Ancora stigma sulla disabilità

Ancora stigma sulla disabilità

“Come ciclicamente avviene, leggiamo oggi l’ennesimo articolo sul presunto fenomeno dei falsi invalidi, basato su una lettura distorsiva e assai lacunosa, anche se di facile impatto mediatico. Spiace che questa ennesima ‘bufala’ sia diffusa da un quotidiano prestigioso come il Corriere e da un giornalista quotato come Sergio Rizzo. Il risultato: stigma e parzialità.”

Questo è il commento di Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, dopo la lettura del pezzo Accompagnatori, ciechi e falsi invalidi: cinque miliardi di welfare clientelare pubblicato dal Corriere di oggi.

Rizzo riporta alcuni dati enfatizzando – come già aveva fatto a suo tempo l’ex commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli – lo squilibrio territoriale nell’erogazione delle provvidenze agli invalidi civili. Scrive Rizzo: “Una ‘distribuzione territoriale’ delle pensioni di invalidità, squilibrata al punto che gli assegni pagati in Calabria sono in proporzione agli abitanti almeno il doppio di quelli erogati in Emilia-Romagna, ‘suggerisce abusi’.”

FISH ricorda anche a Rizzo, come fece a suo tempo con Cottarelli, che per onestà intellettuale e metodologica andrebbe osservata la spesa sociale nella sua interezza, non limitandosi alle sole pensioni e indennità. Scoprirebbe – Rizzo e altri – che la spesa sociale in servizi e sostegni per la disabilità in Emilia-Romagna è – secondo ISTAT – di 4.232 euro l’anno per persona con disabilità, quasi dieci volte la spesa della Calabria: 469 euro all’anno. Scoprirebbe come aumenti il ricorso alle pensioni di invalidità laddove la spesa sociale e i servizi sono più lacunosi.

Rizzo, in buona compagnia, lascia trasparire abusi, elusioni, truffe, ipotizzando addirittura l’importo (non si comprende su quali stime) di tale fenomeno: 5 miliardi originati da un welfare truffaldino.

Dimentica Rizzo che dal 2010 al 2015 è stata condotta in Italia una gigantesca campagna di controlli: circa un milione e 200 mila persone. Una campagna condotta dall’INPS su mandato del Parlamento con costi enormi rispetto ai risultati.

FISH stima prudenzialmente che tale operazione abbia prodotto l’irrisorio risparmio dello 0,2% della spesa annua.

Rizzo, e forse anche Boeri, ignorano o fingono di ignorare che dal 2007 tutti i verbali prodotti dalle Aziende Asl (con commissioni di 6 operatori) vengono rivisti da INPS (altra commissione) prima che vengono concesse pensioni o indennità. Un apparato di controllo costoso su cui forse è il caso di interrogarsi. “Noi lo abbiamo fatto – conclude Falabella – I dati di ISTAT, INPS, Corte dei Conti li conosciamo bene e li abbiamo analizzati con la serietà e l’attenzione che meritano e siamo disponibili a confrontarci pubblicamente con chiunque. Al contrario, continuiamo ad assistere allo stigma e alla distorsione che non producono nulla di positivo né per le persone con disabilità né per le politiche sociali di questo Paese.”

MOBILITA’: DOV’E’ FINITA L’ORDINANZA? RITARDO INACCETTABILE

MOBILITA’, GILDA: DOV’E’ FINITA L’ORDINANZA? RITARDO INACCETTABILE
Sull’ordinanza relativa alla mobilità stiamo assistendo all’ennesimo caso di ‘giallo all’italiana’: in quale meandro ministeriale si è arenata? Perché non è ancora stata pubblicata? Tra vecchi e nuovi assunti, sono circa 250mila i docenti con il fiato sospeso in attesa di sapere come e dove prenderanno servizio dal primo settembre. I tempi stringono e il rischio, di giorno in giorno sempre più concreto, è che l’inizio del prossimo anno scolastico sia ancora più caotico”. E’ quanto dichiara Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti.
Si tratta di un grave e inaccettabile ritardo perché siamo ormai ad aprile e, considerata la complessità delle operazioni, tutta la macchina organizzativa subirà pesanti ricadute: il sistema informatico si ingolferà, rallentando ulteriormente le procedure, e gli uffici scolastici regionali e le segreterie delle scuole saranno costretti a enormi carichi di lavoro durante l’estate. Ecco perché la Gilda degli Insegnanti aveva proposto di rinviare di un anno l’applicazione delle nuove regole sulla mobilità dettate dalla legge 107/2015. Ma purtroppo – conclude Di Meglio – non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e a farne le spese saranno, come al solito, i docenti e gli studenti che vivono ogni giorno la realtà della scuola italiana”.

Crollo liceo Darwin, Cassazione: “Le scuole insicure siano chiuse su iniziativa insegnanti responsabili sicurezza”

da Il Fatto Quotidiano

Crollo liceo Darwin, Cassazione: “Le scuole insicure siano chiuse su iniziativa insegnanti responsabili sicurezza”

A scriverlo sono i giudici della Quarta sezione penale nelle motivazioni di conferma delle sei condanne per il crollo dell’istituto di Rivoli (Torino) nel quale il 22 novembre 2008 perse la vita il diciassettenne Vito Scafidi

Presentate oltre 165mila domande, il 63% da under 40

da Il Sole 24 Ore

Presentate oltre 165mila domande, il 63% da under 40

di Al. Tr.

Sono 165.578 le domande di partecipazione al concorso per docenti da 63.712 posti bandito il 26 febbraio scorso. C’era tempo fino alle 14 di oggi per iscriversi. I candidati hanno avuto un mese di tempo dal 29 febbraio scorso. Tre i bandi: uno per la scuola dell’infanzia e la primaria, uno per la scuola secondaria di I e II grado e, per la prima volta, un bando specifico per il sostegno. Sono i numeri sul «concorsone» diffusi ieri dal Miur, a poche ore dalla chiusura dei termini per la partecipazione.

Più candidati donne e under 40
La regione con più domande presentate è la Campania (24.125). Seguono Lombardia (22.630), Sicilia (17.725) e Lazio (16.191). Nel dettaglio, sono 97.719 le istanze di partecipazione pervenute per il bando relativo a scuola dell’infanzia e primaria, 58.254 quelle relative al bando per la secondaria di I e II grado, 9.605 quelle per il bando per il sostegno.
L’85,2% delle domande è stato inoltrato da donne. Percentuale che sale al 95,6% se si guarda al bando della primaria e dell’infanzia, che si attesta al 91,7% per il sostegno e scende al 66,6% per secondaria di I e II grado. Il 63,1% delle domande proviene da candidati che hanno meno di 40 anni (con un picco del 69,9% in Lombardia). L’età media generale è 38,6 anni (39 per il bando primaria e infanzia, 38,8 per secondaria di I e II grado, 34 per il sostegno).
«Continua l’impegno di questo Governo per portare qualità, stabilità ed energie nuove nella scuola – commenta il Ministro Stefania Giannini -. L’alta adesione al concorso, la numerosa presenza di giovani dimostra che siamo sulla strada giusta – ha detto il ministro dell’Istruzione Stefani Giannini, spiegando che «dopo anni di mancate risposte sul tema del precariato storico e di concorsi che si sono svolti a singhiozzo, stiamo cercando di riportare il Paese alla normalità: con la Buona Scuola prevediamo bandi ogni tre anni e dunque certezze sui tempi di selezione per l’ingresso nella scuola».
Con avviso in Gazzetta Ufficiale, previsto per il prossimo 12 aprile 2016, saranno diffuse le date delle prove scritte che si svolgeranno a partire dalla fine del mese di aprile.
Qui le slide con i posti a bando e le modalità della prova.

La Cassazione ribadisce: gli istituti insicuri vanno chiusi

da Il Sole 24 Ore

La Cassazione ribadisce: gli istituti insicuri vanno chiusi

di Cl. T.

Le scuole che non offrono un adeguato livello di sicurezza per l’incolumità degli allievi e del personale che ci lavora devono essere chiuse su iniziativa degli insegnanti che hanno accettato di ricoprire il ruolo di responsabili della sicurezza e prevenzione e che agiscono su delega del preside e non possono rimanere inerti di fronte a criticità foriere di pericoli. A loro spetta anche il compito, preliminare, di fare una ricognizione dello stato della struttura e dei rischi, ispezionando ogni locale dell’edificio, compresi i solai e i locali “tecnici”.

La sentenza della Cassazione
Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni di conferma delle sei condanne per il crollo del liceo Darwin di Rivoli (Torino) nel quale il 22 novembre 2008 perse la vita lo studente diciassettenne Vito Scafidi. Altri sedici ragazzi rimasero feriti, tra loro Andrea Macrì è rimasto paralizzato e costretto sulla sedia a rotelle. Nella sentenza 12.223 la Suprema Corte ha condannato i tre insegnanti responsabili della sicurezza al Darwin, e tre dirigenti della Provincia di Torino del settore scolastico.

Il ruolo dei prof
Agli insegnanti del Darwin che avevano accettato l’incarico di responsabili della sicurezza e che hanno sostenuto di non avere le competenze tecniche necessarie per svolgere quel compito, la Cassazione ha replicato che chi non dispone di un adeguato bagaglio tecnico ha tre strade da percorrere: darsi da fare per acquisirlo, utilizzare le conoscenze di chi ne dispone, o «segnalare al datore di lavoro la propria incapacità». In nessun caso chi riveste questa delicata posizione di garanzia «può addurre la propria ignoranza per escludere la responsabilità dell’evento dannoso». Gli insegnanti imputati non avevano ispezionato il vano tecnico di circa mille metri quadrati e del peso di circa otto tonnellate, oltre a quello del materiale e dei servizi presenti presenti, che era una sorta di «bomba a orologeria» sulla testa degli studenti.

Merito, il governo tira dritto

da ItaliaOggi

Merito, il governo tira dritto

In arrivo la nota alle scuole. C’è aria di sciopero, spunta l’ipotesi di farlo in campagna elettorale. Nessuna concessione ai sindacati, sul bonus non si tratta

Alessandra Ricciardi

Il rinvio della circolare era stato interpretato da alcuni come l’apertura di uno spazio politico per tentare un accordo ministero-sindacati. Se mai questa ipotesi è stata in campo, nelle prossime ore se ne decreterà il fallimento. Tra oggi e domani il ministero dell’istruzione, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, invierà alle scuole la circolare, attesa per la scorsa settimana, con la quale si chiariscono linee guida e modalità di azione per l’attribuzione del bonus per il merito ai prof da parte del dirigente scolastico, senza nessuna intesa con i sindacati. In media ogni scuola riceverà un fondo di circa 23 mila euro, da distribuire ai docenti di ruolo. Un estremo tentativo per trattare, come già avvenuto sulla mobilità, e limitare i poteri dei dirigenti, potrebbe andare in scena ancora oggi ad opera delle sigle confederali, ma dai piani alti di viale Trastevere la chiusura pare essere totale. Si tratta del resto di uno dei pilastri della riforma della Buona scuola, su cui il premier Matteo Renzi aveva puntato per innescare il cambiamento.

La circolare, a firma del capo dipartimento Rosa De Pasquale, sottolinea ancora una volta quanto affermato dal ministro Stefania Giannini nelle interlocuzioni con Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda: in primo luogo che il bonus per il merito, pur essendo salario accessorio, non è contrattabile. La Buona scuola, legge n. 107/2015, ne ha deciso la non negoziabilità, derogando alle disposizioni finora applicate. E poi i fondi non vanno dati in modo troppo individuale ma neanche a pioggia, dice la nota, che ribadisce la natura transitoria di questa prima fase: dopo tre anni, e grazie al monitoraggio sui criteri di attribuzione adottati, arriveranno le linee guida del Miur. «Dal ministero un atteggiamento deludente, non sono state salvaguardate né le prerogative del collegio dei docenti né quelle negoziali delle Rsu in materia di salario accessorio», attacca Marco Nigi, segretario Snals-Conflsal.

Le scuole però possono anche decidere, nella loro autonomia, di condividere i percorsi di valutazione sia con gli organismi collegiali sia con le Rsu. «I presidi sul territorio stanno dimostrano maggiore responsabilità e maturità dei decisori a livello nazionale per garantire la trasparenza ed evitare il contenzioso», dice Lena Gissi, segretario Cisl scuola. Ma non basta a disinnescare la protesta e il malcontento. Che potrebbe anche approdare a uno sciopero? «Non possiamo affatto escluderlo ad oggi», dice la Gissi.

«Non possiamo stare fermi, certamente ci saranno ricorsi davanti al tribunale, dal collegio imperfetto alla non contrattazione del salario accessorio, non ci mancato i temi», ragiona Pino Turi, segretario della Uil scuola, «e intanto proseguirà la mobilitazione». Fino a che livello? «Lo decideremo in base a quello che il ministero scriverà nella nota», risponde Turi. «Il ministero sta esasperando il conflitto nelle scuole, se ne assumerà la responsabilità», dice Mimmo Pantaleo, segretario Flc-Cgil, impegnata a costruire «una risposta con tutto il fronte sindacale». Attenzione al 28 aprile, data dell’assemblea nazionale delle Rsu di Cgil, Cisl, Uil e Snals. Si parlerà di bonus, ma anche di chiamata diretta dei docenti e del mancato rinnovo del contratto. Tutti elementi utili per decidere che la protesta merita di diventare uno sciopero. Nel qual caso la data papabile cadrebbe a maggio. In piena campagna elettorale per le elezioni amministrative

Pure i presidi sul piede di guerra contro Renzi

da ItaliaOggi

Pure i presidi sul piede di guerra contro Renzi

Bonus e chiamata diretta non bilanciano Il taglio degli stipendi. Il 13 aprile nuova protesta

di Giorgio Candeloro

Il governo rischia di mettersi contro anche i dirigenti scolastici. Se da un lato assegna loro maggiori poteri, attraverso il bonus merito da assegnare ai docenti e la chiamata diretta, dall’altra continua a tagliuzzare i loro stipendi. Il 13 aprile prossimo si terrà il cedolino day: una delegazione di presidi iscritti ai sindacati confederali consegnerà al Presidente del Consiglio e ai ministri di Istruzione ed Economia migliaia di cedolini stipendiali, per dimostrare che il Miur, nonostante le assicurazioni di adeguamento delle retribuzioni dei presidi ai nuovi carichi di lavoro e alle crescenti responsabilità sancite dalla legge 107, non sta affatto mantenendo le promesse. Per dimostrarlo, quindi, mostreranno al governo quanto davvero guadagnano. In vista dell’evento del 13 aprile, intanto, è partita la raccolta dei certificati di retribuzione, promossa e sostenuta dalle sigle sindacali.

I cedolini che verranno consegnati a Renzi, Giannini e Padoan saranno quelli del mese di marzo (non a caso la quota retributiva annua più falcidiata da tasse, imposte e addizionali regionali e comunali), a partire dal 2010: come a dire che gli stipendi dei dirigenti sono fermi da sei anni. L’iniziativa e l’attuale stato di agitazione della categoria giungono al termine di una lunga serie di proteste e contenziosi legali che i presidi italiani stanno portando avanti relativamente alla questione del Fun, il fondo che ogni anni viene stanziato per il pagamento della parte accessoria degli stipendi dei dirigenti, la cosiddetta retribuzione di posizione e di risultato. I sindacati ricordano che questa parte della retribuzione aveva subito una pesante decurtazione a partire dall’anno scolastico 2012-13 a seguito dell’interpretazione data dal Miur della legge 122/2010,la famigerata legge Tremonti, che bloccava contratti, assunzioni e retribuzioni nel settore pubblico. Ciò aveva provocato, per gli anni scolastici 12/13 e 13/14, consistenti decurtazioni retributive per i dirigenti, in alcuni casi costretti a restituire somme già percepite e con l’aggravante, come denunciano in questi giorni le organizzazioni sindacali, che in molte regioni i presidi hanno percepito allora anche meno di quanto loro spettasse, pur con il Fun decurtato, risultando quindi creditori dell’amministrazione; ciò per via del timore di molti Uffici scolastici regionali di trovarsi in condizione di incapienza di risorse e per i ritardi nella sottoscrizione dei contratti integrativi regionali. Con questi precedenti non stupisce che i dirigenti, non solo quelli legati al sindacato confederale , ma anche quelli organizzati dall’Anp, l’associazione di categoria attualmente maggioritaria, siano sul piede di guerra, in vista della definizione, che dovrebbe avvenire in questi giorni , del Fun per l’anno in corso. Cifre ufficiali sull’ammontare del fondo non ci sono, ma i rumors dicono che il Mef prevede ulteriori forti tagli.

Una soluzione politica pro dirigenti scolastici intanto non viene presa in considerazione per il timore dell’effetto trascinamento che potrebbe avere sulle retribuzioni degli altri ambiti della dirigenza pubblica. Peraltro la legge 107,prevede, per il Fun, 47 milioni di euro a regime per il biennio 2015/16, ma la quasi certezza dei sindacati è che queste risorse, sbandierate dal governo come aggiuntive, rappresentino un conteggio diverso da quello del Mef e possano essere tagliate per ripianare il fondo 2011/12, erogato già in costanza di legge Tremonti ma, all’epoca, non tagliato.

Diversi incontri tra Miur e sindacati svoltisi negli ultimi mesi, il più recente il 10 marzo scorso, non sono serviti a fugare nessuna di queste incertezze, il che spiega in larga parte lo stato di agitazione di questi giorni e la rabbia dei dirigenti. L’esito della vicenda non è ad oggi prevedibile. Quello che è certo è che la protesta dei presidi è alimentata anche dal senso di tradimento delle forti aspettative suscitate nella categoria dalla Buona Scuola, di cui i presidi non avvertono concreti benefici stipendiali a fronte delle crescenti responsabilità, oltre che alla convinzione di avere negli anni subito uno scippo retributivo che temono possa continuare e a cui la 107 non pone rimedio come in molti avevano sperato.

Studente modello, ecco la ricetta

da ItaliaOggi

Studente modello, ecco la ricetta

Focus dell’Ocse: il 28% degli alunni non raggiunge la sufficienza in almeno una materia. Contano i fattori socio-economici, ma decisivi sono i prof

Giovanni Scancarello

Nel suo ultimo focus sulle competenze, l’Ocse si interroga sulle ragioni del fallimento formativo degli studenti. In tutti i Paesi che partecipano alle rilevazioni dell’Ocse Pisa, ci sono studenti che non acquisiscono un livello minimo di competenza in matematica scienze e lettura.

Mediamene il 28% non raggiunge il livello minimo di competenza in almeno una disciplina. Non c’è una causa specifica che spieghi una prestazione insufficiente ai test di competenza. Ad incidere è una serie di fattori che minano l’accesso degli alunni ad un corredo adeguato di competenza.

Gli studenti che frequentano scuole che li sostengono, che sanno esprimere attese di alto livello nei loro confronti sono meno esposti, rileva l’Ocse, al fallimento formativo sulle competenze. Questo vale ancora di più delle condizioni socioeconomiche di partenza.

Una realtà che è possibile empiricamente rilevare, ad esempio, anche nel nostro Paese, alla luce di dati relativi a scuole meno centrali e più periferiche.

Si pensi ai buoni risultati conseguiti, e messi in luce dell’Eduscopio della fondazione Giovanni Agnelli, dai licei Amaldi e Kant, siti nelle periferie sud-est di Roma, come pure dal liceo Volterra di Ciampino, interland della capitale.

Si tratta di scuole in cui la differenza la fanno gli insegnanti con la loro abilità di supportare i ragazzi nel processo di apprendimento.

Va detto, finora l’insegnamento, soprattutto alle superiori, ha funzionato nel senso di una delega di responsabilità allo studente, le cui competenze, dice l’Ocse, sono influenzate dalla vita formativa nel suo complesso.

In questo senso, come imputare la responsabilità di un fallimento formativo ad uno studente che, magari, dalle elementari ha frequentato scuole i cui docenti in cattedra sono cambiati ogni anno, magari anche più volte all’anno, visti i balletti delle supplenze degli ultimi anni scolastici?

L’Ocse parla di un circolo vizioso in cui entra lo studente, la cui insufficienza di strumentalità è il sintomo e non la causa del fallimento formativo.Tanto che gli studenti che vanno male nell’età dell’obbligo sono quelli che rischiano di più di diventare drop out.

I ricercatori hanno approfondito il caso di 13 milioni di studenti quindicenni in 64 Paesi partecipanti all’Ocse Pisa 2012 che mostravano carenze in almeno una disciplina.

Si è cercato di isolare i fattori intervenienti, visto che, come premesso, non basta più riferirsi solamente al background socio-economico che, da solo, non spiega il fenomeno. Ci sono fattori legati alla vita dello studente, alla sua vita personale, famigliare e sociale che intervengono in modo determinante e che risultano trattabili soltanto in realtà scolastiche in cui il tessuto professionale dei docenti è supportivo, tutoriale e attento ai processi metacognitivi ancor più che a quelli cognitivi.

In media, in partenza risulta favorito lo studente che mostra queste condizioni di vita: è socio-economicamente avvantaggiato, è inserito in una famiglia con tutti e due i genitori, autoctono, parla la stessa lingua sia a scuola che a casa, vive in una grande città, ha frequentato almeno un anno di scuola dell’infanzia, non è ripetente ed è studente di scuole sul tipo di quelle dei nostri licei. In queste condizioni uno studente ha il 5% di proababilità di finire sotto la media di competenza in matematica.

Al contrario, se siamo di fronte ad una studentessa con un solo genitore, con un background di immigrazione, che parla due lingue diverse a scuola e a casa, residente in aree rurali, che non ha frequentato la scuola dell’infanzia, ha ripetuto almeno un anno e frequenta la formazione professionale, la percentuale di probabilità di fallimento sale all’83%. Il fattore di genere è l’unico ad essere stato rilevato in correlazione significativa con una disciplina specifica, come è la matematica.

Per cui se i ragazzi sono a più alto rischio fallimento in scienze e lettura, le ragazze lo sarebbero in matematica. Ma al di là dei fattori patologici, interessa focalizzare l’attenzione sulle possibilità terapeutiche che la scuola può porre in atto.

La prestazione di apprendimento degli studenti, infatti, è di molto influenzata dalla scuola frequentata.

In questo senso risultano decisivi i benefici derivanti da docenti che mostrano interesse per l’apprendimento di ciascuno studente, che li aiutano quando si accorgono che ne hanno bisogno, che lavorano con loro fino a che non si accertino che abbiano compreso il contenuto del corso, che danno agli studenti l’opportunità di esprimere le proprie opinioni.

Un risultato, va detto, più difficile da attuare da noi, dove l’impronta burocratica condiziona di molto il rapporto formativo insegnante – studente, rispetto ad altri Paesi dove, ad esempio, il valore legale del titolo di studio è meno centrale che nel nostro ordinamento.

Alternanza, scuole lasciate da sole a caccia di imprese. Per 500mila studenti-lavoratori nessuna garanzia di qualità

da ItaliaOggi

Alternanza, scuole lasciate da sole a caccia di imprese. Per 500mila studenti-lavoratori nessuna garanzia di qualità

La validità dei percorsi lavorativi rischia di essere una chimera e di disorientare ragazzi e genitori

Arturo Marcello Allega

L’alternanza scuola-lavoro per essere reale richiede la contestuale presenza delle seguenti due proprietà: quella quantitativa e quella qualitativa (e non sempre le due caratteristiche viaggiano insieme, spesso invece, l’esagerazione della prima penalizza la seconda). Con i grandi numeri coinvolti di studenti, circa 500 mila solo per l’anno in corso, e aziende dalla legge n. 107/15, la seconda potrebbe soccombere rispetto alla prima. Nel senso che le scuole saranno costrette ad accettare ripieghi obbligati per far fare esperienze lavorative ai propri studenti, come la collaborazione con “Peppe lo zozzo” (pizzaiolo vicino la scuola) o considerare l’uso di un cronometro professionale, in una corsa al parco, attività lavorativa. In questo modo si rischierebbe di generare una gran confusione sia nello studente che nel genitore, in merito alla “cultura del lavoro” che passerebbe attraverso le vie dell’istruzione.

Per garantire un minimo di qualità, la struttura dei percorsi di alternanza dovrà essere organizzata nel seguente modo (le % sono indicative e ovviamente dipendenti dal percorso costruito in alternanza): 60% a scuola con la flessibilità in orario curricolare dove ogni disciplina si occuperà delle correlazioni con i propri contenuti del percorso progettato; 20% in azienda con attività specifiche ed, infine, il restante 20% presso strutture affini per conoscere il funzionamento di altre realtà o a convegni o in seminari dedicati. Percentuali a cui si arriva attraverso le buone pratiche fatte, ma su cui il ministero nulla dice nelle linee guida e neppure nel decreto sui diritti-doveri degli studenti in corso di emanazione (si vedano le anticipazioni di ItaliaOggi di martedì scorso).

Si ricorda che la Guida Operativa del Miur, al capitolo 5, definisce il partner dell’alternanza superando la nozione ristretta di azienda: Imprese e rispettive associazioni di rappresentanza; Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; enti pubblici e privati, ivi incluse quelli del terzo settore; ordini professionali; musei e altri istituti pubblici e privati operanti nei settori del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali; enti che svolgono attività afferenti al patrimonio ambientale; enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni.

In un istituto tecnico o professionale si tratta di circa 133 ore annue (secondo la ripartizione appena fatta, si tratterebbe di, circa, 80-27-26, modulabili secondo il percorso che, ad esempio, potrebbe essere anche 70-40-23). In un liceo l’impegno è limitato a sole circa 66 ore, con una ripartizione decisamente più contenuta (i politici, poi, ci spiegheranno perché al liceo si è destinato la metà delle ore con un finanziamento maggiore per classe a parità di studenti). La riduzione eccessiva delle ore in azienda sarebbe pericolosa (oltre un certo limite, sotto il 20%) perché verrebbe meno l’apprendimento della cultura del lavoro, traducendosi in una “cultura del pressappoco”.

Un eccesso di ore in azienda sarebbe altrettanto pericoloso: oltre il 60% si finirebbe nell’emulare l’apprendistato (che orientativamente è sull’80%) con una influenza delle logiche aziendali invasive rispetto alla formazione sulla “cultura” del lavoro. Nei casi più vantaggiosi di disponibilità aziendale, il 40% di cui sopra potrebbe essere tutto svolto in azienda, con un aggiuntivo 10% tra visite, convegni o seminari. Il 60% destinato alla scuola deve essere ben strutturato per non gravare sui pochi (del consiglio di classe) e, soprattutto, non escludere nessun docente e relativa disciplina dalla “cultura” del lavoro e della scelta futura.

Non c’è apprendimento culturale senza la copresenza delle discipline. Ogni disciplina ha il suo valore aggiunto su ogni possibile tema di alternanza. Intanto, il 60% su dieci discipline consiste in un 10% a disciplina (più o meno 8 ore), il che significa che uno spaccato di otto ore sul tema è possibile e auspicabile affinché si possa mostrare quanto ogni disciplina è foriera di apertura e crescita nella valorizzazione del tema per la sua visione prospettica specifica. Queste ore devono essere definite nel curriculo di ogni disciplina e quindi sono parte integrante della programmazione didattica del docente. In questo modo la flessibilità didattica e curricolare si porta a sistema ed è governata dall’intero consiglio di classe sull’intero triennio.

Il percorso deve essere co-progettato da scuola e azienda fissando i suddetti paletti percentuali all’interno dei quali prevedere momenti di scambio e confronto tra una realtà e l’altra (per evitare la creazione di compartimenti stagni tra scuola e azienda) rispetto al fine comune che resta quello di educare lo studente a comprendere che le competenze non sono altra cosa, soprattutto ostile, alle conoscenze ma che l’una – il solving – è l’altra faccia del knowing. Nel corso del triennio non si esclude che un percorso possa avvilupparsi, integrarsi e scambiarsi con un altro mescolando gli studenti delle diverse classi a seconda della loro scelta motivazionale e professionale (di qui la rilevanza del Curriculum dello studente o Portfolio), operando infine un ‘orientamento al lavoro’ appropriato all’autovalutazione dello studente.

INTERVISTA – Pantaleo (Flc Cgil): l’accordo sulla mobilità non si tocca, si cambi il preside salariale

da La Tecnica della Scuola

INTERVISTA – Pantaleo (Flc Cgil): l’accordo sulla mobilità non si tocca, si cambi il preside salariale

A poco più di 60 giorni dalla fine dell’anno scolastico, sono diversi i motivi d’incertezza per i docenti e tutto il personale scolastico. Ad iniziare dal rebus sulla mobilità.

Ci sono diverse situazioni in sospeso: dalle incognite sui nuovi trasferimenti alla chiamata diretta, dal nuovo merito al mancato rinnovo contrattuale, sino alla riformulazione dei comparti ministeriali.

Abbiamo fatto il punto della situazione con Domenico Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil, il sindacato che vanta la maggiore rappresentanza lavorativa nella scuola.

 

Pantaleo, siamo ormai ad aprile e l’Ordinanza sulla mobilità non arriva: comunque vada, si andrà fuori tempo massimo con seri problemi per organici, trasferimenti e assunzioni. Si poteva evitare tutto questo?

È grave che non si conoscano le ragioni del ritardo del nulla osta di Funzione pubblica e Mef per la sottoscrizione definitiva dell’intesa del 10 febbraio sull’ipotesi di contratto annuale della mobilità 2016/2017. La successiva ordinanza ministeriale è fondamentale e urgente per indicare le modalità di presentazione delle domande e la modulistica da utilizzare. Anche da questa vicenda emerge che bisogna mettere mano rapidamente a una riforma dei meccanismi di controllo sugli atti delle pubbliche amministrazioni. Non è più tollerabile, infatti, che organi burocratici intervengano in maniera arbitraria e immotivata su intese contrattuali sottoscritte a vari livelli, con interpretazioni spesso fantasiose delle leggi e dei contratti. Voglio ricordare che l’intesa sulla mobilità è frutto di una mediazione raggiunta con il ministro Giannini e il sottosegretario Davide Faraone.

 

Come vi comporterete se la Funzione Pubblica o la Ragioneria dello Stato dovessero modificare l’accordo del 10 febbraio da voi sottoscritto con il Miur?

Se la Funzione Pubblica o la Ragioneria dello Stato dovessero fare dei rilievi all’intesa significherebbe che disconoscono il lavoro faticoso fatto dalle organizzazioni sindacali, dai dirigenti del Miur e dalle massime cariche politiche per raggiungere un difficile accordo nell’interesse della scuola e dei diritti dei docenti. Se dovessero essere imposte modifiche sostanziali, la Flc Cgil non sarebbe disponibile a firmare una nuova intesa, perché da quel punto di mediazione non intendiamo recedere di un millimetro. In assenza di un’intesa definitiva la responsabilità del caos sarebbe tutta del Miur e del Governo.

 

Lo sa che tanti neo-assunti delle fasi B e C della Buona Scuola ce l’hanno con voi, perchè se passa quel testo risulterebbero gli unici non tutelati?

Sono molti i risultati positivi acquisiti con il nuovo contratto della mobilità rispetto ai contenuti della Legge 107. Non tutte le richieste del sindacato hanno avuto un esito positivo, a partire da quella di posticipare di un anno l’avvio del nuovo sistema di assegnazione agli ambiti del personale conseguente alla regolamentazione del piano assunzione straordinario. Così come gli ostacoli posti dalla Legge 107/15, che si sono rilevati insormontabili per i docenti assunti nelle fasi B e C. Come è noto, per la prima volta nella storia del reclutamento della scuola, al personale immesso in ruolo, con le fasi B e C, non viene assicurata la titolarità di sede e quindi possono accedere su tutti i posti disponibili negli ambiti nazionali, se assunti da GaE, o su ambiti provinciali, se assunti da concorso. È evidente che la disparità di trattamento tra docenti non deriva dall’intesa, ma dalla legge che deve essere cambiata con tutti i mezzi possibili, compreso il referendum.

Intanto a settembre arrivano albi territoriali e chiamata diretta: i presidi riusciranno a gestire le assunzioni sganciate dalle graduatorie?

Abbiamo ottenuto che l’assegnazione dei docenti agli ambiti sarà demandata ad una apposita sequenza contrattuale, da adottarsi entro 30 giorni dalla sottoscrizione definitiva dell’intesa per definire procedure, modalità e criteri attuativi per l’assegnazione alle scuole dei docenti che acquisiranno al termine della mobilità la titolarità sugli ambiti. Anche in questo caso, la Flc Cgil non accetterà né sottoscriverà alcun accordo che preveda la chiamata diretta. E il negoziato dovrà sottrarre questa delicata materia alla discrezionalità del dirigente scolastico. È in gioco la libertà di insegnamento e di apprendimento.

 

Nelle scuole c’è disorientamento per l’applicazione del ‘merito’ che la 107/15 ha affidato ad una stretta cerchia di docenti. Con il Miur che non vuole portare la questione al ‘tavolo’ di contrattazione dirigente-Rsu. Come finirà?

I caratteri autoritari della Legge 107 sono sempre più evidenti e nelle scuole si rischia l’esplosione di conflitti. Le criticità relative al personale Ata, il tentativo di indebolire la funzione degli organi collegiali e della contrattazione, la riduzione di spazi di democrazia. Un atto unilaterale sull’assegnazione del bonus sarebbe l’esatto contrario di un modello di scuola nella quale trasparenza, partecipazione, confronto siano le condizioni indispensabili per cambiare, migliorare, riformare.

 

Ma diversi sistemi scolastici si sono orientati verso il modello ‘premiale’?

La logica dell’uomo solo al comando non può favorire alcun beneficio, né elevare la qualità dell’offerta formativa, ma determinerà solo risentimenti e conflitti. Noi vogliamo valorizzare la funzione del Collegio docenti e delle Rsu, perché bisogna saper coniugare la valorizzazione del lavoro con i necessari cambiamenti, ricercando sempre il massimo consenso possibile.

 

Il Ministero però sostiene che la 107/15 parla chiaro: il merito non si assegna per contrattazione, ma passa per i criteri del comitato creato ad hoc.

Se il bonus, come recita la stessa legge, è salario accessorio, non può configurarsi come elargizione discrezionale del dirigente scolastico. Il Comitato di valutazione non ha nessun potere reale e tutta la procedura dell’assegnazione del fondo per il merito rischia di cancellare i canoni della trasparenza, dell’imparzialità, dell’equità e dell’antidiscriminazione. In nessuna pubblica amministrazione il dirigente è un’autorità salariale.

Nel frattempo, un altro anno scolastico sta terminando senza rinnovo del contratto.

Il rinnovo dei contratti per i dipendenti pubblici è un diritto costituzionale, come ha sancito recentemente una sentenza della Corte Costituzionale. Il rinnovo del contratto nazionale è uno strumento essenziale per recuperare la perdita del potere d’acquisto dei salari e di riconoscimento e tutela dei diritti dei lavoratori della scuola. Rivendichiamo risorse adeguate e immediate per stipulare contratti all’altezza delle aspettative di dirigenti scolastici, personale Ata e docenti.  Vogliamo lanciare anche una sfida di innovazione vera nei contenuti contrattuali, regolando tutte le materie relative al rapporto di lavoro e affermando la parità di diritti tra lavoratori precari e a tempo indeterminato. La contrattazione di secondo livello deve essere rafforzata, estesa e qualificata aumentando le competenze e responsabilità delle Rsu. E i contratti nazionali che vogliamo rinnovare devono essere forti e esigibili.

 

La Pubblica Amministrazione è ad un punto di svolta: il 4 aprile potrebbe arrivare l’accordo all’Aran sulla riduzione dei comparti da 11 a 4. È così?

Nei prossimi giorni si dovrebbe raggiungere l’intesa relativa alla costituzione dei quattro comparti di contrattazione che è l’atto preliminare, previsto dalla legge Brunetta, per rinnovare i contratti pubblici. La definizione dei quattro comparti implica aspetti complessi e delicati sul versante della rappresentanza. Non servono forzature e tantomeno logiche di semplificazione e accorpamento della funzione delle diverse organizzazioni sindacali attraverso meccanismi coercitivi. Per la Flc Cgil, che è il sindacato più rappresentativo in tutti i comparti della conoscenza, il pluralismo e la democrazia sindacale sono valori fondamentali da cui non si può prescindere per innovare struttura e contenuti dei contratti.

 

Cosa cambierà per la scuola?

La definizione del comparto della conoscenza (scuola, università, ricerca e Afam) è sicuramente un punto avanzato per garantire la valorizzazione di tutte le professionalità presenti nei diversi settori, anche per mettere in campo politiche di filiera capaci di cogliere le necessarie connessioni tra istruzione, formazione e ricerca come avviene in tutta Europa. La struttura contrattuale deve prevedere un accordo di comparto relativo ad alcune materie comuni e demandare ai contratti di settore tutti gli aspetti retributivi, la valorizzazione professionale, gli inquadramenti, organizzazione del lavoro e orari, disciplina del rapporto di lavoro.

La formazione moderna non può privarsi della “realtà aumentata”

da La Tecnica della Scuola

La formazione moderna non può privarsi della “realtà aumentata”

Per realtà aumentata (augmented reality, in inglese abbreviato AR) s’intende l’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante livelli d’informazioni.

Tali informazioni sono in genere elaborate e trasmesse elettronicamente, perché non sarebbero percepibili con i cinque sensi. Si può parla di AR anche quando le informazioni invece di essere “aggiunte” sono “ridotte” per presentare una realtà più nitida, coinvolgente e più approfondita dell’esperienza di conoscenza su un determinato oggetto.

Le informazioni non presenti nel campo visivo che aumentano la “realtà percepita sono aggiunte su computer o dispositivi mobili, tramite una webcam e dei relativi software, in grado di riconoscere appositi “ marcatori” , che immediatamente sovrappongono sui rispettivi schermi contenuti multimediali come video, audio.

Esistono diverse applicazioni sviluppate sul mercato che sfruttano questa tecnologia per offrire servizi sempre più accattivanti ed innovativi. Ma la AR potrà diventare un valido supporto in un prossimo futuro (si spera non così lontano), anche nella didattica e nella formazione scolastica.

La Realtà Aumentata ha infatti un enorme potenziale per l’uso in classe in quanto crea nuovi ed entusiasmanti modi per gli studenti di interagire e confrontarsi con l’ambiente circostante.

Se gli studenti visitano un museo, o vanno in gita, per esempio, gli insegnanti possono programmare indizi, pezzi di informazioni o video educativi che compaiono quando si scatta una foto.

Quando gli studenti usano i loro dispositivi mobili per scattare una foto di una statua in particolare o di un’opera d’arte, le informazioni sull’artista e/o il contesto storico, in questo modo, possono essere immediatamente messe a loro disposizione.

I libri tradizionali verranno affiancati o sostituiti da augmented book, in cui le informazioni fornite attraverso il supporto cartaceo si arricchiscono sullo schermo con elementi virtuali e interattivi. Le pagine, inquadrate da una videocamera, apriranno le porte a un mondo al confine tra reale e virtuale, in cui i contenuti si animano favorendo l’apprendimento.

Ci sono poi le piattaforme di E-learning project, le quali uniscono le modalità standard di fruizione dei corsi on line con momenti di augmented reality.

Scopriamo alcune interessanti idee sviluppate a livello internazionale e utilizzate nell’ambito più ampio della formazione:

“TexTales”: un set di lenzuola per bambini che contiene nel tessuto delle immagini visibili con la Realtà Aumentata.  Inquadrando le lenzuola, è possibile far apparire i personaggi delle fiabe in 3D attraverso un semplice smartphone o tablet.

Blippar : è un’ applicazione di realtà aumentata per smartphone sviluppata per far divertire i bambini, che viene attivata attraverso un passaporto britannico. Quando i passeggeri inquadrano con lo smartphone la famosa copertina marrone del passaporto nei loro display apparirà un vero e proprio aeroplano in 3D che decolla!
Da qui si potrà “volare” virtualmente in varie destinazioni o fare pratica con la lingua del paese di arrivo.

Elements 4D: è un innovativo progetto di realtà aumentata costituito da dadi interattivi con lo scopo di aiutare gli studenti ad apprendere in modo più visivo, educativo e ludico le proprietà di idrogeno e ossigeno e tutto ciò che è chimica.

‘Augmented Lecture Feedback System (ALFs):  è un sistema basato da alcuni ricercatori dell’università di Madrid sulla realtà aumentata che aiuta i docenti e gli studenti attraverso lo scambio di “feedback”, in tempo reale, sulle lezioni di classe. Infatti, per gli insegnanti, può essere difficile accorgersi di quando gli studenti stanno effettivamente capendo e “assimilando” le informazioni.

L’agenzia pubblicitaria Dentsu, in collaborazione con il più diffuso quotidiano Giapponese The Tokyo Shimbun, ha recentemente sviluppato un’applicazione di realtà aumentata che “traduce” i quotidiani per i bambini.

L’applicazione, , è stata creata con il desiderio di includere anche i bambini nella lettura del giornale nel tentativo di aiutarli a comprendere le notizie che in generale non sono “scritte” per loro, “contribuendo in questo modo positivamente alla comunicazione all’interno della famiglia e all’educazione infantile”.

A questo punto, non resta che sperare in un rapido sviluppo e diffusione di questa tecnologia che consentirà una diversa metodologia della formazione.

Progetto “Scuole belle”: taglio di 49 milioni al fondo di funzionamento delle scuole

da La Tecnica della Scuola

Progetto “Scuole belle”: taglio di 49 milioni al fondo di funzionamento delle scuole

E’ entrato in vigore il 29 marzo il decreto legge n. 42 (Disposizioni urgenti in materia di funzionalita’ del sistema scolastico e della ricerca).
Approvato dal Governo nel corso dell’ultima seduta del Consiglio dei Ministri, il provvedimento – al di là del titolo piuttosto impegnativo, contiene in sostanza due solo disposizioni.
All’articolo 1 il decreto prevede la prosecuzione fino al  30 novembre 2016 degli interventi di mantenimento  del  decoro  e  della funzionalità  degli  immobili  adibiti   a   sede   di   istituzioni scolastiche.

In pratica il decreto proroga di altri 8 mesi il progetto “Scuole belle” che ha consentito l’impiego del personale dipendente da cooperative sociali addetto alla piccola manutenzione delle scuole.
Per la realizzazione delle attività previste dal decreto è stato stanziato un finanziamento di 64 milioni di euro.
Come è spesso accaduto in questi anni la copertura finanziaria verrà trovata riducendo il fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche nella misura di 49 milioni (altri 15 milioni verranno recuperati riducendo le spese per la esternalizzazione dei servizi di pulizia).
La seconda norma contenuta nel decreto è riportata nell’articolo 2 e riguarda per la stabilizzazione e il riconoscimento della Scuola sperimentale di dottorato internazionale Gran Sasso Science Institute (in questo caso il costo è di 3 milioni di euro).
Nei prossimi giorni il decreto verrà trasmesso alle Camere per essere convertito in legge.
Il Parlamento dovrà provvedere in tal senso entro la fine del mese di maggio.

Concorso docenti, 165.578 domande: boom infanzia e primaria, top in Campania, 85% donne

da La Tecnica della Scuola

Concorso docenti, 165.578 domande: boom infanzia e primaria, top in Campania, 85% donne

Le previsioni di una settimana fa della Tecnica della Scuola erano corrette: le domande presentate per il “concorsone” sono state 165.578.

A comunicarlo, nella serata del 30 marzo, è stato il Miur, con una nota con la quale l’amministrazione scolastica sottolinea che “i candidati hanno avuto un mese di tempo dal 29 febbraio scorso”. Rispondendo in questo modo, a nostro avviso, a coloro che nel corso della giornata hanno chiesto una proroga della scadenza per i supposti rallentamenti al sistema occorsi nelle ultime ore di iscrizione.

“La regione con più domande presentate è la Campania (24.125). Seguono Lombardia (22.630), Sicilia (17.725) e Lazio (16.191)”.

Nel dettaglio, prosegue il ministero dell’Istruzione, “sono 97.719 le istanze di partecipazione pervenute per il bando relativo a scuola dell’infanzia e primaria (sarebbe stato utile avere però i dati scorporati n.d.r.), 58.254 quelle relative al bando per la secondaria di I e II grado, 9.605 quelle per il bando per il sostegno”.

Il Miur ha poi aggiunto che “l‘85,2% delle domande è stato inoltrato da donne. Percentuale che sale al 95,6% se si guarda al bando della primaria e dell’infanzia, che si attesta al 91,7% per il sostegno e scende al 66,6% per secondaria di I e II grado”.

Il 63,1% delle domande proviene da candidati che hanno meno di 40 anni (con un picco del 69,9% in Lombardia). L’età media generale è 38,6 anni (39 per il bando primaria e infanzia, 38,8 per secondaria di I e II grado, 34 per il sostegno).

Per il ministro Stefania Giannini “continua l’impegno di questo Governo per portare qualità, stabilità ed energie nuove nella scuola. L’alta adesione al concorso, la numerosa presenza di giovani dimostra che siamo sulla strada giusta. Dopo anni di mancate risposte sul tema del precariato storico e di concorsi che si sono svolti a singhiozzo, stiamo cercando di riportare il Paese alla normalità: con la Buona Scuola prevediamo bandi ogni tre anni e dunque certezze sui tempi di selezione per l’ingresso nella scuola”, ha concluso il responsabile del Miur.

Ricordiamo, per completezza, che nelle ultime settimane il ministero dell’Istruzione aveva stimato che le domande potenziali per l’accesso al concorso per docenti potevano superare quota 200mila. Evidentemente, alcune decine di migliaia di docenti precari, collocati nelle GaE, hanno preferito evitare di sottoporsi a questa selezione. Anche perché, ricordiamo, in occasione delle fasi B e C del piano di assunzioni della Buona Scuola, gli idonei del concorso bandito nel 2012, sono stati collocati anche a centinaia di chilometri da casa, benché si trattasse di una procedura di carattere regionale. Come, del resto, lo è questo concorso del 2016.

Il ministero dell’Istruzione conferma, infine che con avviso in Gazzetta Ufficiale, previsto per il prossimo 12 aprile 2016, saranno diffuse le date delle prove scritte che si svolgeranno a partire dalla fine del mese di aprile.

Le slide con i posti a bando e le modalità della prova: cliccare qui.

Uil Scuola: “Sulla mobilità tempistica tutta da rivedere”

da La Tecnica della Scuola

Uil Scuola: “Sulla mobilità tempistica tutta da rivedere”

La Uil Scuola interviene in merito alla questione dell’ordinanza Miur sulla mobilità, attesa prima delle vacanze di pasqua, ma ancora non pubblicata.

“Il Miur, nell’incontro del 15 marzo con le organizzazioni sindacali, si legge sul sito del sindacato, aveva prefigurato una tempistica per la presentazione delle domande di mobilità che prevedeva l’inizio per la prima fase (fase A) a partire dal 29 marzo, con scadenza il 15 aprile. Per le vie brevi, abbiamo appreso che sul testo del contratto integrativo mancano i previsti pareri, sia da parte della Funzione Pubblica che dell’IGOP (l’ispettorato generale per gli ordinamenti del personale della Ragioneria dello Stato). In assenza di tali certificazioni tutte le date dovranno essere rideterminate”.

Contestualmente, la Uil Scuola ha chiesto al Miur un incontro urgente su tutta la materia della mobilità, con particolare riferimento alle questioni relative ai docenti di sostegno del secondo grado (DOS).

Classi di concorso per l’insegnamento: un regolamento da rivedere secondo il Cun

da La Tecnica della Scuola

Classi di concorso per l’insegnamento: un regolamento da rivedere secondo il Cun

Intervento del Consiglio Universitario Nazionale sul nuovo regolamento delle  classi di concorso.

Con una nota, il Consiglio nazionale rileva che nel provvedimento permangono tutte le criticità già segnalate dal Consesso alle sedi istituzionali competenti. Il decreto continua ad accogliere soluzioni incoerenti con l’attuale struttura delle classi di laurea magistrale, capaci di produrre effetti distorcenti e di aprire a discriminazioni, causa di un esteso e motivato contenzioso.

Si aggiunga che è impossibile conciliare quanto richiesto dal Regolamento con quanto previsto dall’art. 1, comma 181, lettera b.2) della legge n.107/2015: il solo esito determinato dalla convivenza di queste disposizioni consiste nel precludere di fatto ai futuri laureati magistrali l’accesso alle classi di concorso individuate.

La mozione rileva quelle che sono le criticità riguardanti la corrispondenza tra lauree e accesso alle classi di concorso e, quindi, l’incoerenza tra Regolamento e struttura delle classi di laurea magistrale.

Nello specifico, si evidenziano i seguenti casi:

  • classi di concorso cui possono accedere laureati magistrali privi delle competenze indispensabili;
  • classi di concorso cui non possono accedere laureati in classi di laurea magistrale che chiaramente forniscono le competenze richieste;
  • classi di concorso che richiedono requisiti del tutto incompatibili con gli ordinamenti delle attuali lauree magistrali;
  • classi di concorso in cui risultano incongruenze fra i titoli del vecchio ordinamento, ex DM n.509/1999 ed ex D.M. n. 270/2004, che vi danno accesso;
  • classi di concorso affini per le quali si fissano requisiti incoerenti;
  • classi di concorso per le quali si fissano requisiti non correlati alle competenze necessarie per l’insegnamento delle discipline previste dalla classe.

Di qui – continua la nota – la richiesta di procedere a quanto appare come un’indispensabile revisione del testo normativo, avvalendosi anche del contributo del CUN, quale principale organo di consulenza del Ministro per tutto ciò che attiene alle classi di laurea e di laurea magistrale.

Ecco la mozione presentata (clicca qui)