Animazione e apprendimento

Animazione e apprendimento

di Maurizio Tiriticco

 

Com’è noto, con la rivoluzione avviata da Gutemberg, i libri e, più tardi, i libri di testo per le scuole, divennero le più importante forma di divulgazione della cultura e dell’apprendimento scolastico. E nelle scuole la parola scritta era – e lo è tuttora – sostenuta dall’autorevole rinforzo della parola orale, della lectio ex cathedra. Oggi però, con la seconda rivoluzione avviata dalla Information and Communication Technology, rafforzata dalla ricerca e dall’insegnamento di autori quali Steve Jobs – chi non ricorda quell’accorato discorso augurale ai laureati di Stanford del 12 giugno 2005, e quel finale: Stay Hungry! Stay Foolish! – le informazioni non viaggiano più solo sulla carta, ma anche e soprattutto su questa impalpabile ragnatela mondiale del web. Il che significa che le conoscenze, una volta privilegio di pochi, oggi sono alla portata di tutti. E non fruirne è deleterio per ciascuno di noi. La società della conoscenza non perdona: l’obbligo di istruzione è diventato un diritto/dovere e l’apprendere ci accompagna e ci sostiene per tutta la vita. Se non conosci, sei tagliato fuori dalla vita sociale e dalla stessa attività lavorativa. E la scuola ha oggi una responsabilità ben più grande rispetto anche a un non lontano passato.

Una delle questioni più importanti che riguarda la nostra scuola, anzi il nostro “sistema nazionale di istruzione e formazione”, è che questa non riesce ad essere quell’ascensore sociale – come si suol dire – che dovrebbe garantire lo sviluppo civico e culturale dell’intera popolazione. Com’è noto, tutte le ricerche internazionali – anche il rapporto Education at a Glance, edizione 2015 – collocano sempre gli esiti del nostro sistema scolastico agli ultimi posti. Tale situazione non è data dal caso ma, a mio giudizio, da due concause: a) la prima riguarda l’ordinamento generale – i gradi e gli ordini – che sono quelli di sempre, una sorta di spezzatino verticale e orizzontale che non facilita quel rinnovamento strutturale finalizzato alla certificazione di quelle competenze di cui tanto si parla, ma che costituiscono ancora una sorta di araba fenice; b) la seconda riguarda il metodo di insegnamento, che in larga misura ancora su fonda sulla lezione cattedratica.

Per quanto riguarda la variabile a), la questione è politica [1]; ma, per quanto riguarda la variabile b), la questione riguarda quel concreto “comportamento insegnante”, su cui esistono numerosi studi [2], ma scarsissime applicazioni. In effetti, non solo in tutte le nostre scuole è ancora largamente dominante la lezione frontale – la cattedra, i banchi, i tempi rigidi e a tutti comuni la sostengono e la veicolano – ma è attivo anche un comportamento non verbale non controllato e non consapevole dell’insegnante, che spesso condiziona molto di più di quello verbale. Questa è la questione più capziosa. E si tratta di un condizionamento di cui, invece, occorre prendere atto e procedere per studiarlo ed eliminarne gli effetti negativi [3].

Per tutta questa serie di ragioni, ormai da più parti – e soprattutto anche dalle Indicazioni nazionali per il primo ciclo e per i licei e dalle Linee guida per gli istituti tecnici e professionali – emerge la cosiddetta didattica laboratoriale. E’ opportuno ricordare che, con questa espressione, non è chiamato in causa il laboratorio fisico attrezzato che, com’è noto, offre quegli oggetti e quei mezzi concreti che a volte contano molto più delle parole, ma il concreto agire dell’insegnante, responsabile dell’azione educativa. Di qui discende la felice metafora dell’insegnante “muto”, o meglio dell’insegnante che rinuncia alla spiegazione diretta – non dispiega il suo sapere su un dato oggetto/referente (la funzione referenziale di Jakobson) – ma sollecita gli alunni a ricercare, a fare e a dire; che pone problemi, invece di offrire soluzioni (la funzione conativa di Jakobson); quindi, dell’insegnante che “scende dalla cattedra” e “vi fa salire gli alunni”; dell’insegnante che “non sa”, ma che “stimola” a costruire saperi altrui attraverso la sollecitazione del fare.

Ne discende un insegnante che non spiega le guerre puniche, o il pessimismo leopardiano o l’area del rettangolo; ma un insegnante che stimola, incuriosisce, sfida, aiuta nella ricerca, suggerisce un metodo nella raccolta e nella selezione dei materiali e nella composizione di un nuovo manufatto. Le guerre puniche non sono quelle dei mille manuali di storia o delle mille informazioni trovate sul web, ma quelle scritte da quel gruppo di alunni con cui è stato concordato il compito. E, se dovessimo rifare il pavimento della nostra aula, quante mattonelle servirebbero alla bisogna? Prima viene il “bisogno”, poi si scopre come calcolare l’area del rettangolo: e non il contrario, come da sempre avviene. La didattica laboratoriale pone al centro l’alunno, le cose e il fare: per certi versi ci riconduce all’attivismo di un tempo [4].

Di qui nascono la figura e il ruolo dell’insegnante cosiddetto animatore, che si coniuga con quella dell’insegnante cosiddetto programmatore. Sulla programmazione sappiamo tutto e abbiamo scritto tonnellate di libri [5]; ma sull’animazione abbiamo scritto ben poco [6]. Mi tornano in mente quei Saggi per la mano sinistra di Jerome Bruner, pubblicati per la prima volta a Cambridge nel lontano 1964. Sintetizzo il volume. Il nostro cervello è diviso in due emisferi: con quello sinistro elaboriamo operazioni matematiche e il linguaggio logico (soggetto, predicato e complementi); l’emisfero destro, invece, è quello delle emozioni, dei sentimenti, delle intuizioni, della poesia, dell’arte. Si sottolinea che con il sinistro elaboriamo operazioni a tutti comuni e condivise (due più due fa quattro: Leopardi ha scritto L’Infinito; la prima guerra mondiale è scoppiata nel 1914, ecc: si tratta di dati oggettivi e da tutti condivisi); con il destro elaboriamo giudizi, emozioni, intuizioni, attese assolutamente personali (Dante fino a tutta l’età dei lumi è stato considerato un poeta oscuro; quel film che è piaciuto a te, a me non è piaciuto affatto, ecc.). Il cervello destro agisce sulla mano sinistra e viceversa. Quindi, con i saggi per la mano sinistra Bruner volle sostenere che l’apprendimento non è solo quello logico-matematico, ma anche quello intuitivo ed emotivo. Un tema pieno di errori (emisfero sinistro, mano destra), può essere, comunque, ricco di idee e di personalissime emozioni (emisfero destro, mano sinistra). Sollecitare gli insegnanti a tenere nel debito conto le operazioni della cosiddetta mano sinistra fu, quindi, una felice intuizione di Bruner.

Con la didattica laboratoriale, quindi, non si spiega e non si ascolta, ma si sollecita il fare, l’imparare, quell’imparare della etimologia latina, il raccogliere, il predisporre, l’apprestare, riferito a cose concrete più che a pensieri astratti. L’insegnante, quindi, lavora più con la mano sinistra che con la mano destra. L’alunno diviene protagonista del suo apprendimento attraverso il ricercare, il trovare materiali, raccogliere appunti anche, il predisporre testi e oggetti concreti, risolvere problemi anche con procedure originali e creative. In concreto, potremmo dire che i ruoli routinari di sempre, “spiegazione, compito, interrogazione, voto”, sono stravolti: non si insegna e non si impara, ma si lavora insieme (il metodo cooperativo, la peer education). L’insegnante, quindi, diviene la guida esperta del cammino che chi apprende deve percorrere.

Mi piace concludere con quanto ci suggerisce Dario Nicoli, dell’Università di Brescia, quando individua sette regole per condurre una didattica laboratoriale: 1. Non premettere le lezioni, ma fornire compiti ragionevolmente più alti dei livelli di partenza degli alunni; 2. Finalizzare il lavoro a prodotti reali riferiti a destinatari concreti che li possano apprezzare; 3. Definire un piano di lavoro incalzante che non lasci tempi vuoti; 4. Alternare il lavoro di gruppo al lavoro individuale; 5. Inserirsi per incoraggiare, indirizzare e rispondere a specifiche domande; 6. Rispondere alle richieste di sapere, fornire lezioni puntuali, ordinare e sedimentare il materiale mobilitato per mezzo delle discipline; 7. Valutare tramite prodotti, processi e linguaggi.

Sono indicazioni che stravolgono quanto avviene ogni giorno nelle nostra aule: ma sono indicazioni che occorre perseguire e realizzare, se si vuole che il frequentare la scuola non sia un pedaggio obbligatorio da pagare a uno Stato padrone, ma una felice e produttiva crescita, in cui l’apprendere venga prima dell’insegnare! Solo così la scuola non è un’imposizione, ma una felice occasione di ricerca quotidiana e di scoperta! Per la vita!


 

[1] In altri scritti ho sostenuto che la legge 107/2015 non mette in discussione proprio il nodo essenziale di un riordino dei cicli per perseguire, invece, finalità e obiettivi che rischiano di rompere quei principi di eguaglianza e di equità delle opportunità educative, istruttive e formative sanciti dalla Costituzione repubblicana. In effetti con tale legge si rischia di costruisce un sistema di istruzione “altro”, che condurrà alla concorrenza tra scuole e scuole e alla differenziazione tra scuole “buone” e scuole “cattive”.

[2] Si vedano almeno i classici: il belga Gilbert Leopold De Landsheere scrisse Les comportements non-verbaux de l’enseignant, in collaborazione con A. Delchambre, nel 1979; Graziella Ballanti si è occupata sperimentalmente dei metodi adottati in genere in aula dai nostri insegnanti. Si veda il suo Il comportamento insegnante, Armando, Roma, 1996.

[3] Anche la prossemica e la cronemica – e non solo i riferimenti di cui alla nota 2 – quindi, grosso modo, le distanze interpersonali e i ritmi delle interazioni verbali, ci aiutano a comprendere quanto il “non verbale” sia più producente, in positivo come in negativo, del comportamento verbale, che in genere è sempre sotto il controllo di chi lo agisce. Forse siamo maestri della parola, ma non del “non detto”.

[4] Mi piace suggerire un recente volume di Alain Goussot, dell’Ateneo bolognese: L’educazione nuova per una scuola inclusiva, edizioni del Rosone, Foggia, 2014. Si tratta di una ricerca sulla cosiddetta Scuola Nuova, della fine dell’800, di cui furono rappresentanti Adolphe Ferrière, Edouard Claparède, Roger Cousinet, autori legati al primo attivismo pedagogico. La centralità dell’alunno come protagonista attivo del suo apprendimento sembra tornare di attualità con l’adozione della cosiddetta didattica laboratoriale.

[5] Si rinvia ad autori ormai “classici” come Mario Castoldi, Mario Comoglio, Gaetano Domenici, Roberto Maragliano, Michele Pellerey, Benedetto Vertecchi.

[6] Mi piace ricordare il mio Programmazione come animazione, pubblicato da Tecnodid, Napoli, nel lontano 1986.

Scandalo pensioni integrative dirigenti sindacali

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Dott. Matteo RENZI
E, p.c.
 Al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali
On. Giuliano Poletti
 Al Presidente dell’INPS
Dott. Tito BOERI
 Al Procuratore Generale della Corte dei Conti
Dott. Martino COLELLA
 Al Comandante Generale Guardia di Finanza
Gen. Saverio CAPOLUPO
 Alle Procure Regionali della Corte dei Conti
 Alle Associazioni di Consumatori e Utenti
 Alle AGENZIE DI STAMPA
 Ai QUOTIDIANI
 Ai Direttori delle Reti RAI
 Ai Direttori Mediaset Canele 5, Rete 4, Italia 1 e La 7
LORO SEDI
Trasmissione a mezzo P.E.C. o MAIL

Oggetto: scandalo pensioni integrative dirigenti sindacali

Signor Presidente,
lunedì 23 u.s., come tanti italiani ho assistito, disgustato e indignato, alla trasmissione delle Jene
sull’emittente Italia 1, inerente lo scandalo delle pensioni d’oro dei dirigenti dello Snals.
Dall’intervista al comandante è emerso che, la Guardia di Finanza di Brescia, ha proceduto
ad effettuare indagini, perquisizioni e notifica di avvisi di garanzia per 10 appartenenti allo
SNALS/Confsal di Brescia e della segreteria nazionale di Roma, a seguito delle denunce mandate in
onda, sempre dalle Jene, nei servizi del 17 settembre e 1 ottobre 2014, ipotizzando i reati di truffa
aggravata ai danni dello Stato, appropriazione indebita e altri reati posti a carico di sindacalisti, o
presunti tali.
Stando al servizio i 10 sindacalisti, avvalendosi della legge 564/96, nota come legge Treu, e
allo scopo di trarre profitti personali, avevano escogitato un sistema fraudolento per assicurarsi
una consistente pensione integrativa a spese dell’INPS o meglio del contribuente italiano. La solita
furbata alla italiana consentita e favorita dalla legge, nel caso che ci occupa, per i dirigenti
sindacali.
Semplice il sistema: il sindacato assume o fa finta di assumere dei dirigenti anche per pochi
mesi, i neo dirigenti versano al sindacato, alcuni addirittura per un solo mese, ingenti somme di
danaro, il sindacato, con “partita di giro” in nero, ossia utilizzando i soldi versati dagli stessi
interessati, corrisponde un finto stipendio e versa i relativi contributi e, grazie alla legge Treu,
appositamente studiata e approvata dal Parlamento, i “fortunati” finti dirigenti percepiscono a
vita una consistente pensione.
Se poi, come nello scandaloso caso del Segretario della CISL Bonanni e di altri dirigenti dello
stesso sindacato, oltre che nello SNALS, viene aumentato notevolmente l’ultimo stipendio,
essendo calcolata con il sistema retributivo la pensione è d’oro massiccio!
La Guardia di Finanza di Brescia ha accertato che detti versamenti, effettuati a favore del
sindacato rappresentavano presunte retribuzioni percepite in assenza di qualsivoglia contratto di
prestazione lavorativa, ma che erano necessarie per costituire una pensione integrativa non
spettante anche ai famigliari dei sedicenti dirigenti sindacali.
Dalle dichiarazioni rese in diretta dal Colonnello della Guardia di Finanza di Brescia,
emergeva propria questa paradossale situazione: i “lavoratori”, ancorché ricevere una retribuzione
per un lavoro svolto, retribuivano il loro datore di lavoro, al fine di consentire al sindacato la
costituzione di pensioni integrative truffaldine.
Se non fosse per la “partita di giro”, ossia se il sindacato nominasse veramente i fortunati
dirigenti, li retribuisse e versasse regolarmente i contributi, anche per pochi mesi, tutto sarebbe
regolare: lo prevede la legge frutto di compromessi tra le parti per assicurare alla miriade di
dirigenti sindacali, pensioni d’oro a spese dei cittadini italiani. Un’autentica vergogna! In tal caso
la prima truffa si concretizzerebbe nei confronti dei soci per l’uso distorto delle quote
associative e tutto sarebbe anche legale!
Nel corso della trasmissione delle Jene, per espresse dichiarazioni rese dalla Guardia di
Finanza, si è appreso che se non fosse intervenuta l’inchiesta, la, per ora, presunta truffa ai danni
dello Stato, avrebbe comportato un danno all’Erario quantificabile in circa 2 milioni di euro, oltre a
ingenti somme di danaro sottratte agli iscritti dell’anzidetta organizzazione sindacale.
Si è anche detto, e non solo dai giornalisti, che il fenomeno non è circoscritto alla sola
provincia di Brescia o alla sola Organizzazione Sindacale SNALS/Confsal, ma assume proporzioni
diffuse su tutto il territorio nazionale, ivi compresa Roma, con un possibile riverbero anche su
altre sigle sindacali, atteso che, sempre stando alle dichiarazioni fatte in trasmissione, l’ex
dirigente sindacale intervistato, ha dichiarato che solo lui era a conoscenza di circa mille casi!
E’ recente il citato scandalo della CISL, della pensione d’oro di Bonanni e degli altri dirigenti
della stessa O.S.
Signor Presidente in un momento in cui si ipotizza perfino un taglio alle pensioni per coloro
che sono già in quiescenza dopo anni di blocco delle stesse; in un Paese nel quale circa un milione
di persone percepisce una pensione sotto i mille euro e lo Stato non è in grado di assicurare una
pensione neanche di miseria ai futuri pensionati, centinaia o migliaia di sedicenti sindacalisti
percepiscono, al pari dei parlamentari, una pensione d’oro o un vitalizio, vita natural durante, con
conseguente erosione delle risorse per far fronte al pagamento delle pensioni spettanti a chi ha
versato regolarmente i contributi per una vita intera. Queste vergogne non possono essere
tollerate e suonano come offesa al popolo italiano.
Un semplice calcolo ci porta ad una conclusione da brividi. Se solo 7 pratiche determinano
un danno di 2 milioni di euro, nell’ipotesi enunciata di un malcostume diffuso sull’intero
territorio nazionale, a quanto ammonterà il danno erariale complessivo?
Siamo dell’idea che la rimozione radicale di questa “zavorra” possa rappresentare la
soluzione per tranquillizzare il Presidente dell’INPS Tito Boero, che non perde occasione per
suggerire al Suo Governo un prelievo forzoso a carico dei poveri pensionati, che hanno lavorato e
versato regolarmente i contributi per una vita.
Una simile vicenda, come tante altre analoghe, non può essere tollerata e non deve finire
nel dimenticatoio.
Signor Presidente, una riforma del lavoro e un ammodernamento dell’apparato dello Stato da
Lei postulato, passa necessariamente attraverso l’ ammodernamento di un Sindacato che tutela i
propri iscritti, che sia al servizio degli stessi e non che utilizzi le quote associative per assicurarsi
pensioni d’oro e vitalizi, grazie ad una legge dello Stato che non doveva essere approvata e che ora
va immediatamente abolita.
Invece di procedere ad eventuali annunciati tagli sulle pensioni esistenti, lo Stato ha il
dovere, etico e morale, prima che istituzionale, di condannare i colpevoli e recuperare tutte le
somme sottratte all’erario da chiunque ha percepito e continua a percepire pensioni truffa e non
mi riferisco ai soli dirigenti delle OO.SS. tra i quali ci sono, comunque, persone corrette che non
meritano di essere infangate per colpa di un manipoli di delinquenti.
Da uno studio operato da parte degli esperti e dell’ Ufficio Legale della DIRIGENTISCUOLA è
emersa la difficoltà di bloccare eventuali pensioni integrative truffaldine già erogate per effetto
della legge Treu, per cui, sommessamente, ci permettiamo di suggerirLe l’approvazione di una
legge interpretativa della 564, determinando che dette pensioni integrative, anche in maniera
retroattiva, siano ri- calcolate e riliquidate con il sistema contributivo al posto del retributivo!
Almeno il danno erariale sarà notevolmente ridotto al pari della beffa al Popolo Italiano!
La DIRIGENTISCUOLA, che mi onoro di rappresentare, confida in Lei, nella Guardia di
Finanza, nella Corte dei Conti e nell’INPS per far emergere tutte le operazioni truffaldine che
danneggiano lo Stato, i poveri pensionati che hanno lavorato onestamente, e, infine, offuscano
l’immagine di quanti nel sindacato lavorano con spirito di servizio, onorando i principi
Costituzionali che hanno previsto l’esistenza delle OO.SS., facendo di ogni erba un fascio.
Dirigentiscuola respinge tale assunto di manzoniana memoria, ritenendo che coloro che,
anche se appartenente ai vertici sindacali, si sono macchiati di infamia, debbano essere
smascherati, costringendoli alla restituzione del “malloppo” acquisito con la truffa, restituendo
così dignità a quei sindacati e ai tanti sindacalisti che hanno lavorato e lavorano con serietà e
lealtà senza appropriarsi dei soldi degli associati e, tanto meno, garantirsi laute pensioni truffa,
alle spalle dei loro associati che versano con sacrificio le quote sindacali per essere tutelati.
DIRIGENTISCUOLA rivolge un grazie sentito e sincero al corpo della Guardia di Finanza che,
senza fare sconti a nessuno, sta portando avanti un’indagine difficile e irta di ostacoli di ogni
genere, facendo onore al nostro Paese e alla divisa che indossa. Grazie!
DIERIGENTISCUOLA ringrazia vivamente la redazione giornalistica delle Jene per aver avuto il
coraggio di far emergere situazioni di malcostume nell’area dei colletti bianchi, sollecitando nel
contempo tutte le testate giornalistiche e televisive a dare spazio a queste vicende, per
tranquillizzare i cittadini che non ci sono “intoccabili” da tutelare.
Tutti sapevano, in tanti ne beneficiavano e ci sono volute del Jene per gridare allo scandalo.
Perché nessuno ha reagito? Dobbiamo pensare che ci sono scheletri in tutte le OO.SS. e che, di
conseguenza non ci si può indignare? Se così non è invito tutti i vertici delle OO.SS. a
manifestare il loro dissenso e la loro indignazione facendo propria la presente denuncia.
Ovvio chiedersi il perché, pur sapendo, in tanti erano silenti e/o compiacenti e non mi riferisco
solo ai “beneficiati”! Perché tanta complicità e tanta omertà? E perché il Parlamento nel 1996 ha
approvato una legge che autorizzava la truffa che dura di circa venti anni? Dobbiamo parlare di
rapporto Stato-Sindacati? Come fanno i cittadini onesti e, nella fattispecie, i tanti sindacalisti
onesti e corretti, ad avere fiducia nelle istituzioni? E’ il caso di ricordare che lo scandalo è stato
denunciato da alcuni sindacalisti onesti che, però, sono stati costretti a ricorrere alla stampa, alle
Jene piuttosto che alle istituzioni.
Anche i soci fondatori della DIRIGENTISCUOLA hanno reagito costituendo una nuova O.S. per
offrire una alternativa ai dirigenti scolastici delusi e maltrattati oltre che scippati e mal tutelati.
Signor Presidente, confido in Lei, nel suo Governo e nell’azione delle autorità in indirizzo
perché venga fatta giustizia anche per recuperare la fiducia nelle Istituzioni e nelle OO.SS. oneste.
Come uomo di scuola, prima ancora che come sindacalista, e in nome delle centinaia di
dirigenti scolastici che rappresento, La invito a lanciare un segnale forte e chiaro ai giovani, agli
scettici, ai disgustati e agli sfiduciati: “la Politica lotta contro il malcostume, le connivenze, le
omertà … in tutte le sue forme ed estirpa la mala pianta della corruzione rappresentata nelle
sue molteplici facce dovunque essa si annida”
I Dirigenti Scolastici confidano nel Governo e negli Organi dello Stato protesi al recupero
della fiducia nelle istituzioni e ad assicurare certezza di tutela a tutti i cittadini della Repubblica.
Ringrazio per l’attenzione e colgo l’occasione per distintamente salutare Lei, i rappresentanti
delle istituzioni e della stampa ai quali la presente viene inviata per conoscenza con l’auspicio che
ognuno faccia la propria parte senza fare sconti a nessuno.

Distinti saluti.
Il Segretario Generale Dirigentiscuola e Segretario Generale aggiunto Confedir

Lo studente autistico ha diritto al sostegno pieno

da Il Sole 24 Ore

Lo studente autistico ha diritto al sostegno pieno

di Andrea Alberto Moramarco

Allo studente che soffre di «disturbo dello spettro autistico» deve essere garantito il sostegno con rapporto 1 a 1, in considerazione della gravità di tale malattia, salvo l’indicazione rigorosa delle ragioni per le quali il dirigente scolastico ritenga non necessario assicurare un sostegno pieno. Questo è quanto emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato 5431/2015.

Il caso
La disputa trae origine dal provvedimento del preside di un istituto scolastico omnicomprensivo con cui venivano assegnate ad un alunno frequentante la quinta classe elementare, per l’anno 2012-2013, 11 ore settimanali di sostegno, rispetto alle 24 previste per l’anno precedente. Tale riduzione era bilanciata dall’affiancamento di una operatrice Asl per le ore restanti.
I genitori dell’alunno impugnavano però tale provvedimento chiedendo l’assegnazione del sostegno in rapporto 1 a 1. Il giudice di primo grado aveva però ritenuto che in relazione alla gravità della malattia il piano di 11 ore di sostegno più le 13 di affiancamento fossero congrue. I genitori ricorrevano però in appello ribadendo che il «disturbo dello spettro autistico» di cui soffre il loro figlio necessita di un sostegno pieno.

Le motivazioni
Il Consiglio di Stato dà ragione ai genitori e coglie l’occasione per ribadire alcuni principi già più volte espressi. Per i giudici amministrativi, infatti, «il diritto all’istruzione del minore portatore di handicap ha rango di diritto fondamentale, che va rispettato con rigore ed effettività – e tale diritto – assume natura sia sociale sia individuale, con la conseguente necessità, con riferimento ai portatori di handicap, di assicurarne la piena attuazione attraverso la predisposizione di adeguate misure di integrazione e di sostegno». Ciò posto, nel caso di specie, il minore è affetto da un «disturbo dello spettro autistico» che fa sì che lo studente sia «invalido con totale e permanente inabilità lavorativa e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita». Per tale motivo, il dirigente avrebbe dovuto perlomeno indicare in maniera rigorosa le ragioni per le quali riteneva non necessario assicurare un sostegno pieno al ragazzo.

I sostituti finiscono in organico

da ItaliaOggi

I sostituti finiscono in organico

I dirigenti scolastici dovranno considerare anche i docenti necessari per le supplenze brevi

Carlo Forte

Per comporre l’organico dell’autonomia, i dirigenti scolastici dovranno considerare anche i docenti necessari per svolgere le supplenze brevi. È questa la novità più importante contenuta in una circolare emanata dal ministero dell’istruzione l’11 dicembre scorso (2805). Dunque, la separazione tra organico di diritto e organico di fatto va in soffitta. E al suo posto arriva l’organico dell’autonomia. Che sarà composto dalla somma del numero dei docenti necessari per lo svolgimento attività curriculari ordinarie (posti comuni e sostegno), delle attività di potenziamento e delle supplenze brevi.

La quantificazione delle ore necessarie alle supplenze brevi dovrà essere stimata sulla base della media delle ore di supplenza effettivamente svolte nell’istituzionale scolastica di riferimento. Media che dovrà essere calcolata sommando le ore di supplenza degli ultimi anni e dividendola per il numero degli anni considerati. A detta dell’amministrazione centrale, l’organico dell’autonomia, funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali, diventerà uno strumento ineludibile per garantire l’attuazione del curricolo di scuola. Anche grazie all’utilizzo delle quote di autonomia e degli spazi di flessibilità. Secondo le intenzioni del ministero, ciò dovrebbe consentire di cominciare a superare progressivamente la tradizionale divaricazione tra organico di diritto e organico di fatto che ha caratterizzato in questi anni la gestione del personale docente. In buona sostanza, dunque, a regime, il numero dei docenti di cui si compone ogni scuola dovrebbe essere identico sia nella fase previsionale (organico di diritto) che alla ripresa dell’anno scolastico (1° settembre).

E ciò dovrebbe avvenire attraverso una programmazione triennale del fabbisogno, che dovrebbe consentire alle scuole di compensare eventuali «buchi» di organico tramite una maggiore flessibilità dei criteri di assegnazione dei docenti alle classi. Uno degli strumenti per operare in tal senso dovrebbe essere il nuovo sistema della chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici. Che dovrebbe essere attuato già all’esito del piano straordinario di assunzione. I docenti che sono stati assunti nella fase B e nella fase C, infatti, saranno fatti oggetto di proposte di incarico triennale da parte dei dirigenti dell’ambito territoriale nel quale saranno inseriti.

L’amministrazione centrale si è riservata di emanare un decreto interministeriale sugli organici, con il quale saranno impartite ulteriori disposizioni agli uffici scolastici territoriali.. In quella sede dovrebbero essere individuati i criteri per coniugare le esigenze manifestate dalle istituzioni scolastiche, tramite l’emanazione dei piano triennali dell’offerta formativa, e la reale disponibilità di docenti. Fermo restando che, la previsione dei fabbisogni nell’ambito del piano triennale, considerati i limiti di organico verificati dall’amministrazione, dovrà essere effettuata globalmente. E cioè, garantendo la copertura delle ore di insegnamento previste nel curricolo di scuola, tenendo conto anche delle esigenze per la copertura delle supplenze brevi (previsione questa basata sulle serie storiche di scuola) «ma soprattutto delle attività progettuali e delle possibili scelte di lavorare su classi aperte e gruppi di livello».

In pratica, i dirigenti scolastici dovranno preoccuparsi di «chiamare» non solo i docenti necessari a coprire le cattedre delle discipline curriculari, ma anche gli insegnanti che dovranno essere utilizzati per la realizzazione delle attività di miglioramento dell’offerta formativa. E in ogni caso, le supplenze brevi dovranno essere effettuate da docenti interni. Pertanto, i dirigenti scolastici, all’atto della «chiamata» dovranno tenere conto che una certa percentuale di ore di insegnamento dovrà essere distratta dalle attività di potenziamento per fare fronte alle necessità.

Tale percentuale, secondo l’avviso dell’amministrazione centrale, dovrà essere individuata desumendola dalla serie storica delle ore di supplenza breve verificatesi nel corso degli anni nella scuola di riferimento. Ciò vuol dire che, necessariamente, il monte ore complessivo delle ore dell’organico di potenziamento, dal quale trarre il numero e la tipologia dei docenti da assegnare alle attività aggiuntive, dovrà risultare dalla somma delle ore necessarie a realizzare le attività di potenziamento in senso stretto e le ore di supplenza breve necessarie a garantire lo svolgimento dell’attività istituzionale ordinaria.

Legge di Stabilità, più soldi a luoghi di cultura e accademie non statali di belle arti

da La Tecnica della Scuola

Legge di Stabilità, più soldi a luoghi di cultura e accademie non statali di belle arti

Ci sono anche scuole e luoghi di cultura convolte nei micro-interventi che la commissione Bilancio di Montecitorio ha approvato come modifiche alla legge di Stabilità.

Un milione di euro è stato destinato alle scuole italiane non statali paritarie all’estero. Sale di 4 milioni l’anno a decorrere dal 2016 la spesa per le accademie non statali di belle arti.

Un contributo straordinario da 1 milione l’anno dal 2016 al 2018 viene concesso alla fondazione Ebri per gli studi sul cervello fondata da Rita Levi Montalcini.  E 100mila euro l’anno per 3 anni andranno, invece, alla società Dante Alighieri e 250mila per l’Accademia nazionale dei Lincei.

Altri 70mila euro sono stati stanziati per il museo della civiltà istriano-fiumano dalmata, mentre 500mila euro ciascuno sono stati indirizzati all’istituto Suor Orsola Benincasa e alla fondazione Pagliara di Napoli ma anche al museo Maxxi.

Cadono i tagli già previsti a Matera: alla capitale europea della cultura, andranno oltre a 5 milioni l’anno per 4 anni per il completamento del restauro dei sassi. Sono solo le ultime di una pioggia di. Tra le misure specifiche, anche 5 milioni l’anno per due anni per la bonifica della Valle del Sacco e 20 milioni alla Sicilia il prossimo anno per garantire i collegamenti aerei.

Nel modello 730/2016 arriva lo “school bonus”

da La Tecnica della Scuola

Nel modello 730/2016 arriva lo “school bonus”

L.L.

Sul sito dell’Agenzia delle Entrate sono disponibili le bozze del modello 730/2016 e della Certificazione unica (modello ordinario e sintetico).

Per la CU ci sono anche le istruzioni: per il periodo d’imposta 2015, i sostituti devono trasmettere in via telematica all’Agenzia delle Entrate, entro il 7 marzo 2016, le certificazioni relative ai reddito da lavoro dipendente, autonomo e redditi diversi, già rilasciate entro il 28 febbraio 2016.

Invece, tra le principali novità del modello 730, fa la sua comparsa per la prima volta lo school bonus, ossia il credito d’imposta, previsto per le erogazioni liberali in denaro a favore degli istituti del sistema nazionale di istruzione, con lo scopo di promuovere investimenti, realizzare nuove strutture scolastiche, procedere con la manutenzione e il potenziamento di quelle esistenti e a sostegno di interventi che migliorino l’occupabilità degli studenti (articolo 1, comma 145, della legge 107/2015). Il credito è pari al 65% della somma versata.

Mobilità: uno, nessuno o due contratti

da La Tecnica della Scuola

Mobilità: uno, nessuno o due contratti

La questione del contratto sulla mobilità si complica di ora in ora.  Secondo gli ultimissimi rumors non si esclude un contratto per gli Ata e uno per i docenti.

L’idea di due contratti diversi sulla mobilità inizia a farsi strada fra i sindacati del comparto scuola che, in attesa di essere convocati dal Ministro, hanno già programmato per i prossimi giorni un incontro fra i vertici delle 5 organizzazionei rappresentative.
L’incontro servirà a decidere se proseguire la trattativa con il Miur o se abbandonare definitivamente il tavolo di contrattazione.
Flc e Glida sembrano intenzionati ad abbandonare mentre Cisl, Uil e Snals sarebbero su una posizione più morbida.
Una possibile mediazione potrebbe essere quella di lasciare al Miur la responsabilità di adottare un atto unilaterale per regolare la mobilità dei docenti e di sottoscrivere il contratto solo per il personale Ata.
Difficile prevede se alla fine prevarranno i falchi o le colombe anche perchè entrambe le soluzioni presentano pro e contro. E’ evidente infatti che la firma del contratto sancirebbe nei fatti l’accettazione da parte sindacale della logica degli albi territoriali e quindi della chiamata da parte dei dirigenti scolastici.
Ma è anche vero che la mancata firma lascerebbe nelle mani del Ministero ogni decisione in merito alla mobilità del personale Ata (150mila persone in tutto).
Portare a termine la trattativa potrebbe poi significare garantire qualche tutela a particolari categorie di personale che farebbe invece fatica a capire la scelta dei sindacati di lasciar decidere tutto al Miur.
E’ anche facile prevedere che l’eventuale firma da parte dei sindacati del comparto darebbe nuovamente fiato ai sindacati di base reduci dala sciopero del 13 novembre che non è stato particolarmente partecipato.

Quali requisiti per andare in pensione dal 1° settembre 2016?

da La Tecnica della Scuola

Quali requisiti per andare in pensione dal 1° settembre 2016?

L.L.

Di norma, in questo periodo, il Miur emana tutti gli anni il decreto ministeriale concernente le cessazioni dal servizio dall’anno scolastico successivo. In particolare, il D.M. determinerà il termine entro il quale il personale docente, educativo ed Ata dovrà presentare domanda per poter andare in pensione dal 1° settembre 2016.

L’anno scorso il decreto riportava la data del 1° dicembre 2014 e il termine per la presentazione delle istanze è stato fissato al 15 gennaio 2015.

Ad oggi il decreto non è ancora stato emanato, il che farebbe supporre che la scadenza per trasmettere le domande sarà posticipata rispetto a quella dell’anno scorso.

Con molta probabilità il ritardo del Ministero potrebbe essere legato all’iter della legge di Stabilità e alle possibili modifiche previdenziali in essa contenute, sebbene dalle ultime notizie non risulterebbero modifiche sostanziali alla Legge Fornero per quanto riguarda l’accesso al trattamento pensionistico.

Quindi, se le cose dovessero restare immutate, varrebbero le vigenti regole, per cui i requisiti per andare in pensione restano quelli recentemente riepilogati dall’Ufficio scolastico di Torino, vale a dire:

Limiti di età (pensione di vecchiaia)

  • D’ufficio età 65 anni (uomini e donne) nati tra il 1/9/1950 e il 31/8/1951, se in possesso dei requisiti della previgente normativa al 31/12/2011 (quota 96: 60 anni età+36 contributi/ 61 anni età+35 contributi – 40 anni contributi – donne con 61 anni età e 20 anni contributi o 15 se in possesso di contributi ante 1993).
  • A domanda età 65 anni: (uomini e donne) nati tra il 1/9/1951 ed il 31/12/1951 (quota 96: 60 anni età+36 contributi/ 61 anni età+35 contributi – 40 anni contributi).

Limiti di età (pensione di vecchiaia) per chi non ha maturato alcun requisito al 31/12/2011

  • D’ufficio età 66 anni e 7 mesi entro il 31/08/2016 e 20 anni contributi
  • A domanda età 66 anni e 7 mesi entro il 31/12/2016 e 20 anni contributi

Pensione anticipata

  • Uomini: 42 anni e 10 mesi entro il 31/12/2016 indipendentemente dall’età anagrafica
  • Donne: 41 anni e 10 mesi entro il 31/12/2016 indipendentemente dall’età anagrafica

Opzione donna:

  • l’INPS ha precisato che le lavoratrici che abbiamo maturato i requisiti di 57 anni e 3 mesi + 35 anni di contributi entro il 31/12/2014, e non siano cessate, potranno esercitare tale opzione anche successivamente a tale data.

Come sempre, entro il medesimo termine fissato dal D.M., il personale potrà avanzare richiesta per la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time con contestuale riconoscimento del trattamento di pensione o la domanda di trattenimento in servizio fino al raggiungimento del minimo contributivo (20 anni) e comunque non oltre il settantesimo anno di età.

Concorso per dirigenti scolastici, i vincitori saranno formati dal Miur

da La Tecnica della Scuola

Concorso per dirigenti scolastici, i vincitori saranno formati dal Miur

La Tecnica della Scuola lo aveva annunciato nei giorni scorsi, ora è ufficiale: i vincitori del concorso per nuovi presidi saranno formati dal Miur.

Con l’approvazione della Legge di Stabilità 2016, la Scuola nazionale dell’amministrazione pubblica, ovvero la Sna, perderà questa competenza. A confermarlo è stato, il 15 dicembre, il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone.

Il rappresentante di Governo, tra i più vicini all’area Renzi, ha infatti scritto che la Legge di Stabilità, ormai al rush finale, contiene tante misure sull’istruzione già approvate al Senato e altre approvate oggi alla Camera “per dare risorse e prospettive al nostro sistema di educazione e formazione”.

Tra le novità in arrivo ve ne sono anche per il “mondo della scuola: vengono ‘congelati’ i posti dei dirigenti tecnici di seconda fascia, mentre la gestione del concorso per dirigenti scolastici passa dalla Scuola nazionale dell’amministrazione al Miur”, ha spiegato Faraone.

E ancora: “non vogliamo un sistema d’istruzione a compartimenti stagni sul quale intervenire in maniera sporadica ed esclusiva. Scuola, università e ricerca sono tre pilastri dello sviluppo del nostro Paese. Lavoriamo in maniera sinergica e continua e con una visione globale e di prospettiva per sostenerli e potenziarli sempre di più”.

Faraone cita, tra le misure già approvate, “i 10 milioni per l’acquisto dei libri di testo, i 25 per le paritarie, fondi per le assunzioni di 500 professori universitari e 1.200 ricercatori”. “Diritto allo studio: al Senato – spiega – parlavamo di 5 milioni destinati a questo capitolo, alla Camera diventano 55. Cinquantacinque milioni grazie ai quali i ragazzi saranno sostenuti nelle loro scelte, qualsiasi sia la loro provenienza o qualsiasi sia la loro situazione economica di partenza. Più fondi alle università per il loro funzionamento, 6 milioni di euro nel 2016, 10 nel 2017. E per “i cervelli di ritorno” che rientrano nel nostro Paese entro la fine di quest’anno prorogato fino al 2017 il regime fiscale agevolato”.

“Più fondi – conclude Faraone – anche alle accademie civiche e storiche, dal 2016 4 milioni all’anno a regime, nuove risorse stabili che consentiranno programmazione e qualità della didattica”.

Sicilia, in arrivo 129 milioni di euro per le scuole

da La Tecnica della Scuola

Sicilia, in arrivo 129 milioni di euro per le scuole

L’assessore regionale all’Istruzione e alla Formazione professionale della Sicilia, Bruno Marziano, ha comunicato che la Giunta regionale ha approvato lo schema di contratto che le 126 scuole siciliane beneficiarie dei finanziamenti dovranno stipulare con la cassa depositi e prestiti.

“Il governo nazionale – ha dichiarato l’assessore regionale Bruno Marziano – ha messo a disposizione 129 milioni di euro, di cui 82 milioni per il capitale e gli altri in quota interessi, per fare in modo che 126 scuole siciliane, di tutte le province e di ogni ordine e grado, possano stipulare un mutuo a totale carico dello Stato con la cassa depositi e prestiti- I finanziamenti sono destinati a interventi di edilizia scolastica finalizzati alla lotta alla dispersione, attraverso la costruzione di palestre, aula magne e laboratori: tutto ciò che migliora la qualità della scuola”

“È il primo di una serie di bandi che arrivano a conclusione e rappresenta, assieme ad altri, uno dei più grandi interventi di edilizia scolastica degli ultimi anni”, conclude l’assessore.

Istat: più bullismo nella scuola media

da tuttoscuola.com

Istat: più bullismo nella scuola media

In relazione al tipo e al livello di formazione scolastica è possibile distinguere particolari ambiti dove le azioni di bullismo sono più ricorrenti.

L’indagine Istat sugli “Aspetti della Vita Quotidiana” del 2014, come riferisce l’agenzia Dire, rileva che il numero delle vittime è più alto tra i ragazzi 11-13enni che frequentano la scuola secondaria di primo grado. Fra questi, oltre il 22% degli intervistati dichiara di aver subito prepotenze più volte al mese.

I liceali si mantengono di poco sotto la media in merito alle azioni ripetute di bullismo (19,4%), ma solo nel 45,5% dei casi dichiarano di non essere mai stati oggetto di comportamenti vessatori (quota che è più contenuta anche di quella riscontrata tra quanti frequentano la scuola secondaria di primo grado: 46,2%).

Minore presenza di fenomeni di bullismo si riscontra, invece, tra quanti frequentano gli istituti tecnici: il 16% dichiara di aver subito più volte al mese azioni di bullismo, ma oltre il 50% di questo collettivo sostiene di non averne subite neanche sporadicamente.

I liceali lamentano più spesso (nel 42% dei casi) di aver subito azioni diffamatorie o di esclusione; tra chi frequenta gli istituti professionali, è relativamente più elevata la quota di quanti hanno dichiarato di essere stati vittima, anche sporadicamente, di offese e/o minacce (46,8%).

Quest’ultima distinzione riflette, almeno in parte, la composizione per sesso “tipica” dei due segmenti formativi e, quindi, ricalca delle tipicità che già erano emerse a livello di genere.

I dati del tempo pieno che non piacciono

da tuttoscuola.com

I dati del tempo pieno che non piacciono

Tuttoscuola ha pubblicato la settimana scorsa la situazione del tempo pieno nella scuola primaria, elaborando i dati del Miur (http://www.tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=375365 ). I numeri mettono in evidenza, anno dopo anno, l’aumento del numero di famiglie che si avvalgono di questo modello di organizzazione del tempo scuola. E, come risposta dell’Amministrazione scolastica, continua ad aumentare anche il numero di classi organizzate a tempo pieno.

Nell’anno in corso si avvale del tempo pieno il 34,4% (http://www.tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=37536 ) degli alunni (nel 2001-02 era il 23,6% con un  aumento medio di circa tre quarti di punto in percentuale all’anno, cioè circa 15 mila alunni in più ogni anno hanno scelto il tempo pieno). Quest’anno funziona a tempo pieno il 32,2% delle classi (era il 22,2%). Il fatto che sia più elevata la percentuale degli alunni rispetto a quella delle classi dimostra che la domanda prevale sull’offerta: i genitori scelgono, la scuola si organizza rincorrendo.

Non si è trattato di una stima o di una indagine campione, bensì di una rilevazione sui dati ministeriali, certi, oggettivi, verificabili.

Ebbene, cosa è successo?

Un commentatore, di nome Sergio Bianchini, che da una ricerca su internet risulta essere un preside in pensione, speaker di radio Padania Libera e presidente dell’associazione “per una scuola nostra: regionale e federale” – che evidentemente è contrario al modello di tempo pieno (ma è un suo problema) – ha trovato ospitalità in IlSussidiario.net dove, riferendosi al servizio di Tuttoscuola,  ha parlato di “tamburi tempopienisti che riprendono a rullare”, di “statistica che ispira il fatalismo storico”.

Libero di esprimere le sue opinioni sul tempo pieno, ma non di mistificare il servizio di Tuttoscuola. La nostra rilevazione non ha voluto sostenere una tesi pro o contro il tempo pieno, né ha voluto sottintendere che l’aumento della domanda equivalga ad una valutazione di merito di questo modello organizzativo.

Come tutti i lettori hanno potuto notare, abbiamo soltanto fotografato una realtà e una tendenza sociale incontrovertibili.

Si badi bene che l’incremento viene da lontano e ha attraversato Governi di destra e di sinistra che hanno, tutti, risposto alla domanda delle famiglie con l’istituzione di nuove classi a tempo pieno. Questi sono i fatti, che ci siamo limitati a registrare, piaccia o non piaccia il tempo pieno.

I trasferimenti del personale nell’anno delle nuove assunzioni

da tuttoscuola.com

I trasferimenti del personale nell’anno delle nuove assunzioni
Turi: servono strumenti normativi adatti ad una situazione straordinaria

UIL: inaccettabili disparità di trattamento: chi vuole spostarsi non può farlo. Chi non vuole, deve.
Rischiamo un carosello infinito dove alle legittime aspettative delle persone si risponde con regole inadeguate e imprecise.

Anna è insegnante di ruolo, da qualche anno, a Torino.
Quest’anno vorrebbe trasferirsi a Roma. Per farlo presenterà domanda di trasferimento.
Al momento attuale, stante che sul tema della mobilità regna la massima incertezza, si può supporre che,  se otterrà il trasferimento cambierà non solo città ma anche ‘status’: il trasferimento infatti comporterà la perdita della titolarità dalla sua scuola per assumere quella dell’ambito territoriale.
Passerà dalla scuola all’ambito: da lì verrà scelta dal dirigente per l’attribuzione dell’incarico triennale.

Carla è stata immessa in ruolo nella fase C è di Torino ed è riuscita restare a Torino su sede provvisoria.
Lei non ha alcuna intenzione di spostarsi,  dovrà, invece,  partecipare alla mobilità per tutti gli ambiti territoriali a livello nazionale. Corre, quindi, il fondato rischio di doversi trasferire anche non volendolo. Anche lei andrebbe in un ambito territoriale. Ed è dall’ambito che verrà scelta dal dirigente per l’attribuzione dell’incarico triennale.

Francesco è stato immesso in ruolo nella fase O – A  a Torino.  Vorrebbe tornare a Napoli ma per il suo caso  vale il blocco triennale per la mobilità interprovinciale. Non può trasferirsi. Sarà costretta a restare nella provincia di Torino.

Situazioni concrete che producono effetti indesiderati e opposti.
Chi vuole spostarsi non può farlo, chi non vuole deve.
Si è passati dalla lotteria estiva – commenta Pino Turi, segretario generale della Uil Scuola – alla giostra di Natale.  Quel che si preannuncia – spiega – è un carosello infinito dove alle legittime aspettative delle persone si risponde con strumenti legislativi inadeguati e imprecisi.

Siamo in una situazione straordinaria – aggiunge Turi  – occorre mettere a punto strumenti normativi che consentano a tutti di potersi spostare su tutti i posti.
Abbiamo chiesto un incontro al ministro per mettere a punto le soluzioni più adatte:  nessuno può essere escluso.  Nella trattativa che è in corso vanno superate le disparità di trattamento e trovate le soluzioni per dare chiarezza di metodo e certezze alle persone.

Ma l’anno scorso com’era andato il tempo pieno?

da tuttoscuola.com

Ma l’anno scorso com’era andato il tempo pieno?

Nella foga di confutare a tutti i costi la presunta ‘filosofia tempopienistica’ di cui anche Tuttoscuola sarebbe fautrice in quanto responsabile di aver reso pubblici i dati oggettivi degli alunni iscritti (la cosa si commenta da sé), il commentatore che ha trovato ospitalità su ‘IlSussidiario.net’ ha tentato di screditare i dati attuali e il confronto con i precedenti, lamentando anche la mancanza del confronto tra i dati del 2015-16 con quelli dell’anno passato che, a suo dire, dimostrerebbe una situazione di stallo. Peccato che non è così.

La percentuale di alunni a TP  l’anno scorso era stata del 33,6%, quella di quest’anno del 34,4% (+0,8 punti in percentuale secondo il trend in atto da anni). Gli alunni a TP nel 2014-15 erano stati 873.108, quest’anno 888.000 (14.892 in più); in aumento nonostante il calo complessivo della popolazione scolastica passata dai 2.596.317 iscritti dell’anno scorso ai 2.583.999 di quest’anno.

L’anno prima gli alunni a TP erano stati 856.759, nel 2012-13 ancor meno e meno ancora l’anno precedente (in allegato i dati relativi agli ultimi cinque anni http://www.tuttoscuola.com/ts_news_728-1.docx ).

È evidente ed incontrovertibile che il numero degli alunni che chiedono il tempo pieno continua ad aumentare, per scelta delle famiglie.

Sbagliano le famiglie a scegliere? Sono le scuole ad imporre quel modello di servizio? Secondo quel commentatore sì.

Meglio il tempo normale del tempo pieno? Forse sì, forse no, ma questo fa parte di una disputa antica mai risolta.

I dati non ci consentono di misurare la qualità dell’offerta: si limitano a registrare una scelta da parte delle famiglie che Tuttoscuola ha reso pubblica. Punto.

La qualità non emerge dai numeri. Volerli far parlare secondo il proprio pensiero e la propria filosofia è fuori luogo e non è quello che fa Tuttoscuola che si limita a fotografare situazioni e a rilevare tendenze, cercando di darne lettura e interpretazione logica e motivata. Quando decidiamo di proporre le nostre valutazioni e i nostri commenti, lo facciamo a parte, separandoli dalle notizie. I nostri lettori lo capiscono. Ogni tanto qualcuno no.