Lavoriamo in un’aula qualunque

Lavoriamo in un’aula qualunque

di Claudia Fanti

Perchè non sta scrivendo più?

Cerco i suoi articoli sulla scuola, ma lei si è fermata.

No, non mi sono fermata, sto leggendo e osservando comportamenti, annunci, voci. Credo, mi pare, che ci sia un’accelerazione, ma verso quale luogo del futuro non so, non voglio neppure figurarmelo, immaginarlo. Mi vorrei fermare al presente per ragionare su ciò che abbiamo e non abbiamo.

Leggo di scuole “moderne”, di flipped classroom, di scuole senza zaino. Leggo di scuole senza compiti, di scuola svizzera, di scuole Montessori…

Leggo sui quotidiani cosa pensa il mondo di noi insegnanti, di noi maestre in particolare, quelle che sono sempre state le prime a cambiare, o a dover cambiare a seconda di come tira il vento della politica e della società pilotata abilmente dai media.

Poi entro a scuola, in una scuola del 1956, con lunghi corridoi e aule mai sufficientemente ampie per il numero di alunni e alunne con i quali lavoriamo. E allora penso a me e a tutte quelle come me con anni e anni di aggiornamenti e riforme scolastiche applicate. Penso a noi, a quelle che si son sentite dir di tutto: metti i voti, togli i voti, offri tempi lunghi, dai lettere, togli le lettere, fai il portofolio, ridai i voti, fai le prove Invalsi, dai tempi contingentati per allenare gli alunni agli apprendimenti, fai assemblee coi genitori, fai meno assemblee e fai più colloqui individuali, non etichettare un bambino con diagnosi, etichettalo ma poi sottoponi a giudizio la tua etichettatura, non fare verifiche a ogni piè sospinto, fai verifiche con i test, il tempo pieno è bello, il tempo pieno è brutto, il modulo è bello, il modulo è brutto, non usare fotocopie, usa fotocopie per i test, apprendimento personalizzato, apprendimento cooperativo, lezione frontale no, lezione frontale è meglio…

Continuo?

No, non voglio continuare.

Entro in classe e mi ritrovo con gli unici di buon senso: i bambini e le bambine, i quali paradossalmente mi dicono (con i loro comportamenti e i loro apprendimenti) “maestra, continua così, dai tempo al tempo, studia tu per noi che fare e non fare, non ci piacciono i voti, ci piace parlare con te, insegnaci la storia del passato raccontando e conversando, non guardare quelle Indicazioni, parlaci dei miti, degli dei, della vita e delle scoperte degli uomini. Facci sognare con le poesie, faccele inventare e disegnare, leggi tanto a voce alta, dicci di lavorare a coppie anche se i banchi non riusciamo a spostarli bene in questo spazio angusto, aiutaci ad andare d’accordo, a rispettarci, sono belle le parole nuove che abbiamo imparato, così le possiamo usare. Ti sei dimenticata di darci il compito, ce ne dai un po’ che altrimenti ci dimentichiamo, ci fai scrivere una fiaba oggi? Ci fai scrivere una nostra esperienza? Oggi parliamo dei migranti “che ce l’ha detto Luca”, chi sono?…

Sono loro che lontano dai media, dagli “sportivi” dello scolastichese, del pedagoghese, lontano da innovative trovate (che presuppongono sempre che la scuola della strada accanto sia la peggiore), sono loro che in questa aula che mi è data, mi riportano al senso del mio valore, dell’importanza che ha la scuola per loro, all’importanza del mio ruolo che media e politica cercano di distruggere, che gruppi e associazioni si affannano a volere che cambi senza farmi cambiare le coordinate spazio-temporali intorno. Clima buono, voglia di apprendere, attenzione a ogni bambino e bambina, compiti equilibrati, buon aggiornamento scelto in base alle necessità, pochi soldi a disposizione per la classe, ma tanti miei materiali messi a disposizione degli alunni, tanta pazienza, che se a volte scappa, mi vien perdonata con un sorriso, così come io perdono loro sempre e per tutto.

Sappiamo, io e i bambini, che non siamo santi, che l’essere umano sbaglia anche se con tutta la buona volontà, l’amore e la passione, anzi sappiamo che più si è coinvolti nel gioco più si rischia di sbagliare, ma poi sappiamo abbracciarci e ricominciare. Sappiamo che la nostra è una bella comunità che lavora sempre, che non si avvilisce, che sta imparando insieme le radici per volare. Maestra, questo l’ho scritto per te! Questo, l’ho fatto per te! Questo per la mamma e quest’altro l’ho scritto per il babbo! Piove, ma ci porti fuori lo stesso? Dove? Sotto la tettoia…dai, facciamo il gioco del telefono…

Leggiamo, scriviamo e i bambini sanno fare “oh!” per le scoperte grammaticali, si inorgogliscono se imparano il significato dell’apostrofo o dell’accento, lo spiegano, ne parlano fra di loro…Si stupiscono nello scoprire che i pronomi servono a faticare meno a collegare le parti di un testo; se poi si va in palestra e si balla e si canta, si gioca o si interpretano miti e leggende antichissime, volano e provano e riprovano coralmente a inventare coreografie…

Non siamo flipped, non siamo senza zaino (anche se nello zaino c’è poco), qualche compito lo si dà e lo si chiede, ma stiamo al meglio delle nostre possibilità e stiamo imparando a ragionare, ad avere il senso del limite, ad accontentarci di quel che abbiamo sognando altro, ma vivendo al massimo il presente e vorremmo che bambini e maestre fossero riconosciuti in questo continuo lavoro di adattamento e crescita dentro i limiti imposti dallo Stato.

CNR, il Professor Massimo Inguscio è il nuovo Presidente

CNR, il Professor Massimo Inguscio è il nuovo Presidente

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, ha nominato il nuovo Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).
Si tratta del Professor Massimo Inguscio, attuale presidente dell’Inrim (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica).

Nato a Lecce nel 1950, studente della Scuola Normale Superiore, si laurea in Fisica a Pisa nel 1972. Riceve quindi il Diploma di Perfezionamento in Fisica (PhD) presso la Scuola Normale nel 1976. Assistente di ruolo, professore incaricato e professore associato a Pisa sino al 1986, è professore ordinario di Fisica della Materia dal 1986, prima presso l’Università Federico II di Napoli e dal 1991 presso la Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università di Firenze.

Inguscio è stato cofondatore dell’‘European Laboratory for Non Linear Spectroscopy (LENS)’ di Firenze, che ha diretto dal 1998 al 2004. Il nuovo Presidente del CNR è socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Inguscio è un autorevole esponente della comunità scientifica internazionale.

Il Ministro Giannini si è congratulata personalmente con il neo Presidente augurandogli “buon lavoro”.

Georientiamoci, gli studenti vincitori del concorso sono 55

Georientiamoci, gli studenti vincitori del concorso sono 55

Nella terza edizione del progetto didattico e di orientamento della Fondazione Geometri Italiani si rinnova l’assegnazione delle borse di studio agli studenti degli IT CAT per il concorso nazionale “La mia città di domani”

Su www.georientiamoci.it il test gratuito per l’orientamento degli studenti

Il concorso nazionale “La mia città di domani” promosso da “Georientiamoci. Professione Geometra 2.0”, il progetto didattico della Fondazione Geometri Italiani rivolto agli studenti neo-iscritti a un IT CAT nell’anno scolastico 2015/16, ha registrato una partecipazione crescente rispetto alle precedenti edizioni, con 569 i partecipanti equivalenti a un +36% di elaborati e un +5% delle province coinvolte. Complessivamente, su 130 finalisti, i vincitori sono stati 61: 55 le borse di studio (53 individuali e 2 ex aequo) assegnate dalla Commissione Valutazione di Fondazione Geometri Italiani, ciascuna del valore di 250,00 euro, agli studenti più meritevoli, insieme a 4 menzioni speciali (125,00 euro) e una citazione di merito (quest’ultima senza premio in denaro). In totale, il valore erogato è di 14.000 mila euro, mentre per l’edizione 2014/2015 dello stesso concorso l’impegno economico era stato di 12.500 mila euro per 50 borse.

Tra le 18 Regioni che hanno partecipato, la Lombardia è quella che ha presentato più elaborati, 111 in totale, seguita dall’ Emilia Romagna con 77 e la Toscana con 60. In particolare, le città dove si è registrata una maggiore partecipazione da parte degli studenti sono state Milano con 77 progetti (CAT Cattaneo); Udine con 48 (CAT Marinoni) e Parma con 35 (CAT Rondani). Gli elaborati finalisti, 569 in totale, sono stati valutati dalla Commissione esaminatrice, composta da rappresentanti della Fondazione Geometri Italiani, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, e da esperti di comunicazione.

Ad ogni concorrente veniva richiesto di realizzare un elaborato (video, racconto illustrazione) per presentare come immagina da geometra di poter innovare l’urbanistica della sua città. Analizzando gli elaborati, molti nell’ambito della riqualificazione di edifici in disuso, la maggior parte hanno ipotizzato aree verdi con parchi giochi per bambini, spazi per il fitness e l’aggregazione dei giovani; nei documenti, fra l’altro, è stata prestata la massima attenzione alla geotermia, all’installazione di pannelli solari e fotovoltaici e un diffuso riferimento all’uso di materiali riciclati.  Il concorso “La mia città di domani” si inserisce all’interno del più ampio progetto “Georientiamoci. Professione Geometra 2.0”, fortemente voluto e promosso dalla Fondazione Geometri Italiani e dedicato agli studenti delle scuole secondarie di I grado e ai neo-iscritti al primo anno di un corso di studio IT CAT, con la finalità di far conoscere ai ragazzi l’offerta formativa e le prospettive professionali future della figura del geometra.

La dichiarazione del Presidente della Fondazione Geometri Italiani Maurizio Savoncelli: “L’edilizia ha bisogno di una deep renovation per affrontare gli impegni europei e globali di sostenibilità del costruito e i diplomati CAT saranno i tecnici più idonei per rispondere alle sfide ambientali di città e di un territorio, rispetto alle quali siamo indietro di 30 anni. Ma rivoluzione digitale dei processi produttivi e una corretta connessione scuola lavoro garantiranno ai diplomati CAT il miglior percorso per essere artefici di questa prima, grande rivoluzione industriale in edilizia”. Infine: “Molti giovani vanno aiutati a conoscere un percorso di professionalizzazione che rischiano di sottovalutare; con Georientiamoci, conclude Maurizio Savoncelli, puntiamo a colmare il gap informativo che ruota intorno alle caratteristiche di questo corso di studi e alle sue concrete opportunità di inserimento nel mondo del lavoro”.

Le caratteristiche del progetto Georientiamoci. Professione Geometra 2.0. Innanzitutto, per la prima volta in Italia, una categoria tecnica avvia un dispiego tale di forze su base volontaristica. Nel corso degli ultimi mesi, infatti, sono stati i referenti della formazione dei Collegi Provinciali dei Geometri a svolgere l’azione di orientamento nelle scuole del territorio, svolgendo così un’importante impegno sociale rivolto alle generazioni future, al fine di informare correttamente i ragazzi e creando per loro un percorso facilitato per un riuscito ingresso nel mondo del lavoro.

Obiettivo del progetto, fornire agli studenti, con il supporto di genitori e insegnanti, gli strumenti per sviluppare una più profonda consapevolezza sulle proprie inclinazioni, in funzione della professione che svolgeranno. Una decisione non semplice, che i Geometri Italiani con Georientiamoci vogliono facilitare, indipendentemente dall’indirizzo di studi che sceglieranno in un secondo momento.

Per questo motivo, asset di questo progetto, per indicare con maggiore sicurezza la rotta per l’orientamento, sul sito www.georientiamoci.it è possibile svolgere online e gratuitamente, un accurato test di orientamento realizzato da un’equipe di psicologi e validato scientificamente grazie ad un iter di sperimentazione rigorosa, che permetterà di conoscere a fondo le attitudini reali dei ragazzi, individuando anche fattori latenti che non è possibile esplorare con i metodi tradizionali.

A TU PER TU CON LA RICERCA

A TU PER TU CON LA RICERCA
La sicurezza alimentare e le risorse ambientali con il CNR
I ricercatori incontrano i visitatori e dialogano sui temi delle loro ricerche attraverso le attività nei laboratori del Museo.
Weekend 20-21 e 27-28 febbraio appuntamenti per adulti e famiglie.
Lunedì 22 e 29 febbraio incontri per le scuole superiori.
Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia
Via San Vittore 21, Milano

All’indirizzo http://www.museoscienza.org/areastampa/materiali.asp sono disponibili alcune immagini e il comunicato stampa

Milano, 15 febbraio 2016. Come la scienza può aiutare ad avere cibi più sani e di qualità? In che modo le tecnologie possono garantire la sicurezza e smascherare le frodi in campo alimentare? Come si possono trasformare le acque di scarto in una risorsa o migliorare le coltivazioni grazie alla matematica e alle immagini satellitari? I ricercatori del Consiglio Nazionale delle ricerche incontrano i visitatori del Museo per dialogare sui temi della ricerca in campo agro-alimentare e ambientale. Le attività sperimentali nei laboratori e l’esposizione interattiva #FoodPeople, insieme alla novità dello speed dating fra ricercatori e studenti, sono gli strumenti progettati dal Museo per coinvolgere attivamente i visitatori in un confronto informale con i ricercatori del CNR. I ricercatori si mettono in gioco in prima persona e in modo nuovo riconoscendo il valore del coinvolgimento del pubblico.
Gli appuntamenti sono distribuiti per gli adulti e le famiglie nei fine settimana 20-21 febbraio e 27-28 febbraio e per gli studenti delle scuole superiori nei lunedì 22 e 29 febbraio. Sabato 20 e domenica 21 le attività nei laboratori con i ricercatori saranno dedicate alla sicurezza alimentare mentre sabato 27 e domenica 28 alle risorse ambientali.
Per le classi, le attività nei laboratori con i ricercatori riprenderanno le stesse tematiche. A queste si aggiungerà la modalità innovativa dello speed dating: gli studenti, divisi in piccoli gruppi, avranno a disposizione per 3 volte 10 minuti in cui dialogare con un diverso ricercatore. Lo scopo è duplice: rappresentare in modo informale e personale la ricerca svolta dal CNR e creare un contesto favorevole al confronto fra i ricercatori e gli studenti.
Circa 1250 persone nel complesso potranno partecipare alle diverse attività che coinvolgeranno più di 15 ricercatori.
L’iniziativa A tu per tu con la ricerca – La sicurezza alimentare e le risorse ambientali con il CNR è realizzata nel quadro del progetto “Spazi Espositivi per la Ricerca – Padiglione Italia EXPO2015”, sviluppato nell’ambito dell’Accordo Quadro Regione Lombardia – CNR, e realizzato con la compartecipazione di Unioncamere Lombardia. Il progetto ha avuto e ha l’obiettivo di valorizzare le eccellenze lombarde nel campo della ricerca e innovazione nei settori agroalimentare e ambiente, sia durante i sei mesi dell’esposizione universale Expo Milano 2015 che nel post Expo, promuovendo la diffusione dei risultati della ricerche e la conoscenza delle innovazioni prodotte in questi settori. L’iniziativa A tu per tu con la ricerca – La sicurezza alimentare e le risorse ambientali con il CNR, sviluppata dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano e dal CNR in collaborazione con Regione Lombardia, si inserisce tra le attività di approfondimento e di sensibilizzazione sulle sfide future della ricerca e dell’innovazione in ambito di sicurezza alimentare e di gestione delle risorse ambientali, promosse nell’ambito del progetto.
Luca Del Gobbo, Assessore all’Università, Ricerca e Open Innovation della Regione Lombardia dichiara: “La ricerca e lo sviluppo innovativo sono settori strategici e trasversali, che possono arrivare ad abbracciare ogni aspetto del nostro vivere quotidiano. La scienza raggiunge il suo obiettivo più elevato se non perde di vista la sua mission principale: migliorare la qualità della vita del cittadino, a partire dall’ambito della sicurezza alimentare. Fare sì che tutto il cibo sia sicuro non è un’impresa semplice. Ma oggi è concretamente possibile ripensare ai modelli di produzione alimentare in chiave di food safety e food security. Iniziative come questa vanno proprio nella direzione giusta: diffondere la cultura della produzione alimentare sostenibile e della lotta allo spreco, intervenendo sul ciclo produttivo, dalla coltivazione fino alla distribuzione”.

PROGRAMMA PER IL PUBBLICO DEI WEEKEND
Le attività sono incluse nel biglietto d’ingresso al Museo e prenotabili all’ingresso il giorno stesso fino a esaurimento posti.
Da 8 anni, durata 45 minuti circa.

SICUREZZA ALIMENTARE
Sabato 20 e domenica 21 febbraio
Impronte digitali del cibo
Sabato ore 14.30 e 16.30, i.lab Alimentazione
Scopri in che modo le nuove tecnologie permettono di mostrare gli zuccheri contenuti nel miele e da dove arrivano i chicchi di caffè, come possono garantire la sicurezza e smascherare le frodi.
Packaging
Sabato ore 14.30 e 16.30, i.lab Materiali
Conosci nuovi e divertenti materiali. Inventa un imballaggio piccolo e leggero che possa proteggere un fragile vasetto in un crash test.
DNA in tavola
Sabato ore 15.30 e 17.30, domenica ore 15 e 17, i.lab Genetica
Cosa stai mangiando davvero? Sperimenta come estrarre il DNA dal cibo e come vengono usate le sue informazioni per garantire sicurezza e qualità degli alimenti.
Microrganismi nel piatto
Domenica ore 14 e 16, i.lab Alimentazione
Sperimenta le potenzialità dei batteri lattici e fai un formaggio con un maggior contenuto di vitamine e un tenore ridotto di colesterolo.

RISORSE AMBIENTALI
Sabato 27 e domenica 28 febbraio
Acqua in bocca
Sabato ore 14.30 e 16.30, domenica ore 14 e 16, i.lab Biotecnologie
La beviamo, la usiamo per irrigare i campi e per lavare. Ma cos’è l’acqua e cosa le succede dopo il nostro utilizzo? Analizza diversi tipi di acqua e scopri come trasformare le acque di scarto in un bene prezioso.
Hai detto canapa?
Sabato ore 15.30 e 17.30, domenica ore 15 e 17, i.lab Materiali
Semi, fibre e olio. Sperimenta come utilizzare le diverse parti della canapa. Scopri varietà, storia e proprietà sconosciute di questa pianta.
Satelliti e matematica in campo
Domenica ore 15 e 17, visita guidata a #FoodPeople
Visita lo “schifidarium” della mostra per conoscere le piante e i microrganismi che minacciano la crescita del grano e della vite e scopri in che modo la matematica e le immagini satellitari contribuiscono a combatterli.

Il programma dettagliato e aggiornato di tutte le attività (mostre temporanee, visite guidate, laboratori interattivi) del Museo sarà disponibile all’indirizzo http://www.museoscienza.org/attivita
INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO
Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci
Dove siamo: Ingresso Via San Vittore 21 – 20123 Milano
Orario Invernale: da martedì a venerdì 9.30-17 | sabato e festivi 9.30-18.30
Biglietti d’ingresso
intero 10,00 € | ridotto 7,50 € per giovani sotto i 25 anni; adulti accompagnatori (max 2 persone) dei minori di 14 anni; persone oltre i 65 anni; gruppi di almeno 10 persone; docenti delle scuole statali e non statali; convenzioni |
speciale 4,50 € per gruppi di studenti accompagnati dall’insegnante previa prenotazione.
Ingresso gratuito per: visitatori disabili e accompagnatore, bambini sotto i 3 anni, giornalisti solo previo accredito dell’Ufficio Stampa o presentazione del tesserino dell’Ordine dei Giornalisti in corso di validità e compilando il form di accredito.
Programma membership card: alla biglietteria sono in vendita 3 tipologie di card per l’accesso gratuito e illimitato al Museo in compagnia di una persona a scelta o della famiglia.
Visite guidate al sottomarino Enrico Toti
Non è possibile acquistare il biglietto per la visita guidata all’interno del sottomarino Enrico Toti separatamente da quello del Museo.
Il costo è di 8 € + il biglietto del Museo (+ 2€ per prenotazioni anticipate). Info e prenotazioni: tel.02.48555330, attivo il martedì e il venerdì dalle 13.30 alle 16.30, oppure via email a infototi@museoscienza.it
Simulatore virtuale di volo in elicottero
Il costo è di 8 € + il biglietto del Museo. La prenotazione e l’acquisto del biglietto avvengono il giorno stesso alla biglietteria (fino a esaurimento dei posti disponibili).
Biglietti online
Sul sito del Museo è possibile acquistare il biglietto d’ingresso al Museo – intero o ridotto, il biglietto per il sottomarino Enrico Toti e per il simulatore di volo in elicottero.
MUST Shop: da martedì a domenica, dalle 10 alle 19; lunedì chiuso.

www.museoscienza.org | info@museoscienza.it | T 02 48 555 1

I CONTESTI DELLA SPECIALE NORMALITA’

PAMELA BIANCO[1]

I CONTESTI DELLA SPECIALE NORMALITA’

 

  1. Premessa

 

La diversità è la norma” e “i diversi non sono più diversi dagli uguali di quanto gli uguali non siano diversi tra loro”. La normalità è costituita da plurime diversità, l’eterogeneità è la normalità. Il mondo multiforme e composito di oggi ha bisogno di tutte quante le sue componenti, perché la vita è dialettica delle diversità e senza diversità non c’è vita, tutto altrimenti risulterebbe livellato ed uniforme. La diversità, racchiusa nella ricchezza delle sue manifestazioni biologiche, culturali, estetiche, sociali, politiche, deve essere oggi considerata come un valore assoluto e indispensabile dell’umanità. Il disabile è testimone manifesto della diversità, sia essa fisica, psichica o sensoriale.

Il diverso è un “altro”, rispetto al quale ogni soggetto è diverso: la dimensione etica della diversità, risiede nella scelta che ciascuno fa della propria vita. Una scelta di partecipazione, di solidarietà, di immedesimazione e di empatia è una scelta di campo che si traduce in proposito educativo. L’etica della diversità è stile di pensiero, testimonianza di umanità, tensione emotiva forte e continua, come ben sanno i docenti che quotidianamente vivono le problematiche del disabile. Presupposto dell’etica della diversità è la cultura dell’integrazione. In questi ultimi anni la presenza del disabile ha dato un decisivo apporto al rinnovamento della scuola, che in questo modo ha saputo mettere in discussione se stessa, è stata in grado, tra tante difficoltà, di cercare nuovi percorsi e procedimenti, di creare una didattica e nuovi profili professionali (dall’insegnante specializzato all’operatore psico-pedagogico). L’integrazione si è così elevata ai livelli di una nuova cultura, intesa come modo diverso di concepire l’educazione, basata su risorse umane più sollecite verso i valori della solidarietà, della collegialità, della corresponsabilità. Con la L. 104/92, l’integrazione non è più un fatto meramente scolastico, ma anche sociale e culturale: coinvolge le comunità e i singoli, modifica gli aspetti normativi e i comportamenti delle persone, produce ed è cultura tout court.

 

2.     La pedagogia speciale e la didattica speciale

 

La pedagogia speciale ha come oggetto di indagine l’educabilità dei soggetti in situazione di handicap. Infatti per comprendere l’origine e la storicità della pedagogia speciale in quanto scienza, si considera la vicenda del ragazzo selvaggio (sauvage) che ne rappresenta il mito fondatore raccontando la parabola esistenziale che conduce un fanciullo dallo stato di natura a quello di cultura traghettato dall’educazione in quanto soggetto educabile. Da questo momento in poi si sviluppa appunto un’idea di educazione e di educabilità, in contrapposizione a quella di ineducabilità, che fa perno sul concetto e sul valore della comunicazione che viene a realizzarsi tra chi educa e il soggetto educabile, in un’ottica interdisciplinare che coinvolge il contributo della medicina e dell’assistenza in generale, entro il quadro complessivo delle scienze dell’educazione.

Il compito principale della pedagogia speciale è comprendere e studiare, eticamente e scientificamente, i “deficit” per consentirne l’accettazione in uno sviluppo degli individui compatibile, e gli “handicap” con l’obiettivo di una loro riduzione, ponendo una particolare attenzione alle reti sociali e ai ruoli professionali coinvolti (l’insegnante specializzato e l’educatore inteso come soggetto delle relazioni di aiuto). In vista della promozione umana, se diagnosi e cura intervengono sulla menomazione, la riabilitazione sulla disabilità, è l’educazione che si occupa dell’handicap, che può riguardare qualsiasi persona in un periodo più o meno lungo della propria vita, e combatte contro ogni stereotipo e pregiudizio. Una delle sue prerogative è lo stretto connubio tra aspetti teorici e aspetti pratici; infatti come dimostra il suo mito fondatore, le persone che hanno bisogni particolari legati a un deficit, vanno vissute e frequentate da vicino e integralmente, nella loro complessità, affinché la ricerca possa evolversi e si possa sperimentare e monitorare, e in prospettiva raccogliere, in una sorta di memoria storica, le buone prassi rispetto a una realtà plurale e comprensiva, in collaborazione con altre scienze (quali le pedagogie, le psicologie, la medicina clinica e riabilitativa) e le varie professioni di riferimento. Dunque non una scienza isolata e chiusa nella torre eburnea dell’accademismo, ma una disciplina pratica, operativa, efficace, che studia come realizzare la presa in carico, la cura e l’aiuto delle persone con bisogni educativi speciali.

Lo statuto epistemologico della pedagogia speciale infatti si basa proprio sull’emergenza di un “bisogno educativo speciale”, e si caratterizza per la sua natura aperta e complessa che la spinge a ricercare sempre possibili soluzioni mirate a migliorare ogni giorno le situazioni di handicap e deficit nell’ottica della integrazione. Lo scopo della cura educativa consiste infatti nel promuovere una migliore qualità dell’esistenza valorizzando le potenzialità di ogni singola persona.

E’ dunque una scienza di ricerca scientifico – operativa le cui conoscenze hanno il loro valore per il significato nascente dalla connessione alla logica dell’integrazione delle diversità, si occupa dell’agire sociale delle persone ed è di natura sistemica e “istituzionale” in quanto il suo raggio di azione si configura come una rete “radicata” che coinvolge più soggetti tra loro cooperanti (scuola, famiglia, asl, enti sociali, contesti extrascolastici). Al centro ci deve essere sempre l’identità personale del soggetto con i “bisogni educativi speciali”, supportato e facilitato a essere nelle condizioni di sapersi raccontare rispetto all’unicità della propria storia, dunque riconosciuto dall’altro da sé, e di conquistare l’autonomia personale nell’essere e nell’agire, la libertà e l’adultità possibile in vista della costruzione dell’identità personale, e realizzare il proprio percorso verso l’integrazione e l’inclusione. La pedagogia speciale, dunque, si caratterizza per l’approccio positivo alla diversità, valorizzando ogni soggetto con le proprie differenze individuali, andando oltre il deficit certificabile, occupandosi significativamente delle esigenze formative della singola persona. Pertanto l’oggetto di indagine è la risposta a livello educativo – formativo ai bisogni educativi speciali, ai problemi delle diversità derivate dalla presenza di deficit, per produrre risposte speciali a problemi specifici in ampi contesti e all’interno di relazioni sociali sempre più vaste e valorizzanti la diversità, tramite interventi educativi speciali, tramite una progettazione finalizzata alla individualizzazione/personalizzazione dei percorsi formativi scolastici ed extrascolastici.

La sua principale finalità consiste nella riduzione dell’handicap, ovvero, nell’adeguata socializzazione del deficit e nella valorizzazione del potenziale educativo di ogni soggetto che trova compimento nella sua integrazione. La pedagogia speciale, come pedagogia della diversità e della complessità, finalizzata alla riduzione dell’handicap si preoccupa dunque di dare delle risposte qualificate in termini educativi e formativi ai bisogni formativi speciali. In questa prospettiva si pone anche la didattica speciale, intesa come didattica specifica, nel senso che, come afferma Canevaro, “gli elementi di didattica generale vanno riformulati ed adattati alla didattica che quei soggetti e quella situazione presentano ed esigono”. La didattica speciale ha come compito principale quello di definire le strategie insegnative e apprenditive specifiche per soggetti in situazione di handicap, in situazione di svantaggio socioculturale, affinché questi diventino autonomi nel pensiero e nell’azione. Quindi si concretizza nell’adozione di un insegnamento individualizzato capace di organizzare un’istruzione articolata in relazione alle esigenze apprenditive dei singoli alunni.

 

 

 

 

  1. I bisogni educativi speciali

 

I bisogni educativi speciali possono essere espressi da un soggetto quando la capacità di apprendimento, in uno specifico ambito o rispetto a una o più competenze, si rivela problematica arrecandogli dei danni più o meno gravi. La problematicità può essere di tipo globale o pervasivo come nel caso del ragazzo autistico, o specifica (dislessia, disgrafia, discalculia), o settoriale (disturbi del linguaggio, del comportamento, da deficit attentivi con iperattività, da deficit motori, cognitivi), permanente o transitoria; e innumerevoli possono essere le cause (organiche, psicologiche, familiari, socio-culturali). Possono presentarsi casi di svantaggio e deprivazione sociale, diversità etniche e culturali, difficoltà familiari, difficoltà psicologiche, difficoltà di apprendimento legate all’ambiente socio-culturale di appartenenza o alle caratteristiche familiari. Possono esserne causa anche la qualità dell’istruzione scolastica e le caratteristiche del soggetto per fattori emotivo – emozionali. La “specialità” di tali bisogni non ha un’accezione negativa né valore di diagnosi-destino in quanto rimanda a uno stato nel quale tutti, in un qualsiasi momento della propria vita, ci si può ritrovare senza per questo dover rinunciare alla personale ricerca di autonomia, di relazione e di socializzazione, di acquisizione di abilità e di competenze soprattutto sociali. Quello di cui gli alunni con bisogni educativi speciali necessitano, sono interventi individualizzati che si traducano in opportuni e adeguati piani educativi e progetti di vita, ma anche, a seconda dei casi, di particolari attenzioni psico – educative perché non sempre è una diagnosi psicologica o medica a comunicarne il bisogno. Affinché questo sia possibile, deve avvenire in un contesto di integrazione e di inclusione, in una relazione educativa che presupponga la presenza di chi questi bisogni è disposto a riconoscerli e a prendersene carico. Oggi la scuola, e nella scuola gli insegnanti sia specializzati che curricolari, è responsabilmente chiamata a saperli riconoscere e a mettere a loro disposizione le risorse necessarie per fornirne le risposte più adeguate. Grazie ai progressi registratisi in ambito legislativo ma anche a livello storico-sociale, è mutato il significato di salute/ malattia. L’OMS, dal 1948 al 1986 ha proposto diverse definizioni, indicando inizialmente la salute come uno stato e poi come un processo. Lo “stato” è per definizione qualcosa di statico, di dato a priori, qualcosa verso cui tendere ma che rimane immutato, qualcosa che non varia al mutare della persona. Per “processo” si intende invece l’insieme di fatti e fenomeni aventi fra loro un nesso. Pertanto la salute, per sua natura, non può che essere un processo in divenire. Il fine, in questo caso, è il benessere a livello fisico, cognitivo, psichico, affettivo e sociale che non dipende solo dal soggetto ma, molto spesso, soprattutto dall’ambiente in cui vive. L’OMS definisce nel 1986 la salute come un processo in costruzione in cui è il soggetto in prima persona a definire cosa sia “normale”, ossia cosa sia per lui “benessere”. Quando vi è difficoltà a goderne, è prevedibile la comunicazione di un bisogno educativo speciale. Decadono pertanto le obsolete e limitanti definizioni di menomazione, disabilità ed handicap precedenti a partire dal processo di revisione dell’ICIDH del 1993 che sfocia in due nuove bozze del 1997 e 1999, per poi essere integrata dall’ICD-10 e dall’ICF. L’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) sancisce una svolta nel processo di revisione del concetto di disabilità e raggruppa gli stati funzionali associati alle condizioni di salute, a livello corporeo, personale e sociale. Appunto, anziché parlare di disabilità e patologia, parla di salute in un’ottica globale/disabilità, e di funzionamento delle persone, per le quali indispensabile è, assieme allo stato delle condizioni fisiche e ambientali, non rinunciare all’autostima, l’identità, la motivazione, lo stare con gli altri (integrati e inclusi) con attività personali e partecipazione sociale. L’ICF fornisce una sorta di mappa che documenta le diverse situazioni di difficoltà degli alunni utilizzando termini neutri, non ideologici e volti in una prospettiva positiva e propositiva. “Speciale” dunque, oltre che “specializzato” deve essere l’insegnante nel saper favorire l’integrazione scolastica di alunni disabili e l’inclusione di alunni con bisogni educativi speciali, aventi diritto a esprimere la diversità del proprio modo di essere e di vivere in quanto “persone”, mettendo a loro disposizione interventi educativo – didattici adeguati alle caratteristiche individuali (da distinguere dagli itinerari di apprendimento individualizzati e personalizzati invece destinati a chi esprime bisogni educativi specifici o particolari ma non legati a situazioni di disabilità e di handicap, comunque bisognosi di risposte educative efficaci).

 

  1. La progettazione individualizzata nell’ottica della «speciale normalità»

 

Se si osserva che un allievo apprende con difficoltà, sarà ridotto per quell’allievo il livello dell’attesa, senza preoccuparsi di esplorare le cause che fino a un certo momento gli hanno impedito di conseguire risultati migliori. […] Se da un allievo ci attendiamo poco, è probabile che otterremo ancora meno”. Vertecchi fa riferimento all’ “’effetto Pigmalione”, noto anche come effetto Rosenthal, derivante dagli studi classici sulla “profezia che si autorealizza”: se gli insegnanti credono che un alunno sia meno dotato, lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il soggetto interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo vizioso per cui l’alunno tenderà a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato. Ma perché un alunno può riscontrare difficoltà di apprendimento? Qual è la sua storia personale? Qual é il suo stile di apprendimento? Lo stile cognitivo? Il tipo di personalità? Lo stile linguistico? Quello comunicativo in generale? Ha difficoltà emotive? Relazionali? Assume comportamenti problematici? Le cause sono personali? Legate al contesto? La spia del problema è l’attenzione? La proibizione? La minaccia? L’attacco alla persona? L’incoerenza? L’insegnante di fronte a bisogni educativi specifici o particolari deve andare oltre la “percezione”; altro è l’osservazione e l’empatia. Deve garantire una relazione di aiuto che va ben oltre quella prettamente didattica, educativa, pedagogica. Deve anzitutto avere fiducia nelle potenzialità di ogni singolo alunno, presenti sempre in chiunque, malgrado le difficoltà, e comprendere lo scarto tra ciò che è in grado di fare da solo e ciò che riesce a fare se supportato dall’insegnante e da altre figure di riferimento, compagni di classe compresi. Ovviamente questo può avvenire solo all’interno di un’organizzazione aperta e favorevole al riconoscimento delle diversità, alla integrazione e alla inclusione, e non certamente classificando e categorizzando i soggetti per disturbi e deficit. Pertanto fondamentale è l’azione realizzata strategicamente sul contesto e sulla rete sociale, con l’obiettivo di migliorare le prestazioni del soggetto in questione senza la pretesa o l’illusione di risolvere il deficit, di eliminare ogni forma di dipendenza e promuovere l’autonomia, di sviluppare quelle abilità sociali che potrebbero in seguito maturare in competenze laddove si riveleranno spendibili in situazioni diverse dal contesto nel quale sono state apprese. L’insegnante deve conoscere l’alunno integralmente e olisticamente per poter valorizzare le potenzialità e avere una considerazione in positivo delle sue difficoltà, e poter definire il progetto educativo costruito sui vertici dell’essere, della possibilità e del dover essere. C’è una netta differenza tra l’individualizzazione (il dare a tutti, in modo diverso, lo stesso, che è uguale e ripetibile: obiettivi comuni) e la personalizzazione (l’aiutare ciascuno a costruire il proprio, che è unico e irripetibile: obiettivi differenziati). La prima mira alla alfabetizzazione culturale, dunque alla uguaglianza delle possibilità per costruire le competenze fondamentali, la seconda è finalizzata allo sviluppo delle potenzialità, alla valorizzazione delle differenze per l’eccellenza cognitiva. La progettazione individualizzata implica il superamento e l’abbandono del didattismo che prevede un modello unico di alunno, il pensiero convergente, all’interno di uno spazio educativo rigido e in classi chiuse con insegnante unico; l’approccio deve essere centrato sull’apprendimento, tenendo conto che ogni soggetto è portatore di una storia e di un vissuto personale, riconoscendo la risorsa del pensiero divergente e degli stili cognitivi differenziati. Plurali devono essere anche gli spazi educativi. Il modello di riferimento deve essere quello ecologico – sistemico: il soggetto è considerato sulla base della intelligenza, dell’ambiente e della storia di vita. Variabili caratteristiche dei differenti modelli sono il tempo, il tipo di verifica, la valutazione. La dimensione formativa garantisce il superamento di qualsiasi situazione contraddistinta da difficoltà solo se i percorsi offerti sono mirati e differenziati, e finalizzati allo sviluppo di potenzialità e capacità in rapporto ai processi di apprendimento e ai processi motivazionali del singolo alunno. La scuola, tramite la progettazione individualizzata, deve promuovere l’adattamento, inteso come processo di maturazione e di apprendimento all’interno del quale il soggetto ha messo in atto un cambiamento in positivo, acquisendo abilità di espressione del sé, di comunicazione, di affermazione del sé, di soluzione di problemi interpersonali.

La progettazione realizzata dagli insegnanti, a partire dall’analisi della situazione di partenza, deve prevedere la definizione degli obiettivi, la selezione dei contenuti, la scelta e l’organizzazione di metodi e di attività, la scelta e l’organizzazione di materiali e di strumenti, la realizzazione dell’intervento, la valutazione. Inoltre deve prevedere, laddove se ne presentasse la necessità, attività di consolidamento, attività di recupero, attività di approfondimento, attività di sostegno, attività compensative, attività di arricchimento, attività diversificate in relazione più che ai livelli, alle identità personali e socio-culturali dei singoli alunni. In sintesi, è solo attraverso una programmazione individualizzata che l’insegnante specializzato può costruire la “speciale normalità”, arricchendo tecnicamente la normalità delle attività tenendo conto di aspettative, obiettivi e prassi di ogni alunno, ai fini dell’apprendimento e della integrazione., adattando metodi, materiali, mediatori e situazioni didattiche, valorizzando i compagni di classe, la scuola, il territorio, sulla base di specifiche domande: chi insegna? Su cosa si lavora? Come si apprende? Come si interviene sui comportamenti problema? In una sola parola: EDUCARE.

  1. L’insegnamento individualizzato

 

In questa logica è un dato ormai consolidato in letteratura la necessità dell’adozione di un insegnamento individualizzato. La stessa recente normativa scolastica recepisce tale indicazione e dispone la redazione dei cosiddetti PSP, Profili di Studio Personalizzati. L’insegnamento individualizzato consiste nell’adattare l’insegnamento alle caratteristiche individuali degli alunni, nel rispetto dei diversi ritmi di apprendimento, dei diversi stili cognitivi, delle diverse intelligenze, organizzando contesti educativi e didattici flessibili e ricchi di opportunità di realizzazione personale, al fine di garantire un’uguaglianza delle opportunità formative. Nell’insegnamento individualizzato rientrano tutte quelle strategie individualizzate/opzioni didattiche che, partendo dai bisogni reali dei singoli allievi, strutturano percorsi di insegnamento/apprendimento in grado di modificare le situazioni di svantaggio, differenziando gli interventi per dare di più a chi ha di meno. Se, infatti, la scuola trattasse tutti gli alunni allo stesso modo, non farebbe altro che riprodurre le differenze di partenza; occorre, invece, che, in un’ottica di valorizzazione delle diversità, sappia fare parti disuguali per garantire una sostanziale equivalenza di risultati, divenendo così una “scuola uguale per tutti ma diversa per ciascuno”. Pertanto è necessario prevedere percorsi didattici articolati, in cui gli obiettivi sono gli stessi per tutti gli alunni anche se possono variare i loro livelli di conseguimento, e percorsi didattici differenziati, in relazione sia agli obiettivi che alle metodologie e alle tecnologie. Quando in classe gli alunni disabili, svantaggiati ed eccellenti sono impegnati rispettivamente nelle attività di sostegno, compensative, di arricchimento, gli altri alunni, i normodotati, possono essere impegnati in specifiche attività di consolidamento e di approfondimento.

6.     Le strategie

 

Tra le possibili strategie, fondamentali sono i tipi di insegnamento mediato da pari, i metodi cioè collaborativi che facilitano l’aiuto reciproco, la coesione sociale e l’imparare insegnando, dunque consentendo al disabile la reale integrazione: Cooperative Learning; Brainstorming;Tutoring; Peer Teaching. Il lavoro di gruppo (Cooperative Learning) rappresenta il luogo privilegiato delle relazioni interpersonali e rappresenta un’occasione per comunicare, apprendere e produrre. Il lavoro di gruppo ha lo scopo di incrementare qualitativamente l’attività dei singoli, favorendo la socializzazione e la soddisfazione di esigenze emotive, quali ad esempio, il bisogno di difendersi dall’ansia, di riuscire a collaborare, di trovare sicurezza, di essere accettati. Nel gruppo, ciascuno partecipa secondo il proprio stile personale e ciascuno rappresenta un’occasione di stimolo e di verifica per gli altri (Vygotskij). Al centro del gruppo vi è la ricerca, in quanto è all’interno del gruppo che sono individuati i problemi, formulate le ipotesi e verificati i risultati. In questo contesto, il compito dell’insegnante diventa quello di coordinare il lavoro e di organizzare le attività, di favorire lo sviluppo delle dinamiche positive funzionali alla coesione del gruppo e di filtrare quelle negative. Il lavoro di gruppo, mai lasciato al caso, prevede una progettazione delle attività, organizzando in maniera flessibile i tempi e gli spazi, predisponendo mezzi e materiali utili per la strutturazione delle attività di gruppo. Il Braistorming (la tempesta del cervello) consiste nel richiedere agli alunni di intervenire liberamente senza preoccuparsi di dire cose esatte o meno su una domanda – stimolo, proposta dall’insegnante. Questa strategia è utilizzata allo scopo di esplicitare la matrice cognitiva, ovvero il quadro delle conoscenze possedute dagli alunni, prima fase della programmazione per concetti. Il Tutoring è una strategia particolarmente efficace per favorire l’integrazione degli alunni in situazione di handicap. Consiste nell’affidare a uno o a più alunni specifiche responsabilità di tipo educativo e didattico. Si articola in diverse fasi: la preparazione specifica dei tutors; la simulazione dell’esperienza in una situazione controllata con la supervisione dell’insegnante; l’attuazione dell’esperienza;il feedback immediato (diario di bordo); la messa a punto di eventuali modifiche per interventi successivi; la rotazione dei tutors.

Questa strategia ha promosso uno spirito collaborativo molto produttivo, consentendo al tutor di imparare insegnando, agli alunni affidatigli di ricevere un’istruzione individualizzata, al docente di avere più tempo per gestire il rapporto educativo globale. Il Peer teaching consiste nell’affidare la realizzazione di compiti a studenti che sono alla pari come capacità cognitive. Gli alunni sono divisi in piccoli gruppi, discutono e formulano ipotesi.

 

  1. Disabilità e Progetto di vita: la promozione dei ruoli sociali adulti, aspetti psicologici e adultità

 

Prendendo in esame la disabilità nella sua connotazione biologica e sociale, occorre studiarne le funzioni psichiche, sposare una visione olistica del soggetto che la vive, cogliere le sue interdipendenze con l’ambiente e le tematiche psicologiche in corrispondenza delle fasi evolutive, perché persona e deficit non sono la stessa cosa, la persona disabile non si identifica con i suoi problemi. Infatti per comprendere integralmente la disabilità, occorre relazionarla ai contesti di vita (famiglia, scuola, mondo del lavoro), e non solo alla diagnosi e alla riabilitazione. Occorre inoltre che congiuntamente, in stretta e propositiva collaborazione, figure professionali sociali, della sanità e della scuola, e famiglia, concorrano alla progettazione di puntuali e individualizzati percorsi educativi e riabilitativi (a partire dal PEI) e alla costruzione del progetto di vita della persona disabile come sua proiezione “adulta” nel futuro. Come sottolinea Ianes, deve essere un “equilibrato funzionamento collettivo” garantito dagli interventi educativi, sociali e riabilitativi, finalizzato a migliorare la qualità della vita del disabile e al raggiungimento dell’autonomia. Nelle prime fasi di vita, infatti, il bambino è completamente dipendente dai suoi genitori, ma negli anni deve acquisire le abilità necessarie per condurre una vita il più possibile autonoma. L’autonomia, oltre ad essere la base per avere rispetto e stima in se stesso, è il pre-requisito per il processo di integrazione e di inclusione della persona. Comprensibili sono le difficoltà che incontrano i genitori di un figlio disabile al momento della sua nascita: possono provare sentimenti di shock e di delusione, perché quel bambino è diverso da quello desiderato e immaginato; ma tra incredulità, protesta, rabbia, disperazione o sensi di colpa, all’elaborazione del lutto devono seguire l’accettazione e l’adattamento. Realizzando e riorganizzando il proprio progetto di vita, devono imparare ad accettarlo e soprattutto devono pensarlo capace di diventare grande, nutrire aspettative per il suo futuro, sorreggendolo nei progressi e accettandone gli insuccessi, evitando di sostituirsi o di iper – proteggerlo, pena l’infantilizzazione e l’iper – protezione, con un’impossibilità per il soggetto di sperimentare la sua vita da “grande” e maturare, nell’assunzione di ruoli sociali adulti, la propria “adultità possibile”. Una tappa importante, ma al tempo stesso molto delicata, è l’adolescenza, fase durante la quale il disabile si trova tra due mondi: da un lato il mondo familiare, protettivo che lo sostiene e di cui non può fare a meno, dall’altro gli amici, i coetanei che “rivendicano” continuamente la propria indipendenza. I genitori devono saper gestire questa altalena, accompagnando il figlio nel mondo dei grandi e non considerarlo un “eterno bambino”. “La famiglia diverrà depositaria dinamica del possibile, sarà uno stabile sostegno del poter essere”, ossia fonte di risorse per la crescita del bambino diversamente abile se saprà garantire “distanziamento educativo” e “separazione” fino al conseguimento di una sua identità stabile e adulta. La maniera più efficace e concreta per farlo, è prevedere per lui prospettive di emancipazione e di indipendenza, amarlo e desiderare vederlo crescere, evolvere, migliorare la propria autostima: sviluppare al meglio le sue risorse in funzione del miglior progetto di vita possibile. Accompagnare il figlio alla propria autonomia e indipendenza è il miglior modo, dunque, per progettare il “dopo di noi”. Si può iniziare a farlo intervenendo su aree educative in vista di un’autonomia, affinché “impari a cavarsela” a partire dall’abbandono della logica del “mi aiuti” a favore dell’incarico e dell’assunzione di ruoli sociali anche molto semplici: la comunicazione, l’orientamento, il comportamento stradale, l’uso del denaro, l’uso dei servizi e dei mezzi di trasporto, la frequentazione di corsi operativo – laboratoriali all’interno dei quali possa esperire in termini di saper fare e saper essere, mettendo alla prova abilità e capacità, in seguito spendibili anche nel mondo del lavoro, la gestione degli spazi in casa, l’uso del telefono e del cellulare.

Ovviamente la famiglia non può farcela da sola ma va sostenuta, sviluppando e tenendo attiva una rete di comunicazione e di servizi validi e competenti in modo preventivo, dai primissimi anni di vita del disabile perché “la condizione adulta si costruisce nell’infanzia. Perché ci sia un buon viaggio esistenziale, bisogna che ci sia una buona partenza”; l’età adulta deve essere preparata sin dalla nascita tramite percorsi educativi, affettivo – relazionali, esperienziali che mirino a rispondere ai bisogni di normalità dell’infanzia, base per un’adeguata risposta ai bisogni di normalità riscontrabili in età adolescenziale e adulta. La vita adulta è una fase in cui si possono raccogliere i frutti del lungo percorso che ha accompagnato la vita del disabile e quella dei suoi genitori, se si è fatto riferimento in questo lungo cammino ad un progetto di vita. Progettare non significa prevedere il futuro, ma individuare gli obiettivi da raggiungere, i possibili ostacoli, le strategie e i passi da compiere per giungere allo sviluppo di tutte le potenzialità che un soggetto possiede. Il progetto non si deve basare su semplici ipotesi prive di fondamento, ma è opportuno considerare tutte le caratteristiche dell’individuo e gli aspetti dell’ambiente in cui vive. È partendo da queste dimensioni che si può pensare ad un progetto di vita in cui si ponga come protagonista, con il supporto di genitori, fratelli, medici, psicologi, educatori, terapisti. Il progetto di vita, infatti, deve partire dalle esigenze e dalle aspettative della persona a cui il progetto è rivolto, e non viceversa. Il progetto di vita deve iniziare dalla nascita e percorrere tutte le tappe della sua esistenza, individuando ciò che è utile al soggetto, al suo benessere e al miglioramento della qualità della vita. “Il progetto di vita…è una costruzione che si realizza giorno per giorno non per una persona, ma con una persona, che può essere abile o diversamente abile, mettendo a frutto tutte le risorse delle reti sociali che il territorio offre e sollecitando il nascere di ulteriori occasioni quando queste si dimostrino deficitarie”.

 

  1. Affettività, sessualità, integrazione sociale: il ruolo della famiglia e della scuola. Azioni congiunte e prospettive reticolari.

 

L’integrazione sociale è determinante nella qualità della vita di ciascuna persona, perché consente di sentirsi parte della comunità, di vivere e condividere esperienze emotive e cognitive con gli altri, che tra l’altro svolgono un ruolo decisivo nel processo di costruzione del sé. Integrare significa “promuovere la persona dell’altro ad essere se stessa, a mantenere la sua identità e ad espandersi progressivamente verso un rapporto d’intimità, d’amore e di collaborazione”. L’integrazione sociale delle persone disabili ha negli ultimi anni raggiunto buoni risultati in vista del raggiungimento della autonomia. Certamente la mediazione operata dagli insegnanti è in grado di trasformare l’inserimento in integrazione poiché l’educazione permette lo sviluppo sano e corretto della personalità. Durante l’infanzia e la fanciullezza, la costruzione della personalità del soggetto si relaziona con le figure adulte (genitori, insegnanti, figure educanti) mentre ancora secondario è il rapporto con i coetanei. A questa età, alla costruzione della personalità contribuiscono l’integrazione scolastica (che coincide con quella sociale se la famiglia non tende ad emarginare, per un senso di iper – protettività, il proprio figlio disabile), iniziative e ulteriori attività educative promosse dal mondo extrascolastico pur sempre mediate da figure specifiche (il lavorativo, il tempo libero, lo sport, l’associazionismo). Superata la fanciullezza però, le differenze tra normodotato e soggetto portatore di deficit si accentuano: a livello somatico, nella crescita corporea e nelle competenze motorie, emerge l’immaturità (con particolare riferimento alla sessualità); a livello psichico, i confini del sé non sono ben definiti e strutturati e spesso ne consegue un’organizzazione borderline della personalità. Spesso in maniera difforme e disarmonica procedono la maturazione affettiva, quella cognitiva e quella sociale. Durante la preadolescenza e l’adolescenza, in generale si rimodella e rinnova il processo di costruzione di identità della persona e significativamente importante è avvertita l’esigenza del confronto con i pari, i coetanei, il gruppo, e il distacco dalle figure genitoriali. Cambiano i bisogni e i comportamenti e spesso i genitori e gli educatori non sono preparati ad affrontarli. L’adolescente disabile vive con maggiori difficoltà questo periodo delicatissimo e problematico della propria esistenza; infatti consapevole del proprio deficit, avverte il confronto con l’altro da sé tutto in negativo, con senso di inferiorità; la diversità diventa fattore di ansia, angoscia, senso di inadeguatezza e vulnerabilità. Fondamentale è l’intervento congiunto della famiglia e della scuola in quanto principali agenzie educative, perché l’educazione può fungere da incremento all’identità dei soggetti in formazione e migliorare le abilità sul piano affettivo, cognitivo, relazionale, comunicativo, comportamentale. Il periodo adolescenziale rappresenta un punto critico per l’integrazione scolastica e sociale: gli adulti devono capire come mediare passaggi così delicati tanto da configurarsi come snodi per lo sviluppo successivo; devono mettere a punto approcci, strategie, percorsi individualizzati con la consapevolezza di fungere da modelli di sviluppo, dunque di essere responsabili della strutturazione futura dell’identità dei ragazzi. Devono inoltre favorire l’adattamento inteso come processo di maturazione e di apprendimento a livello comportamentale (capacità di conformarsi alle norme sociali; riconoscimento e rispetto delle regole); sociale (capacità di sviluppare reti sociali); personale (capacità di ricoprire un proprio ruolo all’interno di un gruppo). Dunque scuola e famiglia, realizzando azioni congiunte e definendo prospettive reticolari entro le quali sono compresi anche il gruppo dei pari e l’extrascuola, devono costruire intese e sinergie a vantaggio della formazione e del progetto di vita delle persone diversamente abili, articolandolo in molteplici e diversificati sostegni e aiuti radicati nella rete eco-sistemica in cui il soggetto diversamente abile non solo manifesta i suoi bisogni, ma attivamente, utilizzando i personali potenziali, contribuisce a definire il possibile scenario di soluzioni (gli interventi psico-educativi possono essere realizzati da medici di base, ginecologi, psichiatri, psicologi, operatori dei servizi socio-assistenziali). Scuola e famiglia devono attuare interventi di prevenzione di forme di isolamento sociale, di stigmatizzazione (tra stereotipi e pregiudizi), di negazione di bisogni e desideri. Estremamente complesso e delicato è il discorso relativo alla sessualità: spesso il disabile vive, per estrema protezione da parte della famiglia, in una sorta di mondo ovattato, un limbo nel quale si muove come un essere asessuato e desessuato, un Peter Pan, come dalle fiabe condannato a non crescere mai, senza diritto di amare ed essere amato, costretto alla repressione e alla negazione del piacere. Malgrado gli innumerevoli progressi e le aperture culturali, purtroppo nel campo della sessualità sussistono tuttora numerose barriere; l’argomento sesso-amore per disabili, genitori e addetti ai lavori resta un tabù, argomento da scandalo, oggetto da condanna morale. Occorre distinguere con evidenza tra genitalità e sessualità perché non si banalizzi la sessualità a puro esercizio genitale o si possa credere che la soluzione al problema possa essere rappresentato dalla legittimazione del ricorso ripetitivo alla masturbazione e alla prostituzione. La sessualità implica creatività, ricerca del piacere, incontro tra due anime prima che tra due corpi, relazione, crescita, scambio, reciprocità. Nella sessualità convergono tante dimensioni fondamentali per la crescita e l’evoluzione della persona: biologica, cognitiva, emotivo -affettiva, comunicativo -relazionale, socio-culturale. Scuola e famiglia devono pertanto contribuire al miglioramento della qualità della gestione del tempo libero e dei contesti di inserimento, favorendo occasioni di incontri, interazioni sociali, relazioni interpersonali. Complessa è l’attuazione di programmi di educazione all’affettività e alla sessualità e la realizzazione di percorsi formativi -informativi: devono ovviamente essere individualizzati tenendo conto di specifiche abilità e specifici deficit, dei livelli di sviluppo e di maturazione raggiunti; se necessari, devono prevedere interventi anche repressivi e punitivi ma preferibili sono quelli che valorizzano gli aspetti emotivo -affettivi della sessualità. Nell’educazione alla sessualità, scuola e famiglia vanno coinvolte per prevenire l’iperprotezionismo, l’emarginazione e l’isolamento, devono capire come devono gestire le situazioni problematiche e come invece promuovere la maturazione psicologica globale dei disabili fino all’attivazione dei processi di integrazione scolastica, sociale e lavorativa. Come sottolinea Dixon, un buon programma di attività educative, deve far lavorare sulle capacità comunicative, le relazioni affettive, il linguaggio del corpo, l’autostima, la cura di sé, il senso di responsabilità, la contraccezione, l’igiene sessuale, la gravidanza, il parto, la genitorialità. Deve cioè essere un’educazione integrale, che abbraccia tutte le sfere della persona perché lo sviluppo sessuale non può prescindere dallo sviluppo della personalità nel suo insieme.

 

  1. Il profilo dell’insegnante per il sostegno

 

Secondo quanto previsto dalla legge 104/92 l’attività dell’insegnante di sostegno specializzato è rivolta alla classe in cui è iscritto un alunno in situazione di handicap. Insieme ai docenti della classe, identifica i bisogni educativi speciali dell’alunno e attraverso il gruppo operativo d’istituto, propone e costruisce, insieme alla famiglia, il piano educativo individualizzato dell’alunno. Ha anche il ruolo di facilitatore della comunicazione e della relazione tra i docenti, l’alunno in situazione di handicap, gli alunni della classe e altri soggetti interessati alla integrazione quali famiglia, personale ASL, educatori, assistenti all’autonomia e alla comunicazione, quanti insomma costituiscono le “reti di sostegno”. L’insegnante di sostegno, oltre ad assumere la contitolarità delle sezioni e delle classi in cui opera, partecipa alla programmazione educativa e didattica, alla elaborazione e alla verifica delle attività di competenza dei consigli di interclasse, dei consigli di classe e dei collegi dei docenti. Le azioni di cui è responsabile sono insegnare alla classe, individuare i bisogni educativi speciali dell’alunno diversamente abile e degli alunni, progettare e gestire. Inoltre è responsabile della realizzazione degli interventi, dell’esecuzione eseguire del monitoraggio in itinere, della proposta e della realizzazione delle modifiche al P. E .I. , delle azioni sulle relazioni, dell’attivazione dei processi comunicativi, della valutazione. In tal modo dunque assume la contitolarità. Per quanto riguarda la didattica, da ordinaria, come rileva Dario Ianes, deve farsi speciale, non attraverso ingredienti inafferrabili, magici e artistici, non riproducibili dai comuni mortali ma attraverso dimensioni operative precise, quali il riconoscimento delle differenze e la conoscenza dei bisogni educativi speciali, la progettualità individualizzata e aperta alla vita adulta, l’efficacia relazionale e cognitiva, la collaborazione tra i compagni di classe. Queste quattro dimensioni della didattica possono rappresentare anche le caratteristiche fondamentali del profilo professionale dell’insegnante per il sostegno che non deve mai dimenticare che …il punto vero non sta nell’integrare una particolare categoria di alunni nelle classi normali ma nel far crescere delle comunità scolastiche che rispondano ai bisogni educativi e sociali di ciascun alunno”.(Stainback e Stainback 1993) I compiti della scuola, e in particolare dell’insegnante per il sostegno, non possono e soprattutto non devono situarsi solo all’interno della relazione docente – alunno ma devono allargarsi al macrosistema: solo allora la scuola diventa, come sottolinea Andrea Canevaro, “una comunità di apprendimento” dove funzionano le “reti di sostegno”, in un sistema complesso di risorse coordinate per l’integrazione, in cui vi è incontro e collaborazione fra più figure educative di riferimento, interne ed esterne alla scuola, per rispondere alla molteplicità dei bisogni educativi di tutti gli studenti. E’ l’insegnante per il sostegno che per primo deve “munirsi di una filosofia” quella dell’integrazione e di una metodologia di lavoro. Il lavoro di rete consiste proprio in un modello d’intervento che si basa sull’integrazione e non sulla sovrapposizione di competenze e di professionalità, e comporta un coordinamento a più livelli, con una definizione precisa di ruoli, di metodologie e di responsabilità tra le diverse professioni coinvolte, e la condivisione e costruzione comune di obiettivi e di procedure. Questo è il compito necessario per costruire un intervento che, attorno alla metafora della rete, ricomponga le diverse risposte istituzionali e comunitarie nel rispetto dell’unità della persona con peculiari bisogni e potenzialità.

 

  1. La valutazione dell’attività didattica di sostegno per l’integrazione degli alunni in situazione di handicap.

 

Oggi la scuola è strutturata secondo una triplice dimensione, quella filosofica, quella dell’arte e quella della scienza. La dimensione filosofica è necessaria perché il docente riflette per sé e rileva nella pratica educativo – didattica un’idea di uomo. La dimensione dell’arte serve in quanto si deve far dialogare nello stesso tempo con sapienza e disinvoltura la padronanza delle discipline e la didattica insieme con la competenza comunicativa. La dimensione della scienza è fondamentale in quanto l’approccio didattico non è casuale ma progettuale, perché prevede un sistema di riferimento in funzione del quale si devono compiere delle osservazioni sistematiche, ipotesi di lavoro e di attuazione di percorsi da sottoporre ad una continua verifica con la necessaria documentazione per un ulteriore studio, interpretazione e ricerca. Pertanto l’insegnante è “colui che insegna, capace, cioè, dell’atto di mostrare e di tradurre la realtà in rappresentazione”; non è un semplice dispensatore di conoscenze ma è chiamato, insieme alla scuola, a ordinare e strutturare le conoscenze stesse; è decisivo a tal fine che, nella piena gestione del ruolo e delle funzioni che svolge, egli sia in grado di progettare e pianificare interventi educativi mirati, con efficacia ed efficienza, tramite l’attivazione di processi di apprendimento e di istruzione di qualità, di comunicazione e di relazione adeguati e flessibili (che siano di tipo reale, virtuale, mediato e indiretto), di osservazione scientifica e sistematica, e di conduzione e gestione di gruppi anche eterogenei, nella piena valorizzazione di tutte le persone componenti una classe. E’ dunque indispensabile saper organizzare un percorso didattico adeguato. L’operazione implica l’organizzazione dell’insegnamento e delle attività correlate lungo un segmento temporale che abbia un inizio ed una fine, laddove esso implica l’organizzazione di conoscenze ed apprendimenti lungo tutta la linea del percorso didattico. Il programma didattico deve includere l’identificazione di fini e mezzi; in termini operativi l’identificazione di singoli obiettivi e dei mezzi per raggiungerli; deve inoltre implicare la capacità di conseguire i fini che si perseguono nel percorso didattico attraverso la realizzazione di obiettivi raggiungibili operativamente. Si fa riferimento ovviamente a un intervento di tipo intenzionale, cioè capace di spiegare i comportamenti assunti tramite uno specifico sapere teorico multidisciplinare, che si avvale principalmente della conoscenza didattica ma anche di quella di psicologia dello sviluppo e pedagogica, e che miri a produrre un cambiamento, uno sviluppo in coloro che sono coinvolti e partecipano attivamente nella relazione che si pone tra l’insegnamento e l’apprendimento, rendendoli autonomi, in grado cioè di prendere decisioni e di agire con coscienza e responsabilità. Mettere in atto la capacità di dialogo e conoscere metodologie didattiche ed educative specifiche, aiuta l’insegnante a usare al meglio la sua professionalità per imparare a comunicare con la classe, ad attuare interventi efficaci. Infatti sarebbe erroneo ritenere che nel rapporto didattico apprende solo una parte (quella del discente o dello studente) mentre l’altra parte (già sapiente) si limita ad insegnare. L’esperienza insegna che un buon insegnante si forma dopo anni di pratica e che apprende dal suo “essere insegnante” a migliorare sia il rapporto con gli studenti che il proprio ruolo di didatta. Esistono complesse e diversificate teorie sull’apprendimento le quali hanno messo in luce come esso sia strettamente legato a un notevole numero di fattori che lo condizionano o ne costituiscono aspetti importanti, quali, per esempio, l’interesse, il bisogno, l’aspettativa, la motivazione, l’interazione, l’attenzione, la memoria, le capacità, la gratificazione. L’insegnante che vuole promuovere l’apprendimento dei propri alunni, più riesce a far leva su questi fattori, più riesce a ottenere buoni risultati. Tra l’altro un buon docente si pone anche dalla parte del discente per comprendere gli effetti e l’efficacia della propria “pratica” di docente. Se a tali scopi si pone come fondamentale, in termini di formazione, l’esperienza diretta che consente di realizzare e maturare all’interno della scuola, tramite l’osservazione e la partecipazione attiva alle attività didattiche scolastiche ed extrascolastiche, l’esperienza concreta e diretta la si fa ogni giorno, in ogni ambiente (lavorativo, scolastico, extrascolastico, sociale) se si possiede una spiccata sensibilità e un’analitica capacità di osservazione. Per un docente di sostegno è necessario vivere quotidianamente la realtà del disabile, non solo teoricamente, poiché solo il raffronto su campo e l’interazione consentono di acquisire nuovi elementi e maturare esperienza per affrontare meglio le situazioni critiche che si potrebbero riscontrare in futuro. Occorre inoltre considerare le potenzialità e le risorse che gli alunni, e in generale le persone disabili posseggono e che a volte palesano e altre volte è necessario facilitarne l’espressione: è fondamentale dare loro fiducia, sostegno, sicurezza, garantendo un apprendimento significativo graduale e continuo e sostenendoli nella crescita del loro essere persona, in vista di una integrazione e di una inclusione sociale a tutti gli effetti. Il cammino che una persona disabile deve compiere è lungo e faticoso, ma progettare la sua vita è un dovere cui tutti siamo chiamati per consentire loro una buona qualità della vita, che è la meta cui tutte le persone, con o senza disabilità, devono tendere: è il fine principale di qualsiasi progetto di vita. Anche la scuola non deve limitarsi agli aspetti didattici ma riferirsi ad una persona che sta diventando adulta e andare verso una vita autonoma il cui monito potrebbe essere “Pensami adulto”. Esiste dunque sempre una possibilità di vita adulta, autonoma e indipendente per le persone disabili. La scuola non deve dimenticarlo e si devono contrastare quelle pregiudiziali posizioni, quei comportamenti, quei modi di relazionarsi con i giovani, gli uomini e le donne con disabilità pensandoli eternamente bambini. Urgono progetti educativi dinamici, attenti ad elevare la qualità dei potenziali intellettivi, del sapere, della coscienza intenzionale rispettando la persona e la qualità della sua vita in relazione ai suoi bisogni fisici ed esistenziali; progetti finalizzati a valorizzare le diversità, le identità, l’originalità di ciascuno riconoscendole come risorsa, creando occasioni e appuntamenti per sviluppare le potenzialità cognitive e affettive. Dai lontani anni Settanta, dalla chiusura delle scuole speciali e l’inserimento degli alunni disabili nelle scuole normali, tra innumerevoli problemi legati all’inadeguata preparazione di docenti e dirigenti, molto tempo è passato e molte conquiste sono state fatte. Oggi la situazione è molto cambiata ma per garantire la vera integrazione c’è ancora molta strada da percorrere: integrare non vuol dire assimilare l’identità del gruppo nel quale il soggetto è inserito ma “è persona integrata quella persona che conserva una propria identità diversa dalle altre e con il suo posto nel gruppo”. Occorre riflettere sulla complessità del ruolo del docente che opera con delicatezza e responsabilità su un sistema dinamico di variabili muovendosi sul piano delle risorse umane; educare un ragazzo all’interno della scuola significa considerarne la persona nella sua interezza e nel suo vissuto personale e familiare, dunque saper ricorrere a varie forme di educazione ecologica globale e integrale. La presenza di alunni “speciali” nelle classi costituisce una preziosa “occasione” perché la scuola cambi e si ripensi come strumento di successo formativo per tutti, apportando vantaggi per i disabili, tutti gli alunni della classe e l’intera comunità scolastica ed extrascolastica e cercando sempre di conciliare armonicamente le esigenze didattiche di individualizzazione e quelle relazionali di socializzazione, pena nuove forme di emarginazione, impegnandosi non nel “fare altro” ma nel “farlo in altro modo” in vista della valorizzazione della “speciale normalità”.

 

  1. Bibliografia

 

  1. Bertolini P., Balduzzi G., Manuale del docente – Impariamo ad insegnare, Il Mulino, Bologna 1990
  2. Canevaro A. , Verso un’etica della cura e del limite, 2005
  3. Canevaro A. , L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, Erickson, 2007
  4. Demetrio D., L’educazione nella vita adulta, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1995
  5. Di Nicola V., “La sessualità’ nelle persone con disabilità'” in Prospettive Sociali e Sanitarie, Anno XXXV, n. 21, Istituto per la Ricerca Sociale, Milano 2005

 

  1. Di Nicola V., “Persone con disabilità’ verso i ruoli sociali adulti: identità’ e risorse” in L’integrazione scolastica e sociale, vol. n. 6/2, Erickson, Trento, 2007

 

  1. Elia G., Abilità sociali, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2002
  2. Elleri P., La comunicazione in classe, Carocci editore, Roma 2004
  3. Gardner H, Aprire le menti. La creatività e i dilemmi dell’educazione, Feltrinelli, Milano, 1991
  4. Gardner H, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano, 1987
  5. Goleman D., Lavorare con l’intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1998
  6. Ianes D., Canevaro A., L’integrazione scolastica, Erickson, Trento 2008
  7. Ianes D., Didattica speciale per l’integrazione. Un insegnamento sensibile alle differenze, Erickson, Trento
  8. Novak J., L’apprendimento significativo, Erikson, Trento 2001
  9. Rosenthal R. , Jacobson L., 1992, Pygmalion in the classroom, Expanded edition, Irvington (New York)
  10. Rubaltelli M. M., La diversità è la vera opportunità, 2005

[1] PAMELA BIANCO, laureata in lettere moderne, abilitata e specializzata, è docente a t. i., esperta di didattica delle diversabilità. Il presente testo è la rielaborazione di un suo lavoro sull’integrazione dei diversabili

Sconfitto l’Inps quei disabili hanno diritto all’indennita

da La Repubblica del 15-02-2016

“Sconfitto l’Inps quei disabili hanno diritto all’indennita’

Le cifre erano elevate: 35.142 euro in un caso, 55.435 in un altro. Da pagare in un’unica soluzione con un bollettino postale. «Ma ce l’abbiamo fatta, la vittoria di Davide contro Golia», esulta l’avvocato Laura Abet, del centro anti-discriminazione “Franco Bomprezzi”. La Ledha, la Lega per i diritti delle persone con disabilità, all’attacco dell’Inps: l’associazione ha presentato dieci ricorsi contro l’ente. Che, dopo una serie di controlli, ha richiesto a migliaia di disabili la restituzione di cifre alte. Poiché, secondo l’ente, non avrebbero avuto diritto all’indennità di accompagnamento. «Qui non si tratta di disabili “scrocconi”, ma di persone che rischiavano di essere discriminate da un ente pubblico — spiega Abet — Dei dieci ricorsi, ne abbiamo vinti otto. In due casi il giudice non ci ha dato ragione, e per questo abbiamo ricorso in appello».
Tra il 2009 e il 2012 l’Inps avvia, in tutta Italia, controlli per verificare chi, tra coloro che percepiscono sia la pensione d’invalidità sia l’indennità di accompagnamento, ne abbia davvero diritto. Obiettivo, recuperare quanto versato negli anni a coloro che non dovevano percepire l’indennità. Conseguenza dei controlli sono stati, così, migliaia di richieste di risarcimento inviate da Inps ad altrettante persone con disabilità. Tra cui, appunto, quelle che si sono rivolte a Ledha, che ha avviato i ricorsi. Gli ultimi due vinti risalgono a settembre (a Monza) e a gennaio (a Milano). Nel primo caso Inps chiedeva oltre 55mila euro a un disabile al 100 per cento. Nel secondo, oltre 35mila euro a una sessantenne con disabilità all’80 per cento. «Il tribunale però ci ha dato ragione
— spiega l’avvocato Stefania Pattarini, che ha affiancato Ledha — Nel primo caso, Inps dovrà versare al disabile a cui chiedeva 55mila euro, circa 50mila euro, poiché l’ente non aveva più versato l’indennità al nostro assistito. Che invece ne ha pieno diritto.
Nel secondo, invece, è stata riconosciuta la buona fede della signora nel percepire l’indennità in passato, visto che la comunicazione di Inps sull’assenza di requisiti non era chiara». La disabile, quindi, non percepirà più l’indennità, ma comunque non dovrà restituire quanto avuto negli anni scorsi. «Queste vittorie — dice Alberto Fontana, presidente di Ledha — sono un richiamo a tutte le persone con disabilità a non scoraggiarsi, e a rivolgersi a noi per reclamare i loro diritti».

di Alessandra Corica

Diplomati magistrale in GAE

Disfatta del MIUR in Tribunale: i diplomati magistrale hanno tutto il diritto ad inserirsi nelle Graduatorie a Esaurimento.

 

Il Ministero dell’Istruzione riceve una nuova pesante sconfitta in tribunale grazie alla sapiente azione dell’Anief con la consacrazione del pieno diritto dei docenti in possesso di diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002 all’inserimento nelle Graduatorie a Esaurimento e una condanna alle spese di lite che supera i 25.000 Euro. Gli Avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli, Tiziana Sponga e Salvatore Russo, hanno, infatti, ottenuto ben 12 sentenze di pieno accoglimento, sicuramente destinate a segnare la giurisprudenza in materia, in cui vengono scardinati punto per punto i motivi addotti dal MIUR a tutela del proprio illegittimo operato considerato dai Giudici irragionevole e discriminatorio.

 

Il Tribunale del Lavoro di Tivoli (RM), infatti, ha dato pieno accoglimento alle istanze patrocinate con estrema perizia dai legali ANIEF decretando senza riserve il diritto di altri 56 docenti ad essere inseriti a pieno titolo nelle graduatorie a esaurimento per la scuola primaria e per la scuola dell’infanzia in virtù della loro abilitazione conseguita tramite diploma magistrale. A nulla sono valsi in udienza i motivi addotti dal MIUR nel continuare a negare tale giusto diritto; le sentenze, infatti, parlano chiaro: le norme regolamentari poste in essere dal MIUR nel Decreto Ministeriale di aggiornamento delle GaE “sono invero illegittime per evidente irragionevolezza e disparità di trattamento di posizioni omogenee (ovvero per i docenti in possesso di titolo abilitante diverso da quello del diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002 con eguale valore abilitante) nella parte in cui non consentono la presentazione della domanda per l’inserimento nelle graduatorie di III fascia a soggetti in possesso dei suddetti titoli abilitanti già formatisi al momento della trasformazione delle graduatorie da permanenti ad esaurimento”.

 

I Giudici del tribunale romano, inoltre, condividono le tesi da sempre sostenute dall’Anief riguardo “l’efficacia erga omnes della pronuncia demolitaria del Consiglio di Stato (sentenza 16 aprile 2015 n. 1973) essendo stato disposto l’annullamento del decreto ministeriale n. 235/2014 nella parte in cui non ha consentito agli originari ricorrenti docenti in possesso del titolo abilitante di diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002 l’iscrizione nelle graduatorie permanenti ora ad esaurimento”. Le sentenze, infatti, chiariscono che “la portata della pronuncia è senz’altro generale e determina la definitiva ablazione delle norme regolamentari, anche per soggetti estranei al giudizio, in ragione della natura dell’atto annullato, indirizzato ad una pluralità di soggetti e con contenuto inscindibile (v. su questi aspetti Cass. 24 agosto 2004, n. 16728)” e che “se anche si escludesse il carattere generale della citata sentenza demolitoria o, sotto altro profilo, l’efficacia vincolante della pronuncia di merito circa la conformazione della PA scolastica alla statuizione giudiziaria, il Giudice ordinario può comunque sindacare, in via incidentale, la legittimità delle norme regolamentari e procedere, se del caso, alla loro disapplicazione nel caso specifico sottoposto al giudizio”.

 

Il Tribunale del Lavoro di Tivoli ha, dunque, disapplicato il DM di aggiornamento 2014/2017 condannando senza ulteriore indugio il MIUR a consentire ai ricorrenti la presentazione della domanda per l’inserimento nella III fascia delle graduatorie ad esaurimento e a pagare le spese di lite quantificate in un totale che supera i 25.000 Euro.

 

L’Anief, che da anni si batte per la tutela del diritto di tutti i docenti abilitati ad essere inseriti nelle Graduatorie a Esaurimento, esprime piena soddisfazione per l’ulteriore risultato conseguito dai propri legali che hanno nuovamente ottenuto ragione contro l’ostinazione del MIUR e dimostrato di saper sempre “indicare la rotta” in materia di azioni legali volte alla tutela dei lavoratori della scuola.

A. Pian, Le regole di Franz

Copertina Grammatica di Franz piccolaLe regole di Franz. Storytelling d’amore e grammatica
Le regole della grammatica dall’uomo che le ha inventate.
Sedici storie di grammatica che hanno come protagonista Franz, il simpatico uomo primitivo che guarda al futuro, e la sua desiderata donna primitiva Gertrude.

ISBN. 9788892554108
DRM FREE (WATERMARK)
Edizione: Street Lib Narcissus, 2016

Ciao!

Ho sempre odiato la grammatica. E tu?
Ho sempre pensato che non si apprende una lingua dalla grammatica, ma leggendo, scrivendo e parlando.
Per i miei insegnanti quello della grammatica è sempre stato un esercizio di stile tanto impeccabile quanto vuoto.
Studiare la grammatica in questo modo metafisico è come pretendere che un medico esamini il sangue senza un prelievo.
La grammatica è una cosa viva e ogni sua regola, come spiega Franz, nasce dalla vita stessa, e non da pensatori avulsi dal mondo.
Non so come la pensate voi, ma penso che sarete convinti da Franz in persona!
Ho scritto queste storie in suo onore e le ho pubblicate il giorno di San Valentino perché la grammatica è stata inventata per amore di Gertrude.
Come?  Non sapevate che le cose stavano in questo modo?
Allora… buona lettura!

Alberto

Expo 2015, i progetti realizzati dalle scuole diventano un e-book per studenti e prof

da Il Sole 24 Ore 

Expo 2015, i progetti realizzati dalle scuole diventano un e-book per studenti e prof

di Al. Tr.

I progetti degli studenti per Expo 2015 diventano uno strumento didattico sui temi della nutrizione, delle lotta agli sprechi e delle sostenibilità. Il Miur, insieme con Expo e Padiglione Italia e con il sostegno di Fondazione Bracco, hanno realizzato un e-book che raccoglie i lavori realizzati da oltre 15mila ragazzi di 700 istituti scolastici e presentati nel Vivaio Scuole di Palazzo Italia nel corso dei sei mesi dell’Esposizione Universale.

Un patrimonio di esperienze
La pubblicazione restituisce i contenuti dei progetti suddividendoli per tipologia di argomento trattato, per regione e città e per ordine di istituto scolastico.
«Expo 2015, visitato da oltre due milioni di studenti, è stato uno dei più importanti momenti di education della storia del nostro Paese – ha detto Diana Bracco – e grazie anche all’impegno del Ministro Stefania Giannini e di Confindustria, che ha partecipato con il progetto Adotta una scuola, l’Esposizione Universale ha davvero contribuito a formare quella che mi piace chiamare Expo Generation: ragazzi più attenti alla sostenibilità, al tema dei rischi legati a comportamenti alimentari non corretti, e più consapevoli dell’importanza della lotta agli sprechi» E «il cibo – ha aggiunto Patrizia Galeazzo, responsabile del progetto Vivaio Scuole a Palazzo Italia – ha saputo stimolare e coinvolgere tutte le discipline scolastiche, un potente fattore interdisciplinare che ha unito arte, filosofia, storia e musica».
L’e-book è disponibile per tutti all’indirizzo www.quintadicopertina.com/doc/vivaioscuole.xhtml

Istruzione italiana premiata dall’Onu per l’inclusione degli studenti con disabilità

da Il Sole 24 Ore 

Istruzione italiana premiata dall’Onu per l’inclusione degli studenti con disabilità

Se l’Italia, pur avendo ridotto negli ultimi anni il suo numero di studenti con risultati scarsi, deve ancora darsi da fare per essere in linea con la media Ocse delle performance scolastiche, ha, invece, ottenuto risultati invidiabili sul fronte dell’inclusione degli alunni disabili. Risultati talmente brillanti da valerle un premio dell’Onu. Quest’anno, per il settore dell’istruzione, il Progetto Zero – organismo internazionale che ha l’obiettivo di realizzare un mondo con “zero barriere” – ha premiato il Miur per l’innovativa normativa sull’integrazione del nostro Paese. «Un bellissimo riconoscimento per il nostro Paese e per la nostra scuola» ha commentato su Twitter la ministra Stefania Giannini. Un premio «che non deve servire a cullarci sugli allori, ma deve essere uno stimolo per fare sempre di più e sempre meglio» ha assicurato su Facebook il Sottosegretario Davide Faraone.

Il premio all’Italia
Ha questa motivazione: «Esemplare nelle aree dell’innovazione, dei risultati e della trasferibilità, la Legge-quadro n. 104 del 1992 per l’assistenza, l’inclusione sociale e i diritti delle persone con disabilità è eccezionale in quanto essa non soltanto prescrive che tutti gli alunni debbano essere inclusi nelle scuole di tutti gli ordini e grado (incluse le università), sia pubbliche che private, e partecipare pienamente alla vita scolastica, ma soprattutto perché essa è stata applicata in tutto il Paese, che registra pertanto il più alto livello di inclusione delle persone con disabilità nelle classi ordinarie, e gode di un convinto consenso alla piena inclusione a livello nazionale».

L’effetto della “Buona Scuola”
«Grazie alle assunzioni a tempo indeterminato, i docenti di sostegno con contratto a termine sono scesi dal 40% al 34,3% del totale», commentano a viale Trastevere ricordando che la stessa legge 107 prevede una delega legislativa, in corso di definizione, volta a migliorare ulteriormente la qualità dell’inclusione scolastica, stanziando, tra l’altro, 40 milioni di euro per la formazione obbligatoria in servizio di docenti, dirigenti e personale Ata. La presenza di studenti con disabilità nella scuola italiana ha subito un incremento di circa il 40% nell’arco di un decennio. Secondo i dati dell’anno scolastico 2014-2015 gli alunni diversamente abili sono oltre 234.000. Il 9,5% del totale sono alunni della scuola dell’infanzia; il 37% è nella primaria; il 28,5% è alle scuole medie; il 25% sono ragazzi delle scuole superiori.

Dal prossimo anno scolastico lezioni ad hoc su legalità e libertà d’informazione

da Il Sole 24 Ore 

Dal prossimo anno scolastico lezioni ad hoc su legalità e libertà d’informazione

A partire dal prossimo anno scolastico i giornalisti entreranno nelle scuole per incontrare studenti e docenti e costruire insieme percorsi di approfondimento su tematiche come la libertà di informazione, la legalità, i diritti e i doveri dei cittadini. A prevederlo è il protocollo d’intesa venerdì a Roma tra la federazione nazionale della stampa italiana e il ministero dell’Istruzione.

I progetti
All’inizio saranno due: il primo riguarderà la legalità, in particolare il ruolo dell’informazione nella lotta alle mafie, e si soffermerà sull’arricchimento della grande criminalità attraverso la contraffazione e il commercio in genere di prodotti illegali; il secondo affronterà invece la tematica dei social media, con l’intento di aiutare i giovani a districarsi nei profondi mutamenti che la travolgente crescita dei social network hanno indotto nei processi comunicativi e informativi. «Ringrazio la Fnsi per aver aperto la casa dell’informazione al mondo della scuola», ha detto la ministra Stefania Giannini firmando l’intesa nella sede della Federazione. «Come ministero – ha aggiunto – vogliamo iniziare il prima possibile attività su tutto il territorio perché il giornalismo, se svolto correttamente, è il sale della democrazia». Il protocollo, che ha una durata triennale e si rivolge agli istituti di ogni ordine e grado, sancisce «la volontà delle parti di attivare una progettazione congiunta, volta all’ampliamento e all’approfondimento dell’offerta formativa sul tema dell’educazione alla cultura dell’informazione».

La collaborazione
Si concretizzerà in progetti articolati sui territori con gli uffici scolastici regionali, singoli istituti e le associazioni regionali di stampa. A coordinarli a livello nazionale sarà il responsabile per la formazione della Fnsi, Paolo Butturini, che ha spiegato: «Parleremo dei giornalisti minacciati dalle mafie, ma anche di come i social media hanno cambiato il mondo, compresi i linguaggi». Per il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, dei progetti che diffondono la lettura dei quotidiani tra i giovani sono di aiuto anche per il settore dell’editoria, che attraversa una profonda crisi: «Spesso chiediamo agli editori se hanno mai pensato a un modo per aumentare il numero di lettori. Io sono certo che almeno la metà degli studenti che iniziano a leggere i giornali in classe proseguirà a farlo dopo, perché sono stati contagiati da questo “vizio”».

Scuola, stop ai pensionamenti: avremo i prof più vecchi del mondo

da Repubblica.it

Scuola, stop ai pensionamenti: avremo i prof più vecchi del mondo

Finito il tempo per le domande: sono seimila in meno del 2015. E abbiamo anche la quota maggiore di maestre over 50

di SALVO INTRAVAIA

Crollano i pensionamenti nella scuola e l’Italia “rischia” di consolidare il primato del paese con gli insegnanti più vecchi d’Europa. I primi dati sulle uscite dalla scuola a partire dal prossimo primo settembre, seppure provvisori, non sono affatto incoraggianti: 13mila pensionamenti per maestre e prof e 3mila per il personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario). Per lasciare la cattedra occorreva presentare domanda entro lo scorso il 26 gennaio e adesso è tempo di bilanci. I primi dati che scaturiscono dal cervellone di viale Trastevere certificano un vero e proprio crollo di collocamenti a riposo: 6mila in meno per i docenti e 2mila per bidelli e personale non docente. Nel 2015, furono 19mila per gli insegnanti e quasi 5mila per il personale Ata. In termini confrontabili, la diminuzione è stata del 31,6 per cento per i docenti e del 40 per cento per tutto il resto del personale.

Gli effetti della legge Fornero si fanno sentire anche sulla scuola e complicano la vita al governo che con la Buona scuola intende svecchiare il corpo docente e avviare una serie di riforme che portino il sistema di istruzione a concorrere con quelli dei paesi del Vecchio continente. Ma, con docenti sempre più anziani è possibile che sia più difficile innovare. Per lasciare la cattedra ad un collega più giovane, quest’anno, occorreva un’età “minima” di 66 anni e 7 mesi al 31 dicembre 2016 e almeno 20 anni di contribuzione. L’alternativa era quella della cosiddetta pensione “anticipata” per coloro che sempre a fine 2016 hanno collezionato almeno 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva (un anno in meno per le donne). Ma l’ultimo rapporto sulla scuola dei paesi Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – Education at a glance 2015, ci ricorda che siamo la nazione con i docenti più vecchi al mondo e non solo d’Europa.

Alla scuola primaria, l’Italia è il paese dell’Ocse – i dati si riferiscono al 2013 – con la quota maggiore di maestre over 50: il 44 per cento. E addirittura il 16 per cento oltre i 60 anni. A fronte di nessuna under 30. In Francia, tanto per citare un paese europeo non troppo distante dal nostro, la percentuale di giovani maestre al di sotto dei 30 anni ammonta all’8 per cento e gli ultracinquantenni al 23 per cento. E le cose, se possibile, peggiorano alla media e al superiore dove i docenti che hanno già spento 50 candeline assommano al 57 per cento e diventa una rarità incontrare addirittura prof under 40: solo 3 ogni cento. Il record di matusa dietro in cattedra, in Italia, spetta alla scuola media dove un professore su cinque – il 19 per cento – ha già festeggiato sessanta i più primavere. Le maestre più giovani si incontrano invece nei corridoi delle scuole primarie del Regno Unito, con 29 insegnanti su cento under 30, mentre alla media il record di giovani insegnanti spetta alla Turchia, con 35 prof su cento non ancora trentenni.

Nelle scuole arrivano informazione e giornalismo

da Repubblica.it

Nelle scuole arrivano informazione e giornalismo

Ministero e Fnsi hanno firmato un protocollo d’intenti. Nelle prossime settimane nelle aule un documentario prodotto da Repubblica Tv, Sky e Associazione stampa romana. Poi tante altre iniziative

L’informazione entra a scuola. Ora c’è un protocollo d’intenti – “Scuola e informazione: culture, cittadinanza, diritti e legalità” – firmato nella sede della Federazione nazionale della stampa, in cui il ministero dell’Istruzione si impegna a trovare spazi organizzativi per portare il giornalismo nelle scuole medie italiane (inferiori e superiori) e i giornalisti s’impegnano a raccontare l’informazione, i suoi modi e metodi, i risvolti etico-legali a un pubblico che spesso confonde l’informazione con la comunicazione, un reportage con la pubblicità. “Sarà necessario scendere nelle arene dei giovani”, ha detto Paolo Butturini, responsabile Fnsi per l’informazione, “scoprire il linguaggio di chi è minorenne e provare ad interessarlo ai nostri temi”. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha aggiunto: “Al giornalismo chiediamo tre cose: libertà, correttezza, professionalità”.

Si parte presto. Nelle classi italiane nelle prossime settimane entrerà un prodotto di Repubblica Tv, Sky e Associazione stampa romana: il documentario Silencio di Attilio Bolzoni e Massimo Cappello. Si parla del Messico e dei suoi crimini, degli ottanta giornalisti uccisi dal 2000 ad oggi, dei sedici scomparsi, di come ancora oggi alcuni “reporteros” si ribellino alla dittatura dei Narcos. Nelle classi si vedrà anche il documentario La fabbrica fantasma di Mimmo Calopresti, un viaggio sulla rotta Napoli-Milano-Budapest per far emergere le mafie invisibili che alimentano la contraffazione internazionale. “Dobbiamo mettere insieme due elementi della società, la scuola e il giornalismo, per far crescere in modo complementare le nuove generazioni”, ha spiegato il ministro.

I primi due progetti saranno dedicati alla legalità (il ruolo dell’informazione nella lotta alle mafie) e ai social media. “Proveremo ad aiutare i giovani a comprendere i mutamenti che Facebook e Twitter e Instagram hanno portato nei processi comunicativi e informativi”, ha detto Butturini. Il presidente della Fnsi Giuseppe Giulietti ha chiesto, con i primi ingressi del progetto nelle scuole, di rendere omaggio ai grandi, giovani italiani vittime all’estero: Giulio Regeni e Valeria Solesin, gli ultimi. “Ragazze e ragazzi con la passione per la ricerca e la libertà d’informare”.

Ricercatrice contro ministra Giannini: “L’Italia non ci vuole, non si vanti dei miei risultati”

da Repubblica.it

Ricercatrice contro ministra Giannini: “L’Italia non ci vuole, non si vanti dei miei risultati”

Roberta D’Alessandro ha affidato a Facebook il suo sfogo: “Abbia almeno il garbo di non unire, al danno, la beffa e di non appropriarsi di risultati che italiani non sono. Proprio come noi”

ROMA – Oltre al danno, la beffa. E a questa, proprio non ci sta. Roberta D’Alessandro, una ricercatrice italiana che si è trasferita in Olanda per vivere e lavorare, stavolta non riesce a ingoiare il rospo e, usando Facebook, ha deciso di rivolgersi direttamente alla ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, per togliersi un doloroso, più che fastidioso, sassolino dalla scarpa. “Ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati. La mia ERC e quella del collega Francesco Berto sono olandesi, non italiane. L’Italia non ci ha voluto, preferendoci, nei vari concorsi, persone che nella lista degli assegnatari dei fondi ERC non compaiono, né compariranno mai”. Inizia così il post di D’Alessandro, ripreso e pubblicato sul sito della Stampa, nel quale la ricercatrice chiede con decisione alla ministra di evitare di ostentare un risultato non suo.

Giannini, infatti, ieri aveva utilizzato la piattaforma social per esultare per il successo degli studiosi italiani all’European Research Council: “Colpisce positivamente il dato del numero di borse totali ottenute dai nostri ricercatori, che ci posiziona al terzo posto insieme alla Francia. Ma, soprattutto, colpisce il fatto che siamo primi per numero di ricercatrici che hanno ottenuto un riconoscimento. Complimenti ai nostri ricercatori e alle nostre ricercatrici!

Lo sfogo. Per Roberta il successo ottenuto non è affatto italiano: “Prima del colloquio per le selezioni finali dell’ERC, ero in sala d’aspetto con altri 3 italiani. Nessuno di noi lavorava in Italia. Immagino che qualcuno di loro ce l’abbia fatta, e sia compreso nella sua “lettura personale” della statistica. Abbia almeno il garbo di non unire, al danno, la beffa, e di non appropriarsi di risultati che italiani non sono. Proprio come noi”, prosegue nel post.

Via dall’Italia. Risultati che, sottolinea Roberta, saranno usati lontano dall’Italia: “Io, Francesco e l’altra collega, Arianna Betti (che ha appena ottenuto 2 milioni di euro anche lei, da un altro ente), in 2 mesi abbiamo ottenuto 6 milioni di euro di fondi, che useremo in Olanda. L’Italia ne può evidentemente fare a meno”.

Niente meritocrazia. È l’assenza di meritocrazia che Roberta non riesce proprio a tollerare: “Vada a chiedere alla vincitrice del concorso per linguistica informatica al Politecnico di Milano (con dottorato in estetica, mentre io lavoravo in Microsoft), quante grant ha ottenuto – prosegue ancora su Facebook -. Vada a chiedere alle due vincitrici del concorso in linguistica inglese, senza dottorato, alla Statale di Milano, quanti fondi hanno ottenuto. Vada a chiedere alla vincitrice del concorso di linguistica inglese, specializzata in tedesco, che vinceva il concorso all’Aquila (mentre io lo vincevo a Cambridge, la settimana dopo) quanti fondi ha ottenuto”.

La risposta forse la ricercatrice già la sa. “Sono i fondi di queste persone che le permetto di contare, non i miei”.

Appoggio e consensi. “Brava sia per i tuoi risultati che per la lettera, BRAVA E CORAGGIOSA”. “STANDING OVATION! Sono la mamma di un’emigrante che l’Italia non ha voluto. Mia figlia è a Londra”. E ancora: “NON PERMETTERE CHE TI RUBINO IL FUTURO ….. NON TORNARE MAI PIÙ …. non fare il mio errore …”. Tantissimi i messaggi che hanno invaso la bacheca della ricercatrice subito dopo il suo post. In molti le fanno i complimenti per i suoi risultati, ma tanti si congratulano con lei per non aver messo i puntini sulle ‘i’ nella replica alla ministra: “Complimenti sei tutti noi. Una standing ovation per te da parte di tutti i giovani che hanno dovuto vedere troppe”. “Ti ringrazio a nome di coloro che hanno dovuto tenersi questo sfogo dentro per anni! GRAZIE GRAZIE GRAZIE”.

Quali vantaggi fiscali per le spese scolastiche

da La Tecnica della Scuola

Quali vantaggi fiscali per le spese scolastiche

Detrazione o deduzione delle spese per l’istruzione: la differenza non è cosa da poco.

Il sottosegretario è Toccafondi ha ricordato che grazie alle disposizioni inserite nella legge 107 già con la prossima dichiarazione dei redditi sarà possibile per moltissime famiglie ottenere una riduzione sulle tasse da pagare.
Toccafondi ha anzi precisato che sarà possibile detrarre le spese sostenute per l’iscrizione e la frequenza alle scuole paritarie fino a 400 euro.
Tutto esatto, ma è bene chiariere meglio la questione, anche per evitare di creare troppe illusioni alle famiglie (un milione circa) che mandano i propri figli in una scuola non statale.
La legge parla proprio di detrazione fiscale e questo significa che su una somma di 400 euro sarà possibile ottenere una riduzione dell’imposta pari al 19%.
In altre parole il vantaggio fiscale sarà al massimo di 78 euro.

D’altronde se il beneficio fosse di 400 euro la legge 107 avrebbe dovuto prevedere per questa voce uno stanziamento di almeno 400milioni.
In realtà l’articolo 204 che detta disposizioni relative alla copertura di spesa prevede una somma nettamente inferiore ai 100 milioni di euro.
Diverso sarebbe stato se la legge avesse previsto non la detrazione ma la deduzione: in tal caso l’importo delle tasse sarebbe stato ridotto proprio di 400 euro.
Meglio essere chiari e precisi anche per evitare sgradevoli sorprese dell’ultimo momento.
Vale la pena di aggiungere che anche per i contributi volontari che le famiglie versano alle scuole a sostegno dell’ampliamento dell’offerta formativa è possibile ottenere la detrazione e quindi godere di un abbattimento delle tasse pari al 19% di quanto versato.
Ovviamente per usufruire di questa possibilità è indispensabile che la somma sia stata versata alla scuola con bollettino postale o con bonifico bancario.