Estendere la mobilitazione unitaria a tutto il pubblico impiego

Dalle tante manifestazioni unitarie dei sindacati scuola che si sono svolte oggi, è venuta forte la richiesta di cambiare la pessima legge sulla scuola e di rinnovare il contratto nazionale. Le scelte del Governo vanno in senso opposto.

La legge di stabilità non stanzia le risorse per i contratti, non prevede interventi per superare le iniquità della legge sulle pensioni, non risolve le tante ingiustizie contro il personale ATA, colpisce il lavoro pubblico e il welfare a partire dalla sanità.

Nelle scuole la legge 107/15 peggiora la qualità dell’offerta formativa, determina un clima di autoritarismo e messa in discussione dei contratti e delle leggi.

Per queste ragioni, la mobilitazione unitaria continuerà, generalizzando le lotte nella scuola e in tutto il pubblico impiego.

E. Gilbert, Mangia prega ama

MANGIA PREGA AMA DI ELIZABETH GILBERT

di Mario Coviello

 

mangiapregaamaIn questo irresistibile diario-confessione,che ha venduto nel mondo oltre otto milioni di copie, è stato tradotto in trenta lingue,ed è disponibile in edizione economica, Elizabeth Gilbert ci racconta le tappe della sua personalissima ricerca della felicità:l’Italia, dove impara l’arte del piacere, ingrassa di 12 chili e trova amici di inestimabile valore;l’India, dove raggiunge la grazia meditando in compagnia di un idraulico neozelandese dal dubbio talento poetico; e l’Indonesia, dove uno sdentato sciamano di età indefinibile le insegna a guarire dalla tristezza e dalla solitudine, a sorridere e a innamorarsi di nuovo.

Liz è bella, bionda, solare; ha una grande casa a New York, un matrimonio perfetto, un lavoro invidiabile. Eppure, in una notte autunnale, si ritrova in lacrime sul pavimento del bagno, con l’unico desiderio di essere mille miglia lontana da lì. Quella notte, Liz capisce di non volere niente di tutto quello che ha, e fa qualcosa di cui non si sarebbe creduta capace: si mette a pregare.

Come reagireste se Dio (o qualcosa che gli assomiglia) venisse a toccarvi il cuore e la mente, non per invitarvi alla pazienza e alla rassegnazione, ma per dirvi che avete ragione, quella vita non fa per voi? Probabilmente fareste come Liz: tornereste a letto, a pensarci su. A raccogliere le forze, perché il bello deve ancora venire.

Un amarissimo divorzio, una tempestosa storia d’amore destinata a finir male e, in fondo, uno spiraglio di luce:un anno di viaggio alla scoperta di sé.

Mangia prega ama è la storia di un’anima irrequieta, con cui è impossibile non identificarsi.

Sappiate che non avevo assolutamente nessun’aspettativa nei confronti di questo libro. Non avevo visto il film che ha lo stesso titolo del libro ed ha per protagonista assoluta la deliziosa e brava Julia Roberts,non avevo idea di quale fosse la trama, nulla Ma appena ho cominciato a leggerlo non sono riuscito a staccarmene.“Mangia prega ama” è il racconto di un lungo viaggio; non soltanto attraverso tre Stati ma anche attraverso se stessi.E’un’autobiografia, una storia vera che ci permette di osservare l’evoluzione di un’anima.Elizabeth con le nuove esperienze e conoscenze che il suo lungo viaggio le offre, prende pian piano maggiore consapevolezza di se stessa, impara ad ascoltarsi, a togliere la maschera, ad affrontare la vita con sincerità e coraggio.

Credo che ognuno di noi, almeno una volta nella propria esistenza, abbia sentito quella voglia di lasciare tutto. “Mangia prega ama” è il diario di viaggio di chi ha avuto il coraggio di farlo sul serio.

La sezione riguardante l’Italia e quella più divertente ed è quella cui fa riferimento il “Mangia” del titolo. Infatti, principalmente, Liz in Italia mangia. Non prendetelo come un luogo comune, anzi. Liz è innamorata dell’italiano come lingua e della cultura del nostro paese. Sceglie semplicemente un modo di esplorare il nostro paese che non sia visitare musei. Non le si addice.
Ho adorato il modo in cui ha assaggiato le parole italiane, mostrandomi quanto bella possa suonare la nostra lingua ad uno straniero.
Lo stile è scorrevole, colloquiale, quasi come si stesse ascoltando il racconto di un’amica. È un libro che parla di sentimenti,particolarmente adatto ad un pubblico femminile, ma è anche una storia ricca di spunti di riflessione e nozioni interessanti che, certamente arricchiscono qualunque lettore.

Per l’autrice L’Italia rappresenta il piacere, l’arte del sapersi godere la vita, il “mangia” del titolo. L’india rappresenta il “prega“, la meditazione, lo spirito di sacrificio e la capacità di ascoltare se stessi. L’Indonesia  chiude metaforicamente il cerchio con “ama“, ossia impara a volerti bene, a sorridere, a donarti agli altri con fiducia.

Questo libro ci ricorda quanto troppo spesso viviamo una vita che non ci appartiene soltanto per paura; lo consiglio a tutte quelle persone che si sentono insoddisfatte della propria vita senza nemmeno capirne il motivo. E fate come me, dopo aver letto il libro, godetevi anche il film che è disponibile on line.

Elizabeth Gilbert è giornalista e scrittrice. Ha collaborato con “Esquire”, “GQ” e “The New York Times Magazine”. È stata inserita da “Time Magazine” nella classifica delle 100 persone più influenti del mondo ed è autrice di biografie, racconti e romanzi. Per conoscerla meglio sono disponibili su youtube molti suoi interventi nei quali si racconta con intelligente sarcasmo.

Censimento Aziende ospedaliere

Le indicazioni contenute nella legge di stabilità prevedono che le aziende ospedaliere (compresi poli universitari e Irccs pubblici) con deficit superiori al 10% o ai 10 milioni di euro entrino in piano di rientro sotto la responsabilità diretta del Direttore Generale, che ha tre anni di tempo per ripianare la situazione oppure rischia il posto di lavoro.

L’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), nella sua indagine, ha censito 108 aziende ospedaliere, di cui 31 in deficit e delle quali 24 superano le soglie di allarme.

Censimento Aziende Ospedaliere

Scuola, quando l’insegnante di sostegno fa supplenza

da Redattore Sociale

Scuola, quando l’insegnante di sostegno fa supplenza. “I genitori denuncino”

Le linee guida e una nota del Miur vietano di impiegare gli insegnanti di sostegno per la sostituzione di docenti assenti, ma la legge di stabilità esclude le supplenze “brevi”. Ora, una nuova circolare prevede deroghe, ma mancano finanziamenti. Nocera: “Dirigenti tendono a risparmiare, docenti e insegnanti devono vigilare”

ROMA – Da una parte la legge, dall’altra le circolari, dall’altra ancora la realtà di tutti i giorni, quella di tanti insegnanti di sostegno che, nelle scuole di ogni ordine e grado, vengono utilizzati come supplenti. E questo è ciò che accede spesso, sebbene ci siano le Linee guida per l’integrazione scolastica ad escludere categoricamente questa possibilità. E ci sia una nota dello stesso Miur (n. 9839 dell’8 novembre 2010) a “richiamare l’attenzione sull’opportunità di non ricorrere alla sostituzione dei docenti assenti con personale in servizio su posti di sostegno, salvo casi eccezionali non altrimenti risolvibili”.

Dall’altra parte, però, c’è una legge, la legge di stabilità del 2015, che pare proprio destinata a incoraggiare questa insana e illecita consuetudine: essa, infatti, impedisce che l’insegnante sia sostituito a un supplente nel primo giorno di assenza (art 1 comma 3333). E l’assenza minima per la sostituzione sale addirittura a una settimana per il collaboratore scolastico. Accade quindi molto spesso che, in mancanza di supplenti, siano gli insegnanti di sostegno a sostituire gli insegnanti assenti, a scapito evidentemente di chi avrebbe bisogno del loro aiuto. Tanto che il Miur ha emanato, alcuni giorni fa, una circolare (la n. 2116 del 30 settembre 2015) con cui deroga, di fatto, a questa limitazione, permettendo ai dirigenti di ricorrere a supplenze fin dal primo giorni di assenza del docente (ma solo in caso non sia possibile assicurar diversamente “la tutela e la garanzia dell’offerta formativa”) e anche del collaboratore scolastico, ma solo laddove la mancata sostituzione “determinerebbe delle urgenze che non potrebbero trovare alcuna altra risposta atta a garantire la incolumità e la sicurezza degli alunni, nonché la indispensabile assistenza agli alunni diversamente abili determinando, inoltre, necessità obiettive non procrastinabili, improrogabili e non diversamente rimediabili.

Ora però arriva la bozza della legge di stabilità 2016, che non prevede i finanziamenti necessari a coprire queste “deroghe”, come ha denunciato ultimamente Anief. Sta di fatto che i dirigenti continuano ad esser piuttosto restii a ricorrere a supplenze brevi e tanti preferiscono impiegare gli insegnanti di sostegno per coprire le ore che restano scoperte. Ed è, appunto, quello che spesso accade nelle nostre scuole. E come è noto anche a Salvatore Nocera, che con l’osservatorio scolastico dell’Aipd riceve numerose segnalazioni di questo genere: “Ogni volta inviamo una segnalazione all’ufficio scolastico regionale – ci riferisce – e, qualora la violazione si ripeta, passiamo alla denuncia per interruzione di pubblico servizio. E ora queste segnalazioni andranno incidere, speriamo, sulla valutazione dello stesso dirigente da parte dell’Ufficio scolastico”. Perché, Nocera ci tiene a ribadirlo, “non è lecito utilizzare gli insegnanti di sostegno come supplenti. E i genitori per primi hanno il compito di vigilare su questo, anche tramite i loro rappresentanti in Consiglio d’istituto, e di denunciare le violazioni. Noi, con le nostre associazioni, siamo sempre pronti a sostenerli”.

Ma che interesse hanno i dirigenti a non avvalersi delle deroghe concesse dal ministero? “Interessi di bilancio – spiega Nocera – perché il Miur ha ancora molti debiti verso i fondi scolastici. Che però la riforma incrementerà. E siccome aumenterà anche il potere del dirigente – conclude Nocera – è opportuno che aumenti anche il ‘contropotere dal basso’, ovvero il ruolo di vigilanza e di controllo che le famiglie e gli insegnanti devono esercitare”. Intanto, è “un disastro” la situazione dell’assistenza specialistica, riferisce Nocera, che imputa la responsabilità soprattutto alla Regione: “La legge che doveva assegnare le competenze del servizio, ora che le province sono state soppresse, doveva essere pronta nel dicembre 2014, poi è stata rinviata al 31 ottobre 2015: mancano pochi giorni. E siamo pronti a denunciare, se anche questo termine non sarà rispettato”. (cl)

Tecnologie didattiche e Apprendimento

“TECNOLOGIE DIDATTICHE” E APPRENDIMENTO: SICURI CHE TORNI PROPRIO TUTTO?

di Ivan Cervesato

 

Ormai non è più neppure un semplice luogo comune, ormai stiamo parlando di un vero e proprio dogma: il miglioramento degli apprendimenti passa necessariamente per il potenziamento e la diffusione delle “tecnologie didattiche” nella scuola.

L’idea (se si vuole, di derivazione skinneriana) è che un apprendimento “mediato” dallo strumento (ovviamente digitale) sia più divertente e più coinvolgente, in quanto tale capace di ridurre il personale sforzo di comprensione di strutture e concetti e dunque più incisivo; che l’”innovazione” (tecnologica), mandando in soffitta la tanto vituperata “lezione frontale”, condurrà ad esiti migliori (qualunque cosa ciò significhi).

Il teorema ha un corollario inevitabile: un insegnante sarà tanto più efficace (tanto più meritevole?), quanto più sarà capace di fare uso degli strumenti tecnologici.

E qui davvero non c’è che l’imbarazzo della scelta: piattaforme di e-learning, risorse web, software didattici, enciclopedie on line (insuperabili per ricerche taglia-e-incolla), ambienti di formazione a distanza, LIM, portatili, tablet, smartphone, forum, social media, classi digitali, e chi più ne ha…

Capita che la Pubblica Amministrazione nazionale non brilli per “efficienza ed efficacia”, ma questa volta anche i critici più prevenuti si sono dovuti ricredere: il dogma è stato infatti inserito nel corpus dottrinario ministeriale a tempo di record.

Così, gli anni sono trascorsi senza che mai si interrompesse il florilegio di iniziative votate allo “svecchiamento della didattica” (d’altronde, non è facile resistere al fascino discreto di uno “svecchiamento”): dal Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche (dell’ormai lontano 1997, persino prima che gli “obiettivi di Lisbona” del Consiglio europeo del 2000 diventassero la nuova indiscutibile Bibbia dell’educazione comunitaria), al progetto ForTic, dal progetto DidaTec a quello Cl@ssi 2.0, dal Patto per la Scuol@ 2.0 fino al recente Piano Nazionale Scuola Digitale.

Occorre quindi riconoscere un notevole sforzo, anche e soprattutto finanziario (lo “svecchiamento della didattica” è obiettivo troppo strategico per lesinare risorse, pur in tempi di ristrettezze economiche, di feroci e punitivi blocchi contrattuali e di austerity ad oltranza) per dotare le scuole di strumenti multimediali e “banda larga”, nonché per “formare” il personale.

Coerentemente, puntuali indicazioni dei superiori Organi Amministrativi non sono mai venute meno (pars pro toto: “Si sottolinea l’importanza dell’installazione della LIM all’interno della classe per la costruzione di un ambiente di apprendimento adeguato allo sviluppo di una didattica centrata sullo studente e sui suoi bisogni, nell’ambito della società dell’informazione e della conoscenza.” Tanto dedica agli aspetti pedagogico-didattici, testualmente e in tutta serietà, la nota Miur n. 2926 del 27/5/2011, prima di passare a un diluvio di capitolati tecnici, accordi di rete, impegni e stanziamenti finanziari, disciplinari di gara, procedure di installazione e di collaudo: insomma, prima di passare alle cose serie).

Ad ogni modo, almeno sotto il profilo puramente quantitativo la missione può dirsi compiuta, se è vero che il 95% delle scuole1 può ormai felicemente vantare una rutilante panoplia di computer, televisori, lettori DVD, videoproiettori, lavagne interattive, aule multimediali e via dicendo. Facciamo qualche passo indietro. Bisogna infatti essere giusti.

L’idea che la “tecnologia” possa rivoluzionare (positivamente, s’intende) gli apprendimenti non è nuova: “Entro breve tempo i libri saranno obsoleti nelle scuole… è possibile apprendere ogni branca del sapere umano con l’aiuto dei documentari. Il nostro sistema scolastico cambierà radicalmente nell’arco di dieci anni”.

Così scriveva Edison: correva il 1913 ed il Kaiser Wilhelm sedeva sul trono germanico. Il posto dei documentari (diciamocelo in tutta onestà, senza che Piero Angela ce ne voglia: non sempre poi così capaci di far saltare di entusiasmo il discente…) è stato preso, negli anni Cinquanta, dalla televisione; poi, nei favolosi anni Settanta, sono stati i laboratori linguistici e le lezioni programmate ad essere investiti dal potere catartico-taumaturgico.

Sfortunatamente, pare che documentari, televisione e laboratori di varia natura non abbiano sortito effetti rivoluzionari: anzi.

Così, la moderna soteriologia didattica mainstream punta ora con decisione al multimediale e alla Rete Globale: è questa l’indiscutibile, attuale ultima frontiera.

In tale ottica, la “tecnologia”, in questo caso applicata alla didattica, rappresenta lo strumento col quale si pensa di poter risolvere la straordinaria complessità intellettuale, psicologica, emotiva e relazionale dei processi di apprendimento (il riferimento teorico potrebbe essere costituito dalle pedagogie “funzionaliste”, in cui si calibra la funzione sociale dell’educazione in relazione alle esigenze della società tecnologica e del mercato del lavoro, puntando a “competenze” – ecce verbum! – da spendere nel mondo produttivo e risolvendo il processo formativo nell’informazione e nella prestazione tecnico-operativo-applicativa.

Ma una discussione a riguardo, nel cui ambito si potrebbe mostrare come ogni cambiamento dei mezzi sia tutt’altro che neutro, in quanto finisce inevitabilmente per modificare gli scopi, porterebbe troppo lontano).

A fronte di una simile impostazione, ad un qualche amante della riflessione critica e della verifica sperimentale (insomma: certamente un guastafeste o un piantagrane) potrebbe anche sorgere un sommesso dubbio.

Esistono prove scientifiche indipendenti che corroborino la tesi secondo cui la sistematica introduzione della “tecnologia digitale” migliori gli apprendimenti?

Sorprendentemente (ma per gli addetti ai lavori neanche tanto), la risposta è negativa!

Ma c’è di peggio, poiché esiste addirittura l’evidenza opposta: gli studi a disposizione ci inducono a pensare che portatili e lavagne interattive nella scuola ostacolino il processo di apprendimento e quindi danneggino gli alunni.2

La sconcertante “scoperta”, in letteratura specialistica peraltro nota da tempo, trova oggi ulteriore conferma da parte di un ente al di sopra di ogni sospetto: nientemeno che l’OCSE!

In una recentissima pubblicazione,3 infatti, gli esperti dell’Organizzazione internazionale hanno studiato la correlazione tra diffusione dell’ICT (Information and Communication Technology) a scuola e gli esiti dei test PISA in lettura, matematica e scienze. La conclusione? Devastante. In estrema sintesi: gli esiti, statisticamente, sono tanto peggiori, quanto maggiore la penetrazione e la diffusione dell’ICT a scopi didattici (cfr. cap. 6 How computers are related to students’ performance).

Di fronte all’evidenza, che cosa penserà il guastafeste di turno?

Che, magari, sarebbe ragionevole un cambiamento di rotta: in fin dei conti, stiamo parlando del futuro intellettuale e cognitivo dei nostri figli.

Ma forse si accontenterebbe anche solo di una rudimentale pausa di riflessione, di un abbozzo di intelligente ripensamento.

Beata ingenuità.

Opinionisti-tuttologi e presidenti di Fondazioni che “si interessano di scuola” (probabilmente senza avere mai insegnato un solo giorno in vita loro) di certo hanno già in tasca diagnosi e terapia (il Ministero sarà poi libero di trarre spunti per un Progetto di Sviluppo, un Programma Operativo, un Piano Nazionale).

Se l’ICT dà risultati opposti a quelli sperati (in termini di apprendimento, non di aumento del fatturato di chi vende costosi software e hardware), è perché gli strumenti non sono usati nel “modo giusto”: quello, cioè, che per definizione farebbe miracoli (e se questi stentano ad arrivare, è matematicamente provato: il modo non è quello “giusto”. Alla fine, non è poi tanto difficile da capire).

E di chi la responsabilità del fallimento?

Ma è ovvio: degli insegnanti. Sono infatti loro che, più obsoleti di un Commodore 64, restano balordamente incapaci di usare gli strumenti tecnologici nel “modo giusto”.

Come minimo, bisognerà formarli.

O, meglio ancora, svecchiarli.

 


1 Farné R. (ed.)(2010) Media education nella scuola dell’obbligo. Una ricerca in tre regioni italiana, in Media Education. Studi, ricerche, buone pratiche, 2 145-200.

2 Spitzer M., Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Corbaccio, 2013 (p. 82). L’intero testo, cui si rimanda, espone la tesi con argomentazioni scientifiche ed ampi riferimenti bibliografici.

3 http://www.oecd.org/education/students-computers-and-learning-9789264239555-en.htm

Col computer in classe studenti più bravi e meno assenti

da La Tecnica della Scuola

Col computer in classe studenti più bravi e meno assenti

Chi l’avrebbe mai detto? Avere almeno un computer in classe sembra comportare risultati scolastici decisamente migliori. E anche meno assenze e abbandoni scolastici.

Il dato tendenziale è stato presentato il 23 ottobre dall’Indire a Firenze, in occasione del Primo Forum sulla Scuola del Futuro: parlando dell’impatto della tecnologia della didattica, sono risultati evidenti gli effetti benefici dell’uso quotidiano in classe di pc portatili o altri device mobili.

L’indagine ha coinvolto 9 licei, 8 istituti tecnici e 2 professionali, per un totale di 14.152 studenti, con una media di circa 22 studenti per classe, e 1.273 docenti. I ricercatori hanno premesso che non si può certamente asserire che l’indagine ha una valenza nazionale: sarebbe presuntuoso generalizzare i dati rilevati, ma dalla quale emergono, hanno puntualizzato, “alcune evidenze interessanti che sostengono gli sforzi di innovazione avviati”.

Negli istituti coinvolti, sparsi per diverse regioni italiane, è stato riscontrato un numero di dotazioni tecnologiche pari o superiore all’80% degli studenti e fanno un uso didattico quotidiano di computer portatili o altri device mobili. I device acquistati sono per lo più tablet e netbook e vengono utilizzati generalmente in tutte le discipline e per oltre il 50% delle ore di didattica. Rispetto alla dispersione scolastica, i tassi di abbandono nelle scuole oggetto di indagine si attestano tra lo 0% e l’8% e quasi tutti gli istituti considerati (tranne tre casi) presentano complessivamente valori inferiori rispetto alle province di appartenenza.

Un dato, questo, nettamente al di sotto della media italiana e di quella europea (17,6% Ue e 12,7% in Italia nel 2012) e dell’obiettivo fissato per il 2020 del 15-16% italiano o del 10% europeo. Anche il tasso di assenza degli studenti in queste scuole è inferiore al tasso medio delle province di riferimento e mediamente anche gli insegnanti di queste scuole hanno una percentuale di coinvolgimento nella formazione molto più alto (quasi il doppio rispetto a quella delle scuole delle province di appartenenza).

Un impatto positivo si riscontra anche nell’inserimento nel mondo del lavoro degli studenti all’uscita dei tecnici e dei professionali: a eccezione di due casi, le percentuali delle scuole oggetto di indagine vanno dal 38% al 70%, mentre le medie provinciali si attestano intorno al 40%.

Anche risultati degli studenti in italiano e matematica hanno risentito positivamente della presenza del computer in classe: in queste materie, quasi tutti gli istituti dell’indagine ottengono risultati superiori, se confrontati con le scuole del medesimo ordine che hanno lo stesso livello socio-economico o con studenti che appartengono allo stesso bacino di utenza.

Gli stessi istituti si contraddistinguono per le percentuali molto alte, sempre rispetto alle medie provinciali di riferimento, di studenti che si immatricolano all’Università al termine del percorso formativo: i tassi si situano tra il 60% e il 90%, a fronte del 50% a livello provinciale.

Insomma, anche se non si può generalizzare, i segnali che portano a promuovere a pieni voti la tecnologia informatica in classe risultano davvero tangibili.

Pubblicato l’invito 2016 per Erasmus +

da La Tecnica della Scuola

Pubblicato l’invito 2016 per Erasmus +

L.L.

La Commissione europea ha pubblica qualche giorno fa l’Invito a presentare proposte 2016 di Erasmus+ e la Guida al Programma, relativi alle tre azioni chiave.

L’invito definisce le scadenze per le singole attività del Programma e il budget annuale di Erasmus+, mentre la Guida è aggiornata annualmente con tutte le informazioni utili alla candidatura: le priorità del programma, le azioni sostenute da Erasmus+, le possibilità di finanziamento, le modalità di candidatura.

Le scadenze sono diverse a seconda delle azioni chiave. In particolare, si segnalano il 2 febbraio 2016 quale termine per presentare la propria candidatura per l’azione chiave 1 – Mobilità individuale nel settore dell’istruzione e della formazione, e il 31 marzo 2016 per l’azione chiave 2 – Partenariati strategici nel settore dell’istruzione e della formazione.

Tutte le indicazioni e i materiali sono pubblicati a questa pagina.

Giannini: “Tra nuovo Pon e Buona scuola 19 mld in 7 anni a sistema

da La Tecnica della Scuola

Giannini: “Tra nuovo Pon e Buona scuola 19 mld in 7 anni a sistema

Tre miliardi di euro da spendere in sette anni per le politiche legate all’istruzione a cui si aggiungono i 16 miliardi previsti da ‘La Buona Scuola’

E’ quanto prevede il Programma operativo nazionale (Pon) 2014-2020 “Per la scuola. Competenze e ambienti per l’apprendimento”, presentato oggi al Ministero dell’Istruzione dal ministro Stefania Giannini.

Il 70% dei fondi Pon viene dal Fondo sociale europeo (Fse) ed è quindi destinato all’istruzione e alla formazione; il restante 30% arriva invece dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (Fesr) e sarà dedicato ai miglioramenti infrastrutturali e edili.

Ai fondi potranno accedere tutte le Regioni italiane (una novità rispetto al Pon 2007-2013 rivolto solo a Campania, Sicilia, Calabria e Puglia), anche se i fondi saranno suddivisi per macroaree: 2,1 miliardi alle regioni del Sud (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia), 193 milioni a quelle “in transizione” (Abruzzo, Molise e Sardegna), 714 milioni alle restanti più sviluppate. In totale saranno coinvolte 8.730 scuole, 3 milioni di studenti, 250.000 tra docenti e personale Ata e 200.000 adulti.

“Il nuovo Programma operativo nazionale 2014-2020 sarà l’acceleratore di tutte le politiche educative del nostro Paese. Ai 3 miliardi previsti dal Pon si aggiungono infatti i 16 miliardi previsti dalla legge sulla ‘Buona scuola’: sono 19 miliardi in più in sette anni per fare politiche efficaci e efficienti e per allinearci sempre piu’ alle politiche internazionali. I numeri sono importanti e li dobbiamo assumere come un indicatore di responsabilità politica e amministrativa”, ha detto il ministro, spiegando che “in Italia stiamo adottando la politica OODA, osservare, orientarsi, decidere e agire e con il Pon, oltre all’efficienza amministrativa, puntiamo all’efficacia, con obiettivi chiari e coerenti con quelli della Buona scuola: migliorare l’apprendimento degli studenti e le differenti modalità con cui si insegna, rinforzare le competenze scientifiche e linguistiche, sviluppare le competenze trasversali dei giovani per il lavoro in gruppo, migliorare le strutture edilizie, l’arredamento, gli ambienti delle classi e gli spazi di apprendimento, partecipare alla formazione attiva e permanente, aprire le scuole più a lungo”.

“Un altro punto fondamentale dell’agenda educativa sara’ il Piano nazionale dell’educazione digitale”, che sara’ presentato martedì  prossimo: “Nella legge abbiamo messo 100 milioni l’anno per la digitalizzazione della scuola, che verranno corredati con 1 miliardo di euro in sette anni dai Fondi europei”, ha concluso Giannini.

Solo in Italia gli stipendi bloccati

da La Tecnica della Scuola

Solo in Italia gli stipendi bloccati

Mentre nella maggior parte dei paesi Ue, dopo gli anni della crisi, lo  stipendio dei docenti aumenta, in Italia continua a restare bloccato. E come mai, si dirà? Misteri della politica italiana, immersa negli scandali, nelle tangenti e negli scambi di favore.  Tuttavia il rapporto annuale di Eurydice non ammette di tergiversare, visto che la sua funzione è proprio quella di monitorare i sistemi educativi europei.

Nel 2014/2015, spiega lo studio, la maggior parte dei paesi ha registrato un aumento negli stipendi degli insegnanti rispetto al 2013/2014, citando tra le ragioni principali riforme salariali e aggiustamenti al costo della vita.

Croazia, Slovacchia e Islanda, per esempio, hanno effettuato riforme nel sistema di retribuzione, mentre in Spagna sono aumentati i supplementi eliminati o ridotti negli anni precedenti. In Lussemburgo, Repubblica ceca, Romania e Malta hanno alzato sensibilmente gli stipendi dei dipendenti pubblici, in cui rientrano anche gli insegnanti, al contrario di un’altra decina di Paesi, invece, che li ha aumentati al minimo e sino a un massimo dell’1%, anche se con cambiamenti non significativi. Questi sono Belgio, Irlanda, Francia, Polonia, Finlandia Gran Bretagna e Montenegro. Unica ad avere visto ancora lo scorso anno un taglio agli stipendi dei docenti è la Serbia, paese candidato all’adesione Ue.

Solo sei Paesi, tra cui L’Italia, invece, applicano ancora il congelamento dei salari: Grecia, Cipro, Lituania, Slovenia e Liechtenstein.

Il rapporto contiene numeri poco lusinghieri per la nostra scuola.

Lo stipendio di un insegnante italiano va da un minimo di 23.048 euro lordi nella scuola primaria e dell’infanzia, ad un massimo di 38.902 euro nella secondaria di secondo grado.Tutti compensi che al netto si riducono di circa la metà (difficile superare i 1.800 euro al mese). Soprattutto, compensi che sfigurano al confronto di nazioni come la Spagna dove un insegnante può guadagnare fino a 46.513 euro, o come la Francia che retribuisce fino a 47.185 euro, mentre in Germania addirittura fino a 70mila euro. Eurydice ci colloca nella fascia centrale della classifica degli stipendi: lontanissimi dai miseri 6mila euro dei prof della Bulgaria, ma anche dai 141milaeuro di quelli del Lussemburgo, in testa alla particolare graduatoria.

Da Pon Scuola 3 miliardi per il 2014-2020

da tuttoscuola.com

Da Pon Scuola 3 miliardi per il 2014-2020
Giannini: “Questo nuovo programma sarà l’acceleratore delle politiche educative del Paese”

Oltre 3 miliardi di euro per il potenziamento dell’offerta formativa, il rafforzamento delle competenze degli studenti, l’innovazione degli ambienti di apprendimento (anche in termini di edilizia scolastica) e della didattica. È lo stanziamento previsto dal nuovo Programma Operativo Nazionale (PON) “Per la scuola – Competenze e ambienti per l’apprendimento” per il periodo 2014-2020, presentato ufficialmente questa mattina al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, alla presenza del Ministro Stefania Giannini e di rappresentanti della Commissione Europea.

“Il nuovo PON sarà l’acceleratore delle politiche educative del nostro Paese. Oggi si lancia uno strumento che permetterà ai grandi cambiamenti che abbiamo messo in atto con La Buona Scuola di dispiegarsi in pieno nel territorio”, ha dichiarato il Ministro. “Il Programma 2014-2020 conta su risorse imponenti che dobbiamo assumere come indicatori di responsabilità politica e amministrativa. Abbiamo 3 miliardi di finanziamento, a cui si aggiungono i 16 miliardi previsti dalla Buona Scuola nel prossimo settennio. Sono risorse con cui potremo fare politiche efficaci ed efficienti sulla scuola”, ha aggiunto Giannini. Il nuovo PON “presenta un’importante novità: riguarderà, pur con gradazioni diverse e proporzionali al livello di sviluppo delle regioni, tutto il territorio nazionale. Questo ci consentirà di agire sul Paese nella sua interezza”.

Lo stanziamento previsto (1 miliardo in più rispetto al PON precedente) consentirà di coinvolgere circa 3 milioni di studenti, 200.000 adulti, 250.000 fra docenti e membri del personale della scuola e quasi 9.000 istituti scolastici. Circa 2,2 miliardi sono finanziati dal Fondo Sociale Europeo (FSE) e potranno essere utilizzati per lo sviluppo delle competenze chiave e delle competenze trasversali degli alunni, il potenziamento delle competenze dei docenti e del personale della scuola, l’integrazione degli studenti, l’alternanza scuola-lavoro, l’istruzione degli adulti, l’internazionalizzazione delle scuole.

La parte restante dello stanziamento (circa 800 milioni) è finanziata dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR) e servirà per intervenire sull’edilizia scolastica, sul potenziamento degli ambienti digitali e dei laboratori professionalizzanti, per favorire l’innovazione.

Oltre 2 miliardi andranno alle regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), 193.000.000 alle regioni in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna), 714.000.000 alle regioni più sviluppate (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Val D’Aosta e Veneto, Provincia Autonoma di Bolzano e Provincia Autonoma di Trento) .

L’evento di lancio è stato introdotto e moderato da Sabrina Bono, Capo Dipartimento per la Programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali del Miur. Sono poi intervenuti: Andriana Sukova Tosheva, Direttrice Economia sociale di mercato negli Stati Membri – D.G. Occupazione Commissione Europea -, Vincenzo Donato, Capo Dipartimento per lo Sviluppo e la coesione economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Maria Ludovica Agrò, Direttore dell’Agenzia per la Coesione Territoriale e Vincenzo Caputo, Vicepresidente dei Giovani imprenditori di Confindustria.

Nel corso dell’evento sono stati diffusi materiali, slide e video. E’ inoltre disponibile, da subito per Android e a breve per iOS, l’App “FondiAmo la Scuola” che consente di visualizzare, istituto per istituto, i progetti realizzati nell’ambito della Programmazione 2007-2013 e fornirà le informazioni anche sul PON 2014-2020.