenti con il 25,4 per cento, mentre si dedicano a malati e disabili il 18 per cento delle organizzazioni. Si occupano di nomadi, immigrati o profughi il 5,7 per cento.

Al nord e nel centro si trovano oltre la metà delle associazioni: Lombardia, Toscana, Lazio, Piemonte, Emilia Romagna sono le regioni in cui le realtà del volontariato sono più radicate. Se però si confronta il numero di abitanti con quello delle organizzazioni, sono Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta ad avere più onlus. Al sud e nelle isole si registrano, invece, le percentuali più basse: rispettivamente il 17 e il 6 per cento del totale.

La metà delle associazioni opera con meno di 16 volontari: solo il 15 per cento ha un numero superiore a 50. Per quanto riguarda i soci, ne hanno meno di 60 il 50 per cento, mentre poco più del 10 per cento ha una base associativa molto estesa (oltre 500 soci). La rappresentanza legale è composta, per i due terzi, da uomini.

Negli ultimi sette anni il numero di nuove associazioni costituite è diminuito costantemente: nel 2014 si è registrato un meno 15 per cento rispetto all’anno precedente. Le associazioni più piccole per numero di volontari e per numero di soci sono anche quelle più giovani: il 50 per cento è stato costituito dal 2000 in poi. La metà delle organizzazioni con più di 60 volontari ha oltre 25 anni di storia. Quelle più “anziane” si occupano di sanità: il 50 per cento ha quasi 30 anni di attività, mentre quelle di più recente costituzione sono nel settore ambientale (anno 2006) della protezione civile (anno 2005) o della cooperazione internazionale (anno 2004).

Non sono “riconosciute” oltre il 90 per cento delle organizzazioni del nord: Veneto (97 per cento), Lombardia (93 per cento), Valle d’Aosta (91 per cento), l’Emilia Romagna (90%). Il Lazio, invece, ha la più alta percentuale di associazioni riconosciute. Nel Sud, il Molise è l’unica regione con oltre il 90 per cento delle associazioni non riconosciute, mentre in Puglia e Sicilia oltre il 66 per cento sono riconosciute. La maggior parte ha come ambito territoriale di riferimento il comune di appartenenza e solo 5 su 100 hanno un riferimento territoriale nazionale o internazionale. L’83 per cento, infine, ha la qualifica fiscale di onlus. (mgl)

Radio24 lancia “Anche noi disabili”

Radio24 lancia “Anche noi disabili”

Una finestra sulla disabilità su tutti i programmi dell’emittente radiofonica; inaugura domani Melog di Gianluca Nicoletti. Un numero verde e una mail per raccogliere storie e segnalazioni. Raccontare la disabilità dall’interno, immedesimandosi

da Redattore sociale
21 ottobre 2015

ROMA – Un atto di “immedesimazione”, per comprendere a fondo e raccontare “da dentro” la disabilità, mettendo a fuoco i problemi e le difficoltà che essa incontra ogni giorno nell’ambiente e nella società: è questo l’obiettivo dell’’iniziativa “Anche noi disabili”, che coinvolgerà trasversalmente, a partire da domani, programmi, notiziari e sito di Radio 24. Storie, casi, idee e testimonianze saranno raccolti tramite il numero verde 800 240024 e un indirizzo di posta elettronica dedicato:  anchenoidisabili@radio24. Le segnalazioni diventeranno notizie e storie,  punto di partenza per inchieste, campagne mirate e giornate tematiche. Circoleranno dai notiziari ai contenitori informativi e avranno una loro presenza costante in un’apposita area web del sito Radio 24 con testo e podcast.
Ad inaugurare questa “voce di civiltà e impegno” sarà “Melog – Cronache Meridiane”, la trasmissione di Gianluca Nicoletti , che domani ospiterà Luca Pancalli , presidente del Comitato italiano paralimpico, Roberto Romeo, presidente nazionale dell’Anglat e Stefano Trasatti, direttore dell’agenzia di informazione “Redattore sociale”. “Dobbiamo immaginarci ‘anche noi disabili’ – spiega Nicoletti – proprio perché nessuno di noi può dirsi totalmente esente da momenti di smarrimento nell’accorgersi che non sempre il mondo che ci circonda ci accoglie come noi vorremmo. Siamo tutti disabili di fronte a un atto di prepotenza che subiamo in silenzio, siamo disabili quando qualcuno ci fa sentire inadeguati, siamo disabili quando non riusciamo a competere con le performance altrui. Siamo disabili quando dobbiamo accudire un genitore anziano, un figlio in difficoltà, una persona anche sconosciuta a cui leggiamo in faccia la mortificazione.”

Questo il “doppio senso” del titolo della trasmissione: da un lato, “anche noi disabili” significa empatia, immedesimazione, “parlare dei disabili dal loro punto di vista”, spiegano i promotori dell’iniziativa. Dall’altro, “provare a fare in modo che tutti guardino il mondo con gli occhi di chi deve fare i conti ogni giorno con un qualsiasi tipo di disabilità”. Tra i temi che saranno affrontati ci sono le barriere nei viaggi, nei trasporti e nell’accoglienza turistiche, i problemi legati all’inclusione scolastica e i casi di discriminazione ai danni di persone con disabilità fisica, psichica e relazionale. Ma sarà dato spazio anche ai progetti che funzionano, alle buone prassi italiane ed internazionali replicabili, così come alla ricerca, alle scoperte scientifiche e alle innovazioni tecnologiche che facilitano la vita, o che possono addirittura cambiarla.

Riforme costituzionali: le due facce del centrosinistra

Riforme costituzionali: le due facce del centrosinistra

di Gian Carlo Sacchi

 

Ora la strada è in discesa, le più controverse questioni politiche, soprattutto interne alla coalizione di centro-sinistra, sono state dipanate e le letture che restano sembrano consentire alla riforma costituzionale di giungere in porto senza intoppi.

Un provvedimento emanato a poco più di dieci anni di distanza da uno analogo anche se più limitato, ma che pur essendo sostenuto dalla stessa, almeno sulla carta, maggioranza politica, ne ribalta completamente il significato.

Agli inizi del secolo si era andati infatti verso un governo delle autonomie locali che portasse al decentramento dello Stato napoleonico con la burocrazia dei ministeri che aveva preso il sopravvento, oggi per mettere fine da una conflittuale legislazione statale e regionale, originata dalle “competenze concorrenti”, si torna allo statalismo, seppur in termini di invocata maggiore efficienza, lasciando alle regioni la cura dei “servizi” sul territorio e si conferma l’impressione più volte espressa in questa rubrica che anziché procedere verso il “federalismo devolutivo” pensato dalla precedente riforma si torni al centralismo attribuendo alle regioni stesse compiti e prerogative poco dissimili dalle province su area vasta, pur mantenendo una indebolita competenza legislativa.

La nuova formulazione del titolo quinto della Costituzione non ha impensierito più di tanto una maggioranza politica che ha mutato completamente orientamento, ma soprattutto ha dimostrato in quest’ultima occasione di essere attenta quasi esclusivamente al “nuovo senato delle autonomie”. Non si vuole in questa sede entrare nel merito, ma a nessuno sfugge che gli attuali senatori stesse più a cuore il come si arrivi a fare il senatore piuttosto che alle competenze attribuite a questo ramo del Parlamento. Il bicameralismo imperfetto è molto imperfetto, anzi sembra che il Senato non costi e non conti, a differenza del Bundesrast tedesco capace di rappresentare al centro un ben più ampio e consolidato potere dei Landern. Il nostro Senato rappresenta un ben più modesto potere locale, l’unica cosa che potrebbe essere importante è la “verifica dell’impatto delle politiche pubbliche sul territorio”, ma non si ha notizia di dove poi si vada per migliorare tali interventi, se non “chiedere alla Camera di esaminare nuove leggi”.

Veniamo all’art 117 che interessa più da vicino il sistema scolastico e formativo, dove lo Stato ha competenze esclusive nelle “norme generali sull’istruzione”, mai emanate a far data dal lontano 1948, ma mentre il resto, nella precedente formulazione, era concorrente con le Regioni, nel nuovo provvedimento di statale esclusivo è anche “l’ordinamento scolastico”, cioè il continuare a governare direttamente tutto il sistema, verso il quale, come si vedrà in seguito, con altre leggi, si convoglieranno funzioni esercitate in piena autonomia dagli enti locali. Non solo ma con la riforma del 2001 si prevedeva la possibilità di ulteriore autonomia da parte delle Regioni, oggi ci vuole un apposito iter legislativo per delegare, per un tempo limitato, alcune prerogative statali.

Sembra che l’unica cosa rimasta, ma anche qui vedremo in che modo, sia “ l’istruzione e formazione professionale” . Con l’art. 26 il nuovo ordinamento dice che “spetta alle regioni la potestà legislativa relativa all’organizzazione dei servizi scolastici”, cosa nota fin dal 1966 con il DPR 616, ma che più si avvicina alla legge comunale e provinciale del 1934. Senza parlare poi “dell’autonomia scolastica”, che è sempre fatta salva, ma non mai precisata, per cui si salvaguarda l’autonomia che c’è, che ogni governo dice di potenziare, ma che per ora è ferma al DPR 275/1999, dal quale anche la “buona scuola”, che vuole partire da lì, non si è ancora discostata.

Con un tale impianto, una volta approvato, anche le regioni che hanno ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge 107/2015 non avranno soddisfazione, non solo ma la predetta normativa ha già anticipato quanto poi il nuovo quadro costituzionale sancirà nella suddetta direzione.

Sul versante istruzione e formazione professionale la coesistenza dei due termini, istruzione e formazione, fa sì che il governo nei provvedimenti sul lavoro preveda la creazione di un’agenzia della formazione professionale, per coordinare, si dice, le politiche a livello nazionale, ma nel contempo sul versante istruzione si apre un tavolo di consultazione all’interno della legge 107 con annesse indicazioni sull’alternanza scuola-lavoro. Lo Stato avvia anche una sperimentazione su istruzione e formazione professionale con la possibilità di accreditamento dei centri di formazione oggi riconosciuti dalle regioni. Nell’intesa stato-regioni del 2015 al riguardo detti centri servono a garantire l’effettuazione del “doppio canale”, con particolare riferimento alle performances professionalizzanti e l’ingresso anticipato nell’apprendistato. Particolare curioso, nel 2008 un’analoga intesa, nell’ottica dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione, voleva accreditare gli stessi centri perché garantissero attività di formazione generale.

 

 

Ancora, lo Stato entra nel campo dell’edilizia scolastica per quanto riguarda l’autorizzazione alle così dette “scuole innovative” ed entrerà prossimamente nel segmento 0-6 anni oggi che diventando servizio educativo universale sarà in gran parte sotto l’ala del Ministero dell’Istruzione.

Dall’altra parte le regioni Lombardia e Veneto approvano due leggi che cercano di interpretare il sistema duale dal versante di chi non solo mantiene ben saldi i centri di formazione riconosciuti dalle stesse, ma vogliono “integrare”, sulla base di passate intese con lo stato, gli stessi istituti professionali statali che rilasciano qualifiche regionali. Interessante al riguardo come stato e regioni oggi tendano a superare il rispetto del termine dell’obbligo di istruzione al sedicesimo anno, cercando ingressi anticipati nella formazione professionale e nel lavoro attraverso l’apprendistato, bypassando anche il diploma di licenza media.

Sui così detti percorsi integrati scuola-formazione professionale anche altre regioni avevano legiferato, ma la precedente tendenza era quella dell’intesa stato-regioni che avveniva secondo un’ottica di parità tra i due segmenti sulla strada del decentramento: le competenze statali erano residuali, oggi è chiaro che sono quelle regionali ad essere residuali, quando non addirittura subalterne. In passato era la professione che veniva giocata nella formazione, oggi è viceversa. E’ un guadagno ? Visto che poi l’occupazione giovanile non decolla e si abbassa il livello di competenza. E’ l’altra faccia del centro-sinistra, ma forse non è più somigliante.

 

LAPIAZZAinCANTATA

LAPIAZZAinCANTATA
Un singolare concerto di musica corale

Le iscrizioni sono aperte fino al 29 febbraio 2016

L’educazione musicale concorre allo sviluppo della sensibilità estetica e affettiva dei giovani ma, al tempo stesso, educa allo spirito di gruppo, alla condivisione, alla cittadinanza. La maggior parte dei gruppi corali nasce nelle scuole. Spesso sono gruppi spontanei che si riuniscono al di fuori dell’orario scolastico per il piacere di cantare insieme, di fare amicizia, di accordarsi. Grazie alle iniziative messe in campo negli ultimi anni dal “Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica per tutti gli studenti” presieduto da Luigi Berlinguer, i cori scolastici e le realtà corali amatoriali sono cresciuti sensibilmente e sono una realtà molto presente su tutto il territorio nazionale.

Immaginiamo che queste migliaia di piccoli cori si radunino, in un giorno convenuto, in una grande piazza per intonare alcune delle più belle musiche corali di tutti i tempi. Da questa idea fantasiosa prende spunto il progetto lapiazzaincantata promosso e fortemente sostenuto dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, insieme con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, il Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica per tutti gli studenti, la Rai Radiotelevisione Italiana e la Feniarco, la federazione nazionale che raccoglie le associazioni regionali di canto corale.

lapiazzaincantata è un’attività di formazione musicale a distanza rivolta agli studenti di ogni ordine e grado, ma anche a tutti coloro che coltivano la passione per il canto corale. Il progetto prevede l’apprendimento di alcuni cori a quattro voci (tenore, soprano, baritono e basso) riservati alle voci “adulte”: Gloria all’Egitto di Giuseppe Verdi e altri brani celebri di musica classica e popolare. Ai bambini è riservato See the conquering di George Friedrich Händel che sarà cantato all’unisono. Le “lezioni” televisive hanno una durata di circa venti minuti ciascuna: quelle di musica classica sono tenute da Sergio Siminovich, direttore d’orchestra italo-argentino attivo in Italia da molti anni e coautore del progetto insieme a Renato Parascandolo, già direttore di Rai Educational; quelle dedicate alla canzone napoletana sono curate dalla Feniarco.

lapiazzaincantata ha un precedente: nel 2001, in occasione del centenario della nascita di Verdi, il Miur e Rai Educational organizzarono Verdincanto: un’iniziativa che vide la partecipazione di circa diecimila studenti che da tutte le regioni italiane confluirono nel Palazzo dello Sport di Roma per cantare insieme le più celebri arie verdiane. All’epoca non esistevano i social network, gli utenti di Internet erano un’élite e la velocità dei modem era appena 56k. Ciononostante, grazie alla passione dei giovani per la musica, ebbe luogo il primo massive flash mob organizzato via Internet.

lapiazzaincantata è anche uno straordinario concerto di musica corale. Infatti, i gruppi scolastici e i cori che prendono parte all’iniziativa, compilando il modulo d’iscrizione pubblicato sul sito, si ritroveranno, tutti insieme, a Napoli, il 9 aprile 2016 a Piazza Plebiscito, per dare vita al più grande coro della storia della musica.

I diplomati magistrale devono essere inseriti in GaE

Il Tribunale di Latina accoglie i ricorsi ANIEF: i diplomati magistrale devono essere inseriti in GaE

 

Vittoria ANIEF presso il Tribunale del Lavoro di Latina in favore di due docenti in possesso di diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002: gli Avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli, Tiziana Sponga e Mino Daniele Bembo ottengono una soddisfacente sentenza di pieno accoglimento che riconosce il diritto all’inserimento in GaE delle nostre iscritte anche a seguito dell’annullamento, da parte del Consiglio di Stato, del Decreto Ministeriale n. 234/2014 nella parte in cui escludeva i diplomati magistrale dalla possibilità di presentare domanda di inserimento nelle Graduatorie valide per il triennio 2014/2017.

 

 

Con le sue pronunce, il Consiglio di Stato, come rilevato in sentenza, “pur apparentemente riferite ai soli ricorrenti in quel giudizio, ha dichiarato infatti, l’annullamento del “decreto ministeriale n. 235/2014 nella parte in cui non ha consentito agli originari ricorrenti, docenti in possesso del titolo abilitante di diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, l’iscrizione nelle graduatorie permanenti, ora ad esaurimento”. Il Giudice del Lavoro di Latina non ha dubbi nel sostenere, dunque, che “tale principio ha valore assoluto e non può non incidere sulle identiche posizioni come quella delle odierne parti attoree”. Ad ulteriore supporto della fondatezza del ricorso ANIEF, inoltre, il Giudice tiene a rimarcare il grave danno subito dalle nostre iscritte e consistente nella “circostanza secondo cui il mancato inserimento nella terza fascia della GAE sin dalla domanda, viene a determinare l’impossibilità per le ricorrenti di essere assunte a tempo indeterminato, anche sulla base della legge n. 107 del 2015, recante la c.d. riforma della “Buona scuola”. Tali graduatorie, infatti, sono utilizzate per l’assunzione in ruolo”.

 

 

Solo i docenti inseriti nelle Graduatorie a Esaurimento, infatti, “potranno, essere definitivamente assunti, con la conseguenza che l’esclusione dalla graduatoria, determinerà sia per l’anno 2015 che per i successivi anni (nei limiti stabiliti dalla legge) la possibilità di partecipare alle assunzioni”. Il Giudice del Lavoro, pertanto, accoglie il ricorso ANIEF e, per l’effetto, ordina la rettifica delle Graduatorie a Esaurimento di interesse delle due docenti “e il conseguente inserimento delle posizioni vantate dalle odierne ricorrenti nella terza fascia delle Graduatorie ad esaurimento”.

 

Vittoria completa dell’ANIEF anche presso il Giudice del Lavoro, dunque, e piena soddisfazione per l’operato dei propri legali che con enorme competenza e dedizione si stanno prodigando per tutelare i diritti di tutti i docenti in possesso di valida abilitazione ai fini del loro corretto inserimento nelle graduatorie a esaurimento e della conseguente possibilità di partecipare alle immissioni in ruolo ponendo fine, così, all’interminabile periodo di precariato cui il MIUR li ha voluti condannare.

Viaggio tra le norme che disciplinano l’alternanza scuola-lavoro

da Il Sole 24 Ore 

Viaggio tra le norme che disciplinano l’alternanza scuola-lavoro

di Franco Portelli

Con l’entrata in vigore della legge 107/2015, l’alternanza scuola-lavoro diventa parte integrante dell’offerta formativa. Lezioni fuori dalle aule, imparando sul campo, in aziende e uffici pubblici, non è più solo uno slogan ma un percorso formativo obbligatorio e vincolante per le scuole.

Come nasce l’alternanza
L’alternanza, in realtà, non nasce con la «Buona scuola» recentemente approvata. Correva l’anno 2003 quando la legge del 28 marzo n.53, meglio nota come Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, all’articolo quattro si occupava proprio di alternanza scuola-lavoro. Il legislatore aveva previsto attività rivolte ad alunni dai 15 ai 18 anni, che prevedevano l’alternanza di periodi di studio e di lavoro, sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa, sulla base di convenzioni con imprese o con le rispettive associazioni di rappresentanza o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con enti pubblici e privati ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di tirocinio che non costituiscono rapporto individuale di lavoro.

Il quadro generale del 2005
Il decreto Legislativo 15 aprile 2005, n. 77 (in GU 5 maggio 2005, n. 103) ha poi definito le norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro, concretizzando quanto previsto proprio dell’articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n.53. Nella norma sono, inoltre, indicate le finalità dell’alternanza che prevedono l’attuazione di modalità di apprendimento flessibili e equivalenti sotto il profilo culturale ed educativo, rispetto agli esiti dei percorsi del secondo ciclo, che colleghino sistematicamente la formazione in aula con l’esperienza pratica; l’arricchimento della formazione acquisita nei percorsi scolastici e formativi con l’acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro; l’attuazione di buone prassi per favorire l’orientamento dei giovani per valorizzarne le vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali; la realizzazione di un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e la società civile; la correlazione dell’offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio. Per le attività di alternanza è prevista la valutazione, la certificazione e il riconoscimento dei crediti. Le competenze acquisite dagli studenti, costituiscono crediti, sia ai fini della prosecuzione del percorso scolastico o formativo per il conseguimento del diploma o della qualifica, sia per gli eventuali passaggi tra i sistemi ivi compresa l’eventuale transizione nei percorsi di apprendistato. La valutazione e la certificazione delle competenze acquisite dagli alunni in situazione di handicap che frequentano i percorsi in alternanza sono effettuate a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104, con l’obiettivo prioritario di riconoscerne e valorizzarne il potenziale, anche ai fini dell’occupabilità. A questo proposito le istituzioni scolastiche o formative rilasciano, a conclusione dei percorsi in alternanza, una certificazione relativa alle competenze acquisite nei periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro.

L’esperienza dei Poli tecnico professionali
Tra i diversi interventi più significativi per avvicinare la scuola al lavoro, rientra la costruzione di Poli tecnico professionali (Art. 52 Decreto Legge n.5/2012 convertito, con modificazione, dalla Legge 4 aprile 2012, n. 35), e gli Istituti Tecnici Superiori (Dpcm 25 gennaio 2008). I Poli nascono con l’obiettivo di annodare filiere formative e filiere produttive, reti tra istituti tecnici, istituti professionali, realtà produttive, centri di formazione professionali, per migliorare l’offerta formativa e realizzare una forte integrazione tra mondo lavoro e mondo scuola. Gli Its, con l’obiettivo di costruire e consolidare un nuovo segmento educativo terziario non universitario che completi l’istruzione tecnica e risponda alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche per promuovere i processi di innovazione; il potenziamento dell’alternanza scuola lavoro.

La riforma Renzi-Giannini
La legge 107/15 ha previsto lo stanziamento di 100 milioni di euro all’anno per l’alternanza a decorrere dal 2016, prevedendo che i percorsi di alternanza scuola-lavoro siano attuati in tutte le classi del secondo biennio e quinto anno delle scuole secondarie di secondo grado per almeno 400 ore per tecnici e professionali, e 200 ore nei licei. Infine il Miur, in vista della entrata in vigore delle norme della Legge 107/15 sull’alternanza scuola lavoro, ha emanato una “Guida operativa” (10/10/2015) con le indicazioni operative relative alla realizzazione dei relativi percorsi formativi.

Contratto, una chimera per il 2016

da ItaliaOggi

Contratto, una chimera per il 2016

Serve almeno un anno per avere nuovi comparti e Rsu

Alessandra Ricciardi

Altro che pochi, maledetti e subito. Prima che nel pubblico impiego, e nella scuola in particolare che del pubblico è il settore più nutrito, si abbia il rinnovo del contratto con tanto di soldi in busta paga passerà almeno un anno. Un’evenienza che il governo ha ben presente, tanto da aver deciso nell’ambito della legge di stabilità di stanziare per il 2016 in tutto 200 milioni di euro, 100 mln in meno di quanto inizialmente prospettato, circa 7 euro netti in più al mese a travet.

Quando per un rinnovo al pari livello del privato, sui 70 euro mensili, servirebbero almeno 1,2 miliardi annui.

A giocare a favore del governo c’è la trattativa sui nuovi 4 comparti del pubblico impiego, che vedrebbe la scuola accorpata a università e ricerca. Una trattativa partita la scorsa settimana all’Aran su posizioni assai distanti tra parte sindacale e governativa.

«Nelle more della definizione del nuovo assetto contrattuale delle amministrazioni pubbliche, con particolare riferimento all’individuazione del numero e della composizione dei comparti di contrattazione e alle conseguenti implicazioni in termini di rappresentatività sindacale», si legge nel ddl di Stabilità, «le risorse di cui al comma 1 possono essere corrisposte ai sensi dell’articolo 2, comma 35, primo e secondo periodo, della legge 22 dicembre 2008, n. 203, a titolo di anticipazione dei benefici contrattuali». Insomma i 200 milioni sono sul piatto a titolo di acconto e soprattutto di contentino per la Corte costituzionale che ha bacchettato la politica salariale degli ultimi governi, rei di aver congelato i contratti. Nell’articolato, l’esecutivo guidato da Matteo Renzi non solo impone che prima di parlare di nuovi contratti si facciano i comparti, ma che ci siano anche nuove Rsu, le rappresentanze sindacali unitarie rinnovate di recente e che, a legislazione vigente, dovrebbero restare in carica per tre anni.

Le Rsu sono infatti, insieme al dato associativo, la base di calcolo della rappresentatività sindacale, il metro di misura della forza di ogni sigla. E se per i confederali l’accorpamento dei comparti può avere effetti non dirompenti, per le piccole sigle di settore potrebbe essere deleterio. Insomma, il governo ha gioco facile nel pensare che prima di arrivare a definire l’assetto dei comparti e poi delle Rsu un anno almeno passerà. Giusto in tempo perché possano essere definiti anche i decreti attuativi della riforma Madia che rivedono, tra l’altro, le materie di competenza contrattuale.

Intanto si anima il fronte sindacale della scuola, dove sta per partire la mobilitazione sul territorio contro la riforma. «Sette euro in più al mese sono una provocazione», attacca Francesco Scrima, segretario Cisl scuola, «non staremo certamente a guardare, ci batteremo con forza per un contratto dignitoso». E nessuno tiri in ballo che i docenti sono dei privilegiati per i 500 euro di bonus già accreditati, «è un riconoscimento alla professionalità della categoria, ma non risolve per nulla il problema di un contratto fermo da 6 anni», dice Pino Turi segretario Uil scuola. «È evidente che nonostante la sentenza della Corte Costituzionale non si intendono rinnovare i contratti pubblici. Serve una ferma mobilitazione unitaria», chiarisce Mimmo Pantaleo, numero uno della Flc-Cgil. Se sarà di nuovo sciopero è presto per dirlo.

Assunzioni, i motivi del ricorso

da ItaliaOggi

Assunzioni, i motivi del ricorso

I sindacati in modo unitario vanno davanti al giudice, posta la questione costituzionale

Carlo Forte

Un mega ricorso al Tar del Lazio per impugnare il decreto 767/2015. Che dà attuazione al piano straordinario di assunzioni della legge 107/2015 ma esclude gli oltre 100mila docenti precari abilitati non inclusi nelle graduatorie a esaurimento. Lo hanno presentato tutti e 5 i sindacati rappresentativi della scuola, Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams, il 13 ottobre scorso. Il ricorso non mira ad impedire le immissioni in ruolo, ma ad estenderle anche a coloro che sono rimasti esclusi, pur essendo in possesso dell’abilitazione all’insegnamento. Ciò per il solo fatto di non risultare inclusi nelle graduatorie a esaurimento. Il ricorso comprende anche un capitolo dedicato alla questione della reiterazione dei contratti a termine oltre i 36 mesi. Per la quale, secondo i ricorrenti, il legislatore avrebbe riservato ai precari della scuola un trattamento peggiore rispetto agli altri lavoratori. Nel ricorso Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda hanno chiesto al Tar di sollevare anche una questione di legittimità costituzionale sulle norme della legge 107/2015 alle quali dà attuazione il decreto. E se del caso, di proporre una questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia europea. Ecco i motivi del ricorso.

Gli abilitati dei vecchi concorsi. La legge 107 prevede che possano partecipare al piano straordinario di assunzioni solo i docenti inclusi nelle graduatorie del concorso del 2012, con l’esclusione di tutti coloro che si trovavano utilmente inclusi nelle graduatorie dei concorsi precedenti. Ma siccome i concorsi non sono stati banditi per tutte le classi di concorso, non tutti gli aspiranti docenti hanno potuto partecipare alle selezioni. E ciò, secondo i ricorrenti, violerebbe i principi costituzionali di ragionevolezza e di affidamento. La legge 107, infatti, richiama espressamente l’articolo 399 del testo unico la norma che fissa il criterio duale ai fini delle immissioni in ruolo: metà dalle graduatorie dei concorsi e metà dalle graduatorie a esaurimento. Salvo contraddire tale richiamo disponendo la preclusione del diritto a partecipare al piano di assunzioni non solo per gli aspiranti docenti che non abbiano sostenuto il concorso del 2012 volontariamente, ma anche per coloro che non ne hanno avuto la possibilità. Perché il ministero non lo ha indetto nella loro classe di concorso.

Gli abilitati in II fascia. Un altro motivo di ricorso è l’esclusione dal piano di assunzioni dei docenti abilitati inseriti nelle graduatorie di istituto, ma non nelle graduatorie a esaurimento. Secondo Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, la preclusione adottata dal legislatore nei confronti dei docenti abilitati, attualmente inseriti nella seconda fascia delle graduatorie di istituto, violerebbe i principi di ragionevolezza e di parità di accesso ai ruoli della pubblica amministrazione. Perché si tratterebbe di due categorie di soggetti in possesso di requisiti identici che, peraltro, quando vengono assunti a tempo determinato, risultano destinatari della stessa tipologia di incarichi. Un’ulteriore punto debole della normativa è stato individuato dai ricorrenti nella procedura di individuazione degli aventi diritto ad essere immessi in ruolo. E cioè nell’istituzione di una graduatoria nazionale nella quale si entrerebbe per effetto della previa inclusione nelle graduatorie a esaurimento, delle quali poi non si terrebbe conto in sede di assunzione. Graduatoria nazionale attualmente inaccessibile, non essendo mai stata pubblicata.

I diplomati magistrali. Nel ricorso le organizzazioni sindacali lamentano anche la mancata inclusione nel piano assunzionale degli aspiranti docenti di scuola primaria in possesso del diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2000/2001. E cioè di soggetti in possesso di un titolo abilitante ai quali avrebbe dovuto essere consentita, già a suo tempo, l’inclusione nelle graduatorie a esaurimento. E che è stato loro precluso per effetto di un errore interpretativo dell’amministrazione scolastica. Peraltro sanzionato con un decreto del presidente della repubblica emesso ad esito di un ricorso straordinario (una forma di ricorso amministrativo alternativo al ricorso al Tar). Anche in questo caso i ricorrenti hanno eccepito la violazione dei principi di affidamento e buona fede, collegandoli all’articolo 97 della Costituzione.

Pas e Tfa. Idem per quanto riguarda l’esclusione dei neoabilitati a seguito della frequenza dei Tfa (tirocini formativi attivi) e dei Pas (percorsi abilitanti speciali). E cioè per quanto concerne gli aspiranti docenti che abbiano conseguito l’abilitazione a seguito della frequenza di corsi a numero chiuso, ai quali si accede con la laurea magistrale (Tfa) oppure a seguito della frequenza di corsi abilitanti speciali, ai quali si accede in presenza del requisito di tre anni di servizio maturati in un dato periodo (Pas).

Questione 36 mesi. Ultimo motivo di ricorso, il divieto di consentire ai docenti precari di cumulare oltre 36 mesi di supplenza su posti vacanti e disponibili. Secondo i ricorrenti, infatti, questa preclusione violerebbe la normativa europea e la stessa Costituzione. Perché anziché prevedere una sanzione nei confronti dello stato per punire l’abuso dei contratti a termine, come previsto per i lavoratori privati, punirebbe i precari della scuola negando loro la possibilità di continuare a lavorare.

140 milioni dal Miur alle scuole per dotarle di ambienti digitali

da La Stampa

140 milioni dal Miur alle scuole per dotarle di ambienti digitali

Previsti Aule aumentate, laboratori mobili e spazi alternativi per l’apprendimento

Centoquaranta milioni per dotare le scuole di ambienti digitali per l’apprendimento. Questo lo stanziamento previsto dal nuovo avviso pubblicato nell’ambito del Pon- Programma Operativo Nazionale (FSE-FESR) 2014-2020.

 

«Questo avviso – spiega la ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini – è uno dei tasselli del Piano complessivo di investimenti che faremo sulla scuola digitale e che presenteremo la prossima settimana al Miur. Un Piano che metterà la tecnologia al servizio della didattica attraverso formazione degli insegnanti e una maggiore attenzione alle competenze degli studenti. È essenziale – aggiunge – che le scuole colgano l’opportunità dei nuovi bandi Pon che non riguardano più solo il Sud ma l’intero Paese».

 

Le scuole del I e II ciclo hanno tempo fino al prossimo 18 novembre per presentare i loro progetti.

 

Tre gli ambiti in cui le scuole potranno muoversi:

– Il primo è quello degli spazi alternativi per l’apprendimento: ambienti in genere più grandi – precisa il Miur – delle aule per accogliere attività diversificate, più classi, gruppi di classi (verticali, aperti), in plenaria, per piccoli gruppi, con arredi e tecnologie per la fruizione individuale e collettiva, che permettano la rimodulazione continua degli spazi in coerenza con l’attività didattica prescelta. Uno spazio simile può essere finalizzato anche alla formazione dei docenti, interna alla scuola o sul territorio.

 

– In secondo luogo, le scuole possono presentare progetti di laboratori mobili: dispositivi e strumenti mobili (per varie discipline, esperienze laboratoriali, scientifiche, umanistiche, linguistiche, digitali e non) in carrelli e box mobili, a disposizione di tutta la scuola, che possono trasformare un’aula “normale” in uno spazio multimediale e di interazione; l’aula si trasforma così in uno spazio in grado di proporre una varietà di configurazioni: dai modelli più tradizionali al lavoro in gruppi.

 

– Infine, i fondi potranno essere utilizzati per aule aumentate dalla tecnologia: un numero congruo di aule tradizionali arricchite con dotazioni per la fruizione collettiva e individuale del web e di contenuti, per l’interazione di aggregazioni diverse in gruppi di apprendimento, in collegamento wired o wireless, per una integrazione quotidiana del digitale nella didattica.

 

Sul sito internet del ministero è disponibile per le scuole un servizio di help desk.

Confronto Miur-parti sociali, il 29 ottobre si parlerà del nuovo percorso per diventare docente

da La Tecnica della Scuola

Confronto Miur-parti sociali, il 29 ottobre si parlerà del nuovo percorso per diventare docente

Il 20 ottobre al Miur si è tenuto il quarto dei cinque tavoli voluti dal ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini sulle deleghe che la Legge 107/15 affida al Governo.

Al centro dei lavori la revisione dei percorsi di Istruzione professionale. Il dibattito è stato presieduto da Francesco Luccisano, capo della Segreteria tecnica del Miur.

“A dare il proprio contributo al confronto – scrive il Miur – sono state le rappresentanze dei genitori, degli studenti, dei dirigenti scolastici e degli insegnanti; delle imprese e del mondo del lavoro; degli Enti di formazione e delle Regioni. Il gruppo di lavoro sull’Istruzione professionale tornerà a riunirsi nelle prossime settimane per la definizione del provvedimento che il Governo dovrà emanare”.

Nella stessa giornata è stato convocato invece per giovedì 29 ottobre alle ore 15, sempre presso il Miur, il tavolo sulla Formazione iniziale dei docenti e l’accesso all’insegnamento: si tratta di una delle deleghe più attese, perchè da questo confronto dovrebbe scaturire il nuovo percorso formativo e selettivo per arrivare all’ambito cattedra. La “base” da cui partire è il progetto di legge su cui il Partito Democratico sta lavorando da tempo, con l’on. Simona Malpezzi impegnata in prima persona.

Ata dimenticati, i sindacati manifestano il 22 ottobre

da La Tecnica della Scuola

Ata dimenticati, i sindacati manifestano il 22 ottobre

I sindacati scendono in piazza per la tutela del personale Ata: l’annuncio è di Flc Cgil, Cisl, Uil, Snals Confsal, Gilda, che manifesteranno il 22 ottobre davanti al Miur.

Il motivo della protesta, spiegano i cinque sindacati in una nota congiunta, è “ribadire l’importanza delle funzioni che svolge nella scuola e denunciare la scarsa considerazione in cui vengono tenute dal governo e da scelte legislative lacunose o sbagliate”.

“Contro una situazione che si è fatta ormai insostenibile” il personale Ata scende in piazza per “sostenere, forte delle sue ragioni, precisi obiettivi: un piano di assunzioni che assuma come priorità la stabilizzazione del personale precario; la modifica delle norme che proibiscono di sostituire i lavoratori assenti; la piena e corretta applicazione delle norme contrattuali; lo stop ai tagli di organico e all’esternalizzazione dei servizi; la fine dei disservizi SIDI, un sistema informatico che impedisce alle segreterie scolastiche di lavorare serenamente”.

“Tutto ciò è il risultato di scelte del Governo che hanno portato all’adozione di norme come la legge 107, che trascura complessivamente il personale Ata, accennandovi solo in relazione a possibili tagli, o la legge di stabilità per il 2015, con cui si sono imposti divieti alla sostituzione del personale anche in caso di lunga assenza, con grave pregiudizio del buon andamento del servizio. Obiettivi dell’azione sindacale sono il rinnovo dei contratti, scaduti da sette anni, e la modifica delle disposizioni legislative (dalla legge di stabilità 2015 alla legge 107) che penalizzano la scuola, ostacolandone il buon funzionamento, e il suo personale, cui viene da troppo tempo negato un giusto riconoscimento sul piano professionale e retributivo”, concludono i sindacati.

Intanto, anche l’Anief ha fatto sapere di volersi attivare in difesa di amministrativi, tecnici e ausiliari. Lo farà con l’arma che conosce più da vicino: il ricorso al Tar. Il sindacato autonomo ha deciso infatti di presentare ricorso al tribunale regionale contro laNota 27715 del 28 agosto 2015, attraverso cui il Miur ha deciso di vanificare le immissioni in ruolo di amministrativi, tecnici e ausiliari della scuola per trovare una collocazione ai perdenti posto delle province. L’obiettivo dell’Anief è duplice: “evitare che i 6.200 posti previsti quest’anno per il turn over del personale Ata vengano dirottati al personale soprannumerario delle province e che questa anomalia comporti pure l’illegittima sottoscrizione di tutti i contratti annuali con scadenza 30 giugno 2016 anziché 31 agosto 2016”.

Sabato 24/10 manifestazione unitaria contro la legge 107 a Milano

da tuttoscuola.com

Sabato 24/10 manifestazione unitaria contro la legge 107 a Milano

Manifestazione unitaria dei lavoratori della scuola sabato 24 ottobre a Milano. Il corteo parte da piazza Santo Stefano alle 9.30 ed è stato proclamato da Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal, Fgu Gilda-Unmas per sostenere il rinnovo del contratto di lavoro e per cambiare la Legge 107/2015, meglio conosciuta come ‘Buona Scuola’.

Lo slogan dell’iniziative e’ ‘L’Unione fa la scuola’.

Quarto ‘tavolo’ al Miur sull’istruzione professionale

da tuttoscuola.com

Quarto ‘tavolo’ al Miur sull’istruzione professionale

Nel pomeriggio di martdì, presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, si è tenuto il quarto dei cinque tavoli voluti dal Ministro Stefania Giannini sulle deleghe che la legge “Buona Scuola” affida al Governo. Al centro dei lavori la revisione dei percorsi di Istruzione professionale. Il dibattito è stato presieduto da Francesco Luccisano, capo della Segreteria tecnica del Miur.

A dare il proprio contributo al confronto di oggi sono state le rappresentanze dei genitori, degli studenti, dei dirigenti scolastici e degli insegnanti; delle imprese e del mondo del lavoro; degli Enti di formazione e delle Regioni. Il gruppo di lavoro sull’Istruzione professionale tornerà a riunirsi nelle prossime settimane per la definizione del provvedimento che il Governo dovrà emanare.

E’ stato convocato invece per giovedì 29 ottobre alle ore 15, sempre presso il Miur, il tavolo sulla Formazione iniziale dei docenti e l’accesso all’insegnamento.

Docente medico o docente specializzato? Diverse visioni a confronto

da Tuttoscuola 

Prosegue l’acceso dibattito sul tema del docente di sostegno
Docente medico o docente specializzato? Diverse visioni a confronto
La riforma vuole trasformare l’insegnante di sostegno in una “Docente-medico”? “Una leggenda metropolitana”, secondo Nocera dell’AIPD. Cosa dice la Legge n. 107/2015

Si accende il dibattito intorno alle caratteristiche che dovrebbe assumere la nuova figura dell’insegnante di sostegno, che alcuni soggetti temano possa assumere le caratteristiche di un “docente medico”. La paura di medicalizzare la dimensione scolastica è senz’altro molto radicata nella scuola italiana e nasce probabilmente dal fatto che l’iter che porta all’assegnazione dell’insegnante di sostegno nasce proprio con una diagnosi completamente medica. Attualmente alla base del percorso educativo e formativo degli alunni con disabilità certificata, vi é quindi uno sguardo medico, che impedisce di fatto un approccio più globale e olistico della persona.

Questo accade nonostante la conferenza Stato – Regioni del 20 marzo 2008 abbia individuato nell’ ICF (International Classification of Functioning Disability and Health) lo strumento principe per una diagnosi che sia dinamica e comprenda la dimensione educativa, oltre che quella prettamente medica[1]. Con la recente normativa relativa alla certificazione di alunni con BES senza certificazione medica di disabilità, la situazione è parzialmente evoluta (http://www.tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=30321 )

Le paure oggi sono però  legate a tutt’altra dimensione. Secondo l’ANIEF vi sarebbe un serio rischio di una medicalizzazione della figura dell’insegnante di sostegno e un pericoloso sbilanciamento verso la dimensione clinica, piuttosto che quella educativa. (per maggiori info: http://www.tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=37116). I timori nascono dall’analisi della Legge 107/2015 di riforma della scuola,  presumibilmente dall’esame dell’art. 1 comma 181 lettera C  numeri. 1 e 2.

Il tema trattato in questa sezione è la “promozione  dell’inclusione  scolastica  degli  studenti  con disabilità  e   riconoscimento   delle   differenti   modalità  di comunicazione attraverso:

1) la ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno al fine  di  favorire  l’inclusione  scolastica  degli  studenti  con disabilità, anche attraverso l’istituzione di appositi  percorsi  di formazione universitaria;

2) la revisione dei criteri di inserimento  nei  ruoli  per  il sostegno didattico, al fine di garantire la continuità  del  diritto allo  studio  degli  alunni  con  disabilità,  in  modo  da  rendere possibile allo studente di fruire dello stesso insegnante di sostegno per l’intero ordine o grado di istruzione;”

Ad indicare questi due articoli come i possibili portatori di questa nuova apertura medica è stato Salvatore Nocera, responsabile legale dell’osservatorio scolastico dell’AIPD, attraverso una lettera a “Tuttoscuola” (http://www.tuttoscuola.com/ts_news_717-1.docx).  La posizione riportata dal responsabile scolastico di AIPD è molto lontana da quella del sindacato. “L’AIPD – sostiene – ha da alcuni anni presentato alla VCamera una proposta di legge, A.C. n. 2444, sul miglioramento della qualità dell’inclusione scolastica, nella quale, tra l’altro, si proponeva la creazione di un nuovo curricolo di specializzazione per il sostegno e la costituzione di quattro nuovi ruoli specifici per il sostegno, nei quali entrare a seguito del nuovo percorso formativo e dai quali non si sarebbe dovuto uscire se non per passaggio di cattedra; ciò al fine di realizzare una effettiva scelta professionale, come avviene per tutte le discipline curricolari, superando l’attuale commistione di cattedra curricolare ed utilizzazione sul sostegno che produce grande discontinuità didattica. Noi e quindi il MIUR non abbiamo mai avuto l’idea di ” introdurre  il docente-medico” per il sostegno. Questa è una leggenda metropolitana diffusa ad arte da quanti non condividono la nostra posizione circa i contenuti della nuova specializzazione che sui ruoli appositi per il sostegno.

La posizione esposta da Nocera non solo sembra non dar adito al timore dell’ANIEF, ma si pone in una posizione di forte rottura con il passato. La proposta relativa al nuovo curricolo. prevede un triennio di formazione più generale, un biennio di laurea specialistica relativa alla specializzazione per il sostegno e, una volta completata, un anno di tirocinio abilitante.

Secondo la proposta di Nocera, durante il triennio i futuri docenti per il sostegno dovranno approfondire le tematiche relative alla pedagogia generale e speciale, alla didattica delle diverse discipline curricolari (italiano, matematica,storia, ecc) e la didattica speciale al fine di sapere impostare adeguate strategie didattiche che sappiano rispondere alle necessità di ciascun alunno con le principali tipologie di disabilità, cecità, sordità, sindrome di Down, autismo, disabilità mentale grave, sordocecità ed altre  minorazioni aggiunte, disabilità motorie.

Attraverso questa organizzazione si contribuirebbe ad una formazione di qualità, che non escluderebbe la competenza disciplinare, che sarebbe integrata nelle pratiche metodologiche relative alle principali disabilità.

Attraverso questa prima riflessione Tuttoscuola intende dare spazio all’acceso dibattito sul ruolo e la formazione degli insegnanti specializzati sul sostegno. Presto pubblicheremo nuovi contributi.


[1] http://www.statoregioni.it/Documenti/DOC_018344_39%20cu.pdf

Miur e dirigenza scolastica: così lontani, così vicini

da TuttoscuolaNEWS

Miur e dirigenza scolastica: così lontani, così vicini

Altro che presidi – sceriffi o sindaci. I dirigenti scolastici di FLC Cgil, CISL Scuola, UIL Scuola e SNALS Confsal sono piuttosto rigidi con il governo. Lo scorso 15 ottobre si è svolta a Roma, presso l’ITIS Galilei, l’assemblea nazionale dei dirigenti sindacali appartenenti alle quattro sigle. Gli argomenti all’ordine del giorno della discussione erano: rinnovo del contratto nazionale, scaduto da sette anni, rinnovo dei contratti regionali, equiparazione salariale con la dirigenza ministeriale (cosiddetta perequazione esterna), superamento delle reggenze, riconduzione della mobilità dei dirigenti alla contrattazione, ma anche eliminazione delle responsabilità improprie che derivano dalla legge 107/2015 (Buona Scuola) e valorizzazione della collegialità nei processi decisionali.

Le varie sigle sindacali non condividono, in tema di dirigenza scolastica, la filosofia della Buona Scuola, temendo che i maggiori poteri ad essa attribuiti in tema di selezione del personale e di valutazione dello stesso, sia propedeutica all’incardinamento in una catena di comando “lunga” che, alla fine, vedrà aumentare la dipendenza dei dirigenti dal potere politico. Sotto accusa è il sistema di valutazione dei dirigenti previsto dalla Buona Scuola (commi 93 e 94 dell’articolo unico di cui la legge è composta), fondato, secondo le organizzazioni sindacali, su criteri evanescenti (come ad esempio l’apprezzamento dell’operato del preside all’interno della comunità professionale e sociale)  o incongruenti con il profilo professionale (il contributo al miglioramento formativo e scolastico degli studenti e dei processi didattici). Il tutto affidato ad una commissione di valutazione che, ai sensi dell’art. 25 del decreto legislativo 165, sarebbe presieduta da un dirigente regionale e composta da esperti, anche di provenienza esterna all’amministrazione. Insomma, sembra essere il timore sindacale, più poteri verso il basso e maggiore subordinazione verso l’alto della scala gerarchica. In barba dell’autonomia.

Il tutto mentre rimane insoluta la questione salariale e, in alcune regioni, dirigenti scolastici si sono visti operare un taglio della parte variabile della retribuzione di risultato.