Una nuova estate torrida per il panino

Una nuova estate torrida per il panino

di Cinzia Olivieri

 

Uno dei “tormentoni scolastici” estivi è l’annunciata prossima dipartita del “panino da casa” ad opera del ddl 2037 per la disciplina dei “servizi di ristorazione collettiva”, in discussione in sede referente in 9^ Commissione Senato.

Se lo scorso anno, dopo la sentenza della Corte d’Appello di Torino del 21 giugno 2016, faceva parlare di sé con le prime ordinanze del 13 agosto 2016 e quelle successive di settembre, sempre del Tribunale di Torino, di cui due del Collegio in sede di reclamo, che confermavano (tutte le 17) il diritto dei ricorrenti di scegliere “tra la refezione scolastica e il pasto preparato a casa da consumare presso la scuola nell’orario destinato alla refezione”, da quando, nel resoconto della seduta del 18 luglio 2017, è stato pubblicato un emendamento all’art. 5 del ddl 2037 che renderebbe obbligatoria la refezione scolastica, quasi quotidianamente si legge notizia dell’imminente estremo saluto del “panino”.

Il periodo che porrebbe fine alla querelle sul pasto domestico, nell’attesa della pronuncia della Cassazione e dopo che il Tribunale di Napoli in sede di reclamo, senza entrare nel merito della questione, ha declinato la propria giurisdizione in favore del giudice amministrativo, è stato aggiunto al comma 1 dell’art. 5 del ddl 2037 e recita: “I servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche”.

Se appare singolare, sotto il profilo logico e giuridico, che un servizio avente ad oggetto “l’attività di approvvigionamento, preparazione, conservazione, distribuzione e somministrazione di pasti, definita da un contratto stipulato tra il fornitore del servizio e un soggetto privato o una pubblica amministrazione in qualità di committenti” (art. 2 comma 1 lett. a)) assurga a “parte integrante” di attività formative ed educative, giacché sarebbero da esplicitare i profili pedagogici di un appalto di servizi a pagamento, si impongono ulteriori riflessioni.

Non vi è dubbio che il tempo mensa, di cui sarebbe più corretto parlare, costituisca uno dei tre segmenti orari che, insieme al monte ore obbligatorio e quello facoltativo opzionale “rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico”. Tanto è chiaramente affermato dalla CM 29/04, esplicativa del Dlgs 59/04. È dunque “tempo scuola” funzionale allo svolgimento delle “attività educative e didattiche”, che si svolgono nell’ambito dell’orario annuale obbligatorio e di quello facoltativo opzionale.

Gli articoli 7 e 10 del Dlgs 59/04, nel disciplinare appunto le “Attività educative e didattiche” nella scuola primaria e secondaria di primo grado, fanno riferimento al primo comma all’orario (obbligatorio) annuale delle lezioni ed al secondo a quello facoltativo e opzionale, la cui frequenza, precisa la norma, è GRATUITA così come l’orario obbligatorio, nel rispetto dei principi costituzionali (art. 34 Cost.).

È nell’ambito di questi due segmenti orari che si esplicano le “attività educative e didattiche”, tanto che il comma successivo continua: “L’orario di cui ai commi 1 e 2 non comprende il tempo eventualmente dedicato alla mensa”.

Il tempo mensa dunque è tempo scuola “eventualmente” occorrente “per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche” (punti 2.3 e 3.1 della CM 29/04) e per l’effetto “I servizi di mensa … sono erogati con l’assistenza educativa del personale docente”.

È il docente che fornisce “assistenza educativa” nell’ambito di un servizio locale, a domanda individuale ed a pagamento, laddove l’ente locale lo istituisca e l’utente decida di aderirvi, così come previsto dal D.M. 31 dicembre 1983 e confermato da ultimo dal recente Dlgs 63/2017 che ha disciplinato, all’art. 6, i servizi di mensa tra quelli “attivabili a richiesta degli interessati”.

Peraltro il Dlgs 59/04 pone grande attenzione alle scelte delle famiglie, le quali “contribuiscono, in maniera attiva e partecipata, alla definizione dei percorsi formativi dei propri figli, nel rispetto delle loro vocazioni, capacità, attitudini ed inclinazioni” (punti 2.2 e 3.1 CM 29/04). Ma nessun riferimento alle decisioni genitoriali appare nel ddl 2037.

Anzi, per la verità non si nasconde in genere una visione piuttosto critica sulle scelte alimentari operate appunto dalle famiglie.

Ad ogni buon conto, da quanto predetto non può che desumersi che un servizio mensa obbligatorio, anche superate le prefate questioni, dovrebbe essere gratuito, al pari degli altri segmenti del tempo scuola.

Tanto però non risulta previsto dal ddl 2037. Anzi è stato presentato un emendamento con cui si “impegna il Governo: a porre in essere, nell’ambito delle proprie competenze, appositi atti al fine di prevedere che il costo del pasto a carico dell’utente del servizio di ristorazione non sia superiore ai 5 euro”.

Giacché il costo è posto a carico “dell’utente del servizio” non può dubitarsi che esso debba essere corrisposto dalle famiglie.

Peraltro con un siffatto limite, sebbene contenitivo, si profila il rischio inverso di un innalzamento delle tariffe, laddove tale importo sia più basso.

Il ddl 2037, come si legge nella relazione illustrativa, risponde all’esigenza, premessa la diffusione della ristorazione collettiva, di ridurre gli ingenti sprechi dovuti “principalmente ad acquisti e ordinazioni errate, a interruzione delle catene di conservazione e in particolare ad una errata impostazione dei menù previsti nei capitolati d’appalto, sia in termini quantitativi … sia in termini di gradimento, soprattutto per quanto riguarda la ristorazione scolastica”, in un settore penalizzato “dalla riduzione costante di risorse pubbliche, ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, nonché crescente ricorso a gare al massimo ribasso e dall’altro dall’aumentata esigenza di rispondere a funzioni di carattere nutrizionale sempre più stringenti, mediante l’utilizzo di prodotti di alta qualità adeguati agli standard di una sana alimentazione” e quindi “dalla necessità di realizzare una buona politica di ristorazione”.

In tale ottica risultano coerenti e positivi gli emendamenti in cui è prevista l’istituzione di commissioni mensa, anche con la partecipazione di genitori, ma non l’obbligatorietà di un servizio a pagamento, assimilato ad attività educativa, nella scuola dell’obbligo gratuita.

Non si può evitare di chiedersi perché, in un disegno di legge destinato a disciplinare una attività economica di rilievo pubblico anche extrascolastico, in quanto relativo altresì alla ristorazione ospedaliera ed assistenziale, si intervenga nei suddetti termini sul diritto di scelta delle famiglie ed in merito a questioni di carattere organizzativo e didattico delle scuole autonome.

C’è ancora tempo per rivedere tali posizioni, considerando che il seguito dell’esame del ddl 2037 in 9a Commissione Senato sede referente risulta rinviato al 13 settembre, dopo la pubblicazione nel resoconto della seduta del 25 luglio dei subemendamenti agli emendamenti proposti.

Tra questi, oltre il richiamo al “momento sociale e di continuità didattica basato sulla condivisione”, proprio del tempo mensa piuttosto che del servizio, nonché alla finalità di educazione alimentare per rafforzarne l’inserimento tra le “attività didattiche e formative”, la proposta di inserimento di un nuovo comma all’art. 5 (1 bis) che riconosca al Ministero la facoltà di impartire “indicazione ai dirigenti scolastici affinché gli stessi operino per garantire in ogni caso la finalità di educazione alimentare nonché i livelli di qualità promossi con la presente legge, anche, ove necessario, negando l’autorizzazione a diverse modalità di consumazione del pasto in ambito scolastico, ogni volta che le condizioni oggettive rendano necessario affermare la prevalenza di diritti della collettività, quali il diritto alla salute, all’educazione alimentare, all’uguaglianza, rispetto a diritti individualmente rivendicati”.

Tuttavia proprio la previsione di un diniego al pasto domestico in presenza di determinate condizioni, di fatto sconfessa l’obbligatorietà del servizio sulla base del comma precedente, giacché se fosse davvero sufficiente il primo apparirebbe superfluo quello successivo.

Insomma, se la finalità è chiara: negare il diritto di scelta al pasto domestico, è ancora presto per dichiarare il prematuro decesso del povero “panino”, giacché sotto il profilo normativo diversi restano gli aspetti da chiarire ed il percorso di approvazione della norma non può dirsi certo concluso, dovendo continuare ancora in commissione e quindi in aula.

Vaccini, bimbi esonerati solo con il certificato

da La Stampa

Vaccini, bimbi esonerati solo con il certificato

Le circolari del Ministero a meno di un mese dall’inizio della scuola. Multe per i genitori inadempienti, ma i figli saranno lo stesso esclusi
flavia amabile
ROMA

È stato pubblicato il vademecum per le famiglie, le Asl e le scuole della nuova legge sui vaccini obbligatori. Le regole sono quelle del decreto legge approvato a fine luglio ma con alcune precisazioni necessarie per chiarire i dubbi sorti in queste settimane. Il decreto introduce come obbligatorie l’anti poliomielite, anti difterite, anti tetanica, anti epatite B, anti pertosse, e anti emofilo B (esavalente) che si fanno al terzo mese di vita. Seguono anti morbillo, parotite, rosolia e varicella.

Chi ha preso una malattia è immunizzato in modo naturale e adempie all’obbligo vaccinale di solito attraverso la somministrazione di vaccini in formulazione monocomponente. Se però questo tipo di prodotti non sono disponibili in commercio, la profilassi sarà completata con vaccini combinati, «che non sono controindicati nei soggetti che hanno già contratto la malattia».

I vaccini possono essere omessi o differiti se c’è un pericolo per la salute dell’individuo, colpito da una malattia cronica o momentanea che rende pericoloso l’utilizzo di quei farmaci. Il pericolo va certificato.

È la Asl ad accertare chi non rispetta l’obbligo di fare la vaccinazione, controllando l’anagrafe sanitaria dove devono confluire anche i dati delle iniezioni fatte da pediatri e medici di famiglia. A quel punto avvia la procedura per fare il recupero della vaccinazione. Il Ministero invita le Regioni a predisporre prima possibile quella procedura dai medici e dai pediatri convenzionati.

Se una Asl accerta che un bambino non è in regola, convoca la famiglia e li invita a vaccinare, consegnando anche materiale informativo. Se i genitori non rispondono, vengono riconvocati con una raccomandata in cui li si invita a un colloquio. Se i genitori non si presentano o comunque dopo aver fatto il colloquio non vaccinano, viene contestato l’inadempimento dell’obbligo vaccinale. A quel punto sarà comminata la sanzione da 100 a 500 euro. La sanzione riguarda tutti gli eventuali vaccini mancanti e non sarà comminata ogni volta all’inizio di ciascun anno scolastico se la violazione resta la stessa. Il Ministero della Salute precisa che se l’inadempienza riguarda un bambino che va al nido o alla materna, scatta il divieto di frequentare.

I genitori che invece hanno già vaccinato i propri figli almeno per quest’anno dovranno portare il certificato di vaccinazione a scuola. Quando la riforma sarà a regime dovrebbe essere compito di Asl e istituzioni inviarsi i dati evitando ai genitori di dover fornire informazioni che le istituzioni dovrebbero già avere in modo autonomo.

Entro il 10 settembre di quest’anno la documentazione va portata a nidi e materne, mentre il 31 ottobre è il termine per le altre scuole. Per chi opterà per l’autocertificazione c’è tempo poi fino al 10 marzo per portare i documenti ufficiali. Chi invece deve recuperare delle immunizzazioni dovrà portare almeno la prenotazione alla Asl.

Va presentata la copia del libretto vaccinale vidimato dalla Asl o il certificato vaccinale oppure l’attestazione della Asl che dice che il bambino è in regola o comunica l’esonero, l’omissione o il differimento delle vaccinazioni obbligatorie per motivi di salute. È anche possibile presentare la prenotazione delle dimostrazioni mancanti presso i servizi dell’azienda sanitaria.

Obblighi vaccinali: tutto quello che c’è da sapere

da La Tecnica della Scuola

Obblighi vaccinali: tutto quello che c’è da sapere

 

Con la pubblicazione della circolare 1622 del 16 agosto 2017 il Miur ha dettato istruzioni operative alle scuole per la gestione della documentazione che le famiglie devono presentare per dichiarare l’assolvimento dell’obbligo vaccinale, così come previsto dalla legge n. 119 del 31 luglio 2017.

La circolare affronta diversi temi, che abbiamo riepilogato in una serie di notizie tempestivamente pubblicate sul nostro sito:

Nuovi obblighi vaccinali

Vaccini, niente nido o asilo per chi non vaccina il figlio, anche se paga la sanzione pecuniaria

Documentazione delle famiglie

Vaccini: tutta la documentazione che devono presentare le famiglie per essere in regola

Dichiarazione degli operatori scolastici

Vaccini: autocertificazione anche per docenti e ATA entro il 16 novembre

Obblighi vaccinali: e se i docenti dichiarassero tutti di non ricordare?

Comunicazione alle famiglie

Vaccini: le scuole informino subito le famiglie sui nuovi obblighi

Vaccini, Fedeli: serve collaborazione fra istituzioni e famiglie

Formazione delle classi

Vaccini: le regole per la formazione delle classi non trovano ancora applicazione

Obblighi vaccinali: e se i docenti dichiarassero tutti di non ricordare?

da La Tecnica della Scuola

Obblighi vaccinali: e se i docenti dichiarassero tutti di non ricordare?

 

Le norme sugli obblighi di vaccinazione e le disposizioni applicative emanate in questi giorni dal Ministero stanno già facendo emergere difficoltà e punti deboli.

Come abbiamo già evidenziato anche i docenti e gli altri operatori scolastici dovrnno dichiarare la propria “posizione vaccinale” entro il prossimo 16 novembre.
Il modello predisposto dal Ministero prevede che il personale dichiari le vaccinazioni effettuate nel tempo, ma dà anche la possibilità di barrare la casella “non ricordo”.
E qui nascono i dubbi: ma se un docente afferma di non ricordare nulla per tutte le vaccinazioni richieste, cosa succedeerà?
Stando alla legge non dovrebbe capitare proprio nulla; ma se è così a che serve questa incombenza?  Si tratta forse di un ulteriore adempimento burocratico e cartaceo ideato per irritare ancora di più docenti e personale Ata?  Oltretutto va considerato che la gestione di 150 dichiarazioni (tanti sono – mediamente – i dipendenti di una istituzione scolastica) si tradurrà in altro lavoro per gli uffici di segreteria.
Ma c’è anche un’altra questione più complessa e delicata: nelle dichiarazioni del personale potranno essere presenti dati sensibili. Ora, le scuole (e così le altre pubbliche amministrazioni) possono trattare i dati sensibili solo se c’è una legge che lo consente; è vero che la legge c’è (si tratta appunto del DL 73/2017) ma non c’è un regolamento che ne definisca le modalità. Tanto è vero che la stessa circolare ministeriale (evidentemente chi l’ha redatta e firmata deve essere consapevole del problema) segnala “le Istituzioni scolastiche del Sistema nazionale di istruzione possono trattare esclusivamente i dati personali, anche sensibili, relativi all’adempimento, differimento, esonero o omissione dell’obbligo vaccinale che siano indicati nella documentazione prevista negli articoli 3, 3-bis e 4 del decreto-legge”.
Ma poco oltre si legge: “Le modalità e i tempi di acquisizione della comunicazione e del trasferimento diretto, tra amministrazioni, dei dati personali, relativi all’adempimento dell’obbligo vaccinale, devono essere quelli previsti dalla legge di conversione del decreto-legge”. Peccato che sulle concrete modalità di trattamento dei dati né il decreto né la legge di conversione dicano molto.
D’altronde non è la prima volta che le scuole (dirigenti scolastici e uffici di segreteria) si trovano in questa situazione: a distanza di anni, per esempio, si è ancora in attesa di un pronunciamento del Garante della Privacy con tutti i rischi che questa carenza comporta.

Stipendi, aumenti 85 euro: il Governo ancora a caccia delle risorse

da La Tecnica della Scuola

Stipendi, aumenti 85 euro: il Governo ancora a caccia delle risorse

 

Ci sono anche i soldi per gli aumenti degli statali, quindi pure dei lavoratori della scuola, nella lista dei 10 miliardi che il Governo deve ancora trovare per la manovra di fine anno.

Degli 85 euro medi da assegnare ad ogni lavoratore pubblico, accordati con la ministra per la PA Marianna Madia a fine novembre scorso, meno della metà sono già al sicuro grazie alle ultime due Leggi di Stabilità: gli altri, la parte più sostanziosa (circa 50 euro a lavoratore pubblico), deve ancora essere incamerata. Come mancano le coperture sicure per evitare gli aumenti di Iva e accise.

“A poco più di due mesi dal varo, il menù della manovra è già ben delineato e il governo dovrà trovare almeno altri 10 miliardi per riuscire a mantenere tutti gli impegni, compresi gli aumenti per gli statali”, scrive l’Ansa.

“Le voci principali che l’esecutivo sta esplorando per reperire i fondi – continua l’agenzia di stampa – restano la spending review, che secondo le prime indiscrezioni potrebbe portare una dote di circa 2 miliardi, oltre alla lotta all’evasione a partire dall’estensione della fatturazione elettronica tra privati, mentre una mano potrebbe arrivare anche da un buon esito dell’operazione di rottamazione delle cartelle. La voce più ‘pesante’ resta comunque il disinnesco delle clausole di salvaguardia, ancora circa 7 miliardi, insieme alle cosiddette ‘spese indifferibili’ (come le missioni all’estero)”.

Appare evidente, comunque, che il Governo a tutt’oggi ha ancora non poche difficoltà a coprire gli 85 euro previsti. Ecco perché qualsiasi ipotesi di far lievitare quella cifra di aumento stipendiale è destinato a cadere sul nascere.

Una trattativa, semmai, si potrebbe realizzare, come già indicato nell’accordo generale con la Funzione Pubblica, nel dare meno aumenti a chi guadagna di più (docenti con più anzianità e dirigenti scolastici), ai quali sarebbero così destinati solo una manciata di euro netti.

Un’altra ipotesi di incremento ulteriore, di ispirazione sindacale, potrebbe poi essere quella di arrivare a 150 euro di aumento medio utilizzando i bonus per la formazione e per il merito. A parte il fatto che si tratterebbe solo di un “travaso”, su questo punto ci sono tuttavia diverse difficoltà: la prima riguarda il Partito Democratico, a cui appartiene la ministra Valeria Fedeli, che difficilmente sarebbe disposto a smantellare due pezzi portanti della Legge 107/15 voluta con forza dello stesso schieramento; inoltre, va considerato che quei capitoli di spesi potrebbero non avere adeguata copertura finanziaria oltre il 2017/18.

Per quanto riguarda la manovra, salvo cambi in corsa, è stato alzato un disco rosso, come già annunciato dalla Tecnica della Scuola, sul rinvio dell’aumento automatico dell’età per la pensione di “vecchiaia”: anziché attuare questo genere di intervento e favorire turn over, che a sua volta sarebbe costato almeno altri 1,2 miliardi, il Governo preferisce investire i soldi sugli incentivi e sugli sgravi fiscali per assumere direttamente i giovani.