Scuola: perché si occultano i sintomi dell’infezione?

Scuola: perché si occultano i sintomi dell’infezione?

di Enrico Maranzana

 

Il prof. Giorgio Chiosso, professore universitario di pedagogia e storia dell’educazione, titolare d’importanti e prestigiosi incarichi, tra cui il progetto di riforma scolastica, ha pubblicato in data 18/1/16: “L’Europa e il mito delle competenze, dieci anni da archiviare”.

Un testo che esplora il campo del problema assumendo un solo punto di vista, quello accademico. Una semplificazione che il Miur condivide: il vissuto dell’istituzione non è stato capitalizzato.

Perché il metodo scientifico, che scandaglia gli scostamenti tra attese e risultati, non ha trovato la dovuta e necessaria applicazione?

Alcune tappe della recente storia scolastica forniscono una rappresentazione utile per la formulazione di un giudizio.

Metodologia, didattica e questioni di lana caprina

Metodologia, didattica e questioni di lana caprina

di Luigi Manfrecola

 

didatticaL’espressione da noi usata viene convenzionalmente utilizzata per indicare un inutile discutere di cose banali, di questioni prive di senso o di rilevanza. Nel caso di specie, si tende ad indicare come uno sciocco esercizio qualunque esercitazione dialettica inconsistente, come è per la tendenza a discutere se sia più giusto ritenere o definire   il mantello delle capre come fatto di “pelo” o , invece , costituito di “lana”.

A nostro giudizio , molta parte del più recente dibattito pseudo-pedagogico di questi ultimi anni possiede proprio queste caratteristiche culturali (?) finte e posticce. E’ di questi giorni , ad esempio, la constatazione dolorosa e per me sorprendente di aver visto avviare un dibattito a più voci sullo stimolo offerto da un articolo comparso sul Corriere della Sera a proposito delle recenti note ministeriali di accompagnamento applicativo della legge 107/2015, relative al nuovo POF di futuro allestimento (o, se preferite, “PTOF”: dal suono cacofonico impronunciabile, impostosi grazie all’ imperante e diffusa voglia sintetica di acronimi , a volersi fingere un discorso criptico fra “iniziati”, portatori di competenze “esperte”.)

Che l’articolista, sprovveduto in materia, si mostrasse sorpreso per i nuovi criteri di FLESSIBILITÀ ORGANIZZATIVA E DIDATTICA messi ormai fortemente in luce dalla Legge, non può sorprendermi. Nemmeno può meravigliarmi che abbia sentito l’impellente necessità di consultare al riguardo illustri addetti ai lavori, tali ritenendo i soliti pochi e ben noti accademici , nell’ingenuo convincimento che , pur distanti dal cuore pulsante della scuola militante, costoro ne sapessero più di tanti altri chiamati al confronto quotidiano con la realtà dei fatti.

Ciò che invece mi sorprende è il fatto che non poche testate on-line, anche fra le più note, abbiano ospitato un coro di commenti critici o sorpresi, quasi che LA FLESSIBILITÀ DIDATTICA ED ORGANIZZATIVA fosse cosa del tutto nuova per la scuola italiana; il che lascia supporre che molti di quei commentatori, fra docenti e dirigenti, abbiano fin qui operato nelle nostre scuole senza avere mai né letto , né capito, né applicato una legge di Stato, quella della Autonomia Scolastica (L.59/97-art.21) emanata quasi 20 anni fa. E va detto che anche all’epoca non si trattava di cosa del tutto nuova poiché al criterio della flessibilità organizzativa e didattica s’ era ispirata perfino la legislazione dei lontanissimi anni ’70 (dalla L.517/77 a seguire).

Ancora più stupisce la presa di posizione della CGIL che si è dichiarata timorosa che il riferimento insistito sulla occasionale suddivisione degli alunni in “gruppi di livello” possa nascondere un ritorno alla logica delle classi differenziali emarginanti per loro stessa natura, laddove sarebbe invece solo il confronto all’interno di gruppi eterogenei ad essere ammissibile e vincente per il sostegno che i più bravi possono offrire ai meno capaci (la cosiddetta peer education) in una logica di interscambio che vale anche alla socializzazione ed all’educazione affettiva dei più dotati.

Ma siamo al ridicolo!!! Siamo al ridicolo se questa preoccupazione indebita può valere a dar ragione ad una concezione tardo-ottocentesca della classe statica e chiusa, ai nostalgici della lezione cattedratica, a quanti -per come appare da molti interventi- non hanno mai abbandonato l’idea delle comoda lezione frontale espositiva e parolaia. Come si può ignorare, in qualità di educatori, che la classe chiusa comporta la cristallizzazione dei ruoli al suo interno, non favorisce la dinamica relazionale, genera falsi e presuntuosi leader dominanti e, viceversa, “capri espiatori” destinati a maturare profondi complessi di inferiorità. Si parla spesso di bullismo e si ignora , in concreto, la psicologia di gruppo?

E poi, e poi….Nessuno può pensare di abolire del tutto il riferimento prevalente ad una classe di stabile iscrizione e nessuno lo ha mai qui pensato. Non si è mai detto, almeno in Italia, di voler praticare l’organizzazione per classi totalmente aperte come già da decenni (si pensi al Piano Dalton di ispirazione montessoriana) si va operando in alcune scuole americane. Nessuno ha , fin qui, parlato di pacchetti di “istruzione” , come consegne da affidare a singoli alunni permettendo a ciascuno un percorso di libera frequentazione dei laboratori disciplinari in modo da poter rispondere ai ritmi individuali, così consentendo l’accelerazione totale o parziale dei percorsi didattici e la riduzione conseguente degli anni di scolarizzazione… Si è invece sempre detto,e giustamente, che il recupero può essere praticato ed agevolato all’interno di “gruppi di livello” cui avviare, a rotazione e per tempi limitati, alunni che presentino determinati e specifici ritardi apprenditivi in alcune discipline, così da consentire ai docenti di operare con interventi meglio calibrati, graduali e commisurati alle difficoltà incontrate da alcuni alunni non versati in quel determinato ambito disciplinare e/o operativo. Malvolentieri debbo dar ragione alle ovvie considerazioni di Bertagna che, nell’intervista rilasciata al Corriere, ha ricordato che anche nella Legge Moratti 59/04 si ribadiva il concetto di flessibilità organizzativa raccomandando la costituzione di gruppi di livello, di gruppi elettivi e di gruppi di progetto. Sono queste le forme di flessibilità organizzativa che si richiamano addirittura alla citata L.517/77 che introduceva, fin da allora , le attività cosiddette integrative e le “classi aperte” come modalità temporanea e provvisoria di organizzazione della giornata scolastica nella scuola elementare e media

Sì, perché ” individualizzare l’insegnamento” significa predisporre attività varie e motivanti, anche a libera scelta dell’alunno, che possano sollecitarlo ed incrociarne i “talenti” di modo che ciascun “linguaggio” (simbolico, iconico, attivo…) possa fare da tramite per veicolare in maniera efficace degli apprendimenti o affinare determinate “competenze”

Gli ateliers o i laboratori espressivi, da organizzare per ammettervi temporaneamente gli alunni che li scelgano, costituiscono dunque l’occasione e lo stimolo per l’organizzazione di gruppi “elettivi”. Così come i gruppi di “progetto” possono valere a coniugare intelligenza pratica e teorica , stimolando la creatività, la sperimentazione, l’attitudine dell’homo faber”.

DottrensSe si intendono queste ovvie e banali verità , che dovrebbero essere già ampiamente e da tempo possedute dagli uomini di scuola, si capisce che nulla c’è di nuovo che non sia stato già sperimentato dai Maestri pratica pedagogica . Si pensi a Dottrens ed al suo metodo di individualizzazione dell’insegnamento mediante “schede didattiche” appositamente preordinate secondo gradienti di complessità crescente di modo che il docente potesse distribuirle variamente e sottoporle agli alunni in relazione al grado individuale di conoscenza, abilità e competenza…Quando poi si parla di sostegno scambievole fra alunni, si potrebbe citare Pestalozzi, il gran Maestro dell’800 che attraverso il “mutuo insegnamento” risolveva il problema di cui stiamo discutendo, affidando ai più grandi compiti di tutoraggio dei più piccoli. Ma vogliamo parlare di laboratori, di gruppi cooperativi, di “linguaggi” , di “codici” o di intelligenze multiple ? Non abbiamo che l’imbarazzo della scelta, potendoci spostare e spaziare in tutto il ‘900, dal Freinet e dalle Scuole Nuove fino al Bruner, al Gardner ed oltre…Possibile che tutto questo sia passato invano e ci si stia ancora ad interrogare sulla flessibilità didattica ed organizzativa?

A proposito, quasi dimenticavo il titolo posto in premessa a proposito di “lana caprina”. Intendevo ed intendo riferirmi alle acute osservazioni di ” Bertagna” ed al coro che gli ha fatto da cornice e da seguito. Negli ultimi Concorsi direttivi aleggiava l’incubo di una domanda insidiosa e capziosa su quale fosse la differenza fra l'”insegnamento individualizzato” e quello “personalizzato”. La distinzione risiederebbe nel fatto che “l’individualizzazione” sarebbe agita dal docente quando insegna allestendo percorsi rapportati ai diversi profili cognitivi dei propri allievi, cercando il metodo migliore per veicolare determinate conoscenze. La personalizzazione, come nel caso dell’handicap, sarebbe poi il medesimo processo considerato dalla parte del discente che apprenderebbe utilizzando quei propri canali e quelle proprie potenzialità prevalenti che il docente sarebbe tenuto a considerare “curvando” (anche questo termine ha fatto moda all’epoca morattiana) l’azione didattica perché resti commisurata alle capacità e agli stili “personali” dell’alunno: in tal senso rimodulando gli obiettivi in funzione delle potenzialità reali. E tuttavia, alla luce di ciò che abbiamo tentato di dimostrare, ogni strategia di individualizzazione dell’insegnamento, quando si operi con varietà di tempi, di metodi, di stili, finisce col realizzare contemporaneamente occasioni di apprendimento “personalizzato” da parte dell’allievo che attinge, dall’esperienza cui viene avviato, ciò che meglio e più risponde alle proprie capacità personali. Ciò vale ormai sempre ed in ogni caso alla luce di una didattica ed un curricolo, come quello odierno, che va ritagliata alla luce di Indicazioni (Non più “Programmi”) che non vogliono affatto conservare un valore rigorosamente precettivo e nozionistico. In questo senso parlavo inizialmente di questioni e di distinguo troppo sottili, di “questioni di lana caprina”…Ma forse sono io a sbagliare e tuttavia mi sento in buona compagnia poiché, per qualche secolo, l’acuta distinzione di cui trattasi è stata ignorata perfino dai nostri Maestri, anche da Dottrens quando con Claparéde ed altri dissertava di “Individualizzazione dell’insegnamento” (Armando Editore).

Incontro con Giuseppe Lupo

Incontro con Giuseppe Lupo

a cura di Mario Coviello

 

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Lo scrittore Giuseppe Lupo è nato ad Atella, in Basilicata, il 27 novembre 1963 e vive a Milano. Si è laureato in Lettere moderne nel 1986, presso l’Università Cattolica di Milano, con una tesi sul poeta-ingegnere Leonardo Sinisgalli. Dal maggio 2015 è professore associato di Letteratura italiana contemporanea presso la stessa università.

Ha pubblicato i saggi: “Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta” (Vita e Pensiero 1996; Premio Basilicata 1998); “Poesia come pittura. De Libero e la cultura romana (1930-1940)” (Vita e Pensiero 2002); “Le utopie della ragione. Raffaele Crovi intellettuale e scrittore” (Aliberti 2003), “Vittorini politecnico” (Franco Angeli 2011) . E’ inoltre autore dei romanzi “L’americano di Celenne” (Marsilio 2000; Premio Giuseppe Berto 2001, Premio Mondello, Prix du premier roman 2002), “Ballo ad Agropinto (Marsilio 2004), “La carovana Zanardelli” (Marsilio 2008; Premio Grinzane Cavour-Fondazione Carical, Premio Carlo Levi), “L’ultima sposa di Palmira” (Marsilio 2011; Premio Campiello-Selezione giuria dei letterati, Premio Vittorini), “Viaggiatori di nuvole” (Marsilio 2013; Premio Giuseppe Dessì), “L’albero di stanze” (Marsilio 2015; Premio Palmi) e della raccolta di scritti “Atlante immaginario. Nomi e luoghi di una geografia fantasma” (Marsilio 2014).

E’ consulente presso alcuni editori, dirige la collana Novecento.0 presso Hacca Editore e la collana Atlante letterario presso La Scuola. Collabora alle pagine culturali del “Sole-24Ore” e di “Avvenire”.

L’ho incontrato per parlare dei suoi romanzi, della sua lingua e del sud. Ecco le mie domande e le sue risposte.

  • Ho amato molto “ L’albero di stanze” , rimando a questo proposito alla mia recensione ( https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=70792 ) e sono stato rapito da “ L’ultima sposa di Palmira “,premio Selezione Campiello 2011, anch’esso edito da Marsilio, che volevo non finisse mai,e voglio farti alcune domande per conoscerti meglio come uomo e come scrittore.

-Chi è Giuseppe Lupo ?

lupo2Giuseppe Lupo è uno che ama stare con la testa nei libri, ragiona pensando ai libri, codifica il mondo attraverso le parole che sono contenute nei libri. Scherzi a parte, è uno che crede nella forza delle storie e nelle parole che hanno il potere di inventare il mondo.

-Perché scrivi ?

Perché mi piacerebbe leggere alcuni particolari libri che poi nella realtà non trovo e allora i libri che vorrei leggere (e che non trovo) provo a scriverli io. Scrivo perché raccontare storie è il mestiere più affascinante che esista al mondo-

  • Al centro dei due romanzi mi sembra ci sia la famiglia, il matrimonio, l’amore. E’ così , quanto è importante per te tutto questo ?

Sono valori/principi in cui ovviamente credo e che sono stato educato a rispettare. Più che altro, a me interessano i rapporti tra gli individui in un tempo e in una geografia, intesa come lettura antropologica di un luogo.

  • Il tuo universo letterario in questi due romanzi è il sud, il Mediterraneo, l’Appennino, la Lucania e in “ L’ultima sposa di Palmira “ la Lucania dopo il terremoto del 23 novembre 1980. Tu sei nato ad Atella e vivi a Milano. Quanto è importante per te il sud, la Lucania e perché ? Quale è il futuro della nostra terra e su cosa dobbiamo puntare per non morire..?

La Lucania è il grande magazzino di storie, a cui attingere come in un granaio. Essere lucani non significa solo essere nati in una geografia (anzi, io penso di essere nato in un non-luogo), piuttosto significa avere un certo tipo di sguardo, un certo modo di stare al mondo. Credo che sia un segno di distinzione rispetto alle regioni meridionali che ci stanno intorno e credo sia una risorsa. La Lucania dovrebbe credere nella cultura che da essa si sprigiona. Il caso di Matera è emblematico: da vergogna a capitale europea della cultura.

  • Ami le cose fatte con le mani, i ricami, gli intarsi di mastro Gerusalemme,il protagonista de “ L’ultima sposa di Palmira, le pietre che diventano case. Perché questo universo costruito dalle mani dell’uomo è così importante e va conservato ?

Perché è l’unico segno che l’uomo è passato sulla terra. Mastro Gerusalemme costruisce mobili come lo scrittore costruisce storie. Le storie sono l’unica garanzia che esistiamo.

  • Amo perdermi nel tuo modo di narrare, nella tua lingua semplice ed antica. Hai detto che non vuoi raccontare il quotidiano e in questi due romanzi la realtà che racconti è sempre sognata. Perché ?.E’ questo, secondo te, lo scopo della scrittura ?

Perché il quotidiano/la cronaca è già narrato dagli strumenti di comunicazione: giornali, tv, radio. Un romanzo, una narrazione dovrebbero contenere il respiro del tempo lungo, il fiato delle epopee. Il lettore deve capire che sta entrando in un altro tempo o in un altro luogo rispetto a quello in cui è immerso.

Presentando ai suoi lettori il suo ultimo romanzo “ Un albero di stanze” Giuseppe Lupo scrive “…. La casa dove si ambienta la mia storia è un “albero di stanze”, una costruzione verticale. E io mi continuavo a chiedere: a chi affidare il racconto dei padri, dei nonni e dei bisnonni, vissuti dentro una torre? A chi se non a un giovane chiamato Babele, che non sente le voci degli uomini ma capisce perfettamente il linguaggio dei muri? Forse sono io Babele, forse Babele è l’uomo che sarei voluto essere: un sordo, un indovino. Può darsi.”

Pensione di inabilità: si converte in assegno sociale anche se non fruita

Pensione di inabilità: si converte in assegno sociale anche se non fruita

Pubblicato da Avv. Nadia Delle Side
Data:19 gennaio 2016
in: Giurisprudenza disabili
(1) Commento

Interessante sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n. 25204 del 15.12.2015) che afferma la possibilità che la pensione di inabilità venga convertita in assegno sociale al compimento del 65esimo anno di età, anche se non venga pagato neanche un rateo della pensione di inabilità.

Il caso trae origine dalla sentenza con cui il giudice del lavoro, in accoglimento della domanda proposta dalla ricorrente nei confronti dell’INPS, dichiarava il diritto della stessa a beneficiare della pensione sociale in sostituzione della pensione di inabilità ai sensi dell’art. 19 della legge n. 118 del 1971 a decorrere dal 1.8.2009.

L’INPS appellava allora detta sentenza lamentando che erroneamente il primo giudice aveva ritenuto che la ricorrente (che aveva presentato la domanda amministrativa in data 28.7.2009, ossia un giorno prima del compimento del 65esimo anno) avesse maturato il diritto alla pensione di inabilità in data antecedente al 1.8.2009, presupposto necessario per accedere al beneficio della “sostituzione” della pensione in assegno sociale.

La Corte d’appello accoglieva allora l’appello, rigettando la domanda originaria.

A questo punto la ricorrente ricorreva in Cassazione sostenendo che quando gli elementi costitutivi del diritto alla pensione di inabilità siano maturati prima del compimento del 65esimo anno (come nel suo caso) la pensione di inabilità si converte in pensione sociale. Quello che non era scattato nel caso in esame era solo la decorrenza del trattamento della pensione di inabilità, differita per legge al primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda amministrativa.

La Cassazione ha osservato quindi che  “in tema di invalidità civile, nel caso in cui gli elementi costitutivi della pensione di inabilità prevista dall’art. 12 della legge 30 marzo 1974, n. 118 siano maturati prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età e la relativa domanda amministrativa sia stata proposta prima di tale data, la sostituzione della pensione di inabilità con la pensione sociale, prevista dall’art. 19 della medesima legge, opera dal primo giorno del mese successivo a quello del compimento del sessantacinquesimo anno, anche se ciò comporta che non venga pagato neanche un rateo della pensione di inabilità e si debba corrispondere direttamente la pensione sociale”.

“L’art. 19, infatti, prevede la “sostituzione” della pensione di inabilità al compimento del 65esimo anno e, pertanto, se gli elementi costitutivi del diritto erano maturati prima del 65° compleanno e ciò che doveva ancora scattare era la mera decorrenza del trattamento, differita dalla legge al primo giorno del mese successivo alla domanda amministrativa, non si vede perché la trasformazione non debba avvenire. L’unica peculiarità di questo caso è che la sostituzione opererà sin dal pagamento del primo rateo”.

E’ stato chiarito che la regola per cui il pagamento della pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello della domanda risponde a mera “opportunità di natura contabile”, mentre i principi generali dell’ordinamento si muovono nel senso che la tutela assistenziale matura nel momento in cui si determina la situazione di inabilità e di mancanza di mezzi di sostentamento, con la conseguenza che “la regola che differisce il trattamento assistenziale al primo giorno del mese successivo a quello della maturazione delle condizioni non può essere estesa al di là dei casi in cui è stata espressamente enunciata e che il principio generale è invece quello della retrodatazione degli effetti al momento di maturazione delle condizioni sanitarie e socio–economiche richieste dalla legge.

Ne deriva che il diritto alla pensione di inabilità è riconosciuto solo se tutti i requisiti richiesti sussistano nel primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa; viceversa, la pensione non spetta ai soggetti che, alle date in questione, non abbiano il prescritto requisito anagrafico.

Secondo la Cassazione, in buona sostanza, il diritto alla pensione matura quando se ne perfezionino tutti gli elementi costitutivi sostanziali, rilevando la decorrenza successiva sul piano, soltanto, della esigibilità della prestazione.

Va pertanto affermato il principio secondo cui “nel caso in cui gli elementi costitutivi della pensione di inabilità (prevista dall’art. 12 della legge 30 marzo 1974, n. 118) siano maturati prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età e la relativa domanda amministrativa sia stata proposta prima di tale data, la sostituzione della pensione di inabilità con l’assegno sociale opera dal primo giorno del mese successivo a quello del compimento del sessantacinquesimo anno, anche se ciò comporta che non venga pagato neanche un rateo della pensione di inabilità e si debba corrispondere direttamente l’assegno sociale.

Bando PRIN 2015


Bando PRIN 2015, oltre 4.000 i progetti presentati

È scaduto il 15 gennaio scorso il termine per l’acquisizione delle proposte relative al bando PRIN (Progetti di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale) 2015. I progetti presentati sono 4.431.
Con una dotazione finanziaria di circa 92 milioni di euro, il bando, destinato al finanziamento di progetti di ricerca pubblica, ha l’obiettivo di favorire il rafforzamento delle basi scientifiche nazionali.
I progetti saranno valutati in un’unica fase, esclusivamente per via telematica, entro l’estate 2016, con erogazione dei contributi entro ottobre 2016. Il Bando PRIN 2015 si caratterizza, rispetto ai tradizionali bandi degli anni passati, per alcuni aspetti peculiari. Tra questi, in particolare, una più stretta collaborazione tra atenei, enti di ricerca ed altri organismi di ricerca (sia pubblici che privati), una più agevole portabilità dei progetti (nel rispetto della Carta Europea dei Ricercatori) ed una maggiore attenzione per le attività di diffusione e disseminazione dei risultati.
Le proposte presentate sono circa il 25% in più rispetto alla media dei bandi degli anni precedenti.
Dei 4.431 progetti presentati, 1.661 riguardano il macrosettore “Scienze della vita”, 1.483 il macrosettore “Fisica, chimica, ingegneria” e 1.287 il macrosettore “Scienze umane”.
Dal punto di vista territoriale, la maggior parte dei progetti proviene dal Nord Italia: 2.101 progetti, pari al 45% circa del totale. Il Centro, con 1.145 progetti, è di poco superato dall’insieme degli Atenei del Sud e delle Isole, da cui provengono 1.185 progetti.

Accordo Miur-Ucei per didattica mirata e formazione docenti

Shoah, Giannini-Gattegna siglano accordo Miur-Ucei per didattica mirata e formazione docenti

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini e il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei) Renzo Gattegna hanno siglato ieri, presso la sinagoga di Tempel di Cracovia, nel corso del Viaggio della Memoria, il Programma operativo che rinnova il reciproco impegno a proseguire nella diffusione della conoscenza, presso le scuole italiane, della Shoah.
Giannini e Gattegna sono in Polonia con la Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini e con oltre 100 ragazzi delle scuole superiori italiane per l’annuale visita ad Auschwitz. Il Programma operativo prevede la diffusione di progetti educativi e didattici sulla Shoah, anche attraverso una Summer school per insegnanti. Viene istituito un Osservatorio Nazionale per l’elaborazione di iniziative mirate e la ricognizione di quelle in corso, anche al fine di creare un portale on line per la condivisione delle informazioni.
“La collaborazione con l’Ucei ci vede particolarmente orgogliosi. La memoria ci rende vigili e pronti a difendere la dignità umana. Per questo abbiamo bisogno di trasmetterla alle nuove generazioni”, ha dichiarato Giannini.
“Il Viaggio della Memoria – ha ricordato Gattegna – è forse la più importante ma non l’unica delle attività organizzate con il Ministero con il quale l’Unione ha una proficua collaborazione che va avanti da anni”.
Durante il Viaggio della Memoria saranno raccolte le riflessioni dei ragazzi. Tre di loro potranno leggere il loro pensiero il 27 gennaio al Quirinale, alla presenza del Presidente Sergio Mattarella, nel corso delle celebrazioni del Giorno della Memoria.

Lettera al Signor Ministro dell’Istruzione sull’importanza dell’insegnamento e di tornare a parlarne

Lettera al Signor Ministro dell’Istruzione sull’importanza dell’insegnamento e di tornare a
parlarne.

Gentile On. Ministro,

«In generale, ciò che contraddistingue chi sa da chi non sa è la capacità di insegnare».
L’affermazione risale, come è noto, a tanto tempo fa, ad uno dei nomi più prestigiosi della storia
dell’uomo. Ad Aristotele che la scrive nella Metafisica 981b,7. Una concezione dell’insegnamento
elevatissima. Credibilmente praticabile solo quando l’esigenza di Scuola riguardava pochi eletti.
Gradualmente e da tempo scomparsa da ogni orizzonte di pensiero, occorrerebbe recuperarla,
almeno in parte. Almeno nel senso più modesto, ma dinamico, di homines dum docent discunt.
Dovrebbe farlo la Buona Scuola. Il progetto di cui Lei, on. Ministro, è il titolare e del quale si è
parlato per un intero anno, mobilitando pro e contro, con le luci e le ombre che inondano le cose
terrene specie quando rientrano nella sfera della gestione politica e amministrativa. Se ne è parlato a
cominciare dalla stessa espressione di “Buona Scuola” che taluni vedono viziata di “populismo”,
altri giudicano addirittura “incolta” con quell’inutile e ridondante aggettivo che pare mirare ad
enfatizzare la banalità che, forse, è proprio la ragione che l’ha resa etichetta di successo! Una Buona
Scuola che, a parte le sottigliezze semantiche e le contaminazioni gestionali, ha, però, decisamente
di buono, la spinta alla tensione ideale e a parlarne come il sano e maturo progetto di una società
moderna impegnata a valorizzare l’insegnamento per educare alla vita! Buona sì nell’azione (lo
sono anche altre “scuole”), ma buona soprattutto nelle finalità.
Un ambito di riflessione, quello dell’insegnamento, che negli ultimi decenni ha perso molto, vittima
di quei giochi di dinamica dell’attenzione collettiva che spesso di una questione portano ad
illuminare degli aspetti ponendone in ombra altri. Alcuni anni fa, infatti, e giustamente, si pose il
problema della necessità di una maggiore attenzione da prestare all’apprendimento e ai suoi
risultati. Non senza ragioni il decalogo predisposto da un Suo predecessore, al primo punto, poneva
la trasformazione della scuola da luogo dell’insegnamento a luogo dell’apprendimento. In effetti si
trattava di apportare una corretta integrazione alla dialettica pedagogica. Guardare non solo
all’insegnamento e all’attività d’insegnamento, ma anche ai suoi risultati: che cosa insegnare e
come, ma anche con quali esiti. C’era, allora, da stabilire un equilibrio che nuovamente si è perso
perché l’interesse sembra essersi concentrato tutto là, sugli esiti, degenerando anzi, in un problema
di governo dei processi di rilevazione e di diffusione dei risultati dell’apprendimento in modo
pressoché indipendente dal che cosa insegnare. Una degenerazione della quale vittima privilegiata è
stata la matematica presa peraltro di mira nel corso del 2015 anche dalle ostinate iniziative della
Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici del MIUR che si sono contraddistinte, fatto
paradossale per la fonte, per la caotica e insipiente interpretazione delle norme.
Un annus horribilis per l’insegnamento della matematica e in particolar modo per i licei scientifici,
interessati alla seconda prova scritta negli esami di Stato. Esami utilizzati da quegli uffici del MIUR
quale strumento per la promozione di didattiche e software particolari, problemi farsescamente
contestualizzati e improvvisate rubrics di valutazione. Una degenerazione complessiva incoerente
con ogni pregressa visione dell’amministrazione della scuola e incoerente con il progetto di ridare
senso e gusto all’insegnamento in un settore, quello della matematica, che più sembra esigerlo visto
che manca anche chi è disposto a insegnarla. Una realtà, quest’ultima, indiscutibile e amara, posta
chiaramente in evidenza dallo stesso progetto di Buona Scuola attraverso la migliore delle sue
realizzazioni: l’organico potenziato. Una novità veramente significativa, un cambiamento notevole
consistente in risorse aggiuntive messe a disposizione delle istituzioni scolastiche per l’attuazione
dell’autonomia didattica e quindi per il miglioramento degli esiti dell’insegnamento, ma con il
difetto della scarsa presenza della matematica.
Un cambiamento notevole perché appena cinque anni fa l’Italia “riordinò” l’istruzione di secondo
grado sotto il vincolo del contenimento della spesa pubblica: meno risorse, meno scuole, meno ore
d’insegnamento, meno insegnanti. Con l’organico potenziato ogni istituzione scolastica ha, dal
mese di dicembre 2015, docenti in più per meglio corrispondere al suo progetto educativo, ma non
può potenziare la matematica perché non ci sono i docenti, in particolare nell’istruzione secondaria
di primo grado. Un cambiamento comunque notevole cui se ne aggiunge un altro: la formazione in
servizio dei docenti è resa obbligatoria.
Si torna, dunque, per effetto della Buona Scuola, a parlare di insegnamento e l’augurio è che la
norma non si traduca in qualcosa d’altro, in un’ulteriore offesa della dignità e della professionalità
dei docenti. L’augurio è che l’Amministrazione sappia dare indicazioni sagge, sostenere
adeguatamente nuove modalità di formazione in servizio, sappia offrire ai docenti – docendo
discitur – vere occasioni di confronto e di riflessione pedagogica evitando di disorientare sul
significato stesso delle Indicazioni Nazionali e su che cosa insegnare e apprendere.
Gentile Signor Ministro, la Mathesis ha celebrato quest’anno i suoi centoventi anni di vita e,
concordemente al suo fine statutario, a conclusione del Congresso annuale di fine ottobre, onorato
peraltro dalla presenza di tanti docenti e della senatrice Angela D’Onghia, sottosegretario di Stato,
ha proposto una lista di 14 “grandi questioni” da affrontare e risolvere per il miglioramento
dell’insegnamento della matematica nelle nostre scuole. Al primo punto della lista figurano le
Indicazioni Nazionali per i Licei che, certamente per la matematica, presentano l’esigenza di essere
riscritte in modo più coerente con i princìpi normativi che ne sono alla base e in modo più chiaro e
comprensibile per tutti. Occorre cioè, non cancellare le Indicazioni Nazionali, come ha dato
sconsideratamente l’impressione di voler fare il MIUR sostituendole con indefiniti quadri di
riferimento, ma di precisare meglio, in modo inequivocabile per tutti, come è scritto nella legge che
regolamenta l’autonomia delle scuole, le mete dell’azione didattica e i risultati di apprendimento da
conseguire. Allora, precisate le mete, avrà veramente un senso ritornare a parlare d’insegnamento
perché significherà mettere tutti, docenti, studenti, famiglie, amministratori, nelle condizioni di
partecipare al dibattito collettivo su metodi, strumenti, risorse per raggiungerle e se e in quale
misura raggiunte. Sarà un tornare a parlare d’insegnamento come processo non da controllare e
dominare, secondo le vene e gli interessi politico-amministrativi del momento, ma da fare crescere,
culturalmente, nella stima e nell’attenzione della società.
Gentile Signor Ministro questa lettera apre il fascicolo 3/2015 del Periodico di Matematiche, che è
l’organo di stampa della Mathesis. Il fascicolo contiene, insieme a pregevoli contributi scientifici e
pedagogici, gli articoli dei proff. Maria Gabriella Sgueglia, Massimo Fioroni, Francesco Di Paola
Bruno, Valentina Fabbro, Claudia Zampolini, Luca Chiappi, Deborah Gaibotti, Luisa Lovisetti e
Serena Trivella. Sono lavori che sviluppano esempi di cambiamenti prodotti
nell’insegnamento/apprendimento della matematica dalle Indicazioni Nazionali dei Licei, presentati
per la partecipazione al “premio Bruno Rizzi 2015” – concorso organizzato dalla Mathesis in
collaborazione con Casio Italia, Zanichelli, Tuttoscuola e il Dipartimento di Matematica e Fisica
della Seconda Università di Napoli – e che testimoniano la vitalità e la professionalità dei docenti
che lavorano nelle nostre scuole.
La Mathesis confida, Signor Ministro, nella Sua azione e Le augura Buon Lavoro e Buon 2016.

Emilio Ambrisi

I sindacati contro la circolare Miur sui Pof triennali: «Promuove la divisione dei ragazzi, sia ritirata»

da Il Sole 24 Ore

I sindacati contro la circolare Miur sui Pof triennali: «Promuove la divisione dei ragazzi, sia ritirata»

di Cl. T.

In questi giorni le scuole sono alle prese con la stesura del Piano dell’offerta formativa triennale (il Poft), e non mancano le critiche sindacali. Oltre ai tempi e al mancato allineamento con le assunzioni e il decollo dell’organico potenziato, i sindacati mettono nel mirino anche la circolare del Miur di prima di Natale che, a loro dire, promuoverebbe la divisione dei ragazzi in gruppi omogenei sulla base della “preparazione cognitiva”.

Le critiche della Cgil
Le critiche arrivano dalla Cgil: l’elaborazione del Poft avviene su «basi informative fornite dal Miur, evanescenti e con tempi incompatibili con la produzione di un documento fondamentale per l’identità di ogni istituzionale scolastica, spiega il leader della Flc, Domenico Pantaleo.

Il punto è che il ministero, negli orientamenti forniti alle scuole (nella nota 2805 dell’11 dicembre 2015), nel paragrafo dedicato alla flessibilità organizzativa e didattica, ha messo l’accento sull’organizzazione flessibile delle classi facendo riferimento ai “gruppi di livello” intesi, sostiene la Flc, come gruppi di studenti omogenei per abilità e capacità possedute. Analoghe critiche erano arrivate dal mondo della disabilità.

I rischi anche gli studenti stranieri
Per la Flc ritiene il messaggio veicolato dalla nota ministeriale è «regressivo», ed «è allarme rosso anche per gli studenti stranieri la cui disomogeneità di scolarizzazione rappresenterebbe un fattore di rischio di parziale o totale insuccesso formativo per tutti gli altri alunni e per tutti gli studenti che presentano lacune negli apprendimenti».

«Nessuno pensi di portare indietro le lancette dell’orologio della storia: le classi differenziali, vere o camuffate – ammonisce Pantaleo – rappresentano un passato che non deve ritornare».

Il digitale innova a scuola. Ma non da solo

da Il Sole 24 Ore

Il digitale innova a scuola. Ma non da solo

Mentre parte il Piano scuola digitale del Miur, proseguono le polemiche sulla reale efficacia delle tecnologie nell’apprendimento. Il digitale certo non sostituisce completamente gli altri strumenti didattici, ma offre opportunità. Ed è compito della scuola anche educare i ragazzi a un uso corretto. Perché sono anzitutto i buoni insegnanti che possono fare una buona scuola

di Pierangelo Soldavini

Nella Bella addormentata nel bosco la principessa alla fine cade nel tranello che realizza la maledizione lanciata dalla fata cattiva: a quindici anni si punge il dito con un fuso e muore. Nonostante il re avesse proibito gli arcolai in tutto il regno. La fiaba avrebbe potuto seguire un percorso diverso se il padre avesse istruito la figlia a usare in maniera corretta gli arcolai, in modo da non pungersi. Silvano Tagliagambe ricorre a questa metafora per spiegare l’approccio che il sistema scolastico dovrebbe avere oggi di fronte alle tecnologie: “E’ innegabile che possano avere controindicazioni e rischi – afferma il filosofo della scienza ed esperto di modelli didattici -: non c’è dubbio che la velocità insita nel multitasking digitale possa diminuire la capacità di concentrazione e la memoria, ma questo non significa che la soluzione sia escluderle dalla scuola: al contrario bisogna riequilibrarne gli utilizzi in modo da favorire un uso consapevole e utile sia in classe che all’esterno”.

Il tema dell’introduzione del digitale a scuola è uno di quelli che ancora oggi divide e crea polemiche. Non ci sono evidenze scientifiche certe sull’effetto delle tecnologie sull’apprendimento, mentre l’esperienza quotidiana di utilizzo da parte dei giovani (ma non solo) di smartphone e tablet va nella direzione di uno sfruttamento superficiale e parziale delle enormi potenzialità degli strumenti che hanno in mano.

Lo conferma anche il rapporto sul digital reading pubblicato recentemente dal ministero dell’Istruzione: gli studenti italiani hanno buone capacità di navigazione generica sul web, ma si smarriscono facilmente quando si tratta di fare ricerche più raffinate e approfondite. E ancora, in linea, con i risultati del rapporto Pisa dell’Ocse, anche in Italia l’uso del computer è fortemente condizionato dalle condizioni socio-economiche: “La disparità digitale sembra essersi spostata dalla differenza di possibilità di accesso alle tlc all’utilizzo che gli studenti ne fanno: gli svantaggiati navigano più per motivi ludici rispetto agli avvantaggiati che si connettono anche per un uso informativo e di comunicazione”, afferma il rapporto. Il quale conclude che “emerge chiaramente la necessità di integrare le tecnologie digitali nella didattica e di sperimentare nuove metodologie nella pratica pedagogica quotidiane”. E più avanti sottolinea come “l’insegnamento nel XXI secolo non deve considerare la tecnologia come il centro del processo educativo, deve piuttosto promuoverne l’uso consapevole e critico, attraverso pratiche che abbiano l’obiettivo di formare studenti in quanto e-citizen consapevoli, aggiornati e creativi”.

“Sia chiaro, il digitale non risolve proprio nulla, anzi ti crea problemi”, afferma senza mezzi termini Roberto Maragliano, docente di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento presso l’Università Roma Tre. E precisa: “La tecnologia ha il grosso pregio di essere trasparente: permette di vedere cose che prima non potevi vedere. Quindi oggi ci permette di comprendere che l’apprendimento è un processo complesso, per il quale non è più sufficiente il vecchio modello di apprendimento statico frontale basato sulla spiegazione e sulla restituzione, molto semplice e rassicurante, ma non adatto ai tempi attuali”. Il digitale permette così di portare anche tra le mura delle classi la complessità della realtà esterna e consente, per esempio, di sfruttare l’integrazione tra vari linguaggi: non solo la lingua scritta, ma anche l’audio, il video, l’immagine, tutti insieme.

“Ma – prosegue Maragliano – costringe a rimettersi in gioco per ridiscutere cosa e come insegnare, così come a cambiare la qualità dei contenuti, e non è un caso che oggi il digitale sia sfruttato più facilmente nella scuola primaria, laddove c’è maggior flessibilità e maggior attenzione all’apprendimento spontaneo, mentre nella secondaria prevale la disciplina rigida dettata dalle materie”.

Ma non tutti concordano con queste visioni: c’è chi lascia spazio allo scetticismo e alle paure di fronte all’innovazione digitale. “La tecnologia può produrre risultati eccezionali se applicata nella scuole con funzioni strumentali e se non proposta in chiave imitativa, così come è successo finora – sostiene Benedetto Vertecchi, docente di Pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre -: i bambini hanno bisogno di stabilire una connessione funzionale tra la capacità mentale e la sua traduzione in azioni: è un processo molto complesso, che deve essere supportato nel suo sviluppo. La scrittura è un’attività assolutamente necessaria a questo scopo costringendo a elaborare il pensiero per arrivare a ragionamenti logici e strutturati, mentre la sostituzione con la tastiera impedisce questo apprendimento”.

Vertecchi elenca quelli che, sulla base di un’adozione scriteriata e mirata al breve periodo della tecnologia nelle aule, sono le conseguenze che sta verificando tra i ragazzi: una caduta nella capacità di scrivere, sia sotto forma di difficoltà nell’ortografia – affidata ai correttori automatici – che nella capacità di organizzare correttamente i concetti; il dominio del “copia e incolla” provoca una seria difficoltà di coordinare e strutturare il pensiero che si trasforma in conseguenti problemi dell’apprendimento; la certezza di riuscire a trovare sempre una risposta all’esterno della propria testa porta a un preoccupante deterioramento della memoria. Insomma Vertecchi non ha dubbi: la scuola deve tornare a puntare sulle attività manuali libere e sulla scrittura e vietare i device tecnologici prima dell’adolescenza.

A denunciare il modo casuale e controproducente con cui sono state introdotte le tecnologie nelle aule italiane – nello specifico il vecchio progetto Classi 2.0 – è anche Adolfo Scotto di Luzio nel recente libro Senza educazione. I rischi della scuola 2.0 (Il Mulino), in cui denuncia la fiducia eccessiva nel potere quasi magico del digitale che avrebbe potuto risolvere in un sol colpo tutti i problemi della scuola italiana. E indica come conseguenza lo strapotere che tablet e computer hanno oggi nella scuola con conseguenti problemi nell’apprendimento. La sua conclusione è lineare: sono in primo luogo i buoni insegnanti a fare una buona scuola.

Su questo concorda anche Dianora Bardi, vicepresidente di ImparaDigitale e pioniera dell’utilizzo del digitale nella scuole: “Non c’è dubbio che la tecnologia da sola non faccia una buona scuola, anzi è inutile parlare di didattica digitale: la didattica è didattica e basta, e deve essere ripensata in una modalità di costruzione del sapere condivisa e partecipata tra docenti e studenti, in cui i ragazzi possano diventare protagonisti del loro stesso percorso di apprendimento”. La tecnologia può certo isolare, ma se ben usata può aprire nuovi spazi di collaborazione e di approfondimento: “Dobbiamo così rendere consapevoli i nostri studenti per poterla utilizzare al meglio, in maniera consapevole e critica: ci può aiutare moltissimo nel costruire un modello di scuola nuova, che possa mettere i ragazzi in condizione di affrontare il mondo che li aspetta”.

Anche l’Ocse sottolinea nel suo report dedicato al digitale a scuola che “aggiungere le tecnologie del XXI secolo alle pratiche di insegnamento del XX semplicemente diluisce l’efficacia dell’insegnamento: la tecnologia può amplificare l’effetto di un ottimo insegnamento, ma un’ottima tecnologia non può sostituire un cattivo insegnamento”

Si tratta allora di essere innovativi nell’utilizzo della tecnologia e saperla utilizzare in maniera mirata. Come nel progetto messo a punto, sotto la guida di Silvano Tagliagambe, da Up School, scuola primaria paritaria di Villino Campagnolo, nel cagliaritano, dove à stato introdotto un fablab, dove la stampanti 3D vengono direttamente montate spiegando il processo conoscitivo connesso a ogni passaggio, per poi utilizzare la macchine per stampare degli oggetti progettati direttamente dai bambini: un metodo che esalta il valore della progettazione, della verifica e delle correzioni in corso d’opera, in un processo necessariamente lento di riflessione e di capacità creativa: “Il bambino viene accompagnato in un uso consapevole della tecnologia, in un procedimento che replica i problemi che ci troviamo di fronte nella realtà, fatti di fenomeni complessi e interconnessi che non possono essere scomposti in sottoproblemi separati, come si fa a scuola dove si affrontano le materie in maniera separata”.

Si tratta di un approccio in buona parte adottato anche dal Piano nazionale scuola digitale, partito operativamente nell’ultimo scorcio dell’anno scorso: “Più che su strutture tecnologiche pesanti, come è stato fatto in passato, abbiamo scelto di puntare su infrastrutture leggere – la connessione in banda larga e il wifi negli edifici, con investimenti complessivi per 600 milioni di euro – spiega Damien Lanfrey, della segreteria tecnica del ministro dell’Istruzione – proprio perché non vogliamo investire su infrastrutture che possono risultare inutili, ma su persone che siano in grado di innovare”.

A inizio hanno iniziato a operare ufficialmente gli 8mila animatori digitali, insegnanti scelti dalle singole scuole e deputati a far da volano alla progettazione innovativa in chiave digitale: a marzo partirà la loro formazione, mentre è già partita una community informale degli animatori per condividere i progetti e i piani dell’offerta formativa digitale, un processo che diventerà sempre più rilevante. Circa 500 di loro saranno scelti per una formazione specifica all’estero: “Il focus è spostato sulla didattica – prosegue Lanfrey -: la scelta dell’animatore ha avuto il merito di mettere già l’innovazione digitale al centro della scuola”.

L’importante intanto è che non prevalgano posizioni integraliste in un senso o nell’altro. D’altra parte la fine della Bella addormentata la sappiamo già: la principessa deve aspettare cento anni per essere risvegliata dal Principe azzurro. Ma per il digitale un secolo è un’era geologica: la scuola deve adeguarsi velocemente prima che sia troppo tardi.

Nuovi progetti per la didattica: le scuole a bordo di una navicella spaziale

da Il Sole 24 Ore

Nuovi progetti per la didattica: le scuole a bordo di una navicella spaziale

Dall’educazione stradale al concorso per celebrare i 70 anni della Fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, alle iniziative sui temi della Grande Guerra, al bando per un progetto da portare nello spazio: sono alcune delle iniziative didattiche e formative che saranno portate avanti nel corso di questo anno scolastico dagli alunni delle scuole di ogni ordine e grado. E ciò grazie al protocollo d’intesa sottoscritto dai ministeri dell’Istruzione e della Difesa.

Le iniziative
Degno di nota è innanzitutto il concorso “Scuola: spazio al tuo futuro”. Gli studenti saranno chiamati a elaborare proposte di sperimentazione da svolgere a bordo della International Space Station, basandosi sulle competenze tecniche e scientifiche acquisite durante il percorso scolastico e successivamente elaborate anche con il supporto dei docenti e delle organizzazioni sponsor dell’iniziativa. Il bando verrà lanciato nel 2016/2017 ed è rivolto alle classi IV e V delle scuole secondarie superiori.
È dedicato invece agli alunni delle scuole primarie il ciclo di lezioni di educazione stradale “La buona strada della sicurezza”. Vuole incoraggiare nei bambini il senso di responsabilità individuale e collettiva. Le lezioni saranno tenute – per gli istituti che ne faranno richiesta – dagli esperti dell’Associazione Nazionale Autieri d’Italia (Anai).
Ha invece un respiro internazionale il concorso “Nazioni Unite per la pace”, promosso in occasione delle celebrazioni per la ricorrenza dei 70 anni della fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Miur e Ministero della Difesa mirano così a stimolare una riflessione sulle sfide relative alla sicurezza di tutti gli Stati. Gli elaborati dovranno essere inviati entro il 31 marzo 2016.

I testimonial
Sono previsti docenti d’eccezione in cattedra. Con quasi 3.100 conferenze nelle scuole di tutta Italia e la partecipazione di circa 254mila studenti, continuano anche per l’anno scolastico 2015/2016 gli incontri tenuti dai militari del Gruppo Sportivo Disabili Difesa. Come per la precedente edizione, l’attenzione sarà focalizzata sul ruolo che le Forze Armate svolgono a livello nazionale e internazionale (in particolare sull’articolo 11 della Costituzione).

Gli studenti in viaggio ad Auschwitz la Giannini e la Boldrini

da La Stampa

Gli studenti in viaggio ad Auschwitz la Giannini e la Boldrini

Per commemorare l’anniversario della liberazione del campo di concetramento

Si rinnova anche quest’anno la tradizione del Viaggio della Memoria, organizzato dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in collaborazione con l’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, per commemorare l’anniversario della liberazione del campo di Auschwitz-Birkenau e per consentire agli studenti italiani che si sono distinti in progetti legati alla Shoah di partecipare ad una esperienza didattica unica nel suo genere: apprendere la storia direttamente dalla voce di chi l’ha vissuta.

 

Il 18 e il 19 gennaio, il ministro Stefania Giannini e la presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, insieme al presidente dell’Ucei Renzo Gattegna, saranno in Polonia con 130 fra docenti e ragazzi delle scuole superiori. Ancora una volta metteranno la loro testimonianza a disposizione degli studenti italiani Sami Modiano e le sorelle Andra e Tatiana Bucci, sopravvissuti al campo di sterminio.

 

Docenti e studenti inizieranno il Viaggio della Memoria il 17 pomeriggio con un incontro nella Sinagoga di Tempel, nel quartiere ebraico di Kazimierz di Cracovia, nel corso del quale sarà rinnovato l’accordo di collaborazione fra Miur e Ucei per promuovere percorsi didattici sulla Shoah. Il programma proseguirà con la visita al ghetto nazista di Cracovia. I ragazzi saranno accompagnati dai ricercatori della Fondazione Museo della Shoah. Martedì, gli studenti visiteranno il campo di sterminio Birkenau e il Museo di Auschwitz guidati dal professor Marcello Pezzetti, storico specializzato nello studio della Shoah.

 

L’intera esperienza del viaggio sarà raccontata dai ragazzi attraverso una pagina Facebook aperta per l’occasione, https://www.facebook.com/Viaggio-della-Memoria-2016-217371061935029, sulla quale verranno pubblicati post, fotografie e clip video che saranno a disposizione di tutti per dare la possibilità anche a chi non sarà a Cracovia di vivere a distanza questa esperienza e di ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti. Il viaggio sarà inoltre raccontato dal Miur attraverso il profilo Twitter @MiurSocial.

Sempre più giovani scelgono di studiare all’estero

da La Stampa

Sempre più giovani scelgono di studiare all’estero

Non solo una parentesi di vita per imparare altre lingue, ma una necessità che i ragazzi sentono di dover affrontare. Ecco le storie di alcuni di questi “cervelletti” in fuga
maria corbi

Chi ha figli liceali sa che da qualche anno si devono fare i conti con una nuova realtà, ragazzi che decidono di partire e terminare gli studi all’estero. Non solo una parentesi di vita, per imparare altre lingue, immergersi in altre culture. Piuttosto una «necessità» che i giovani sentono di dover affrontare. Da anni gli viene ripetuto, anche dai nostri politici, che non devono essere «choosy», schizzinosi, (Fornero). Che sono bamboccioni (Padoa Schioppa), incapaci di lasciare mammà. Troppo attratti dal posto fisso («che noia», commentava Mario Monti). Dalla Germania poi il monito della Merkel: «L’Europa necessita di un mercato del lavoro del lavoro più mobile». Adesso che hanno capito la lezione e iniziano a partire in massa e a disperdersi per le università europee ed extra Ue, c’è chi li rimprovera: «non dovete lasciare il vostro paese». E chi come Renzi li prega: «restate con noi». Flaiano direbbe: poche idee ma confuse. Ma ormai sembra difficile arrestare questa emorragia di «cervelletti» in fuga, giovani che una volta completato all’estero il corso di studio difficilmente rientreranno in Italia. Estrapolare i numeri esatti di questa emorragia di matricole «internazionali» è complicato. Ma se guardiamo alla Gran Bretagna per esempio vediamo che nel 2014 dei 147.455 studenti provenienti dai paesi Ue che hanno studiato nelle università di sua maestà, ben 4850 arrivavano dall’Italia, con un aumento di circa il 20 per cento rispetto all’anno precedente. Un trend di crescita veloce che parla di un malessere dei giovani italiani. E come ha rilevato Bruno Manfellotto per L’Espresso ormai quando si va a cena da amici non c’è nessuno che non ha almeno un figlio all’estero.

E allora parliamoci con questi giovani in fuga, o semplicemente in viaggio per una vita più gratificante e meno precaria.

 

Alessandro, 19 anni, è al secondo anno di ingegneria meccanica alla UCL di Londra, dove per entrare gli hanno chiesto un voto molto alto di maturità. «Io ho deciso di fare l’international baccalaureate invece della maturità italiana». Scelta che sempre più ragazzi fanno visto che il diploma italiano per diverse ragioni (prima tra tutte il fatto che sia su undici/dodici materie e non garantisca una sufficiente specializzazione nelle materie di indirizzo richieste dal corso di laurea) è valutato meno bene di altri diplomi internazionali ed europei e degli A levels inglesi. «Entrare in una buona università inglese è difficile, ma vale il sacrificio. Io sono felice qui a Londra. E’ molto stimolante», spiega Alessandro. «Dal primo giorno a Ucl ci hanno parlato delle nostre carriere, dei curricula , delle esperienze di lavoro, ci mettono in contatto con chi fa recruiting per le aziende. Qui ci sono le society che rendono il legame tra studenti più forte. Sono club finanziati dalle Università ma gestiti dagli studenti che possono riguardare la finanza, il business ma anche il cinema. Ci si riunisce, si fanno progetti, si discute». Alessandro ha affittato una casa con suoi coetanei universitari, due spagnoli e uno slovacco.

«Se mi sento in colpa di lasciare l’Italia?». Alessandro su questo punto ha le idee chiare. Non si sente affatto un cervello in fuga. «Io sono europeo e mi sento tale prima che italiano. E poi perché devo caricarmi sulle spalle la responsabilità di un paese che non cresce, immerso nella corruzione, che non finanzia le Università?».

Camilla, 19 anni, frequenta la Westminster University, facoltà di legge. «Voglio prendere la doppia laurea. Prima quella inglese e poi quella italiana, a Bologna. Credo che sia una opportunità in più per me. Ormai il mercato del lavoro non ha confini. E l’Italia offre poco, anche per chi come me potrebbe fare la libera professione. E’ il mio primo anno e sono molto contenta, studiamo molto e siamo molto seguiti, rispetto all’Italia qui l’approccio è più pratico, meno concettuale. E’ un’esperienza coinvolgente e anche difficile, perché vivere a Londra da soli non è facile. Ma è un modo intelligente per andarsene da casa e provare a farcela da soli. Cosa mi manca di più dell’Italia? Il cibo». Ma non è un grande problema visto che in Inghilterra va fortissimi il sito internet Nife is Life, per la consegna a domicilio di prodotti italiani, compresa mozzarella di bufala. Camilla ride e su Whatsapp ci manda scatti della sua vita londinese. La sua accomodation è una stanza minuscola ma super accessoriata. «Ho una stanza per me e condivido la cucina con altri studenti. Qui quasi tutti lavorano per mantenersi e adesso che mi sono ambientata anche io cercherò un lavoretto».

Marco è al secondo anno di Economics and Finance a Bristol. «Non ho intenzione di tornare a tutti i costi», dice. «Se mi offriranno un buon lavoro bene, ma già da adesso capisco che le opportunità migliori e soprattutto “meritocratiche” sono altrove. Da quest’anno affrontiamo selezioni durissime per fare internship l’estate nelle banche o nelle aziende. Io ho sempre saputo che il mio paese è l’Europa e non ho problemi a spostarmi, come gran parte dei miei amici. Qui vivo con un ragazzo spagnolo e tre inglesi di cui due di origini asiatiche e una ragazza. Impariamo uno la cultura dell’altro ed è molto bello.

Ero entrato anche alla Bocconi ma ho scelto Bristol, prima di tutto perché è più avanti nei ranking internazionali e poi perché volevo andare all’estero. Tra l’altro in Italia gli aiuti economici sono quasi inesistenti per gli studenti. Mentre qui ho potuto fare un loan con il governo, un prestito d’onore. In pratica non pago l’Università che sono 9mila sterline all’anno e onorerò il mio debito solo quando avrò un lavoro che mi garantisce più di 21mila sterline l’anno. E le rate saranno del 9 per cento sulla differenza tra il mio reddito e 21mila sterline. Con tassi di interesse vantaggiosi». E per ottenerlo Marco non ha dovuto fare altro che scaricare un modello da internet e compilarlo inviando all’ufficio Finance del governo la fotocopia di un suo documento firmata da «una persona conosciuta nella società». «Me l’ha certificata un avvocato, ma bastava un prete, un ufficiale di polizia, un funzionario pubblico». Tutto molto semplice. E dopo quanto ti sono arrivati i soldi per l’Università? «Ho spedito la busta il 10 settembre con un corriere e e dopo circa 10 giorni mi è arrivata a casa la lettera con l’approvazione».

Rosa ha scelto «Giornalismo» alla City University di Londra. «Per entrare ho dovuto superare varie selezioni, e un colloquio. Sono soddisfatta della mia scelta. Qui si studia ma si fa anche tanto lavoro pratico. Sei motivato dal clima internazionale. Dal vedere che chi ti precede trova facilmente lavoro. Sono consapevole che poi la mia carriera sarà in giro per il mondo. Ma non mi spaventa. Se mi guardo intorno, gran parte dei miei amici è all’estero come me. A Londra e in Inghilterra siamo tantissimi».

 

Bullismo, Giannini: non facciamo mai sentire soli i nostri ragazzi

da La Tecnica della Scuola

Bullismo, Giannini: non facciamo mai sentire soli i nostri ragazzi

Anche i giovani devono imparare ad avere un’etica: quella della responsabilità a comportarsi in modo responsabile, senza prevaricare i compagni.

A dirlo, commentando il gesto disperato compiuto da una 12enne di Pordenone, è stato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, mentre era impegnato in Polonia in ricordo della Shoah.

“Quanto accaduto a Pordenone è un altro fatto che ci porta di fronte a una responsabilità, di educatori e politici, a far sì che i ragazzi acquisiscano un’etica di comportamento individuale. Questo è un grande lavoro che la scuola sta facendo a partire dalla Buona scuola”, ha sottolineato Giannini.

“Questa bambina – ha osservato Giannini – ha già subito violenza e prevaricazione: dobbiamo fare in modo che i nostri ragazzi non si sentano mai soli, che gli insegnanti si sentano sempre responsabilizzati e che le famiglie sappiano intervenire in queste circostanze. C’è tutta la nostra attenzione a seguire la vicenda di questa bambina e c’è attenzione verso i fattori esterni e interni che determinano questi fenomeni”.

Giannini ha concluso dicendo che “siamo qui ad Auschwitz, nel viaggio della memoria, affinché con questa esperienza si possa costruire tra i ragazzi la conoscenza della storia, ma dobbiamo costruire in loro anche la responsabilità individuale, la responsabilità a comportarsi, con i loro compagni, con tolleranza e senza prevaricazione. Questo è un grande lavoro che la scuola sta facendo a partire dalla Buona scuola”.

Il PD invia un SMS ai diplomati magistrale: “In Gae vanno inseriti solo quelli che hanno fatto ricorso”

da La Tecnica della Scuola

Il PD invia un SMS ai diplomati magistrale: “In Gae vanno inseriti solo quelli che hanno fatto ricorso”

Sembrerebbe che molti docenti diplomati magistrale stiano ricevendo, in queste ore, un sms inviato dal “PD nazionale” che fornisce spiegazioni sul titolo del diploma magistrale e su come potrà essere utilizzato ai fini del reclutamento.

Ecco il testo dell’sms: “Il titolo è abilitante e potrà essere speso per il concorso che verrà bandito a breve. C’è stato anche un pronunciamento del Consiglio di Stato che conferma che in Gae vanno inseriti solo coloro che hanno fatto ricorso. Questa è la risposta all’sms inviato, facendo seguito all’informativa data in occasione dell’iniziativa Italia coraggio”.

Dalle prime informazioni raccolte parrebbe che i destinatari degli sms abbiano partecipato all’iniziativa del PD “Italia coraggio” del 5 e 6 dicembre scorso, dove i parlamentari dem in duemila piazze italiane hanno incontrato i cittadini ai banchetti e si sono confrontati sui risultati di governo. Evidentemente, molti insegnanti diplomati magistrale, in occasione della suddetta iniziativa, hanno lamentato il sacrosanto malcontento per il mancato inserimento nelle graduatorie ad esaurimento e per la cieca ostinazione del PD a non volerle riaprire nonostante le giuste ragioni dei docenti, e probabilmente sono stati invitati a lasciare ai banchetti i propri dati di recapito.

Non v’è chi non colga che il testo dell’sms inviato dal PD non sia proprio in linea con quanto ha sancito la giurisprudenza amministrativa e non solo. Infatti, il Consiglio di Stato non ha mai stabilito che in Gae debbano essere inseriti coloro i quali “hanno fatto ricorso”, anche perché, se così fosse, dovrebbero inserire tutti i diplomati magistrale che hanno dei ricorsi in atto al Tar, Consiglio di Stato, Presidente della Repubblica e Giudice del lavoro. Anzi, il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima l’esclusione dei diplomati magistrale ante 2002 dalle Gae, tant’è che questa decisione dovrà essere discussa nuovamente in assemblea plenaria, nella speranza che venga confermata e anzi corroborata.

In ogni caso, ci si chiede ancora una volta come mai lo stesso titolo non debba riconoscere i medesimi diritti a questi lavoratori senza che sia un giudice a doverlo stabilire; di questo il PD dovrebbe prendere coscienza ed inserire una volta per tutte i diplomati magistrali in Gae perché ne hanno pieno diritto.

Secondo i docenti diplomati magistrali ante 2002 è un preciso dovere del Governo emanare un decreto legge urgente di inserimento in Gae degli aventi diritto, solo così si darà pieno accoglimento alle sentenze del Cds, e finalmente si darà un esempio di giustizia e legalità!

Concorso docenti 2016, ecco i programmi che verranno chiesti ai candidati

da La Tecnica della Scuola

Concorso docenti 2016, ecco i programmi che verranno chiesti ai candidati

La Tecnica della Scuola è in grado di fornire in anteprima la parte del testo consegnato al Cspi relativo ai programmi d’esame del concorso per 63.712 nuovi docenti.

Si tratta di una versione certamente anora modificabile, ma allo stesso tempo può essere considerata pressoché definitiva: infatti, ricordiamo che sebbene il Consiglio superiore della pubblica istruzione debba ancora esprimersi, il parere di questo organismo non è comunque vincolante.

Inoltre, che la stesura del testo sia “blindata” lo ha fatto intendere nei giorni scorsi anche la relatrice del provvedimento alla Camera, Maria Grazia Rocchi, secondo cui “dal ministero ci saremmo aspettati qualcosa di un bel po’ più moderno”, perchè “di fatto si tratta sempre del vecchio schema, solo un po’ modificato”, per via di operazioni “condizionate dal concorso imminente”.

In ogni caso, tempi contingentati a parte, ad oggi i programmi disciplinari su cui dovranno studiare i candidati risultano ormai definiti.

A livello di macro-competenze, “i candidati ai concorsi per posti di insegnamento nella scuola dell’infanzia, primaria, e per gli istituti di istruzione secondaria di primo e secondo grado – si legge nell’allegato ministeriale – “devono essere in possesso dei seguenti requisiti culturali e professionali in ordine al settore o ai settori disciplinari previsti da ciascuna classe di concorso:

  1. Sicuro dominio dei contenuti delle discipline di insegnamento.
  2. Conoscenza critica delle discipline di insegnamento e dei loro fondamenti epistemologici per poter individuare gli itinerari più idonei per una efficace mediazione didattica, impostare e seguire una coerente organizzazione del lavoro, adottare opportuni strumenti di verifica dell’’apprendimento, di valutazione degli alunni e di miglioramento continuo dei percorsi messi in atto.
  3. Conoscenza dei principali strumenti didattici delle discipline di riferimento e dei criteri per valutarli; Conoscenze nel campo dei media per la didattica e degli strumenti interattivi per la gestione della classe. conoscenza della sitografia di ambito disciplinare e delle biblioteche online, cui far ricorso anche per il proprio aggiornamento culturale e professionale.
  4. Conoscenza dei fondamenti della psicologia dello sviluppo e della psicologia dell’educazione.
  5. Conoscenze approfondite pedagogico – didattiche finalizzate all’attivazione della relazione educativa e alla promozione di apprendimenti significativi e in contesti interattivi in stretto coordinamento con gli altri docenti che operano nella classe, nella sezione, nel plesso scolastico, e con l’intera comunità professionale della scuola. ; Capacità di progettazione curriculare.
  6. Competenze sociali, relative all’organizzazione dell’apprendimentodell’apprendimento, alla gestione di gruppi e alle relazioni interpersonali, per la conduzione dei rapporti con i diversi soggetti che agiscono nella scuola.
  7. Conoscenza dei modi e degli strumenti idonei all’attuazione di una didattica personalizzata, coerente con i bisogni formativi dei singoli alunni, con particolare attenzione ai bisogni educativi speciali.
  8. Conoscenza delle problematiche legate alla continuità didattica e all’orientamento.
  9. Padronanza delle tematiche legate alla valutazione (sia interna sia che esterna), anche con riferimento alle principali ricerche comparative internazionali e alle indagini nazionali (INVALSI); Conoscenza delle prospettive teoriche riferite alla valutazione e all’autovalutazione, con particolare riguardo all’area del miglioramento del sistema scolastico, dei gruppi di lavoro e delle persone (studenti e docenti).
  10. Conoscenza approfondita delle Indicazioni nazionali vigenti per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo e per i licei, e delle Linee guida per gli istituti tecnici e professionali, anche in relazione al ruolo formativo assegnato ai singoli insegnamenti all’interno dei profili delle competenze.
  11. Conoscenza della legislazione e della normativa scolastica con riferimento ai seguenti temi:
    1. la Costituzione italiana e linee essenziali dell’ordinamento amministrativo dello Stato
    2. l’evoluzione storica della scuola italiana, dalla Legge Casati alla Legge 107/2015;
    3. la Legge 107/2015;
    4. l’autonomia scolastica e l’organizzazione del sistema educativo di istruzione e formazione (dPR 275/1999, dlgs 15 aprile 2005, n. 76, DM 22 agosto 2007, n. 139);
    5. gli ordinamenti didattici: norme generali comuni e, relativamente alle procedure concorsuali, al relativo grado di istruzione (L. 107/2015, dPR 89/2009, dPR 87/2010, dPR 88/2010 e dPR 89/2010, dPR 122/2009);
    6. la governance delle istituzioni scolastiche (Testo Unico, Titolo I capo I);
    7. lo stato giuridico del docente, il contratto di lavoro, la disciplina del periodo di formazione e di prova;
    8. i compiti e le finalità degli organi tecnici di supporto:  l’Invalsi e l’Indire.
    9. il sistema nazionale di valutazione (dPR 80/2013)
  12. Conoscenza dei seguenti documenti europei in materia educativa recepiti dall’ordinamento italiano:
    1. Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente e relative definizioni di competenza, capacità e conoscenza (raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio 23 aprile 2008);
    2. la raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente
    3. Programmi di scambi/mobilità di docenti e studenti: programma Erasmus+.
  13. Conoscenza di una lingua straniera comunitaria al livello B2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue straniere.
  14. Competenze digitali inerenti all’uso e le potenzialità delle tecnologie e dei dispositivi elettronici multimediali più efficaci per potenziare la qualità dell’apprendimento.

Per conoscere invece i programmi suddivisi per ambiti disciplinari che le commissioni ministeriali potranno chiedere ai candidati al prossimo “concorsone”, ogni lettore della Tecnica della Scuola ha la possibilità di cliccare – nella sezione Correlati, a sinistra di questo articolo – sul file “bozza DM programmi e prove esame”.

Ogni candidato al “concorsone”, potrà rintracciare la propria classe di concorso all’interno degli otto macro-ambiti disciplinari creati ad hoc dal Miur nell’ambito della riforma delle nuovo discipline d’insegnamento.