Conversando con Francesca
di Maurizio Tiriticco
“L’Italia è un paese dove non si conversa o si discute pacatamente, ma si schernisce l’interlocutore; un paese in cui non si gareggia per l’onore, e da uomini di onore, ma ci si combatte all’ultimo sangue. L’Italia è una terra dove non c’è convivenza civile, ma forzata; una società in cui ci si sbrana anziché collaborare al bene comune; un paese senza amor patrio, dove lo scherno dell’avversario prevale su tutto”. L’autore vede ben al di là dei facili patriottismi e delle euforie.
Grazie, Francesca, non solo della citazione di cui sopra, ma di tutti i tuoi scritti e commenti – i cosiddetti post… che brutta parola: viene da “postare”, appiccicare un qualcosa, qualunque sia il contenuto – sempre documentati e puntuali. Sei un raro esempio di come può essere utilizzato FB! Sai come me quanto è difficile navigare in una mare di sciocchezze o di info inutili! Come se ciascuno provasse soltanto il piacere di vedere il suo nome stampato girare e letto da tutti. Un’emozione che comprendo! Anch’io, quando vidi il mio primo articolo firmato pubblicato su “Pattuglia”, il settimanale dei giovani socialisti e comunisti – fine anni Quaranta – di cui ero anche redattore, provai una grande emozione! Però, come sai, occorre prima sentire e pensare, e poi scrivere!. Sembra che per molti valga solo il terzo verbo. E’ importante “essere presenti”, comunque! Il contenuto non conta!
A proposito del tuo post, mi piace commentarlo riportando semplicemente due dei sette “saperi” di Edgar Morin (Les sept savoirs nécessaires à l’éducation du futur, Unesco-Paris, 2002): il secondo) Insegnare a cogliere le relazioni che corrono tra le parti e il tutto in un mondo complesso; il quinto) Insegnare a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze. Come sai, Morin è stato uno degli ispiratori dei curricoli del nostro primo ciclo di istruzione. E mi piace anche riportare alcune delle sue riflessioni quando alcuni anni fa – ministro pro tempore PI Giuseppe Fioroni – varammo le prime Indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione.
“Cultura scuola e persona sono inscindibili e per questo è stato giusto definire con questi tre termini il documento culturale che fungerà da base alle prossime Indicazioni nazionali. Voglio apprendere a vivere: questa frase rimarca l’importanza vitale della formazione sia da un punto di vista di umanità che di cittadinanza perché per risolvere i problemi fondamentali dell’uomo è necessaria un’alleanza educativa tra cultura umanistica e cultura scientifica. Una mancanza di congiunzione tra le due infatti non può servire ad una adeguata maturazione morale e spirituale. Ma ci sono delle difficoltà in questo percorso, che sono date in primo luogo dalla iper-specializzazione che impedisce il necessario ‘dialogo’ tra i saperi. Dove andremo senza unità di saperi? In una stella possiamo analizzare le particelle, possiamo conoscere delle cose estremamente interessanti sul suo essere fisico ma, senza la soggettività umana che si esprime nella letteratura e nell’arte, rimarrebbe sterile. È necessario umanizzare i saperi per limitare la dispersione della conoscenza: questo è un problema da affrontare già nei primi anni di scuola e deve proseguire lungo tutto il percorso degli studi. Una conoscenza priva di contestualizzazione è una conoscenza povera. Come fare a riunire i saperi delle varie discipline? Serve un pensiero complesso che permetta di unire ciò che è separato. Oggi serve un nuovo umanesimo. Nuovo perché il primo umanesimo fu virtuale, non c’erano problemi che riguardavano tutta l’umanità, mentre oggi nel mondo globalizzato i problemi del fanatismo razziale e religioso e quello dell’inquinamento della biosfera accomunano tutta l’umanità: un umanesimo concreto”.
Riflessioni di alto profilo quelle di Morin. Ma – mi chiedo oggi – i nostri insegnanti tutti adottano i criteri indicati da Morin? Non credo, ma la responsabilità non è totalmente loro! E’ l’organizzazione stessa della nostra scuola (le tre C, di cui parlo da tempo – e non sono solo – Classe d’età, Cattedra, Campanella), che la legge 107/2015 non ha assolutamente intaccato, a condizionare i metodi tradizionali. E ciò in forza di una visione molto miope della nostra scuola, anzi, per essere corretto, del nostro “Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione”: una definizione su cui ministri della PI di diversi orientamenti politici hanno sempre convenuto, pur non andando, a volte, oltre la pura e semplice denominazione.
Cattedre e banchi segnalano e sottolineano da sempre la profonda differenza tra chi sa e chi non sa. Ma, oggi, è ancora così? Infatti, non siamo in pochi a chiederci: questo “segnale”, questa sorta di imprinting che “marchia” un bambino e/o un adolescente come “alunno” (come sai, viene dal latino: un soggetto che deve essere alimentato) dai sei ai diciannove anni di età, ha ancora senso, valore, peso, in una società in cui le informazioni sono così numerose e sovrabbondanti fino a sottoporci a continue “indigestioni” cerebrali? Ed emotive anche! Alle informazioni i nostri alunni accedono con velocità maggiore di quella degli insegnanti! Si clicca un cellulare sopra o sotto il banco e il gioco è fatto. PERO’… ed è un “però” maiuscolo, giochi di questo tipo facilitano e incrementano un nuovo e avanzato copio copias quotidiano, sia scolastico che extrascolastico.
Corre, oggi più di ieri, un enorme divario tra l’enorme pluralità delle informazioni e l’unicità (e la complessità nel contempo) degli interventi di “educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana” (i tre ambiti a cui ci richiama il comma 2 dell’articolo 1 del dpr 275/99, relativo all’autonomia delle istituzioni scolastiche). D’altra parte, l’alunno, quel soggetto che da sempre deve essere “alimentato”, esiste ancora? In una società che, ormai da decenni, un Herbert Marshall McLuhan, esplorando il “villaggio globale”, ha intuito e dimostrato che il medium è il messaggio, il rapporto stesso tra insegnante che insegna e alunno che impara – il magister e l‘alumnus, due ruoli da sempre ben distinti – viene fortemente messo in discussione. L’esposizione alla vita reale è molto più forte della esposizione alla vita scolastica che gli alunni spesso considerano irreale, fittizia, se non inutile.
E’ duro, oggi, il compito dell’insegnante! Ai miei tempi – è il solito ritornello dei nonagenari come me – quella cosa che ci ostiniamo a chiamare ancora scuola era ben diversa. Io insegnante “sapevo tutto” e loro, gli alunni, “non sapevano niente”! Però sapevano che le informazioni che la scuola erogava loro erano preziose per accedere poi alla vita e al lavoro. E la scuola era considerata, obtorto collo, come una purga quotidiana, però salvifica. Oggi la scuola per i nostri ragazzi è solo la “noia infinita” che a nulla serve! Forse non è così per tutti, ma… per la stragrande maggioranza sì! E il patto silenzioso di sempre, non scritto, ma sottoscritto di fatto tra chi insegna e chi apprende non esiste più! Anche a prescindere dai tanti “patti educativi di corresponsabilità” (dpr 235/2007) che scuole e utenti sottoscrivono annualmente.
La scuola oggi è come una gran noia per gli alunni, un passaggio obbligato per le famiglie, una fatica immane per chi insegna, o meglio per chi vuole insegnare bene! Ciò, ovviamente non ha un carattere… universale! Molte scuole funzionano bene in forza dell’intelligenza e del lavoro di tanti buoni insegnanti e buoni dirigenti. E alcune di queste sono all’avanguardia per le sperimentazioni avanzate e per i successi ottenuti. Ma, per raggiungere significativi traguardi, occorrono intelligenza, iniziativa, coraggio; soprattutto quando – senza nulla togliere alla fatica e alla dedizione degli insegnanti tutti – quelle tre “virtù” connotano dirigenti di valore. E queste sono le caratteristiche, ad esempio, di un Salvatore Giuliano, dirigente scolastico dell’Istituto Superiore “Majorana” di Brindisi. Ma il “Majorana” non è solo. Tra i tanti istituti che attuano sperimentazioni avanzate, è bene ricordare il “Pacioli” di Crema, il “Fermi” di Mantova, il “ Volta” di Perugia, il “Savoia Benincasa” di Ancona, il “Marco Polo” di Bari, il “Mamiani” di Roma, et al che non conosco!. Per conoscere ciò che dirigenti e docenti e studenti fanno basta accedere ai siti delle scuola citate. E si tratta di istituzioni scolastiche che, in forza della loro “autonomia” (le leggi son ma chi pon mano ad esse? Eppure il dpr 275/99 apre infiniti orizzonti alla sperimentazione e alla innovazione) hanno sconvolto la didattica tradizionale! E in quegli istituti vi sono insegnanti che… “non insegnano”! Ma “insegnano ad apprendere”! E si tratta di iniziative realizzate giorno dopo giorno anche a normativa vigente! Quindi – 107 sì o no – certe iniziative è possibile avviarle e portarle a compimento! Occorre intelligenza, determinazione, tempo!
E allora, avanti tutta, soprattutto con… tanta buona volontà!
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