Maturità vs Competenze

Maturità vs Competenze

di Maurizio Tiriticco

 

Ho letto con interesse l’intervento di Giunio Luzzatto, provocato da una riflessione di Andrea Gavosto, in Education2.0, sull’attesa riforma degli esami che molti continuano a chiamare di maturità, quando, invece, questa tipologia di esame dovrebbe essere stata cancellata dalla storia della nostra scuola fin dal lontano 1997 con la legge 425… ed è trascorso un ventennio!!!

Era la fine del secolo scorso e il dibattito sugli obiettivi finali di un sistema di istruzione, soprattutto pressoché generalizzato in tutti i Paesi ad alto sviluppo, verteva sul fatto se fosse ancora necessario, alla conclusione di un lungo periodo di studi, verificare le conoscenze acquisite dal candidato oppure compiere un deciso passo in avanti, introducendo il criterio di valutazione e certificazione delle concrete competenze da lui acquisite nel corso di tutti gli studi da lui effettuati. Si tenga conto che, quando si parla di competenza, la verifica puntuale delle singole discipline, fondata essenzialmente sulla padronanza delle singole materie di studio, viene a cadere. Una competenza richiede sempre il concorso di conoscenze e abilità pluridisciplinari (se non, in taluni casi, interdisciplinari, se non addirittura transdisciplinari).

E’ opportuno ricordare che la citata legge di riforma aboliva il concetto stesso di maturità. All’articolo 6, relativo alle Certificazioni, leggiamo: “Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite, secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Ciò anche se, di fatto, una competenza comporta sempre il concorso di conoscenze date e abilità date perché possa esprimersi ed essere verificata e certificata.

Va ricordato che, dopo la nascita dell’Unione Europea (trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1º novembre 1993), al quale gli Stati aderenti giunsero dopo quel lungo percorso iniziato fin dal lontano dopoguerra (i Trattati di Roma sono del 1957, sottoscritti dal primo nucleo di sei Paesi: Italia, Francia, Germania e BeNeLux), i singoli Paesi membri non erano più tenuti a raccordare solo le politiche economiche, previste dalla CEE, semplicemente Comunità Economia Europea, ma anche tutte le altre, compresa, ovviamente, l’istruzione (il termine è generico: comunque comprende l’istruzione, l’educazione e la formazione[1]). Negli ultimi anni del secolo scorso furono numerosi gli incontri e le iniziative rivolte a ricercare quali nodi tematici potessero essere comuni alle scuole dell’Unione. I quali furono sostanzialmente: lingua madre e lingua straniera, storia comune e non solo nazionale, matematica e tecnologie. E furono gli anni in cui ci si orientò verso una scuola che non si limitasse più a valutare conoscenze, ma “imparasse” soprattutto a certificare competenze.

In tale scenario il nostro esame di “maturità”, normato dalla legge 119/1969, apparve subito inadeguato e obsoleto rispetto alle prospettive nuove che si aprivano nei sistemi di istruzione di tutti i Paesi dell’Unione. E il concetto stesso “nostro” di maturità apparve inadeguato rispetto alle esigenze che si aprivano. La citata legge prevedeva infatti che “l’esame di maturità ha come fine la valutazione globale del candidato”: un concetto che strideva e stride fortemente con il concetto di competenza. Un giovane può essere assoltamente “maturo”, ma non avere un briciolo di competenza. Sono concetti antitetici due mondi assolutamente diversi: quello delle conoscenze disciplinari e quelle delle competenze, per le quali concorrono ovviamente sia conoscenze che capacità pro abilità. Per queste complesse ragioni era necessario passare a un esame assolutamente nuovo, che certificasse veramente competenze.

Ma, nonostante la legge di riforma, la scuola di sempre ha avuto partita vinta. Ancora ci si limita a interrogare i candidati sulle singole discipline, per cui la parola/concetto di maturità può benissimo continuare ad essere adottato. Per non dire poi di quel colloquio pluridisciplinare su cui le ordinanze annuali relative agli esami riservano un articolo guida sempre molto dettagliato: ovviamente sempre ignorato dalle commissioni.

In conclusione, riterrei che gli articoli di Gavosto e di Luzzatto siano solo una provocazione perché veramente la riforma degli esami di una cosiddetta maturità, che non esiste e che non può essere valutata, preveda una serio accertamento delle competenze pluridisciplinari che il candidato ha raggiunto. Mah! E qui il discorso riguarderebbe anche gli insegnanti, sia quelli della classe di riferimento che gli esaminatori. Se non si superano le strettoie imposte dalle singole discipline e non si apre veramente verso le competenze, il nostro esame di Stato continuerà ad essere il solito vecchio esame di maturità che non serve ai nostri giovani. Infatti, tutti aspirano al voto più alto, ma nessuno di loro ha veramente acquisto uno straccio di competenza… nonostante una certificazione lunga e plurilingue! Parole al vento! Altro che certificazioni!


 

[1] In ciascun Paese i tre termini esprimono spesso concetti diversi. Non è un caso che questi tre concetti siano fortemente sottolineati dal Regolamento sull’autonomia, del lontano 1999: art.1, c 2: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”. In effetti, l’educazione insiste sugli aspetti civici dello studente, l’istruzione su quelli delle conoscenze, la formazione su quelli che riguardano lo sviluppo della persona. In quegli anni venne anche istituito a livello comunitario una commissione di lavoro che attendesse a studiare i problemi che il nuovo assetto comunitario poneva alle scuole di tutti i Paesi membri.

Frammenti di un refettorio

Frammenti di un refettorio e il panino risorge come l’araba fenice

di Cinzia Olivieri

 

Il diritto di scelta “tra la refezione scolastica ed il pasto domestico da consumarsi nell’ambito delle singole scuole e nell’orario destinato alla refezione” è stato confermato ad oggi da una sentenza della Corte d’Appello e 17 ordinanze del Tribunale di Torino di cui 2 del Collegio in sede di reclamo.

Nonostante 18 pronunce favorevoli che hanno fatto risorgere il panino dalle sue ceneri con la loro lucida ed ineccepibile precisione giuridica, le polemiche non si placano e la battaglia ora si trasferisce nel refettorio.

Pasto in comune o accesso riservato ai paganti? E poi chi pulisce?

Chissà se non possa essere ritenuta una possibile soluzione, considerando il valore educativo del tempo mensa, l’ispirazione al modello giapponese, per il quale è consuetudine affidare agli studenti, in forma organizzata e pianificata, la  pulizia di tutti i locali scolastici in quanto si ritiene ciò renda gli alunni più consapevoli dell’importanza di questi luoghi e responsabili del mantenimento del loro ordine e pulizia. Insomma una sorta di educazione alla cittadinanza sul campo. Ovviamente vi dovrebbero essere impegnati sia gli studenti che hanno scelto il servizio di refezione che quelli che hanno portato il pasto da casa, in coerenza con il principio di eguaglianza.

Sebbene non esiste alcuna norma che vieti il consumo di pasti portati da casa nei locali scolastici, il panino è ora diventato il “cavallo di Troia” di un sistema già in crisi e così il diritto di scelta per il pasto domestico dilaga, diventando caso nazionale, coinvolgendo altri Comuni ma creando anche inutili fratture con altri genitori, fino ad ora silenti osservatori.

Nascono così gruppi pro mensa scolastica, sebbene questa non abbia mai costituito oggetto di contestazione.

Infatti la “mensa scolastica” è quel momento educativo e di socializzazione, rientrante nel tempo scuola in quanto parte dell’offerta formativa, che si realizza pranzando “insieme” (non necessariamente la stessa cosa) sotto la vigilanza del personale educativo. Il diritto di scelta riguarda invece il servizio di refezione scolastica (a pagamento) che è qualcosa di diverso e neanche lontanamente analogo.

Peraltro occorre precisare che, come hanno chiarito anche i Giudici, il problema della scelta si pone per la scuola dell’obbligo (primaria e secondaria di primo grado) escludendo quindi la scuola dell’infanzia.

Se non fosse chiaro cosa significa servizio “a domanda individuale” e non obbligatorio, si può richiamare il Decreto Interministeriale del 31 dicembre 1983 per il quale con questa denominazione “devono intendersi tutte quelle attività gestite direttamente dall’ente, che siano poste in essere non per obbligo istituzionale, che vengono utilizzate a richiesta dell’utente e che non siano state dichiarate gratuite per legge nazionale o regionale”.

Non si nega certo il valore di “conquista sociale” del servizio di refezione, ma esso nasce sul presupposto che non tutti debbano aderirvi necessariamente.

La circostanza che la battaglia per il diritto di scelta sia stata motivata originariamente come “reazione al cattivo rapporto prezzo/qualità del servizio di refezione offerto dal Comune”, non compromette la validità del diritto riconosciuto.

Comunque il Tribunale di Torino in merito all’uso del refettorio ha precisato che i rapporti contrattuali tra ente locale ed appaltatore del servizio non possono pregiudicare il diritto a consumare a scuola un pasto domestico, perché questi “non hanno valore di fonte normativa e sono res inter alios acta, incapaci dunque di pregiudicare una facoltà che deve intendersi riconosciuta dalle fonti esaminate”.

Inoltre pur confermando di non poter interferire con l’autonomia organizzativa delle scuole, riconoscendo la necessità di dettare regole di coesistenza nell’uso del refettorio ove si escluda il pasto comune, è proposta la divisione in due ali o l’avvicendamento di gruppi di utenti.

Con riferimento alle polemiche riguardo alle possibili presunte “contaminazioni” del pranzo del servizio mensa, che pure peraltro utilizza diversi menù alternativi, si evidenzia che il Tribunale di Torino pone la questione igienico-sanitaria considerando anche la salute dello studente che sceglie di non avvalersi del servizio di refezione offerto e consuma il pasto domestico a scuola.

Invero il rispetto degli standard HAACP previsti dal regolamento UE n. 852/04 gravano sull’appaltatore. Del pari, il Regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale all’art. 1 comma 2 lettere a) e b) ne esclude l’applicazione alla “produzione primaria per uso domestico privato”o ed alla “preparazione, alla manipolazione e alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumo domestico privato”.

Profeticamente le Linee Guida per l’educazione alimentare affermano che ove la famiglia viene “esclusa dal percorso educativo scolastico, può assumere atteggiamenti negativi o contraddittori che, partendo da una sorta di scetticismo, possono favorire, al suo interno, stati di insofferenza fino a portarla ad entrare in competizione con l’ambiente scolastico. Al contrario, la collaborazione attiva e partecipe delle famiglie all’attività di Educazione Alimentare costituisce un elemento trainante per il suo successo”.

Ciò dovrebbe coerentemente indurre a desistere dal perseverare nella via giudiziaria. Ormai il dado è tratto ed il diritto riconosciuto. E’ tempo di trovare soluzioni condivise e non di invocare interventi legislativi che peraltro ben difficilmente potrebbero imporre un servizio a pagamento.

E’ una deriva pericolosa questa per la quale, prendendo atto del fallimento di ogni attività di mediazione, neanche realmente realizzata, il conflitto tra scuola e famiglia debba risolversi inevitabilmente nelle aule di tribunale. E tanto non avviene solo per le mense.

Ci si lamenta spesso della circostanza che gruppi di whatsapp o di facebook oramai sono diventati luogo preferito di intense comunicazioni delle famiglie. Eppure in questi anni cosa è stato fatto per migliorare la comunicazione all’interno della scuola?  Neanche si favorisce il collegamento territoriale e gli effetti sono dinanzi ai nostri occhi. Peraltro ancora si attende la annuale circolare ministeriale per le elezioni degli organi collegiali.

Cosa accadrà lo diranno i posteri, ma intanto gli alunni sono rientrati a scuola, si auspca sempre con serenità.

Da EXPO2015 a ROMA 2016: Riflessioni e Prospettive d’Impegno

L’Università Roma Tre per l’Inclusione. Da EXPO2015 a ROMA 2016: Riflessioni e Prospettive d’Impegno

Il Convegno L’Università Roma Tre per l’Inclusione. Da EXPO 2015 a ROMA 2016: Riflessioni e Prospettive d’Impegno costituisce una ulteriore opportunità d’incontro e di riflessione per promuovere e attuare una piena inclusione universitaria degli studenti iscritti all’Ateneo di Roma TRE.
Il precedente evento del 7 ottobre 2015 è stato tenuto presso la Sala Belvedere di Palazzo Lombardia e accolto all’interno delle iniziative organizzate nella settimana di EXPO SALUTE. Questo convegno, in continuità con quello del 7 ottobre 2015, vuole essere una nuova occasione di confronto interdisciplinare tra coloro che hanno affrontato da più prospettive il tema dell’inclusione al fine di identificare risorse culturali e scientifiche, anche con l’ausilio di servizi dedicati, per rendere l’ambiente universitario e la didattica sempre più accessibili e rispondenti alle necessità degli studenti. Offrire, pertanto, nel percorso formativo universitario a tutti, indistintamente e secondo i loro diversi bisogni, le stesse opportunità e gli stessi diritti a partecipare attivamente alla vita accademica, apportando ciascuno la propria esperienza e il proprio contributo.
Roma – 30 settembre 2016 – Ore 9.00 – 13.30
BIBLIOTECA DEL SENATO “GIOVANNI SPADOLINI”
SALA DEGLI ATTI PARLAMENTARI
Piazza della Minerva, 38 – Roma
Per motivi organizzativi è richiesta l’iscrizione al seguente indirizzo email: info@fondazionecharta.org
entro e non oltre il giorno 28 Settembre p.v.

Vincolo quinquennale sul sostegno

Nuova bufera sulla Mobilità 2016: accolti i ricorsi Anief contro il vincolo quinquennale sul sostegno

I Tribunali del Lavoro stanno dando piena ragione all’Anief sull’illegittimità del mancato computo del periodo di precariato al fine del raggiungimento del quinquennio obbligatorio di permanenza su posto di sostegno superato il quale i docenti immessi in ruolo potevano richiedere il trasferimento su posto comune. Dopo i precedenti favorevoli ottenuti a Roma, Forlì, Trieste, La Spezia e Taranto, anche i Tribunali di Frosinone e Sondrio accolgono le tesi supportate dai legali Anief Ida Mendicino, Walter Miceli, Fabio Ganci, Maria Dolores Broccoli e Marco Fusari e rilevano un’evidente disparità di trattamento da censurarsi attraverso la condanna del MIUR a ripetere, in favore dei ricorrenti, le procedure di Mobilità consentendo la loro “partecipazione alla procedura di mobilità straordinaria 2016/2017 per il trasferimento su posto comune”. Marcello Pacifico (Anief-Cisal): “Sono centinaia i pronunciamenti di identico tenore attesi dai tribunali di tutta Italia nelle prossime settimane. Il MIUR dovrà far fronte a questa nuova bufera generata da una regolamentazione illegittima e discriminante e rivedere radicalmente le operazioni di trasferimento concluse nel mese di agosto riconoscendo, finalmente, pari dignità al lavoro svolto su posto di sostegno durante il periodo di precariato”.

G. Lèndaro Camiless, de coelesti hierarchia

Per una scrittura figurata

di Antonio Stanca

camilessPur non credente ha voluto cimentarsi in un’opera di tipo religioso, di genere cattolico perché così gli ha suggerito il suo spirito di ricercatore a seguito del casuale incontro con un testo dedicato agli Angeli ed estratto dalla Bibbia. L’evento gli ha riportato alla mente degli interrogativi che sempre si era posto e lo ha stimolato a cercare una risposta convinto che è proprio dell’uomo l’amore per la conoscenza, che è un aspetto della sua natura, un’espressione del suo spirito. Ha ottenuto la risposta mediante la compilazione di un saggio intitolato de coelesti hierarchia ed edito, a Gennaio del 2016, dall’Editrice Salentina (pp.77, € 25,00). L’autore, di origine friulana ma residente nella provincia leccese, si chiama Glauco Lèndaro Camiless, è stato docente nelle Accademie di Belle Arti di Foggia, Bari e Lecce, ha scritto molto circa la storia della grafica e dell’incisione ed ha fondato, insieme ad altri studiosi e ad artisti figurativi e letterari, una casa editrice impegnata nella pubblicazione di opere di poesia, di arte figurativa e di saggistica.

Di questo suo saggio Camiless ha messo a disposizione della Comunità Emmanuel di Lecce 100 copie da vendersi al prezzo simbolico di €10,00. La somma ricavata dovrà essere impegnata dalla Comunità per il progetto “Villaggio Solidale”.

Camiless è ora in pensione ma continua ad applicarsi nello studio e nella ricerca. Altre opere ha pubblicato prima di questo saggio e sempre originale, sempre particolare è riuscito. Stavolta più che mai poiché l’impegno dell’autore non si è limitato alla valutazione degli argomenti in esame ma ha compreso pure la loro figurazione.

Col saggio Camiless intende inserirsi nel dibattito di un problema che è ancora aperto in ambito religioso, quello degli Angeli, della loro origine, della loro natura, della loro forma, del loro modo di essere, di fare. Nei quattro capitoli principali discute di quella che potrebbe essere la scrittura, la musica, la forma degli angeli buoni e quella degli angeli cattivi, ribelli a Dio. E lo fa sulla scorta di documenti, citazioni, riferimenti, collegamenti tra autori ed opere che dal passato più remoto giungono al presente più attuale. Molte, precise sono le conoscenze che il Camiless mostra anche se in breve e chiara, ordinata la maniera con la quale le espone. Non trascura, inoltre, di aggiungere, nel modo più modesto possibile, la propria opinione. Questo percorso storico, critico precede in ogni capitolo quello figurativo. L’autore, cioè, dopo aver esposto quanto è avvenuto, cosa si è pensato, scritto circa il tema esaminato, passa ad illustrarlo mediante disegni da lui creati e che si riferiscono nel primo capitolo alla scrittura degli angeli, nel secondo alla loro musica, nel terzo al loro aspetto e nel quarto all’aspetto degli angeli cattivi. Sono disegni, figure che Camiless produce a riprova di quanto viene detto. Egli vuole dare corpo all’idea, forma al pensiero, vuol far vedere quelle che sono soltanto ipotesi, in questo caso quel che è invisibile, che può non esistere. É un’operazione originale, è un esperimento che potrebbe servire a risolvere la crisi che sta attraversando la scrittura in tempi come gli attuali che presso il pubblico dei lettori le hanno fatto preferire quasi completamente l’immagine. Farla accompagnare dalla figurazione dei suoi contenuti è una maniera che già altre volte, da altri autori è stata tentata per renderla interessante, per rivalutarla ma non è una via facile da percorrere. Che l’abbia fatto Camiless e altri prima di lui non significa che il loro è un modo per risolvere il problema ma soltanto che sono comparsi degli esempi sui quali riflettere.

Il sillabo della lingua cinese per le scuole secondarie di secondo grado

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione
Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione

SEMINARIO
“Il sillabo della lingua cinese per le scuole secondarie di secondo grado”
Roma, 19 settembre 2016 – MIUR, Sala della Comunicazione

 

Il 19 settembre  2016 viene presentato il “Sillabo della lingua cinese per le scuole secondarie di secondo grado”, che è stato elaborato da un Gruppo di lavoro coordinato dal Prof. Federico Masini di Sapienza Università di Roma.

La Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, nel perseguimento sia dei fini istituzionali di cooperazione educativa tra Italia e Repubblica Popolare Cinese sia degli obiettivi formativi prioritari indicati nella L.107 “La buona scuola” ha inteso utile fornire delle linee guida per la didattica della lingua cinese nella scuola secondaria di secondo grado, così da rendere più omogenee e coerenti le prassi didattiche, promuovendo, al tempo stesso, la creazione di materiali didattici con esso coerenti.

La presenza del cinese nelle scuole italiane non è una novità: già da alcuni anni, infatti, molti istituti hanno attivato lo studio di questa lingua (parlata da quasi 900 milioni di persone al mondo). Una lingua divenuta sempre più oggetto di interesse non solo perché facilita l’ingresso nel mondo del lavoro sia all’estero – per chi vuole trasferirsi – sia in Italia, permettendo così un accesso diretto alle informazioni relative, ad esempio, a imprese, produzione, basi monetarie, cicli del prodotto.

Si tratta anche di un processo di internazionalizzazione che si va consolidando nel nostro sistema scolastico e che non riguarda soltanto i licei linguistici, ma tutti gli indirizzi della scuola secondaria di secondo grado. Qualche numero utile: nell’anno scolastico 2015/16 più di 200 scuole hanno offerto l’insegnamento del cinese, curriculare e non. Le regioni in cui maggiormente lo studio della lingua è diffuso sono: l’Emilia Romagna, la Lombardia, il Veneto. Regioni nelle quali, evidentemente, il tessuto economico e produttivo sembra rispondere più velocemente al processo di internazionalizzazione e apertura in atto.

Nel corso del Seminario il Direttore generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, Carmela Palumbo, introdurrà i lavori alla presenza del Consigliere per l’Istruzione dell’Ambasciata Cinese in Italia, Luo Ping e del Pro Rettore dell’Università di Lingue Straniere di Pechino, Yan Guohua.

Docenti e professori universitari illustreranno le tematiche del sillabo della lingua cinese (funzioni linguistiche, lessico, grammatica, cultura) e dirigenti scolastici di istituti ove si insegna la lingua cinese testimonieranno la molteplicità delle esperienze in atto nelle scuole italiane non solo in ambito di  apprendimento linguistico, ma anche di scambi attivati con scuole cinesi.


Il SILLABO DELLA LINGUA CINESE PER LE SCUOLE SECONDARIE di 2° Grado
SEMINARIO DI FORMAZIONE/INFORMAZIONE per docenti, dirigenti scolastici, dirigenti tecnici e referenti regionali per le lingue
MIUR, Viale Trastevere, 76 A – Roma
Sala della Comunicazione
19 Settembre 2016
10,00 Registrazione
10,30 Saluti istituzionali
Carmela Palumbo, Direttore Generale per gli ordinamenti scolastici e per la valutazione del
sistema nazionale di istruzione
Luo Ping, Consigliere per l’Istruzione dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese
Rossella Schietroma, Dirigente Ufficio VIII DGOSV
Yan Guohua, Rettore Università di Lingue Straniere di Pechino
11,15 L’insegnamento del cinese nelle scuole italiane: gli esiti di un monitoraggio
Gisella Langé, Ispettore Tecnico di Lingue Straniere, MIUR
11,45 Il sillabo della lingua cinese per le scuole secondarie di 2° grado
Federico Masini, Professore Ordinario di Lingua e Letteratura Cinese, Sapienza
Università di Roma
12,00 Le tematiche del sillabo:
– funzioni linguistiche: Prof.ssa Gloria Gabbianelli, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
– lessico: Prof.ssa Chiara Romagnoli, Università degli Studi di Roma Tre
– grammatica: Prof.ssa Veronica Regis, Università di Torino
– cultura: Prof.ssa Valeria Varriano, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”
13,00 Buffet
14.15 Testimonianze di Dirigenti scolastici con insegnamento curricolare
della lingua cinese
14,45 Domande e risposte sul sillabo
16,00 Chiusura e attestati di presenza