Gestire la crescita nella scuola dell’autonomia

Gestire la crescita nella scuola dell’autonomia

di Stefano Stefanel

 

La scuola italiana sta vivendo ormai da tempo un forte mutamento i cui esiti si potranno misurare solo fra qualche anno, ma la cui consistenza è sotto gli occhi di tutti. Per la prima volta dopo molti anni i dirigenti scolastici devono gestire strutture di crescita (anche convulsa) e non di contenimento. Le molte difficoltà che incontrano mostrano come spesso la categoria, al di là delle difese d’ufficio dei sindacati di parte e al di là degli attacchi scomposti e troppo spesso volgari degli oppositori in servizio permanente, sia molto legata ad un’idea tradizionale di scuola in cui innovazione e ricerca si fanno solo se proprio non se ne può fare a meno. Ritengo siano da ridiscutere il ruolo del dirigente scolastico in questo grande mutamento, le sue reali competenze dirigenziali, il suo ruolo dentro il processo di mutamento. Su questo probabilmente farà un po’ di chiarezza la prossima valutazione dei dirigenti scolastici, che darà degli indirizzi al Ministero in riferimento ad una categoria che vuole essere al tempo stesso manageriale e protetta. Sempre di più il dirigente scolastico è un ibrido tra dirigente autonomo e impiegato statale e questo lo si vede nelle plurime proteste connesse con il contemporaneo assorbimento di lavori sempre più gravosi in tempistiche sempre più ristrette.

Gli elementi di crescita della scuola di oggi sono però oggettivi:

  • l’organico è cresciuto in maniera consistente, ma il mantenimento in vita di alcuni elementi contraddittori (GAE eliminate ma non abolite e quindi ancora attive; organico dell’autonomia che si interseca con trasferimenti, assegnazioni provvisorie, utilizzi, ecc.) manderà a regime la sua gestione così come pensata dalla legge 107/2015 solo tra qualche anno;
  • i fondi PON stanno portando 3 miliardi di euro nelle scuole, ma troppe scuole non sanno come chiedere o come utilizzare questi fondi;
  • il Piano Nazionale Scuola Digitale e la nuova Formazione docenti introducono enormi elementi di novità;
  • gli Ambiti e le Reti di Ambito fanno intravedere enormi potenzialità anche di utilizzo di risorse didattiche e amministrative capaci di creare un miglioramento progressivo del sistema con la liberazione conseguente di risorse aggiuntive;
  • i Progetti nazionali di grande portata come i Laboratori per l’occupabilità mostrano un diverso modo di organizzare e gestire la spesa;
  • il Bonus premiante il merito ha introdotto nuove risorse e un nuovo rapporto tra dirigente scolastico e docenti;
  • l’Alternanza scuola lavoro anche nei Licei evidenzia la necessità di potenziare il progetto didattico e non le routine consolidate.

Credo che un punto dirimente dell’attuale dibattito sia quello per cui nelle scuole italiane statali il 1° settembre 2016 ci sono molti più soldi e molti più insegnanti che nelle scuole statali italiane il 1° settembre 2015. Questo è un dato oggettivo di crescita e non capisco che motiva ci sia a negarlo, anche perché continuare a negarlo non fa che spostare più in là i necessari momenti formativi per accompagnare un processo che comunque è stato innescato in forma molto invasiva.

ORGANICO DELL’AUTONOMIA

Ho già avuto modo in precedenti interventi di evidenziare come a fronte di una così forte e convulsa crescita del personale non con un semplice incremento orario o con il ritorno a situazioni di molti anni fa, l’idea di molti dirigenti è ancora piramidale con il mantenimento della figura del Vicario o del Vicepreside che costituisce il secondo punto della piramide dirigenziale. Dietro questa ossessione per il Vicario c’è il retropensiero di molti di noi secondo cui solo noi sappiamo chi può aiutarci a gestire la scuola, partendo dall’idea che il nostro primo obiettivo è fare amministrazione. Carte e burocrazia, insomma, che diciamo di odiare, ma che invece sono spesso la nostra gioia segreta (evidente in chi emana “487 circolari” l’anno).

L’organico dell’autonomia è invece una questione didattica e progettuale, non una questione di supplenze. La progettualità, l’innovazione, la ricerca e l’analisi della propria scuola prevalgono sull’orario e sulle supplenze. O almeno dovrebbero prevalere. La novità è che mentre prima della legge 107/2015 c’era l’orario di cattedra e le ore aggiuntive di tipo progettuale erano volontarie, adesso c’è un Piano triennale dell’offerta formativa e un organico per realizzarlo. Non è un organico perfetto, ma neanche quello di prima lo era: è comunque l’organico che lo stato ci ha dato e dunque quello su cui noi dirigenti scolastici dobbiamo esercitare la nostra professionalità.

E’ abbastanza avvilente constatare come invece spesso viene burocratizzato anche questo, con una critica al Ministero che non ha assegnato quanto richiesto, anche se è noto a tutti che lo svuotamento delle GAE presupponeva un periodo transitorio. In questo periodo transitorio un buon esercizio sarebbe quello di lavorare sulle Reti di ambito e le Reti di scopo per creare quei sistemi di governance comune che il nuovo assetto scolastico richiederà quanto prima. Ma anche in questo settore si assiste al rallentamento di un processo costitutivo che invece avrebbe dovuto procedere spedito con l’avvio dell’anno scolastico e la titolarità di ambito di molti docenti.    Tutto però è rallentato anche perché i dirigenti scolastici e gli uffici periferici del ministero sono attenti ad altre problematiche, connesse con la vecchia idea di scuola. L’organico dell’autonomia molto spesso non è visto come un elemento di oggettivo interesse pedagogico progettuale, ma come un ulteriore impegno da definire non con una progettazione annuale, ma con orari rigidi e settimanali. Cioè con la negazione di ogni reale progettualità connessa ad un Piano Triennale dell’Offerta Formativa.

QUESTIONE DI SOLDI

Un altro sorprendente elemento è l’esistenza di molte risorse aggiuntive, mai gestite prima dalle scuole, che però vanno a scombinare l’idea che l’obiettivo del sistema venga definito dalla singola scuola. Spetta allo Stato definire gli obiettivi generali del sistema e il Miur lo sta facendo centrando la sua attenzione sul Piano Nazionale Scuola Digitale, sui Progetti Nazionali, sui PON, sui Laboratori per l’occupabilità, sul bonus premiante. Tutte attività innovative che trovano la loro definizione e ricaduta nell’ambito della legge 107/2015 laddove si disegnano i contorni dei docenti interessati dal bonus premiante. Il bonus premiante è una cifra aggiuntiva al FIS e agli altri fondi e infatti i docenti nella grande maggioranza delle scuole lo hanno incassato senza alcuna polemica, come invece avrebbero sperato i sindacati. In questo caso i dirigenti scolastici si sono trovati a dover applicare criteri, non a fare i conti delle ore svolte. Questa è una grossa novità alla fine accettata dai docenti e non troverei strano che il FIS contrattato in un futuro sparisse a favore di un bonus “potenziato”. Credo che oggi forse potrebbe nascere nelle parti un dubbio sulla contrattazione e sulla sua reale efficacia, perché non sempre il dirigente scolastico è visto dai docenti che dirige come uno scriteriato incompetente nepotista. I dirigenti scolastici hanno subito lo scorso anno scolastico una reale aggressione mediatica da frange di docenti e sindacati che vorrebbero riportare indietro le lancette del mondo a cinquantenni fa e sono stati dipinti come ebeti con forti tendenze alla corruzione. Le cose non sono andate in quel modo, ma rimane l’idea anche in molti di noi che queste innovazioni potrebbero sparire prima di essere andate a regime e dunque non vale la pena di impegnarsi più di tanto.

C’è però da dire che i soldi sono molti di più, ma nelle scuole prevale lo sconcerto per la loro quantità e per le modalità con cui vengono erogati. Prendiamo i fondi PON: mi ha fatto molta impressione sapere che il primo PON per le Reti Wlan-Lan, che chiedeva solo una banale domanda per ottenere i fondi, abbia visto più di tremila scuola (oltre il 30% del totale) non presentare neppure la domanda. Mentre tutti abbiamo potuto vedere in l’impietoso elenco delle scuole che hanno sbagliato la domanda per il secondo PON (ambienti per l’apprendimento) in una sorta di berlina di cui nessuno ha risposto e per cui nessuno ha chiesto scusa.

Anche la grande progettualità dei Laboratori per l’occupabilità non sta creando quella fibrillazione che progetti di così grande portata (siamo intorno al milione e mezzo di euro per progetto) dovrebbe determinare in territori che devono stringersi attorno alle scuole vincitrici dei progetti gestibili molto più facilmente dentro reti di ambito piuttosto che dentro singole segreteria molte delle quali poco adatte a gestire grandi masse di danaro.

Il dirigente scolastico dovrebbe essere motore e facilitatore del mutamento invece si dedica sempre più spesso a riportare le novità nella routine quotidiana. La scuola è in una fase di turbolenta modificazione, ma questo non viene sempre visto come un’opportunità. Però ci sono più docenti, più soldi e più occasioni di miglioramento e di cambiamento. E questo deve innescare meccanismi di innovazione e di ricerca e nuovi strumenti di governo. Di questo qualche volta si dovrebbe parlare.

Anche in tv la ministra falsifica la realtà

Anche in tv la ministra Giannini falsifica la realtà, nel tentativo di rasserenare con la propaganda l’opinione pubblica

I dati di ascolto relativi alla presenza della ministra Giannini ieri sera nel corso della trasmissione Politics sono stati deludenti. Siamo molto preoccupati per ciò che i dati di ascolto ci consegnano: una pericolosa riduzione di attenzione sociale, collettiva, verso la scuola pubblica e i suoi problemi, che a volte può rasentare l’indifferenza. È uno degli effetti negativi della riforma e dei messaggi ingannevoli, di propaganda, del premier Renzi e della ministra Giannini, per i quali “va tutto bene madama la marchesa”.

Il conflitto tra la realtà di estremo disagio, nella gran parte delle scuole italiane, e la rappresentazione falsa e rassicurante andata in onda anche ieri sera ad opera della ministra Giannini, spinge l’opinione pubblica ad allontanarsi e a disinteressarsi dei problemi legati all’istruzione primaria e secondaria. Invece, la scuola pubblica è patrimonio di tutti e bene comune dell’intera società. I suoi problemi non possono essere lasciati al volontarismo, e alla pazienza, di dirigenti scolastici e docenti, del personale ATA e soprattutto degli studenti. La ministra Giannini ha ripetuto che “la geografia non si può cambiare” quando l’80% dei docenti risiede al sud e il 70% degli studenti vive al centro nord. Ciò che la ministra nasconde, però, è che non lo scopriamo oggi, la realtà ci è nota da sempre, e se avesse ascoltato i soggetti rappresentativi del mondo complesso della scuola avrebbe utilizzato criteri più umani e razionali per disporre i trasferimenti di migliaia di docenti, invece di inventarsi uno strumento apparentemente oggettivo, e disumano, qual è l’algoritmo, che ha originato un caos notevole nell’assegnazione delle cattedre dei nuovi docenti immessi in ruolo. Come sempre, la ministra ha difeso lo strumento usato, la tecnica, contro quella umanità della vita dei docenti che le si è rivoltata contro. La colpa degli errori è sempre di qualcun altro. Ma le scelte politiche di chi sono? Della geografia? O piuttosto di chi guida il MIUR?  Come non ammettere che la legge 107 è stata fallimentare?

Nello stesso modo ha trattato il tema dell’alternanza scuola-lavoro, dinanzi alle legittime obiezioni di una studentessa, che ne rilevava il sostanziale sfruttamento da parte di alcune, se non moltissime, aziende. Ora, invece di replicare sull’applicazione concreta delle ore di alternanza, la ministra ha voluto ribadire l’ideologia della differenza tra sapere teorico e sapere pratico, perché così “sarà più facile trovare lavoro”. È la dimostrazione plastica di quanto segnaliamo da molto tempo: attenzione, perché l’ideologia che sorregge questo tipo di alternanza scuola-lavoro nasconde la volontà di trasformare le aule in centri di addestramento professionale piuttosto che di educazione e di conoscenza. Ma l’educazione e la conoscenza sono pilastri della nostra Costituzione e base delle pari opportunità di partenza per tutti. È per questo che abbiamo chiesto agli italiani di esprimersi con un voto referendario su questo decisivo e centrale tema.

E infine, la ministra ha detto in televisione, dunque in modo impegnativo, che il decreto delegato relativo alla cosiddetta fascia di età 0-6 anni è la parte più importante della riforma. Siamo d’accordo. Ma se è così, non sarebbe opportuno sollevare un dibattito pubblico ampio, largo, che coinvolga tutti gli attori sociali che della materia si occupano, e l’intera società, proprio perché l’educazione dell’infanzia interessa tutti? Oppure si pensa di fare come con la 107, con procedure autoritarie, e senza il necessario ascolto? Basta citare un provvedimento perché quest’ultimo sia buono? Non lo crediamo, e attendiamo lo sviluppo del decreto delegato sull’educazione dell’infanzia. Invitiamo la ministra Giannini a rendere pubblico il progetto  la sua filosofia ispiratrice e le risorse reali a disposizione. Non ci pare che la Ministra Giannini abbia dimostrato le competenze e l’umiltà necessarie per dirigere il Ministero dell’istruzione. Questo dato non può essere più occultato con la propaganda.

Ammessi al Concorso 2016 anche gli specializzandi PAS

L’Anief travolge il MIUR in Consiglio di Stato: ammessi al Concorso 2016 anche gli specializzandi PAS

Il Consiglio di Stato non ha dubbi sulle ragioni sostenute dall’Anief e accoglie con provvedimento d’urgenza le richieste patrocinate dall’Avv. Michele Speranza per ottenere l’ammissione al Concorso a cattedra 2016 dei docenti in attesa del conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento tramite PAS. Marcello Pacifico (Anief-Cisal): “Il MIUR, ora, dovrà procedere alla calendarizzazione delle prove suppletive riservate ai docenti in possesso di favorevole provvedimento del Tribunale e integrare le loro posizioni per permettere la loro corretta partecipazione al concorso 2016. Provvederemo a sollecitare nuovamente il Ministero dell’Istruzione perché ottemperi, senza ulteriore indugio, alle disposizioni già emesse dal tribunale in favore dei docenti di ruolo, degli ITP e, ora, degli specializzandi PAS. La soddisfazione è piena: l’illegittimità della loro esclusione per un mero fattore temporale di conseguimento del titolo era evidente”.

Tecnologie per l’Autismo

Appalti pre-commerciali: al via la gara “Tecnologie per l’Autismo”

Presso la sede dell’Agenzia per l’Italia digitale l’incontro pubblico con gli operatori economici, l’industria, gli enti di ricerca e le università.

Il 14 settembre 2016 si svolge, dalle ore 10.30 alle ore 17.00, presso la sede dell’Agenzia per l’Italia Digitale, via Listz 21 in Roma, la consultazione di mercato relativa alla Gara d’Appalto pre-commerciale: “Progetto e sviluppo di applicazioni innovative di Realtà Virtuale e Aumentata per soggetti affetti da disturbi dello spettro autistico (ASD)”.

La Gara è finalizzata alla creazione di soluzioni innovative, prodotti, servizi o processi non ancora presenti sul mercato in tema di progettazione e sviluppo di applicazioni basate sulle tecnologie della Realtà Virtuale (VR) e della Realtà Aumentata (AR) con fini terapeutici destinate a soggetti affetti da disturbi dello spettro autistico (ASD).

L’incontro pubblico è indirizzato principalmente agli operatori economici, all’industria, agli enti di ricerca e alle università che hanno interesse ad acquisire maggiori informazioni per un’eventuale partecipazione ai bandi di gara. La Consultazione di mercato è propedeutica a confrontare esperienze ed acquisire conoscenze tecniche, al fine di una migliore predisposizione degli atti di gara, conciliando le esigenze della Stazione Appaltante con l’offerta del mercato.

Via libera al «panino» in refettorio

da Il Sole 24 Ore

Via libera al «panino» in refettorio

di Claudio Tucci

Gli studenti hanno diritto a consumare a scuola un pasto portato da casa. Il principio di diritto è stato affermato ieri dai giudici del Tribunale di Torino che, con una ordinanza, hanno respinto, giudicandolo infondato, un reclamo presentato dal ministero dell’Istruzione.

La storia
La vicenda prende spunto da un’azione giudiziaria di una cinquantina di famiglie di alunni della scuola primaria iscritti al “tempo pieno” che, protestando contro l’aumento del costo dei pasti e sulla qualità del cibo, hanno chiesto di poter scegliere, per i propri ragazzi, tra il servizio di refezione offerto dal comune e la consumazione, a scuola, durante l’orario del pranzo, di alimenti (per lo più panini) preparati a casa.

La sentenza
Sulla questione si erano già pronunciati a giugno i giudici torinesi, dando ragione alle famiglie ricorrenti. Le decisioni sono state “appellate” dal Miur, e ieri è arrivata la prima pronuncia di merito, che ha confermato la decisione iniziale ribadendo che il diritto allo studio, tutelato dalla Costituzione, obbligatorio e gratuito nel livello di istruzione inferiore per almeno otto anni, non possa essere negato nè subordinato all’adesione a un servizio a pagamento, come quello di refezione (motivazioni, quindi, che aprirebbero la strada a chiunque lo desideri di poter rifiutare il servizio mensa).

Le reazioni
L’ordinanza di ieri ha invitato poi la scuola a stabilire regole di convivenza visto l’utilizzo dello stesso refettorio che accoglie, durante la pausa pranzo, ragazzi che utilizzano il servizio di refezione e quelli che consumano il “pasto domestico”. Dal Miur hanno annunciato ricorso in Cassazione; e il dg dell’Usr Piemonte, Fabrizio Manca, ha reso noto che la settimana prossima (probabilmente il 20 settembre) ci sarà un incontro con comune, Regione e presidi per ragionare sulle modalità di esecuzione dell’ordinanza: «Da parte mia – ha spiegato il dg dell’Usr Piemonte – le priorità sono due: la sicurezza dei bambini ed evitare che per il personale scolastico si crei un aggravio di responsabilità».

La Buona scuola che non c’è. Dalla preside nel caos della chiamata diretta alla prof che deve rinunciare

da Il Fatto Quotidiano

La Buona scuola che non c’è. Dalla preside nel caos della chiamata diretta alla prof che deve rinunciare

Alex Corlazzoli

Dietro i numeri e le parole restano le storie: quelle di chi lunedì mattina, nonostante le lamentele, le proteste, ha dovuto avviare l’anno scolastico e garantire le lezioni agli studenti oppure quelle di quei docenti che al netto dello sfogo sui social network, della rabbia e delle conciliazioni, hanno dovuto rinunciare al posto di lavoro per non dividere la propria famiglia. La ministra Giannini, che 12 mesi fa aveva assicurato la messa a regime della riforma entro il 2016, ora dice: “Per il tagliando attendiamo il prossimo anno, ma possiamo dire di essere soddisfatti e naturalmente consapevoli di una macchina complessa che nell’arco delle prossime settimane, come ogni anno, andrà a pieno regime con tutti quei dettagli che come ogni anno chiedono organizzazione”. Intanto, però, in molte scuole italiane l’anno scolastico si è aperto con orari ridotti e accorpamenti delle classi. Ecco due storie che raccontano il problema della “chiamata diretta” dal punto di vista di una preside alle prese con buchi nell’organico (secondo lei questa soluzione non risolve i problemi). E poi quella di una professoressa madre di due figli che è stata mandata all’improvviso (e dopo anni di precariato) dall’altra parte d’Italia. Lei non può lasciare la famiglia e proprio a un passo dalla promessa stabilizzazione è costretta a mettere in un angolo il suo lavoro.

LA PRESIDE: “LA CHIAMATA DIRETTA NON MI HA RISOLTO I PROBLEMI DI ORGANICO” – Un viaggio nella realtà quotidiana, nella provincia, per toccare con mano le difficoltà di chi come Roberta Mozzi, dirigente dell’Itis “Torriani” di Cremona, ha dovuto fare i conti con l’inutilità della chiamata diretta: “Abbiamo iniziato con diverse cattedre scoperte e l’acqua alla gola. I risultati del nuovo metodo per le assunzioni dettato della Legge 107 sono questi: avevo scoperti due posti di filosofia, uno di matematica, uno di scienze, quattro di meccanica, due di laboratorio di informatica e uno di chimica. Di tutti questi sono riuscita solo a coprire, con la chiamata diretta, due posti. Per l’insegnamento di filosofia avevo dei curricula che non mi interessavano eppure mi hanno assegnato d’ufficio gli stessi che avevo scartato: erano gli unici a disposizione dell’ambito. Mi servivano persone che insegnassero filosofia della scienza mentre questi sono laureati in pedagogia. Non solo. Di queste due persone una viene da Palermo, da cinque anni lavora a Leno (Brescia). Aveva messo l’ambito di Cremona come quattordicesimo ma nonostante vi sia il posto a Leno è stata assegnata al “Torriani”. Ora farà domanda di assegnazione provvisoria; è facile che tornerà dove insegnava lo scorso anno e io avrò di nuovo un posto scoperto. L’altra cattedra è a scavalco tra due ambiti come non dovrebbe essere. Non basta. Sul sostegno è arrivato un docente da Teramo che giustamente ha chiesto l’assegnazione nella sua città. Il resto non mi è stato assegnato perché non c’erano risorse nell’ambito. Venerdì scorso alle 18 l’ufficio scolastico regionale ha pubblicato una nota in cui il ministero dovrebbe nominare in nomina dalle Gae e dal concorso (finalmente concluso) del personale sui posti scoperti dando a noi il compito di concludere tutte le operazioni entro mercoledì: in queste ore dovremmo rifare la nuova chiamata diretta in quattro giorni”. Una situazione delirante anche sul fronte Ata: “Siamo sotto organico da anni. Al ministero ragionano sul numero degli studenti e non sulla metratura della scuola. Hanno fatto passare i bidelli sull’amministrativo senza un solo corso di conversione. Un esempio: l’addetta al personale della mia segreteria ha cambiato sede e al suo posto è arrivato un tecnico che ha fatto il passaggio di qualifica. Peccato che fino allo scorso anno faceva la cuoca nel corso di cucina in un professionale. Mi mancano almeno cinque bidelli. Non parliamo del bonus di valorizzazione del docente: per ora non è arrivato un solo centesimo di euro”.

L’INSEGNANTE MANDATA DALL’ALTRA PARTE D’ITALIA: “RINUNCIO” – In qualche scuola, invece, lunedì mattina non si presentato il docente. E’ rimasto a casa, senza stipendio, senza lavoro, per garantire la serenità della famiglia. Un caso per tutti: quello di Roberta Russo, mamma docente di educazione musicale finita ufficialmente in Cadore da Viterbo. “Dopo 17 anni di precariato – racconta Roberta – svolto lavorando in giro per la mia provincia sono stata assunta in ruolo con la 107. Sono madre di due figli, un giovane adolescente e un bimbo di nove anni, moglie di un marito anch’egli in mobilità. Non sono più tanto giovane, ho 45 anni e ho già fatto delle scelte di vita che devo portare avanti per non destabilizzare la famiglia che ora è divisa grazie agli errori di un algoritmo che ha deciso le nostre vite”. La sera del 3 agosto, dopo giorni di attesa snervante, è arrivato l’esito della mobilità per Roberta: da Viterbo in Veneto, Cadore. “Una doccia fredda, se non fosse che mi sono resa conto – spiega la professoressa – che tutti i miei colleghi sono rimasti nella provincia. Dei 14 immessi in ambito Viterbo, ben nove di loro hanno un punteggio inferiore al mio. Mi sono rivolta immediatamente al sindacato e insieme abbiamo chiesto delucidazioni. Risultato: nessuno dei colleghi ha titoli preferenziali, è chiaramente stato un errore dell’algoritmo impazzito! Ho fatto immediatamente domanda di conciliazione, spiegando le mie valide motivazioni, ho atteso i minuti, le ore. Nel frattempo è arrivato il momento di prendere servizio e così sono dovuta partire il 31 agosto nella scuola assegnatami d’ufficio a Domegge di Cadore. Mentre ero in viaggio mi è arrivata la comunicazione dall’Usr del Lazio di presentarmi il giorno 1 settembre alle 15 per la conciliazione a Roma. Ma come? Alle 8 presa di servizio in Cadore e alle 15 dello stesso giorno conciliazione a Roma? Mi è stata data una proroga: entro il giorno 2 settembre a Roma. Ho fatto la presa di servizio e mi sono rimessa in viaggio in direzione della capitale. E’ arrivato il fatidico giorno della conciliazione. La funzionaria freddamente mi ha proposto Vicenza al posto di Domegge di Cadore. E’ stata una presa in giro, ho percorso 1500 km in due giorni per sentirmi dire che mi è stata assegnata una nuova sede di ufficio senza tenere conto del mio punteggio: prendere o lasciare! Sono scoppiata a piangere, non mi sono mai sentita così umiliata in vita mia. Tutto l’amore che avevo nell’insegnamento e la passione con cui l’ho svolto sono stati calpestati. Ora ho fatto ricorso al giudice del lavoro. Intanto ieri mattina mi sono messa in malattia; chiederò un anno di aspettativa non retribuita rinunciando allo stipendio: non posso lasciare i miei figli”.

Ape, 63mila pronti allo scivolo

da ItaliaOggi

Ape, 63mila pronti allo scivolo

Nicola Mondelli e Emanuela Micucci

Pensionamento flessibile e anticipato per 63 mila dipendenti della scuola. Tanti, secondo una stima di ItaliaOggi, potrebbero utilizzare l’Ape annunciata dal sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri, Tommaso Nannicini, anche per i dipendenti pubblici. Saranno necessari 63 anni di età, potranno essere chiesti fino a 3 anni e 7mesi di anticipo, ma si lavora per estenderli a 4 anni tondi. Con una penalizzazione economica sull’assegno pari al 6% per ogni anno di scivolo. Salvo non si appartenga a una categoria protetta: secondo quanto filtra dal governo, vi rientrerebbe chi è disoccupato, chi accudisce un parente disabile, chi svolge un lavoro usurante e tra questi, novità dell’ultima ora, dovrebbero essere incluse anche le maestre della scuola dell’infanzia.

A legislazione vigente, nel 2017 sarebbero circa 15 mila, tra docenti e Ata, a poter fare domanda di pensione Se dunque la riforma dell’Ape dovesse passare, sempre che tutti gli interessati dovessero condividerla ed aderire, per la scuola si tratterebbe quasi di quadruplicare le uscite. Una boccata di ossigeno per i precari delle graduatorie ad esaurimento, ma anche per quelli che hanno vinto il concorso, e che rischiano di dover aspettare anni prima di essere assunti. Proprio a causa dell’assenza di posti disponibili, in particolare nelle regioni del Sud d’Italia dove anni di assunzioni in surplus rispetto alla popolazione studentesca e la mobilità straordinaria di quest’anno hanno praticamente esaurito le cattedre dell’infanzia e della primaria e hanno asciugato di molto alcune classi di concorso delle superiori.

Nel fare una previsione sul numero del personale della scuola che potrebbe trovarsi nelle condizioni che saranno richieste per accedere al pensionamento anticipato di vecchiaia, una premessa è d’obbligo: i numeri che seguono sono per forza di cose indicativi. I numeri reali li conosce solo il sistema informativo del ministero dell’istruzione che, incomprensibilmente, non li rende pubblici da alcuni anni. L’ultima pubblicazione contenente l’età anagrafica dei docenti e del personale educativo, amministrativo, tecnico ed ausiliario in servizio di ruolo risale al mese di giugno 2010 e riguarda l’anno scolastico 2009/2010.

Da quell’anno i dati sull’età anagrafica del personale in servizio sembrano essere stati secretati. Utilizzati dai funzionari del ministero dell’istruzione, e indirettamente al ministro dell’economia e delle finanze, per definire autonomamente gli organici previsionali e ogni altro provvedimento sia giuridico che economico da proporre prima e inserire dopo nei rinnovi contrattuali.

Dal 1° settembre 2017, stando ad una indagine condotta da ItaliaOggi sui dati ministeriali conosciuti in merito alle classi di età, 20.500 docenti e 6.000 Ata avrebbero i titoli per chiedere di accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia con tre anni di anticipo; con due anni di anticipo sarebbero 18.000 docenti e 5.500 Ata mentre avrebbero titolo a chiedere l’accesso alla pensione di vecchiaia con un solo anno di anticipo 12.000 docenti e un migliaio di Ata.

Su quanti saranno quelli che chiederanno di accedere al pensionamento anticipato di vecchiaia è impossibile formulare una previsioni credibile. Si tratta di rinunciare ad una pensione decorosa, derivante da una anzianità contributiva, che per i soggetti indicati è compresa tra 38 e 42 anni, in favore di un breve anticipo di pensionamento. Sicuramente non avrebbero convenienza coloro che sono ad un solo anno dall’età di pensione di vecchiaia richiesta dalla normativa vigente (al 31 dicembre 2017 66 anni e sette mesi). Un ultimo anno di servizio consentirebbe loro infatti di maturare la pensione spettante senza penalizzazioni e, soprattutto, senza il peso di un debito ventennale, piccolo o grande che sia.

Penalizzazioni sull’ammontare della pensione, che secondo uno studio del servizio politiche previdenziali della Uil potrebbero aggirarsi tra 70 e 80 euro mensili per i docenti e 60 e 65 euro per gli Ata, unitamente al rimborso di una rata mensile di durata ventennale, potrebbero costituire per chi è invece a due o a tre anni dal compimento dell’età anagrafica prevista dalla normativa vigente (66 anni e sette mesi nel 2018 e 66 anni e undici mesi nel 2019) un ostacolo duro da superare se il provvedimento legislativo che dovrà legittimare il pensionamento anticipato non ridurrà sensibilmente le penalizzazioni e il debito.

In tutti e tre i casi, un harakiri che potrebbe essere posto in essere solo da chi potrà fare affidamento su altri redditi sia familiari che professionali.

Sul piano economico il solo beneficio sul quale potrebbero fare affidamento chi decidesse di accettare la proposta di pensione di vecchiaia anticipata sarebbe quello di vedersi anticipare di un anno la liquidazione dell’indennità di buonuscita.

Riforma 0-6 anni, Renzi lancia il modello Reggio

da ItaliaOggi

Riforma 0-6 anni, Renzi lancia il modello Reggio

Il premier assicura: le risorse ci sono. la proposta puglisi costava un miliardo

Emanuela Micucci

La riforma 0-6 anni avrà le risorse per partire. Ad annunciarlo il premier Matteo Renzi, dopo aver studiato il modello Reggio Emilia di nidi e scuole dell’infanzia, visitandoo la scorsa settimana a il centro internazionale dell’Infanzia Loris Malaguzzi, sede della fondazione «Reggio Children». Una struttura all’avanguardia a livello internazionale sui processi educativi per l’infanzia visitata in media da 70mila tra pedagogisti, educatori, insegnanti ogni anno, provenienti da 34 Paesi del mondo che fanno parte del network. «Nelle deleghe attuative della legge 107», dichiara Renzi, «c’è una delega sull’educazione 0-6: fino a poco tempo fa non aveva stanziamento, adesso c’è». Sebbene la stessa norma precisi che le deleghe sono a costo zero per le casse dello Stato, condizione che però rende di difficile attuazione la delega sul servizio integrato 0-6 anni.

Del resto, la stessa proposta di legge Puglisi (n. 1260/2014) di riforma del settore, su cui si basa la delega, prevedeva una spesa a regime di circa 1 miliardo, risorse aggiuntive finora non previste nei documenti economici del governo. Ma la senatrice Francesca Puglisi (Pd) spiega che sul segmento 3-6 il Miur spende già 4,5 miliardi, dal 2014 è stato introdotto un indicatore per quantificare le risorse del Welfare destinate ai nidi; valorizzando i fondi europei e aggiungendo 100 milioni di euro all’anno secondo Puglisi si avrebbe il budget sufficiente. Fondi che ora Renzi annuncia di aver trovare senza né quantificarli né indicarne la provenienza.

Intanto il premier, in vista della delega, studia il modello Reggio Emilia, patria dei nidi più belli del mondo divenuti un modello esportato nel mondo, che però negli ultimi anni sembra entrato in crisi. Se in tutta la regione dal 2011 al 2015 si sono persi per strada 19 asili, che salgono a 70 se si va a ritroso fino al 2005, con un calo del 10% di iscritti tra i 0 e 3 anni negli ultimi due anni. A colpire è il dato di Reggio Emilia. La città è la terza per crollo di posti: -113 tra il 2013 e il 2015. Posti calati, spiegano, «perché è diminuita la richiesta». Ad incidere è anche la forte presenza di immigrati che i figli piccoli al nido non li mandano; infatti, Reggio è tra le città emiliano-romagnole con meno bimbi stranieri iscritti al nido: l’8,3%. A Reggio sono attive 97 strutture tra nidi e scuole dell’infanzia comunali, statali, convenzionati, privati. I nidi comunali sono 12, di cui 3 part-time, a cui si aggiungono 6 strutture convenzionate, uno spazio bimbi con servizio integrativo convenzionato e 7 nidi scuola dell’infanzia. La scuola dell’infanzia nel complesso contano 61 strutture. Le sezioni primavera sono 10, tutte in scuole d’infanzia cattoliche della Fism. Le liste d’attesa dei nidi comunali e convenzionati nella fascia di età lattanti/piccoli conta 55 bambini, in quella grandi/medi 51. In totale 106 bimbi che restano fuori. Nelle scuole dell’infanzia sono in lista d’attesa 98 alunni: 56 bambini di 3 anni, 26 di 4 anni e 16 di 5 anni.

Numeri di un successo che ha origini lontane. Infatti, il comune istituì la propria rete di servizi educativi nel 1963 con le prime scuole d’infanzia, a cui si aggiunsero nel 1971 i nidi a gestione comunale. Tanto che ben 6 nidi quest’anno compiono 40 anni. Si afferma così il Reggio Emilia Approach, una filosofia educativa ispirata da Loris Malaguzzi, che si fonda sull’immagine di bambino portatore di forti potenzialità di sviluppo e soggetto di diritti, che apprende e cresce nella relazione con gli altri. Un approccio globale che ha le sue colonne portanti nella partecipazione delle famiglie, il lavoro collegiale di tutto il personale, l’importanza dell’ambiente educativo, la presenza dell’atelier e della figura dell’atelierista, del coordinatore pedagogico e didattico, della cucina interna. Gli atelier in particolare sono veri luoghi del fare per pensare, dove i bimbi colorano, modellano crete, costruiscono le loro idee.

Un progetto su cui il comune si impegna con forti investimenti, circa il 15% del proprio bilancio, a cui si aggiungono fondi provenienti da rette e da altri enti. Rette che nei nidi per il tempo pieno variano dai 63 euro ai 197 per le famiglie in situazione di precarietà socioeconomica e da un minimo di 217 euro per famiglie con Isee fino a 14mila euro a un massimo di 540 euro per quelle con Isee che supera i 32mila euro. Oltre in Italia, dove inizia a farsi apprezzare dal 1997, oggi il Reggio Approach attraverso network internazionale Reggio Children è diffuso in 12 Paesi europei, tra cui Germania e Finlandia, 13 dell’America latina, in Canada, negli Usa, in Israele, Tailandia, Corea, Australia e Nuova Zelanda

È corsa alla chiamata diretta

da ItaliaOggi

È corsa alla chiamata diretta

Solo due giorni per inviare il curriculum e fare il colloquio

Marco Nobilio

Docenti neoimmessi in ruolo alle prese con il curriculum e la chiamata diretta. Sono 31.735 (25.301 su posti comuni e 6434 su posti di sostegno) le immissioni in ruolo autorizzate dal ministero dell’istruzione, con il decreto DM 669/2016, nelle scuole primarie e nelle scuole secondarie di I e II grado. E 4.419 (3.632 su posti comuni e 787 sul sostegno, le assunzioni a tempo indeterminato disposte con il decreto 661/2016.

La maggior parte di loro sta provvedendo al proprio curriculum: adempimento preliminare necessario per ottenere una sede per 3 anni, come previsto dalla legge 107/2015. Dopo che lo avranno inserito nell’apposito spazio web del sito del ministero dell’istruzione («Istanze Online») dovranno attendere l’eventuale chiamata diretta da parte del dirigente scolastico.

E in caso di mancata accettazione delle eventuali proposte oppure di mancata proposta da parte dei dirigenti, otterranno una sede d’ufficio.

Le immissioni in ruolo che sono state disposte in questi giorni, infatti, hanno comportato la mera assegnazione ad un ambito. La sede vera e propria, invece, avverrà ad esito della lotteria della chiamata diretta o della mobilità d’ufficio.

La tempistica fissata dal ministero è strettissima. Entro domani, 13 settembre, i dirigenti scolastici dovranno terminare le trattative per il conferimento degli incarichi e, dopodomani, gli uffici scolastici dovranno assegnare le sedi ai docenti che non abbiano trovato collocazione nella fase della chiamata diretta.

Le operazioni dovranno concludersi entro il 15 settembre. Queste sono le date imposte dal ministero dell’istruzione con la nota 25272 emanata il 7 settembre scorso. Ma gli uffici scolastici sono in affanno, anche per effetto degli ulteriori adempimenti connessi alla mobilità introdotti dalla legge 107/2015.

A ciò va aggiunto il fatto che il sistema della chiamata diretta ha impedito ai oltre 60mila neoimmessi in ruolo nelle fasi B e C di partecipare alla mobilità a domanda scegliendo la sede. Ciò ha comportato a sua volta una crescita esponenziale del numero delle domande di assegnazione provvisoria. Proprio per tentare di ottenere una sede più vicina a casa. Tentativo che è stato loro precluso dai meccanismi autoritativi di assegnazione della sede collegati alla chiamata diretta e al trattamento d’ufficio per coloro che non sono stati collocati in prima battuta.

Va detto, inoltre, che i docenti che sono stati immessi in ruolo negli ultimi giorni, comunque, hanno avuto modo di rimanere nella propria regione (i vincitori del concorso) e nella propria provincia (gli aventi titolo tratti dalle graduatorie a esaurimento). Mentre gli immessi in ruolo nell’ambito del piano straordinario di assunzione disposto dalla legge 107/2015, nella maggior parte dei casi, sono stati assegnati in ambiti di altre regioni, anche molto lontani da casa.

Per questi ultimi, dunque, la presentazione della domanda di assegnazione provvisoria ha rappresentato una necessità. Di qui la mole impressionante di domande che, quest’anno, secondo risulta a Italia Oggi, ha superato le 100mila istanze, e gli inevitabili ritardi nell’adempimento delle procedure di competenza degli uffici.

A ciò va aggiunto il contenzioso connesso all’assegnazione degli ambiti, per il quale è stato rispolverato l’istituto della conciliazione negoziale, ormai cancellato dalla legge già dal 2010.

Al termine delle operazioni gli uffici provvederanno all’individuazione dei posti rimasti disponibili per le supplenze e procederanno con le convocazioni. In questa fase gli incarichi saranno assegnati agli aspiranti docenti, ancora presenti nelle graduatorie a esaurimento, che abbiano scelto di non partecipare alla tornata di immissioni in ruolo disposta dalla legge 107 oppure che vi abbiano partecipato, ma non abbiano ricevuto alcuna proposta e che non siano stati immessi in ruolo nella tornata di assunzioni che si sta tenendo in questi giorni.

Concorso, ecco i compensi dei commissari raddoppiati dal decreto Giannini-Padoan

da ItaliaOggi

Concorso, ecco i compensi dei commissari raddoppiati dal decreto Giannini-Padoan

Sono 502 euro per i presidenti e 418,48 per i componenti

Alessandra Ricciardi

Sarà pubblicato nei prossimi giorni in Gazzetta Ufficiale, una volta acquisito il parere dell’Inps. Il decreto è stato firmato dai ministri dell’istruzione e dell’economia, rispettivamente Stefania Giannini e Pier Carlo Padoan. E reca quel raddoppio dei compensi per il concorsone che era stato annunciato dal premier Matteo Renzi. Il decreto sui compensi ai commissari del concorso della scuola saranno di 502 euro per i presidenti e di 418 per i componenti. A cui si aggiunge un compenso integrativo di un euro per ogni elaborato corretto e candidato esaminato. Complessivamente, precisa l’articolo 3 del decreto, i compensi non potranno eccedere i 4.103 euro complessivi. Salvo un incremento del 20% per i presidenti di commissione. In caso di dimissioni dall’incarico, o di decadenza, si avrà diritto a un compenso proporzionale al numero di sedute fatte. Complessivamente l’operazione costa 6,44 milioni di euro. A cui però vanno aggiunte le spese per il funzionamento della procedura, compresi i compensi per i componenti dei comitati di vigilanza e le trasferte. La relazione tecnica conteggia 175 mila candidati, rispetto alle 227 mila domande pervenute, che hanno originato 831 commissioni, con 98 presidenti coordinatori. In tutto, a fronte di uno stanziamento di 11 milioni di euro, le spese saranno di 10,8 milioni. Compresi gli oneri contributivi, inseriti a titolo precauzionale, visto che è ancora in corso una verifica da parte dell’Inps circa l’assoggettabilità dei compensi a contribuzione.

Alternanza, l’impresa si defila

da ItaliaOggi

Alternanza, l’impresa si defila

Il registro attivo da luglio stenta a decollare, a nulla è valsa l’esenzione dal bollo

Emanuela Micucci

Zero burocrazia, tutto online, nessun bollo di iscrizione da pagare per le imprese, aiuto per le aziende che cercano nuove figure, supporto per le scuole nell’individuare imprese disponibili all’alternanza e per gli studenti che entreranno nel mondo del lavoro. Il progetto del Registro nazionale delle imprese in alternanza scuola-lavoro è finalmente attivo dalla fine luglio, ma appena 160 aziende hanno aderito, sebbene sia caduto uno dei maggiori ostacoli per la registrazione. Non occorre infatti più pagare nessun onere per l’iscrizione, compresi i diritti di segreteria.

Anzi, secondo la Ragioneria generale dello Stato le iscrizioni già erano «esenti dall’imposta di bollo per il richiamo contenuto nella norma vigente alle agevolazioni in materia previste per le piccole e medie imprese innovative». Gestito dal sistema camerale italiano e curato da Infocamere, il registro raccoglie online (www.scuolalavoro.registroimrpese.it) le offerte di aziende, enti pubblici e privati, associazioni e liberi professionisti disposti a ospitare percorsi di alternanza, consultabili da tutti, con un’area riservata ai dirigenti scolastici. All’apertura delle scuole circa un milione gli studenti di tutte le classi III e IV delle superiori, tra licei, istituti tecnici e professionali, saranno obbligati a svolgere l’alternanza così come prevede la Buona Scuola.

Eppure, al Registro, atteso già per lo scorso autunno, sono iscritte pochissimi soggetti. Nel veronese hanno aderito solo 37 aziende a fronte di 30mila studenti interessati e 73mila imprese. «Fino ad ora numerose imprese hanno avuto contatti diretti con le scuole e con gli studenti stessi», spiega il presidente della Camera di commercio Giuseppe Riello .

«Del resto l’obiettivo è quello di ridurre al minimo gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese, che ora però possono contare su questo strumento agevole, rapido e gratis per dare la propria disponibilità. Contiamo su un’adesione importante». È lo stesso invito del presidente della Camera di Commercio di Firenze Leonardo Bassilichi perché è «un progetto dove vincono tutti».

Tuttavia, solo un’azienda fiorentina delle 137.186 iscritte al registro imprese finora ha aderito, dichiarandosi disposta ad ospitare massimo 2 studenti. A Roma le aziende iscritte sono 9, di cui una però non disponibile ai percorsi: in totale 925 progetti, di cui 800 solo all’Overview consulting. Quattro le imprese del milanese pronte ad ospitare 77 studenti. Nessuna iscrizione invece nel bolognese, in Molise, in Valle d’Aosta. Più avanti la Campania con 46 imprese e la Calabria con 17. Mentre la Sardegna ne conta una.

A Torino un’azienda disponibile, a Palermo 4 per 105 percorsi. Eppure, l’alternanza scuola-lavoro diventa uno dei compiti previsti dalla riforma delle Camere di commercio, approvata il 25 agosto in prima lettura dalla Camera.

Nella relazione tecnico-finanziaria della Ragioneria generale dello Stato sullo schema del decreto si precisa non solo che l’imposta di bollo per l’iscrizione delle imprese al Registro dell’alternanza non era dovuta, ma anche che non ci sono neppure «problemi di mancata copertura finanziaria per le relative attività svolte da parte delle Camere, avendo le stesse in più occasioni espresso il loro interesse e la loro disponibilità a svolgere a titolo del tutto gratuito tale funzione di particolare importanza per l’integrazione fra mondo dell’istruzione e mondo delle imprese, utilizzando gli spazi di economia, razionalizzazione e sinergia connessi all’integrazione con le altre attività di iscrizione e tenuta dei registri camerali».

Mentre il Miur ha aperto fino al 15 settembre la procedura di selezione per realizzare una piattaforma online ed erogare strumenti e attività di formazione per l’alternanza. «Una serie di prodotti e servizi finalizzati», spiegano alla Direzione generale per gli ordinamenti, «a sostenere le scuole sia nella progettazione sia nella realizzazione dei percorsi di alternanza». Tra cui, collegare alla piattaforma online i riferimenti di aziende, imprese, strutture idonee alla realizzazione dei progetti.

Semafori smart e robot a scuola, come l’intelligenza artificiale cambia il futuro

da La Tecnica della Scuola

Semafori smart e robot a scuola, come l’intelligenza artificiale cambia il futuro

In meno di 15 anni l’intelligenza artificiale cambierà molti aspetti della nostra vita.

Lo indica il rapporto dell’università di Stanford, ripreso dall’agenzia Ansa, che traccia uno scenario per il 2030 basato sulle previsioni fatte dai massimi esperti mondiali del settore.

In realtà una prima ondata di tecnologie che sfruttano l’intelligenza artificiale è già entrata da qualche tempo nelle nostre vite come ad esempio gli ‘assistenti’ vocali negli smartphone (vedi Siri e Spotify)o i sistemi che riconoscono i volti sui social network, ma è solo l’inizio di un percorso evolutivo di applicazioni che avrà forte impatti sulle nostre abitudini quotidiane.

Secondo gli esperti di Stanford sono in arrivo altre applicazioni concrete in gradi di cambiare le nostre vite  come ad esempio i semafori intelligenti in grado di gestire il traffico in maniera dinamica grazie alla capacità di scambiarsi informazioni on line, migliorando cosi la qualità della vita delle persone.

Robot che affiancheranno gli insegnanti nelle scuole capaci di rispondere a tutte le domande degli studenti: già oggi l’Istituto di Tecnologia della Georgia usa programmi per rispondere in modo automatizzato a tutte le richieste che arrivano online, e praticamente nessuno ha notato finora che a ‘sedersi’ dall’altro lato dello schermo non sono umani ma software intelligenti

Sistemi in dotazione alla polizia capaci di analizzare una molteplicità di dati tra sospetti e criminali ricostruendo cosi reti di organizzazioni criminali nelle zone calde delle città.

Anche le nostre case diventeranno “intelligenti “con frigoriferi in grado di ordinare la spesa on line e sensori capaci di leggere i prodotti presenti e quelli che vanno ordinati, cosi come le nostre automobili in grado di avvertire la frenata brusca del veicolo davanti a noi , di segnalare anomalie di funzionamento  o il traffico in tempo reale.

Soluzioni definiti in “gergo tecnico” M2M (machine to machine) , cioè SIM che inserite in particolari dispositivi sono in grado di trasmettere rapidamente dati e informazioni verso altri dispositivi, insieme a sensori in grado di raccogliere e fornire informazioni in qualsiasi ambiente (possono essere inseriti nella vernice delle pareti di un supermercato ad esempio).

Tutto questo, legato ad applicazioni in grado di leggere ed interpretare i tanti dati che vengono raccolti e di individuare e suggerire la soluzione o l’azione da fare, consentirà certamente di sviluppare applicazioni in grado di facilitare e aiutare l’uomo nei prossimi anni.

Ovviamente, con la speranza che l’intelligenza artificiale non sostituisca l’intelligenza umana ma funga solo da facilitatore.

In pensione a 63 anni in cambio di 200 euro per 20 anni: solo i maestri d’infanzia non pagheranno

da La Tecnica della Scuola

In pensione a 63 anni in cambio di 200 euro per 20 anni: solo i maestri d’infanzia non pagheranno

Si delineano i contorni dell’anticipo pensionistico che il personale, anche della scuola, potrà chiedere del 2017 a partire dai 63 anni di età.

I sindacati, che si apprestano a dare il loro consenso sull’Ape, avevano chiesto 4 anni di anticipo pensionistico. Alla fine si è trovata una mediazione a 3 anni e 7 mesi: siccome i lavoratori, a seguito della riforma Fornero, “potranno andare in pensione al compimento di 66 anni e 7 mesi di età”, l’anticipo andrebbe ad aggirare buona parte dell’incremento attuato a seguito dell’ultima riforma pensionistica.

Si tratta di una sperimentazione, che riguarderà solo i nati tra il 1952 e il 1954 (allungando così di un anno la platea dei beneficiari, visto che la prima bozza del provvedimento arrivava al 1953).

Il problema è che l’anticipo sarà pagato con rate di ammortamento sulla pensione. Che nel caso dei docenti si aggirano sui 200 euro al mese per un ventennio. Nel caso il pensionato venisse a mancare prima del termine del ventennio, però la rimanenza non sarebbe a carico degli eredi ma verrebbe coperta dall’assicurazione. Anche questa, tuttavia, sarà sulle spalle di chi ha beneficiato dell’anticipo.

In media, il pensionato si vedrà decurtare il 6% annuo: chi usufruirà dell’intero periodo (tre anni e sette mesi), si vedrà decurtare quindi la pensione di oltre il 20%. Non poco.

Chi non pagherà la “rata” ventennale saranno, sembra, i docenti della scuola dell’infanzia. Perchè la loro professione viene inclusa nel novero delle usuranti. Per Maddalena Gissi, leader Cisl Scuola, si tratta di una conquista importante: “sono tantissime le colleghe – dice la sindacalista Confederaleche in diverse occasioni ci segnalano la difficoltà a reggere il carico di sezioni molto spesso sovraffollate, nelle quali il dispendio di energie psico fisiche a una certa età diventa quasi insopportabile, aumentando anche i fattori di rischio per l’incolumità propria e degli alunni affidati che, voglio sottolinearlo, sono bambini dai tre ai cinque anni”. 

Se la Uil in passato si era espressa sulla stessa lunghezza d’onda, tramite il segretario generale Carmine Barbagallo, sinora non ha commentato la Cgil. Anche perché, come aveva da subito ravvisato La Tecnica della Scuola, non si comprende perché gli altri insegnanti siano stati esclusi dal discorso: riteniamo, anche i sindacati dovrebbero saperlo, che fare il docente di sostegno o lezione a quasi 30 alunni in un territorio difficile non sia meno gravoso di chi fa il maestro della scuola dell’infanzia.

Ad uscire su questa linea, per il momento è stato l’Anief, secondo cui sicuramente “le docenti della scuola dell’infanzia svolgono tra le professioni più a rischio burnout, quindi, tra coloro che non debbono restituire nulla in cambio dell’anticipo. Ma è l’insegnamento intero a comportare patologie e stress, quindi, anche per chi insegna nella primaria e secondaria. Se, invece, a decidere per la vita delle persone devono continuare a essere le coperture indicate dal Mef, allora è meglio che lo dicano subito”.

Alternanza scuola-lavoro, poche le aziende iscritte ma ora arriva il registro Unioncamere

da La Tecnica della Scuola

Alternanza scuola-lavoro, poche le aziende iscritte ma ora arriva il registro Unioncamere

Sono poche, in alcune regioni si contano sulle punte delle dita, le aziende iscritte al registro nazionale di alternanza scuola-lavoro istituito a fine luglio.

Lo ha fatto anche intendere Gabriele Toccafondi, sottosegretario al Miur, commentando la pubblicazione on line del registro delle imprese annunciato nello stesso giorno, il 13 settembre, dal presidente di Unioncamere Ivan Lo Bello.

“Alternanza scuola-lavoro è partita, noi dobbiamo migliorare le condizioni e dare nuove opportunità ai ragazzi e alle scuole. In quest’ottica – ha continuato il sottosegretario – la partenza del registro delle imprese annunciata da Unioncamere e la gratuità di questa iscrizione è una bella notizia. Anche se l’iscrizione per le aziende non è obbligatoria, invito tutte le aziende ad iscriversi perché il registro rappresenta il canale privilegiato per le scuole nel cercare imprese con cui dialogare per l’alternanza scuola-lavoro”.

“Tutto quello che dobbiamo fare sul tema dell’alternanza è migliorare le condizioni – ha continuato Toccafondi -, cercare nuove opportunità, far dialogare scuole e sistema produttivo del paese per aiutare i ragazzi a trovare luoghi di alternanza dove è possibile fargli fare esperienze concrete. Dopo decenni di immobilismo sono cosciente che invertire la rotta non è semplice e molto lavoro ci aspetta per migliorare il sistema. Il registro di Unioncamere è un ottimo segnale in questo senso”.

Per vedere decollare le iscrizioni delle aziende (secondo Italia Oggi sono appena 160 in tutta Italia) e l’interesse delle imprese, l’impressione è che bisognerà attendere la pubblicazione del decreto delegato annesso alla Legge 107/2015 proprio sull’alternanza scuola-lavoro che dallo scorso anno è diventata obbligatoria per gli ultimi tre anni di tutte le scuole superiori (licei compresi): nel testo si evinceranno anche tutti i vantaggi per le aziende interessate a formare studenti e a trattenere, nel tempo, i più meritevoli nei propri organici.

 

Registro nazionale online per incontro studenti-imprese

da La Tecnica della Scuola

Registro nazionale online per incontro studenti-imprese

Prende il via il Registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro con l’intento di essere un punto d’incontro (virtuale) tra i ragazzi che frequentano il triennio conclusivo di un istituto tecnico e di un liceo e le imprese italiane disponibili ad offrire loro un periodo di apprendimento on the job.

Il portale www.scuolalavoro.registroimprese.it – la cui realizzazione è stata affidata al sistema delle Camere di commercio ed è gestito da InfoCamere – “è un tassello determinante – sottolinea Unioncamere in una nota riportata dal Sole 24 Ore – per la piena riuscita di uno degli aspetti più innovativi della riforma introdotta con ‘La buona scuola’: l’inserimento organico di percorsi obbligatori di alternanza nelle scuole superiori e il riconoscimento del valore dell’imparare lavorando”. La riforma scolastica, infatti, ha stabilito che ogni anno almeno 200 ore per i licei e 400 ore per gli istituti tecnici debbano essere svolte in un contesto lavorativo.

Nell’area aperta e liberamente consultabile del Registro, possono iscriversi gratuitamente le imprese, gli enti pubblici e privati, le associazioni e i professionisti che vogliano investire sullo sviluppo educativo e professionale dei giovani, mettendo a disposizione percorsi di alternanza presso le proprie strutture. Per ciascuna impresa, ente o professionista, il Registro riporta il numero massimo degli studenti ospitabili, i periodi dell’anno in cui è possibile svolgere l’attività di alternanza e i percorsi di alternanza offerti.

Il nuovo portale si occuperà anche dell’alternanza scuola-lavoro da svolgere in regime di apprendistato. Nell’area aperta e consultabile del Registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro, le imprese potranno segnalare anche la propria disponibilità a ospitare gli studenti in apprendistato (di primo livello), destinato ai giovani dai 15 ai 25 anni che intendano acquisire una qualifica o un diploma professionale, un diploma di istruzione secondaria superiore o il certificato di specializzazione tecnica superiore.

Sempre online, gli istituti scolastici – cui spetta per legge provvedere alla copertura assicurativa degli allievi in alternanza – potranno trovare tutte le informazioni necessarie per stipulare le apposite convenzioni con le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili ad ospitare i giovani.