Lo Spazio/Tempo nell’Insegnare/Apprendere

Lo Spazio/Tempo nell’Insegnare/Apprendere

 

di Maurizio Tiriticco

Ulrich Beck ed Elisabeth Beck-Gernsheim hanno scritto qualche anno fa un interessante libro intitolato “L’amore a distanza, il caos globale degli affetti” (Collana I Robinson, della Laterza), in cui si analizzano le modifiche che la globalizzazione sta producendo sulla famiglia e sulle relazioni interpersonali. E’ un fatto che il progressivo ampliamento dei mezzi e dei processi di comunicazione fisici (i trasporti e le conseguenti nuove migrazioni) e simbolici (la tv, il web, i cellulari, ecc.) ha comportato e comporterà ancora profonde modifiche nel nostro stesso modo di “sentire” e “interpretare” lo spazio e il tempo e, quindi, di vivere. Mi spiego meglio: esistono ormai criteri universali per definire spazio e tempo (le unità di misura, il metro e l’orologio) e tutti concordiamo sul fatto che la distanza tra Roma e Milano è tot chilometri e che la frecciarossa parte alle ore tot e arriva alle ore tot. Tutti i nostri spostamenti in spazi definiti sono scanditi dal calcolo dei tempi. E guai a noi se non condividessimo queste grandezze secondo precise unità di misura comuni. Con buona pace nel nostro Einstein che con lo spazio/tempo ci è andato a nozze e ci ha messo tutti in crisi! Comunque, sopravviviamo!

Possiamo dire che un conto è il calcolo, che consideriamo oggettivo, delle spazio e del tempo; e che altro conto, invece, è la percezione soggettiva che ciascuno di noi ha di queste due grandezze. In altri termini, possiamo dire che esistono anche un metro biologico e un orologio biologico. E’ notorio che il tempo corre veloce, se siamo “felici”; non passa mai se, invece, siamo in sofferenza!

Una persona, un gruppo umano sono sempre collocabili ed individuabili in una situazione in cui si incrociano le coordinate dello spazio e del tempo. Assumiamo per convenzione che l’asse dello spazio sia orizzontale e quella del tempoverticale. Lungo il primo asse si estendono, a destra e a sinistra, l’al di qua e l’al di là; lungo il secondo asse, al di sotto dell’incrocio, il passato, la memoria la storia, al di sopra, invece, l’attesa, la speranza, il progetto.

Un piccolo gruppo di un tempo molto lontano viveva chiuso, ristretto, separato da altri gruppi che si ignoravano vicendevolmente. Oggi, invece, il piccolo gruppo, grazie allo sviluppo della rete della comunicazione, quella fisica (la facilità degli spostamenti) e quella simbolica (l’evoluzione dei media elettronici), è più aperto e può interagire, anche se nei modi più diversi, con gli altri gruppi.

Dal punto di vista della fruizione dello spazio/tempo (la slash, invece del trattino, ne sottolinea la contiguità), il piccolo gruppo del passato traeva maggiore alimento culturale dall’asse del tempo che da quello dello spazio. Le informazioni, appunto, viaggiavano sull’asse temporale, sul quale si trasmettevano conoscenze, tecniche, costumi, valori, attraverso la saggezza degli anziani, le tradizioni orali, le religioni, i miti, le leggende, i racconti della nonna e così via. E dall’asse temporale il gruppo traeva soprattutto la forza per la sua identità e la sua sopravvivenza. Il gruppo di oggi, invece, fruisce delle informazioni soprattutto sull’asse spaziale, veicolate dai media e da tutte le diavolerie elettroniche. Ne consegue che il gruppo di ieri era “schiacciato” – se si può dir così – sull’asse temporale, mentre quello di oggi è “schiacciato” sull’asse spaziale.

Questa diversità tra il gruppo di ieri e il gruppo di oggi comporta serie ricadute e implicazioni sul piano culturale. Cerco di indicarle sommariamente:

– nel gruppo del passato dominano le seguenti caratteristiche: l’autorità della tradizione; l’accettazione di una organizzazione oligarchica e gerarchica all’interno del gruppo; l’unicità o, per lo meno, un’ampia omogeneità dei valori; l’utilizzazione delle conoscenze e delle tecniche ai fini della sopravvivenza del gruppo; la chiusura del gruppo in se stesso, da cui la conflittualità tra un gruppo e un altro, considerato diverso, se non ostile (sottolineo come nella lingua latina esista una contiguità tra hospes e hostis);

– nel gruppo del presente dominano le seguenti caratteristiche: la dissolvenza della tradizione e l’autorità delle mode; l’accettazione del principio dell’eguaglianza, che nella dottrina politica comporta i rapporti paritari e democratici; la pluralità, ma anche la disomogeneità dei valori; l’utilizzazione delle conoscenze e delle tecniche che potremmo definire “gratuite”, che comportano il consumismo e l’alienazione; la conflittualità, presente anche all’interno del gruppo, piccolo o grande che sia.

Tutto ciò implica profonde differenze anche nel campo dell’educazione. I piccoli gruppi di apprendimento del presente sono esposti a sollecitazioni che quelli del passato non conoscevano. Il solo “tenere i ragazzi in aula”, come si suol dire, è spesso già un’impresa assolutamente problematica!

Educare un tempo era relativamente più facile. Non vi erano molte scelte, non vi erano termini di paragone, e l’insegnare coincideva spesso con l’accompagnare il nuovo nato nella integrazione all’interno della società esistente, sollecitandolo a una rapida condivisione delle tecniche di lavoro e dei valori. Oggi il pluralismo del lavori, arricchiti e costantemente implementati dall’evoluzione tecnologica, delle opzioni e dei valori, dall’esposizione indifferenziata ad una messe indiscriminata di informazioni, non facilita il compito dell’educatore. Viviamo in una eterogeneità di fattori che inducono alla incertezza. Ed educare al controllo ed al governo della incertezza non è davvero compito agevole.

Se questo è il complesso contesto in cui si colloca la scuola nelle società ad alto sviluppo, in primo luogo occorre avviare una riflessione su quali sono le funzioni, oggi, della scuola in una società di questo tipo. Dopo le considerazioni che abbiamo condotte nei punti precedenti, emerge che oggi – ed ancor più domani – la scuola, intesa soprattutto come sistema, o sottosistema del sociale, debba soprattutto promuovere intelligenze, sollecitare conoscenze e capacità, produrre abilità e competenze.

E’ una affermazione che va avanzata con forza in quanto in genere alla scuola è sempre stato assegnato un ruolo subalterno rispetto ad altri ruoli che altre organizzazioni hanno all’interno di un assetto sociale. Basti ricordare gli studi, anche se datati, di un Althusser o di un Bourdieux e Passeron. In altre parole, il compito che era assegnato alla scuola in una società “povera” (le virgolette stanno a significare che non si tratta tanto di una povertà economica quanto di una semplicità di organizzazione sociale e lavorativa) era quello di formare da un lato l’élite del gruppo dirigente, dall’altro quei quadri tecnici intermedi che in parte dovevano ricoprire ruoli amministrativi e impiegatizi, in parte dovevano attendere alle mansioni esecutive di un emergente apparato industriale. Così, solo pochi erano i veri destinatari dell’insegnamento scolastico, in quanto la gran parte dei soggetti in età scolare avrebbe atteso a lavori manuali esecutivi che non richiedevano alcuna preparazione di base e nemmeno quella del leggere, dello scrivere e del far di conto.

Oggi, quel ruolo subalterno è saltato, però dobbiamo dire che la primazia dell’educazione, dell’istruzione e della formazione, rivolta per altro a tutti e per tutta la vita, non è a tutt’oggi un fattore totalmente condiviso e vincente! Ed un Sistema Scolastico, perché di Sistema si tratta in tutti i Paesi ad alto sviluppo – in bilico tra una passato ormai inesistente e un avvenire insicuro – di questa incertezza strutturale soffre, e non solo nel nostro Paese. E i nostri tre percorsi secondari superiori, liceali, tecnici e professionali, sono più ancorati al passato che proiettati verso l’avvenire.

A scuola i test Invalsi parlano inglese

da Il Sole 24 Ore 

A scuola i test Invalsi parlano inglese

di Claudio Tucci

La prima novità dell’anno scolastico che sta per iniziare (si parte il 5 settembre a Bolzano, poi dall’11 al 15 si tornerà in classe in tutte le regioni) interessa gli alunni di primarie e medie: entrano, infatti, in vigore le nuove regole sulla valutazione e sugli esami di Stato, introdotte dai decreti attuativi della legge 107.

Alle “ex elementari” si potrà bocciare solo «in casi eccezionali» e con «decisione unanime dei docenti della classe»; in tutto il primo ciclo l’ammissione alla classe successiva sarà possibile anche in caso di «insufficienze» in una o più discipline (le scuole dovranno però attivare percorsi di supporto per colmare le lacune); l’esame di terza media, poi, – in calendario a giugno 2018 – si asciuga, da cinque a tre prove scritte (italiano, matematica, lingue straniere), più il colloquio orale.

Per gli studenti delle superiori l’alternanza obbligatoria conquista le quinte classi, andando così a regime (interesserà 1,5 milioni di giovani – a settembre è prevista anche la pubblicazione della Carta con i diritti e doveri che dovranno rispettare i ragazzi in formazione in azienda); e ci saranno risorse in più per ampliare le borse di studio finalizzate all’acquisto di materiale didattico, trasporti, accesso a beni di natura culturale (il più volte annunciato esonero totale dal pagamento delle tasse scolastiche, in base all’Isee, decollerà invece nel 2018/2019 con le quarte superiori).

Restyling ai test Invalsi

All’elenco di “certezze” che gli otto milioni di alunni e le loro famiglie – le paritarie saranno frequentate da circa un milione di studenti – si troveranno di fronte alla ripresa delle lezioni va aggiunto, pure, il mini-restyling dei test Invalsi di certificazione delle competenze: «Oltre alle prove canoniche di italiano e matematica, che rimarranno, se ne aggiungerà una in inglese – spiega Carmela Palumbo, dg per gli Ordinamenti scolastici e la valutazione del Miur -. Sarà un test standardizzato che misurerà le abilità di comprensione e uso della lingua da parte degli alunni. In quinta primaria fornirà indicazioni più che altro alla scuola. In terza media invece i risultati verranno riportati in un attestato, da consegnare a studenti e genitori assieme al diploma, che indicherà il livello di competenza raggiunto dal ragazzo». La prova Invalsi in lingua inglese si farà pure in quinta superiore (ma nel 2018/2019), e, come per il primo ciclo, lo svolgimento dei test diventa requisito di ammissione alle rilevazioni finali. L’esame di Maturità cambierà l’anno successivo, nel 2018/2019, appunto: «Ma già quest’anno – ha aggiunto Palumbo – il ministero lavorerà per definire i quadri di riferimento per le prove. È una novità assoluta, indicheremo contenuti minimi e modalità di svolgimento degli esami e anche le competenze richieste ai maturandi. Si tratta di un’operazione di trasparenza per insegnanti e famiglie».

Per gli alunni disabili, poi, debutterà il «Pei» («Progetto educativo individualizzato») per favorire la maggiore inclusione possibile; alla primaria partiranno i Poli a orientamento artistico; l’infanzia vedrà l’esordio – graduale – del nuovo servizio unitario per i bambini da 0 a 6 anni; e nei prossimi mesi dovrebbe vedere la luce il nuovo regolamento per l’istruzione professionale previsto dalla Buona Scuola che proverà a dare una più chiara identità agli istituti professionali, rendendo più flessibile la loro offerta formativa e superando l’attuale sovrapposizione con l’istruzione tecnica. Il condizionale è però d’obbligo considerato l’ambito frammentato di competenze statali e regionali, e l’avvicinarsi delle urne.

Le promesse da mantenere

E proprio l’imminente scadenza dell’attuale governo inciderà (molto probabilmente) su alcuni recenti annunci fatti nei giorni scorsi dalla ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli (si veda anche la sua intervista al Sole 24 Ore di domenica 20 agosto). A partire dalla sperimentazione, molto innovativa, in 100 prime classi del diploma superiore a quattro anni: l’esperimento, che partirà il prossimo anno, si concluderà nel 2023, e toccherà pertanto al nuovo esecutivo tirare le somme. E pure l’annunciata rivisitazione degli ordinamenti didattici e l’allungamento dell’obbligo scolastico a 18 anni (oggi 16) al momento è un argomento di discussione aperto (spetterà al nuovo decisore politico mettere nero su bianco una proposta).

Andranno, invece, verificate attentamente da famiglie e studenti altre due dichiarazioni del Miur su supplenti e “caroselli” di professori, entrambi previsti sensibile in calo. I primi grazie alla stabilizzazione di 15.100 cattedre: secondo le stime ministeriali quest’anno si scenderà – per la prima volta – sotto quota 100mila docenti precari. Si dovrebbero limitare pure i trasferimenti “solo per un anno”: le maglie saranno un po’ più strette rispetto al 2016/2017, spiegano dal ministero. L’obiettivo è evitare che un’ampia fetta di spostamenti avvenga, tramite assegnazione provvisoria, dopo l’inizio delle lezioni a tutto svantaggio della continuità didattica da garantire ai ragazzi. Anche qui bisognerà attendere le prossime settimane per vedere se davvero sarà così.

In classe soltanto se si è vaccinati

da Il Sole 24 Ore 

In classe soltanto se si è vaccinati

di Antonello Cherchi

Per scuole e genitori è iniziato il conto alla rovescia per adeguarsi alle nuove previsioni sui vaccini, così come previsto dal decreto legge 73, convertito a fine luglio. Entro il 10 settembre, infatti, deve essere presentata ai nidi, alle scuole dell’infanzia e alle sezioni primavera (comprese le scuole private non paritarie) la documentazione che attesti l’avvenuta vaccinazione, termine che si sposta al 31 ottobre per tutte gli altri gradi di istruzione (primaria e secondaria di primo e secondo grado) fino ai 16 anni di età.

La presentazione del certificato vaccinale – o in sua assenza, di altra documentazione o dichiarazione sostitutiva che attesti l’effettuazione dei vaccini relativi all’età dello studente o il momentaneo esonero o differimento della vaccinazione – è condizione imprescindibile per consentire la frequenza degli asili nido, delle scuole dell’infanzia e delle classi primavera, mentre negli altri gradi di istruzione la mancata presentazione della documentazione nei termini previsti non determina la decadenza dall’iscrizione né impedisce la partecipazione agli esami.

Come spiega la circolare del 16 agosto scorso del ministero dell’Istruzione, con la quale si forniscono ai genitori e alle scuole le prime indicazioni operative sui nuovi obblighi, i certificati vaccinali o gli eventuali documenti sostitutivi devono essere presentati, per i minori da 0 a 16 anni, anche per chi già frequenta la scuola e non solo per chi si iscrive alle prime classi.

L’anno scolastico che sta per iniziare rappresenterà, dunque, il banco di prova delle novità, la principale delle quali è avere esteso da 4 a 10 i vaccini obbligatori e gratuiti per chi frequenta la scuola, ai quali si aggiungono 4 vaccini non obbligatori ma sempre gratuiti. Si tratta, pertanto, di una fase di transizione che interesserà anche il prossimo anno e che dovrebbe andare a regime a partire dall’anno scolastico 2019-2020.Fra due anni, infatti, saranno le Asl, una volta ricevuti dalle scuole gli elenchi degli iscritti sino a 16 anni, a segnalare chi non risulta in regola con le vaccinazioni.

In questa prima fase, invece, saranno i dirigenti scolastici a segnalare alle Asl, entro dieci giorni dai termini previsti per la consegna dei certificati vaccinali, la mancata presentazione dei documenti. Per coloro che, invece, consegneranno una documentazione o una dichiarazione sostitutiva, ci sarà tempo fino al 10 marzo 2018 per mettersi in regola.

Anche gli operatori scolastici dovranno dimostrare, attraverso una dichiarazione sostitutiva da consegnare alla scuola entro il 16 novembre 2017, quali e quanti vaccini hanno fatto.

Il ministero dell’Istruzione ha istituito il numero verde 1500 per dare informazioni alle famiglie, oltre che un’area dedicata sul sito www.salute.gov.it/vaccini, dove, tra l’altro, si può trovare il calendario vaccinale, la circolare del Miur con le indicazioni operative e i moduli di dichiarazione sostitutiva e le circolari del ministero della Sanità.

In arrivo uno tsunami di certificati

da Il Sole 24 Ore 

In arrivo uno tsunami di certificati 

Conto alla rovescia per l’inizio delle scuole con la corsa, quest’anno, alla messa in regola dei certificati anche per le vaccinazioni, con procedure che alcune regioni virtuose hanno già semplificato, o quanto meno codificato. Il 10 settembre infatti scade il termine per la presentazione della certificazioni a scuola sulle vaccinazioni, dopo l’entrata in vigore delle nuove norme approvate a luglio.
L’Anci, l’associazione dei Comuni, ha prodotto uno schema di protocollo che impegna ministeri della Salute e dell’Istruzione, conferenza delle Regioni e associazione dei Comuni a una collaborazione efficace per la produzione dei certificati necessari per iscrivere i bambini a scuola. Questo il quadro di quanto è stato disposto in alcune regioni fino ad ora.
ALTO ADIGE – Prevista una “liberatoria” transitoria: a partire da fine agosto i genitori con bambini e ragazzi di età compresa fra 0 e 16 anni riceveranno una lettera da parte dell’Azienda sanitaria, con l’elenco delle vaccinazioni mancanti o la conferma di quelle già eseguite. Con le disposizioni transitorie per l’anno 2017-18 tutti i bambini hanno diritto di frequenza sia per i servizi educativi per l’infanzia che per le scuole. Nell’anno scolastico 2017-18 si applicheranno le disposizioni transitorie. Questo significa che l’anno scolastico 2017/18 inizierà senza restrizioni per tutti i bambini.
TRENTINO – Introdotte nuove procedure informatiche: si accede con tessera sanitaria al sito FastTreC , cliccando poi su scarica attestato certificazione vaccinale, oppure al sito TreC attraverso un lettore di smart card, scaricando poi l’attestato vaccinale dalla lista dei referti. Infine ci si può rivolgere direttamente ai Servizi vaccinali dell’Azienda sanitaria, oppure al numero verde ProntoSanità – Vaccinazioni 848 806806.
LIGURIA – Entro il 10 settembre circa 55mila lettere saranno recapitate dalle Asl alle famiglie con figli fino a 6 anni per attestare lo “stato di adempienza vaccinale”. Per le famiglie i cui figli non abbiano completato i cicli vaccinali (il 10% del totale), sarà proposto un appuntamento presso il centro vaccinale di riferimento.
LOMBARDIA – Sui siti di Regione, Ats e Asst sono online le indicazioni per la documentazione necessaria per l’iscrizione a nidi, materne e scuole dell’obbligo, e per mettersi in regola, compresa la possibilità di scaricare il modello per l’autocertificazione e la tabella per controllare se si è in linea con l’adempimento all’obbligo vaccinale. A Milano è
possibile richiedere il certificato vaccinale via mail.
EMILIA ROMAGNA – Anche in questo caso la Regione ha disposto che la documentazione sullo stato vaccinale sia inviata direttamente dalle Asl alle famiglie; laddove lo stato vaccinale non sia regolare rispetto all’età, le famiglie riceveranno gli appuntamenti per le vaccinazioni. I documenti ricevuti dalla propria Asl saranno poi consegnati dalle famiglie alle scuole, evitando quindi la presentazione di autocertificazioni e di successive certificazioni. Le famiglie che non dovessero ricevere la comunicazione Asl potranno comunque avvalersi della possibilità di presentare l’autocertificazione.
TOSCANA – Le scuole trasmettono gli elenchi degli iscritti alle Asl, che verificheranno la situazione vaccinale di ogni bambino e si attiveranno con i familiari per l’eventuale
regolarizzazione. Nelle more degli accertamenti la ‘”frequenza di tutti gli iscritti prosegue secondo le consuete modalità”.
UMBRIA – Le Usl invieranno a casa delle famiglie con figli fino a 16 anni i certificati che attestano lo “stato di adempienza vaccinale” rispetto agli obblighi previsti dalle nuove norme. Saranno inviate 120mila lettere. Entro il 10 settembre saranno spediti i certificati che attestano la regolarità delle vaccinazioni dei bambini fino a 6 anni, mentre entro il 31 ottobre verranno inviati ai ragazzi fino a 16 anni.

Il debutto dell’«educazione informatica»

da Il Sole 24 Ore 

Il debutto dell’«educazione informatica»

di Marisa Marraffino

Al rientro a scuola gli studenti potranno trovare importanti novità anche sul fronte delle misure contro il cyberbullismo. Il condizionale è d’obbligo, visto che il ministero dell’Istruzione non ha ancora adottato le linee di orientamento, che erano attese entro il 18 luglio scorso. Molti istituti scolastici, però, si sono già attivati, nominando i referenti scolastici contro il cyberbullismo, scelti tra i docenti, così come prevede la recente legge 71 del 2017. E anche il Garante della privacy ha messo a disposizione sul suo sito il «Modello per la segnalazione/reclamo in materia di cyberbullismo», insieme a una serie di spiegazioni sui contenuti della legge.

Le norme introducono precisi doveri da parte delle nuove figure di riferimento che dovranno essere adeguatamente formate per collaborare, in caso di necessità, anche con le forze dell’ordine. Si prevede inoltre l’introduzione di misure di sostegno e rieducazione per i minori coinvolti in episodi di cyberbullismo, nonché la promozione di un ruolo attivo degli studenti stessi che potranno essere protagonisti di progetti di peer education.

La legge 71 ha introdotto anche la possibilità in capo agli uffici scolastici regionali di promuovere bandi per finanziare iniziative educative e preventive, essendoci una limitazione a 50mila euro della spesa annua prevista su base nazionale. Gioca d’anticipo la Lombardia che, con la legge regionale 1/2017, ha previsto lo stanziamento di 300mila euro per l’anno corrente volti a finanziare progetti di prevenzione e contrasto al fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. Il 1° agosto scorso la giunta regionale ha pubblicato una prima delibera che prevede l’erogazione di 200mila euro in favore di scuole statali, enti formativi e associazioni senza scopo di lucro che insieme formalizzino un accordo di rete per la promozione di iniziative rieducative e formative. L’obiettivo è quello di aumentare la consapevolezza degli studenti, ma anche delle famiglie. Le domande devono essere inviate dalle scuole entro il 29 settembre all’indirizzo pec: lavoro@pec.regione.lombardia.it.

Un punto nevralgico riguarda anche il ruolo del dirigente scolastico, chiamato a informare tempestivamente i genitori dei ragazzi coinvolti in episodi di cyberbullismo. Ed è proprio su questa linea che, benché non prevista espressamente dalla nuova legge, sembra non più rimandabile l’adozione da parte delle scuole di precise policy che menzionino l’utilizzo dei dispositivi informatici durante l’orario di lezione e le relative sanzioni disciplinari. Si tratta di un obbligo informativo che è del tutto in linea col nuovo impianto normativo e idoneo a legittimare sanzioni gravi, come l’espulsione, in caso di condotte particolarmente allarmanti.

Infine, a cambiare sarà anche il programma scolastico che dovrà prevedere lezioni di educazione informatica. La ratio della nuova legge, definita espressamente dall’articolo 1, è quella di assicurare gli interventi educativi in tutte le scuole «senza distinzione di età», demandando poi alle autonomie regionali la definizione concreta dei progetti inizialmente coordinati su base nazionale. Sembra quindi logico prevedere che interventi educativi possano essere predisposti anche a favore di studenti che non abbiano compiuto i 14 anni, anche se la maggior parte dei nuovi strumenti di rimozione dei contenuti online è rivolta agli ultraquattordicenni. Secondo le ultime ricerche, infatti, il primo smartphone viene acquistato all’età di 11 anni, facendo slittare verso il basso anche la commissione dei primi illeciti online (si veda «Il Sole 24 Ore» del 7 febbraio scorso). I tempi sono stretti, visto che la legge è entrata in vigore lo scorso 18 giugno, ma complessivamente si tratta di una riforma che combatte sul fronte preventivo un problema difficilmente arginabile soltanto con misure punitive.

Corredo scolastico, quest’anno le famiglie spenderanno almeno 950 euro

da Il Sole 24 Ore 

Corredo scolastico, quest’anno le famiglie spenderanno almeno 950 euro

di Al. Tr

Il corredo scolastico per il prossimo costerà un po’ di più: le famiglie spenderanno quest’anno uno 0,7% per in più per libri, astucci, penne, mentre la spesa per libri e dizionari, invece, scenderà del 7,2 per cento. Complessivamente, per ogni studente si spenderà almeno 950 euro. A fare i calcoli, a poche settimane dall’avvio del nuovo anno scolastico, è l’osservatorio nazionale di Federconsumatori.

Libri, diari, zaini pesano di più sul budget
La spesa per il corredo scolastico (più i “ricambi”) passerà dai 518 euro dello scorso anno ai 522 euro di quest’anno e ad aumentare saranno soprattututto i diari e gli zaini. Restano particolarmente gravosi i costi dei libri di testo, nonostante – sottolinea Federconsumatori – la flessione registrata rispetto allo scorso anno: quest’anno mediamente per i libri più due dizionari si spenderanno 462 euro per ogni ragazzo. La spesa è particolarmente alta per classi prime: uno studente di prima media spenderà mediamente per i libri di testo più due dizionari 429,11 euro (il -7% rispetto allo scorso anno), totale a cui vanno aggiunti 522 euro per il corredo scolastico e i ricambi durante l’intero anno, per un totale di 951,11 euro. Un ragazzo di primo liceo, invece, spenderà per i libri di testo più 4 dizionari 688,83 euro (il -9% rispetto allo scorso anno), più 522 euro per il corredo scolastico ed i ricambi, per un totale di ben 1.210,83 euro.

«Cifre proibitive per le famiglie»
Cifre di questa portata, sottolinea l’associazione dei consumatori, risultano «proibitive per molte famiglie» e non sono rari, purtroppo, i casi di ragazzi costretti a rinunciare agli studi superiori per motivi economici. È quindi evidente la necessità di potenziare le agevolazioni per l’acquisto dei testi scolastici destinate alle famiglie meno abbienti. «Le conseguenze della povertà e del disagio sociale si ripercuotono con particolare intensità sui minori e ssicurare il diritto allo studio dei ragazzi attraverso sostegni mirati è un’operazione di civiltà» commenta Emilio Viafora, presidente di Federconsumatori.
Secondo l’associazione, è opportuno che il Miur faccia partire controlli rigidi sui tetti
di spesa previsti per i libri e intervenga per incentivare l’editoria elettronica. L’associazione auspica infine che si cominci a pubblicare online gli aggiornamenti per le nuove edizioni dei testi e ad ampliare i prestiti da parte di scuole e biblioteche comunali.

Conto alla rovescia per il nuovo anno scolastico. Restyling ai test Invalsi

da La Tecnica della Scuola

Conto alla rovescia per il nuovo anno scolastico. Restyling ai test Invalsi

 

Conto alla rovescia per l’inizio dell’anno scolastico. Il 5 settembre si torna a Bolzano, poi dall’11 al 15 si tornerà progressivamente sui banchi di scuola in tutte le altre regioni. Sono diverse le novità che entreranno in vigore, introdotte dai decreti attuativi della legge 107.

Alla scuola primaria si potrà bocciare solo in casi eccezionali e con la decisione unanime dei docenti della classe. L’ammissione sarà possibile anche in caso di insufficienze in una o più discipline. L’esame di terza media, a giugno 2018, sarà composto da cinque a tre prove scritte più il colloquio orale.

INVALSI – Vero e proprio restyling per i test Invalsi di certificazione delle competenze. Infatti oltre alle prove di italiano e matematica se ne aggiungerà una di inglese. Sarà un test standardizzato che misurerà le abilità di comprensione e uso della lingua da parte degli alunni. Alla fine della scuola primaria il test fornirà indicazioni più alla scuola che al ministero. In terza media, invece, i risultati verranno riportati in un attestato, da consegnare a studenti e genitori assieme al diploma, che indicherà il livello di competenza raggiunto dal ragazzo. La prova Invalsi in lingua inglese si farà pure in quinta superiore e, come il primo ciclo, lo svolgimento dei test diventa requisito di ammissione alle rilevazioni finali.

Ore eccedenti, non conviene accettarle: pagate pochi euro senza effetti sulla pensione

da La Tecnica della Scuola

Ore eccedenti, non conviene accettarle: pagate pochi euro senza effetti sulla pensione

 

Spesso il dirigente chiede ai docenti, soprattutto di medie e superiori, di svolgere delle ore settimanali in più rispetto a quelle obbligatorie: sono le cosiddette ore “eccedenti”.

Al massimo, dice il contratto, se ne possono assegnare sei settimanali. Oltre, andrebbero a supplenza. Ovviamente, il docente più anche rifiutare i cosiddetti micro “spezzoni”. Spesso, invece, accetta. Ma conviene?

Secondo un professore 46enne di un istituto statale di Cremona, assolutamente no. Il prof, si chiama Sergio Mantovani, insegna geografia alle superiori: ha scritto al Corriere della Sera, che ha dato spazio alla sua lettera-denuncia.

Per il prof, che si è messo a fare i conti con la calcolatrice, la retribuzione di quelle ore è «da caporalato».

«Quattro euro all’ora, anzi due perché ho avuto la sfortuna di ammalarmi», ha scritto. «L’anno scorso ho lavorato con quattordici classi e trecento studenti, con passione e soddisfazione – racconta -. Quello che è successo però è kafkiano. Ci sono regole punitive se un insegnante decide di lavorare qualche ora in più, rispetto alle diciotto canoniche per cui siamo pagati mediamente 1.500 euro netti al mese. Quest’anno ho avuto la pessima idea di accettare “spezzoni di cattedra” per tre ore settimanali. Mai più», dice.

«Fra ore extra e la decurtazione scattata per la malattia si raggiungono cifre offensive».

«Confronto la busta paga calcolata sulle 21 ore con quella dell’anno prima, sulle 18. C’è una differenza di 67 euro netti, che divisi per quelle 12 ore mensili fa 5,58 euro. Occorre però considerare anche l’impegno extra aula, diciamo quattro ore al mese ed è sottostimato perché le ore aggiuntive erano in tre classi diverse quindi con rispettive verifiche da preparare e da correggere e riunioni fra docenti. Quindi ricalcolo la cifra, 67 diviso 16 ore e si arriva a 4,18 euro». Non è finita. «Vedo che c’è la “decurtazione Brunetta”» per la malattia «che scatta nonostante la visita fiscale e anche se finisci all’ospedale con il morbillo e complicazioni, polmonite compresa, come è successo a me. Perché ammalarsi non è ammesso, come se noi statali fossimo tutti furbetti del cartellino».
Il compenso, tra l’altro, si riduce ancora «per la colpa di aver lavorato tre ore in più», secondo l’insegnante. «Con cinque giorni di malattia a causa della maggiore decurtazione legata alle ore extra la riduzione risulta di 43 euro, se li scalo ai 67 ne restano 24 per quelle dodici ore mensili che la scuola mi ha proposto di fare e che alla fine valgono due euro», conclude il quotidiano.
Al Corriere della Sera quella cifra è sembrata davvero troppo bassa. Il quotidiano ha così chiesto alla Cgil, che però non ha smentito ma ha posto qualche dubbio: «Potrebbe anche essersi trattato di un errore, non ci risultano compensi così bassi», hanno risposto dal sindacato.
In effetti, la cifra indicata dal prof che insegna a Cremona è bassina. Ma nemmeno molto lontana dalla verità. Sempre se si considera il tempo che il docente deve occupare in più per preparare le lezioni aggiuntive, correggere i compiti, partecipare a consigli di classe, scrutini, eventuali esami e diverse altre incombenze che diventano proprie nel momento in cui si acquisiscono una o più classi.
Senza considerare che quelle ore si sottraggono ai colleghi precari, i quali beneficerebbero di una paga maggiore e dell’anzianità di servizio utile in fase di aggiornamento delle graduatorie.
Tra l’altro, tranne i rari casi vengono istituzionalmente legate alle 18 canoniche, ovvero quando la cattedra non si può ricondurre diversamente, come confermato dal Mef con nota 32509 del 6 aprile 2016, le ore eccedenti da qualche anno vengono pagate sino al 30 giugno dell’anno successivo.
E, beffa finale, come tutti i compensi non assegnati per tutto l’anno scolastico (quindi fino al 31 agosto), non portano nemmeno contributi previdenziali in surplus. In pratica, non incidono nemmeno sull’assegno pensionistico.

Supplenti brevi ricevono lo stipendio dopo 5 mesi

da La Tecnica della Scuola

Supplenti brevi ricevono lo stipendio dopo 5 mesi

 

Il Ministero dell’Istruzione ha finalmente autorizzato i pagamenti a favore di decine di migliaia di docenti, amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici che hanno stipulato supplenze per periodi ridotti.
Il mancato accreditamento dei compensi si trascinava dal mese di aprile ed era esclusivamente legato al problema delle disponibilità finanziarie da parte dell’amministrazione statale.
Dopo cinque mesi di attesa, decine di migliaia di precari della scuola con supplenze brevi tornano ad avere il loro stipendio: lo scrive Anief .

Che aggiunge: “Ci siamo ritrovati per l’ennesima volta con lo Stato che calpesta gli articoli 35 e 36 della Costituzione. Andando anche a ledere il principio di uguaglianza, sancito dalla curia europea e ribadito nei giorni scorsi dalla Cassazione, dei dipendenti precari rispetto a quelli di ruolo”.

L’inglese è la lingua studiata dal 95% degli studenti

da La Tecnica della Scuola

L’inglese è la lingua studiata dal 95% degli studenti

 

Sulla base dei dati  Eurostat, nell’Unione Europea l’inglese è la lingua studiata dal 95% degli studenti della scuola secondaria (ISCED 2 and 3, corrispondenti alla nostra scuola media inferiore e scuola media superiore). Il Francese supera il tedesco, rispettivamente al 24% e 21%.

Ma i dati, scrive Il Sole 24 Ore che ha ripreso lo studio di Eurostat, dicono pure che il Lussemburgo detiene la più alta media di lingue straniere studiate durante il percorso di studi della scuola secondaria. In media sono 2.45 lingue conosciute dai lussemburghesi. Il grosso vantaggio è l’avere tra le lingue ufficiali il tedesco e il francese, oltre che il lussemburghese, che rimane la lingua nazionale. Nella scuola primaria è utilizzato il lussemburghese, sostituito nella scuola secondaria da tedesco e francese, per questo nelle classi lussemburghesi risultano molto affollate: francese e tedesco raggiungono il 100% di studenti, ma anche l’inglese si avvicina con il 98%.
2 lingue di media per Estonia e Romania, che superano Finlandia, Lichtenstein, Malta e Cipro.

L’Italia raggiunge 1.70 di media, superiore alle cifre di Francia e Germania.
L’inglese mantiene una percentuale superiore al 90% in quasi tutte le nazioni europee, con alcune eccezioni.
La percentuali più bassa di studenti si registra in Norvegia (43%), ma si mantiene sotto il 90% anche in Portogallo (53%), Islanda (73%) e Ungheria (79%).
In Italia la lingua inglese è studiata dal 96% degli studenti delle scuole medie e superiori.
Il Francese, oltre a Francia, Belgio, Lichtenstein e Lussemburgo, è molto studiato anche in Romania (85%). Solo l’1% degli studenti turchi si dedica invece allo studio della lingua francese, con percentuali molto basse anche in Lituania e Portogallo (3%), Croazia e Grecia (4%). In Italia il francese è studiato dal 18% degli studenti.
Il tedesco, eliminando dall’analisi i paesi madrelingua, è molto studiato in Slovenia (66%), Repubblica Ceca (63%), Croazia (62%) e Slovacchia (60%). Percentuali molto basse in Spagna e Portogallo, dove raggiunge solo l’1% degli studenti. Anche in Italia le cifre si mantengono più basse rispetto a inglese e francese, con solo l’8% di studenti delle medie a superiori impegnato nello studio della lingua tedesca.

Concorso DS: i tre ostacoli dell’atteso Regolamento

da Tuttoscuola

Concorso DS: i tre ostacoli dell’atteso Regolamento 

A pochi giorni dall’avvio dell’anno scolastico nel corso del quale dovrebbe svolgersi e concludersi il concorso per dirigenti scolastici, non c’è nemmeno l’ombra del Regolamento da cui dovrà uscire il bando.

E si fa sempre più concreto il rischio che questo concorso sfori il 2018-19, trascinando le nomine in ruolo dei vincitori al 2019-20.

In questo percorso accidentato verso il bando, ci sono tre ostacoli che il Regolamento nella stesura finale del testo – si spera – potrebbe avere eliminato.

Il primo riguarda la clausola finale che prevede come il Regolamento stesso debba avere applicazione (a cominciare dal primo atto che è la pubblicazione del bando) dall’anno scolastico successivo. Al punto in cui siamo arrivati, è sperabile che il Regolamento sia pubblicato entro mercoledì 30 agosto (con entrata in vigore il giorno dopo), altrimenti – se pubblicato dopo – potrebbe determinare complicazioni sui tempi di emanazione del bando.

È sperabile, quindi, che dal testo definitivo sia stata eliminata la previsione dei tempi di applicazione.

Un’altra previsione che sarebbe meglio non comparisse nel testo definitivo del Regolamento (o quanto meno non trovasse attuazione in prima applicazione) è questa disposizione della pubblicazione della banca dati dei quesiti per l’eventuale prova preselettiva, pubblicazione che dovrebbe avvenire almeno 20 giorni prima della prova stessa.

Considerato che, nella migliore delle ipotesi, il termine per presentare le domande di partecipazione cadrà verso la fine di settembre, la prova preselettiva, conseguentemente, dovrebbe avvenire verso la fine di ottobre, determinando la fissazione della successiva prova scritta intorno a metà novembre, una data molto avanzata nell’anno che porterebbe troppo in avanti i termini delle successiva prove concorsuali: orale, corso di formazione, tirocinio.

Vi è, infine, un ulteriore possibile ostacolo sui tempi di procedure del corso-concorso, e riguarda la proposta, non vincolante, del Consiglio di Stato di prevedere nel colloquio finale, ai fini della imparzialità di giudizio della Commissione, “anche una prova di carattere teorico-pratico, che per sua natura meglio si presta a garantire trasparenza di valutazione.

Questa ulteriore prova, richiedendo più tempo nei colloqui, determinerebbe un’aggiunta di tempi conclusivi spostando in avanti pericolosamente tutta la conclusione del concorso.

Dopo i trasferimenti forzosi dei docenti, è il turno di quelli degli studenti?

Dopo i trasferimenti forzosi dei docenti, è il turno di quelli degli studenti?

Il Coordinamento nazionale formazione artistica, musicale e coreutica (CNAFAM) rappresenta la sconcertante situazione del Liceo “Vito Fazio Allmayer”, vanto della città di Alcamo (Trapani), sede di Liceo Economico Sociale, Liceo Linguistico, Liceo delle Scienze Umane, Liceo Musicale e Coreutico, che con la richiesta ulteriore del Liceo Artistico intende costituire nella città un Polo didattico dei linguaggi, unico nel panorama regionale e nazionale.
Il Liceo “Vito Fazio Allmayer” è ubicato nella città di Alcamo dalla sua nascita, nel lontano 1963 (quindi da ben 54 anni).
Esso, grazie alla fortunata posizione della città, rappresenta il centro di un bacino culturale cui afferiscono più di 900 studenti, provenienti da ben 12 Comuni dell’hinterland.
Ebbene, per una decisione unilaterale senza precedenti del Commissario Straordinario della Provincia di Trapani, presa senza preavviso, senza consultare gli Enti interessati (Scuola, Comuni, Regione, OO.SS., MIUR) e senza ricercare alcuna soluzione alternativa, il Liceo “Vito Fazio Allmayer” dal 1° settembre 2018 dovrà essere trasferito dal Comune di Alcamo al Comune di Calatafimi.
Ciò perché la Scuola non dispone di una sede di proprietà, e la Provincia non vuole più provvedere al pagamento dell’affitto.
Ben 700 dei 900 studenti (di cui almeno 500 alcamesi) saranno dunque forzosamente trasferiti nelle periferie di un altro Comune, senza che vi sia alcun collegamento né ferroviario né su gomma.
Per provvedere al trasferimento dovrebbero essere istituiti almeno 14 autobus giornalieri. Gli studenti dei centri vicini dovrebbero prima recarsi ad Alcamo e poi prendere un secondo autobus, e le famiglie dovrebbero farsi interamente carico delle spese di trasferimento, che supererebbero di gran lunga quelle attualmente sostenute per l’affitto degli immobili.
Se una simile dissennata decisione andasse in porto, ciò comporterebbe la morte del Liceo “Fazio Allmayer”, potendosi ragionevolmente presumere che la stragrande maggioranza degli studenti opterebbe per il trasferimento in altra scuola.
Sarebbe la fine certa di uno dei poli di eccellenza della scuola siciliana e nazionale, che in Alcamo ha trovato il suo centro d’elezione e che in Alcamo deve rimanere.
Chiediamo a gran voce alle OO.SS., alle forze parlamentari e di Governo, regionali e nazionali, di farsi carico del gravissimo problema e di provvedere a una sua soluzione immediata che salvaguardi la Scuola, i suoi docenti e soprattutto i suoi studenti.
Il link alla petizione per difendere il Liceo “Vito Fazio Allmayer” di Alcamo.

Profili problematici della legge sulla Buona Scuola

Profili problematici della legge sulla Buona Scuola
S
uggerimenti ragionati ai neodirigenti scolastici

di Francesco G. Nuzzaci

 

I. Premessa

In parte riprendendo tematiche già indagate ed ora riferendo delle prime inerenti pronunce giurisprudenziali, vorremmo qui offrire ai 58 neodirigenti scolastici che a breve prenderanno servizio in Abruzzo e in Campania, ai 9 immessi in ruolo in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali e a quei potenziali 155 che intendessero avvalersi della mobilità interregionale alcuni suggerimenti partitamente mirati alla gestione ex parte principis di alcuni dei profili più problematici della legge 107/15, c.d. Buona scuola: su cui i sindacati di comparto sembrano aver tutt’altro che allentato la morsa.

E’ ben vero che la recente novella apportata dal D. Lgs. 75/17 al Testo unico del pubblico impiego (D. Lgs. 165/01 e s.m.i.) ha disatteso le aspettative dell’Intesa del 30 novembre 2016 tra le confederazioni CGIL-CISL-UIL e la Funzione Pubblica, di rimettere alla signoria del contratto l’intera regolazione del rapporto di pubblico impiego. Ha esteso però l’istituto dell’esame congiunto – già introdotto dalla legge 135/12, c. d. spending review, per le materie concernenti il rapporto di lavoro – a tutti gli aspetti organizzativi degli uffici, così legittimando il Sindacato ad interloquire praticamente sull’intero spazio di azione del dirigente scolastico.

L’esame congiunto, che riguarda anche la singola istituzione scolastica in quanto pubblica amministrazione (art. 1, comma 2, D. Lgs. 165/01, cit.), può autonomamente essere chiesto in qualsivoglia momento dalla rappresentanza sindacale o in seguito alla ricevuta informazione preventiva e si svolge secondo procedure semplificate, con le formalità ridotte al minimo.

Pur non obbligando esso al raggiungimento di un accordo, che invece è essenziale nelle (poche) materie oggetto di contrattazione in senso stretto, può però – ed è bene che lo sia, tutte le volte in cui è possibile – assumere la forma della concertazione, suscettibile di sfociare in un’intesa, che in tal caso le parti dovranno eseguire secondo i principi di correttezza e buona fede.

E in questo nuovo scenario non è da escludere – per usare un eufemismo – che i sindacati di comparto si determinino di utilizzarlo ad ampio spettro per riappropriarsi surrettiziamente degli spazi preclusi alla contrattazione proprio sui punti più sensibili della legge 107/15, nel reiteratamente dichiarato scopo di contrastarla in tutti i modi possibili. E, senza andare troppo per il sottile, avendo già lucrato non pochi punti da un’Amministrazione accondiscendente, punteranno soprattutto i dirigenti scolastici, ventre molle del sistema, nonostante le prime specifiche pronunce giurisdizionali non siano di certo incoraggianti (infra).

Se sarà sicuramente apprezzabile un approccio collaborativo, non potendosi vanificare, per motivi ideologici, un istituto previsto dalla legge, sempre il rispetto della legge dovrà segnare un limite alla disponibilità del dirigente scolastico.

 

II. La mobilità territoriale

Benché la materia involga l’esclusiva competenza dell’Amministrazione (ai sensi dell’art. 15, comma 1, lett. c del D.P.R. 275/99), giusto per evidenziare il contesto entro cui i nuovi assunti dovranno svolgere le proprie funzioni, non è fuori luogo domandarsi se rispetta le regole e i criteri della correttezza e della buona fede l’accordo sottoscritto tra il MIUR e quattro dei cinque sindacati rappresentativi nel comparto Scuola-Università-Ricerca, che per tutti ha ripristinato la mobilità selvaggia, sia su ambito che su scuola, svincolandoli dal loro obbligo di permanenza triennale nella sede già assegnata. Si è così aggirato il divieto del comma 73 della legge 107, al di cui inequivoco tenore dall’anno scolastico 2016-2017 la mobilità territoriale e professionale del personale docente opera tra gli ambiti territoriali.

La giustificazione politica, di validità esclusiva per il solo anno scolastico 2017-2018, presumibilmente per sanarsi in qualche modo i guasti provocati lo scorso anno dall’ algoritmo e per consentire alla tecnostruttura del MIUR di rendersi più efficiente, può anche stimarsi ragionevole o sensata. Sta però di fatto che qui la contrattazione collettiva, pure statuita dall’art. 40 del D. Lgs. 165/01, più che essere andata oltre i limiti previsti dalle norme di legge, ha sortito un effetto abrogativo della legge, senza essersi realizzata la condizione minima per potervi, sia pure in via eccezionale, derogare: di essere tutti felici. Perché è dubbio che lo siano i destinatari del servizio, pregiudicati nel loro diritto alla continuità didattica.

 

III. La chiamata per competenze

Diretta incidenza sulle istituzioni scolastiche ha invece il separato accordo parallelo a quello sulla mobilità, riguardante la definizione dei criteri di individuazione dei docenti per competenze (c.d. chiamata diretta) in un quadro di requisiti stabiliti a livello nazionale che valorizzino il Collegio dei docenti e le sue articolazioni, assicurando imparzialità e trasparenza.

Si sa che, ancor prima che intervenisse la prescritta ratifica del MEF e della Funzione Pubblica, l’Amministrazione è stata solerte nel fornire alle scuole le indicazioni per la sua anticipata applicazione.

Si consideri che i commi 79-82 della legge 107, per la copertura dei posti dell’istituzione scolastica, attribuiscono al suo dirigente il potere di proporre gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento, in coerenza con il PTOF e valutando gli allegati curricula, esperienze e competenze professionali, eventualmente integrabili con un colloquio.

La trasparenza e la pubblicità dei criteri adottati, degli incarichi conferiti e dei curricola dei docenti sono assicurate attraverso la pubblicazione nel sito internet dell’istituzione scolastica.

L’incarico ha durata triennale ed è rinnovato se coerente con il PTOF.

Per contro, con il predetto Accordo si sono dettati e ristretti i requisiti professionali e i titoli culturali sui quali – o parte dei quali – operare il vaglio per l’individuazione dei docenti e in più è stata imposta un’idonea motivazione delle scelte poi effettuate.

Nel contempo è stata attribuita al Collegio dei docenti – che, è bene evidenziarlo, ha già elaborato il PTOF come necessario, e coerente, presupposto della chiamata per competenze – la facoltà di una formale deliberazione, obbligatoria ma non vincolante.

Per obbligo di legge è stato mantenuto il carattere residuale ed eventuale del ricorso a parametri automatici, essenzialmente il punteggio utilizzato/utilizzabile per la mobilità allargata, ma, tra le righe, lo si è suggerito come prioritario, enfatizzandosi la possibilità per il dirigente scolastico, e/o adesso pure del Collegio dei docenti, di rimettere l’intera partita al direttore generale dell’USR, che, in chiave garantista, procede con il seguente ordine di priorità: docenti già di ruolo provenienti dalle operazioni di mobilità; docenti immessi nei ruoli da graduatorie di merito concorsuali; docenti immessi nei ruoli dalle graduatorie ad esaurimento.

Pur tuttavia, per come riassunti i termini della questione, a nostro avviso non può questo secondo accordo – a differenza del primo, che lo sembra palesemente – dirsi contra legem, esso piuttosto assicurando un’opportuna integrazione della norma primaria: imperativa sì, ma, nel caso di specie, non autoconsistente.

A ben vedere, esso rende per esplicito compartecipi alla procedura gli OO.CC., qui il Collegio dei docenti in particolare e senza intestargli la volizione finale e/o attribuirgli un diritto di veto; e in ordine ai quali la legge 107 ripetutamente prescrive al dirigente scolastico di rispettarne le competenze e comunque di valorizzarli. Corrisponde inoltre allo spirito e a puntuali norme della trasparenza e dell’anticorruzione, allineandosi al contenuto della delibera dell’ANAC, n. 430 del 13.04.16, che per il contrasto di possibili fattori corruttivi suggeriva la consultazione degli organi collegiali, la pubblicazione sul sito della scuola dei criteri oggettivi nell’individuazione dei nominativi dei docenti, la determina dirigenziale motivata nell’assegnazione dell’incarico.

Insomma, al di là delle riserve mentali, non può sostenersi che risulta alterata la ratio della legge o che, nel caso di specie, l’Accordo abbia posto in essere una sua interpretazione abrogatrice.

Pertanto non vi è ragione di considerarlo tam quam non esset, per attenersi scrupolosamente al solo testo della legge ed intraprendendo una gratuita prova di forza nei confronti della propria Amministrazione. Sarebbe, quanto meno, un atteggiamento non collaborativo e di sicuro provocherebbe nell’istituzione scolastica un conflitto, politicamente perdente, con i sindacati e la RSU. Un’infelice partenza del neodirigente scolastico!

 

IV. Il bonus premiale

La prennunciata, e a tutt’oggi quiescente, ipotesi di accordo appare invece decisamente precaria in tema di attribuzione del bonus premiale: quanto meno se la si volesse intendere come vincolo contrattuale, dato che l’istituto – pur importando l’(eventuale) erogazione di un salario accessorio – è organicamente disciplinato da norme imperative (commi 126-129 della legge 107), con un procedimento complesso che investe soggetti pubblicistici collegiali (Consiglio d’istituto, Collegio dei docenti) e individuali: dunque, tecnicamente, non nella libera disponibilità del dirigente scolastico.

E’ noto che la legge 107 ha istituito il fondo nazionale per la valorizzazione del merito del personale docente, di natura extracontrattuale, pari a 200 milioni di euro annui e ripartito tra le istituzioni scolastiche in base ai fattori di complessità e alla loro collocazione o meno in aree soggette a maggiore rischio educativo.

Per valorizzazione del merito devono intendersi prestazioni oltre la soglia contrattualmente esigibile, attingibili con criteri eminentemente qualitativi, mentre le prestazioni finanziate con il fondo d’istituto ineriscono a parametri quantitativi, remunerate per numero di ore aggiuntive definite in sede di contrattazione integrativa, anche forfettariamente, per incarichi, progetti, attività et similia al fine di realizzare il piano dell’offerta formativa (ora PTOF).

Il bonus, intrinsecamente selettivo, è assegnato annualmente dal dirigente scolastico con motivata valutazione, sulla base dei criteri individuati dal riconfigurato Comitato di valutazione, sempre da lui presieduto, ora a composizione variabile ma che, nella circostanza, opera nella sua massima estensione, includendo i due docenti scelti dal Collegio dei docenti e il docente scelto dal Consiglio d’istituto, oltre i due rappresentanti dei genitori (un genitore e uno studente nelle scuole superiori) scelti sempre dal Consiglio d’istituto, infine un componente esterno individuato dall’USR tra docenti, dirigenti scolastici, dirigenti tecnici.

I criteri che il Comitato deve individuare ineriscono a:

a) qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti;

b) risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche;

c) responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale.

Se pure, a livello di informativa, potrebbe esserci un momento di interlocuzione con la parte rappresentativa dei lavorarori (congiuntamente i sindacati provinciali delle sigle sottoscrittrici del CCNL e RSU d’Istituto), non si comprenderebbe la fase temporale in cui collocarla; né, soprattutto, come si potrebbe dar seguito a quanto eventualmente convenuto.

Per queste ragioni, testualmente riportate nella parte motiva, il Tribunale del lavoro di Bari – con sentenza n. 6111 del 07.02.17 – ha rigettato il ricorso per comportamento antisindacale di FLCGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS-CONFSAL contro un dirigente scolastico che aveva rifiutato di negoziare il bonus premiale, preliminarmente ordinandone l’estromissione dal processo, perché il personale della scuola si trova in rapporto organico non con il singolo istituto – legalmente rappresentato dal dirigente scolastico – bensì con l’Amministrazione ministeriale, pertanto la sola dotata di legittimazione passiva (Cassazione: 6372/11, 20521/08, 9752/05). Nel merito ha ritenuto che il dirigente scolastico avesse correttamente operato applicando la disciplina speciale della legge 107/15, completa in ogni suo aspetto e dunque prevalente su quella generale codificata nel D. Lgs. 165/01 in materia di salario accessorio.

Con il medesimo dispositivo il Tribunale di Larino (sentenza n. 1185 del 13.07.17) ha confermato, in un’analoga fattispecie portata alla sua cognizione, la non negoziabilità del predetto bonus e dunque l’insussistenza di un comportamento antisindacale in capo all’Amministrazione (e, a fortiori, in capo al dirigente scolastico).

 

V. L’organico dell’autonomia

Introdotto in via transitoria come organico potenziato, dall’1 settembre 2016 è compiutamente operativo il riqualificato organico dell’autonomia, quale corpus unitario nel quale confluiscono senza distinzione alcuna tutti i docenti, già titolari di sede e di nuovo ingresso, sia curricolari che di sostegno e di potenziamento: senza gerarchie e inclusi coloro cui vengono affidati compiti di coordinamento e di progettazione. Vi è dunque una loro naturale fungibilità, con i soli limiti del possesso dei titoli abilitanti e/o delle necessarie competenze: perché quel che rileva sono le esigenze didattiche e organizzative della scuola, scaturite dalle priorità delineate dal RAV e dagli obiettivi indicati nel Piano di miglioramento.

Quest’ultimo passaggio è tratto, quasi alla lettera, dalla sentenza – la prima, sembra – del Tribunale di Napoli in funzione di Giudice del lavoro, n. 10670 del 23.03.17, che ha respinto il ricorso di una docente cui era stata tolta la sua cattedra ed impiegata in attività di potenziamento. Il succo della motivazione a sostegno del decisum del magistrato partenopeo è che rientra nelle prerogative del dirigente della scuola l’assegnazione dei docenti alle attività previste dal PTOF, in coerenza con le priorità del RAV e con le azioni indicate nel Piano di miglioramento, come del resto ricade sul dirigente della scuola la responsabilità dei risultati conseguiti.

Sicché, per attrezzarsi di fronte ad un eventuale contenzioso, potremmo suggerire al neodirigente, nell’ordine, di:

  1. promuovere la delibera del Consiglio d’istituto sui criteri di assegnazione dei docenti alle classi, cattedre e attività, coerenti con i poc’anzi menzionati documenti progettuali e acquisire eventuali specifiche proposte dal Collegio dei docenti, dato che le prerogative dei predetti organi, di cui è parola negli artt. 7 e 10 del D. Lgs. 297/94 – c.d. Testo unico della scuola – vanno armonizzate con le nuove disposizioni della legge 107, non potendosi stimarle incompatibili per ius superveniens;
  2. assicurare l’informazione preventiva all’organo rappresentativo dei lavoratori dell’istituzione scolastica (i sindacati provinciali delle sigle firmatarie del CCNL insieme alla RSU) e corrispondere all’eventuale richiesta dell’esame congiunto (non essendo più la materia oggetto di contrattazione, ex art. 40 del D. Lgs. 165/01, cit.);
  3. avviare la concertazione e – ricorrendone i presupposti, a suo responsabile giudizio – stipulare un’intesa che non collida con i cennati criteri (elastici, per definizione), nel mentre dalle proposte eventuali del Collegio dei docenti ci si potrà pur sempre discostare con adeguata motivazione;
  4. infine emanare la determina, quale atto datoriale in luogo del tradizionale decreto di matrice pubblicistica, che ovviamente recepirà ed espressamente menzionerà il contenuto dell’intesa, se sottoscritta.

 

VI. Gli obbligati adempimenti degli organi collegiali

All’indomani dell’approvazione della legge 107, sindacati di comparto, tra gli strumenti per contrastarla, avevano incluso il rifiuto del Collegio dei docenti e del Consiglio d’istituto di indicare i componenti di rispettiva competenza (due e tre) del rivisitato Comitato di valutazione. Di modo che, ridotto al dirigente scolastico e all’eventuale membro esterno designato dall’Amministrazione, esso non avrebbe potuto deliberare i criteri di attribuzione del bonus premiale, difettando il quorum strutturale (duo non faciunt collegium). E, inopinatamente, ebbero a trovare un formidabile assist nell’Amministrazione; che, in risposta ad apposita FAQ, facoltizzò sia il Collegio dei docenti che il Consiglio d’istituto a non provvedere volontariamente alla scelta dei componenti di spettanza.

Ciò nonostante, a due anni di distanza, risultano decisamente marginali i casi in cui ci si è avvalsi di questa – presunta – facoltà. E’ però sempre possibile che qualche neodirigente capiti in una scuola ipersindacalizzata o dominata da RSU particolarmente agguerrite.

Dovrà allora riuscire persuasivo per partecipare agli organi collegiali riottosi che le competenze agli stessi attribuite dalla legge, quali collegi amministrativi incardinati nell’ordinamento statuale, vanno doverosamente, e correttamente, esercitate. Diversamente, se trattasi del Consiglio d’istituto, organo esponenziale della c.d. comunità scolastica e portatore di istanze latamente politiche (sia pure nell’ambito dell’autonomia funzionale, ex art. 1, D.P.R. 275/99), può darsi luogo al suo scioglimento ad opera del direttore generale dell’USR e contestuale nomina del commissario ad acta (art. 28, comma 7, D. Lgs. 297/74). Se invece l’inerzia, o l’esplicito rifiuto, è imputabile al Collegio dei docenti, organo tecnico-professionale, impregiudicata l’azione disciplinare nei confronti di chi risulti inadempiente in seguito a votazione disposta per appello nominale (qualora, qui ricorrendo un’evenienza anomala, si ritenga di potersi superare l’obbligo del voto segreto, imposto tutte le volte in cui si esprimono in qualche modo giudizi sulle persone), sarà il dirigente scolastico, quale suo presidente, a individuare i nominativi con apposito ordine di servizio. E’ questa la soluzione suggerita dall’ufficio legislativo del MIUR, per rimediarsi al precedente pasticcio, e diramata con nota prot. 8209 del 21.07.16: che, in assenza di esplicita previsione nella legge 107/15, richiama la generale disciplina della legge 444/94, di conversione del decreto legge 293/94, applicabile a tutti gli organi di amministrazione attiva, consultiva e di controllo dello Stato e degli enti pubblici, nonché alle persone giuridiche a prevalente partecipazione pubblica, quando alla nomina dei componenti di tali organi concorrono lo Stato o gli enti pubblici.

 

VII. Lo staff del dirigente e i due docenti collaboratori

Il comma 83 della legge 107 autorizza il dirigente scolastico a individuare nell’ambito dell’organico dell’autonomia fino al 10% dei docenti che lo coadiuvino in attività di supporto organizzativo e didattico, con evidente sovrapposizione alle disposizioni figuranti nell’art. 25, comma 5, D. Lgs. 165/01 (docenti individuati dal dirigente scolastico che, nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative, può loro affidare specifici compiti) e nell’art. 88 del tuttora vigente CCNL Scuola del 29.11.07 (che, ai fini della loro retribuzione con il fondo d’istituto, limita a due i predetti docenti).

Senonché, sempre nell’art. 88 è previsto l’accesso al fondo d’istituto di tutto il personale (non solo docenti) impegnato in attività-compiti-funzioni per corrispondere alle diverse esigenze didattiche, organizzative, di ricerca e di valutazione necessarie alla realizzazione del POF (ora PTOF), deliberate dal Consiglio d’istituto dopo aver acquisito la delibera del Collegio dei docenti.

E’ quindi da ritenere che ora lo staff del dirigente, in quanto direttamente o indirettamente funzionale alla realizzazione del PTOF, inglobi sia i due docenti collaboratori (ante) che le altre figure organizzatorie, che dunque andranno tutte remunerate con il predetto fondo, in base a parametri di impegno orario ovvero in misura forfetaria; nel mentre, lo si ricorda, il bonus premiale istituito dalla legge 107 evidenzia e remunera la qualità di prestazioni oltre la soglia contrattualmente esigibile (e pertanto l’accesso all’uno non esclude l’accesso all’altro).

Qualora la RSU e i componenti sindacali dovessero persistere nell’opporre un rifiuto a riconoscere tale diritto a soggetti fiduciari della loro controparte datoriale, con il conseguente protrarsi delle trattative che determini un pregiudizio alla funzionalità dell’azione amministrativa, sempre nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede tra le parti il dirigente scolastico potrà provvedere unilateralmente in via provvisoria fino a quando non si raggiunga l’accordo, dandone contestuale comunicazione all’apposito Osservatorio presso l’ARAN (art. 40, comma 3-ter, D. Lgs. 165/01).

In ogni caso il dirigente scolastico dovrà aver formalizzato nei termini la sua proposta contrattuale, avviato e condotto una trattativa secondo correttezza e buona fede. Non può cioè indursi sbrigativamente all’adozione dell’atto unilaterale allegando, a propria giustificazione, un clima di ostilità e di chiusura nei suoi confronti o difficoltà nelle relazioni sindacali: altrimenti, e giustamente, può incorrere in una pronuncia giudiziale di comportamento antisindacale, come da ultimo statuito dal Giudice del lavoro di Brindisi con provvedimento n. 1852 del 01.08.17.

E, per il momento, crediamo possa bastare.

Disabilità, dal cohousing ai gruppi appartamento: prove di autonomia

da Redattore Sociale del 28-08-2017

Disabilita’, dal cohousing ai gruppi appartamento: prove di autonomia

Bisogna imparare a prendersi cura di sé, fare la spesa, cucinare, riordinare casa, meglio con l’aiuto di educatori o di assistenti. In vista del cosiddetto “dopo di noi. Inchiesta di Superabile.it

ROMA. Esperienze di quotidianità senza mamma e papà: bisogna imparare a prendersi cura di sé, a fare la spesa e la lavatrice, a cucinare, pulire e riordinare casa, meglio con l’aiuto di un educatore se si ha una disabilità intellettiva o di un assistente personale se si ha una disabilità fisica grave. Dal cohousing ai gruppi appartamento fino ai condomini solidali, sono tante le storie e i progetti di distacco familiare in Italia. Prova a raccontarle l’inchiesta “Mamma vado a vivere da solo (o con gli amici)” del numero di agosto del Magazine SuperAbile-Inail.

A Sinalunga (in provincia di Siena) grazie a “I luoghi dell’habitare”, un’iniziativa da otto posti letto realizzata da Asp “Istituto Maria Redditi”, cooperativa sociale Koinè e Istituto di riabilitazione “Madre della Divina Provvidenza” di Arezzo. In Toscana sono cinque le fondazioni che si occupano di “Vai housing”, i progetti per la vita adulta indipendente promossi dalla Regione attraverso le Società della salute dell’Azienda Usl: sono Nuovi giorni e Polis nel fiorentino, Futura dopo di noi a Siena, Il Sole a Grosseto, Dopo di noi nel circondario empolese Valdelsa e Valdarno. Ma esistono altre realtà ancora ben più avviate, come per esempio i progetti di residenzialità della Fondazione italiana verso il futuro di Roma che, con le sue sei case (la prima inaugurata nel lontano 1998), chiamano in causa non solo il tema del crescere ma anche quello dell’invecchiare. “Casa Primula”, infatti, precursore di molte esperienze italiane, attualmente accoglie cinque donne adulte, tra i 45 e i 65 anni, quattro con la sindrome di Down e una con disabilità intellettiva, tutte ospitate nell’appartamento di proprietà di una di queste. Da qualche anno, poi, perfino le singole famiglie si stanno organizzando, grazie al vincolo di destinazione dei beni per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela previsto dall’articolo 2645-ter del Codice civile e citato pure nella nuova legge sul dopo di noi. Proprio in merito a questo tema, infatti, l’Istat ha recentemente stimato che nel nostro Paese ci sono circa 540 mila disabili gravi sotto i 65 anni, il che significa che potrebbero sopravvivere ai propri cari. Tanto vale iniziare a pensarci ora.

Coinquilini con un cromosoma in più. Caterina, Alessandro, Leonardo, Elisa, Giorgia, Christian, Mirko e i due Luca: ecco i protagonisti della web-serie “La squadra di Nicola”. Le riprese, per la regia di Antonio Saracino e con la collaborazione dei giornalisti Emilio Marrese (La Repubblica) e Riccardo Cucchi (Rai), sono state effettuate all’interno di “Casa Fuoricasa”, uno dei sei appartamenti della Fondazione Dopo di noi Bologna dove i ragazzi con trisomia 21 imparano ad abitare con altri coetanei. C’è anche una coppia di fidanzati, Simona e Matteo, che convive stabilmente da due anni e mezzo nella casa di proprietà della famiglia di lei. “ L’idea che portiamo avanti non è solo quella della residenzialità: – commenta Luca Marchi, direttore della Fondazione Dopo di noi –. quello che sosteniamo con forza sono veri e propri progetti di vita, perché il tema non è tanto l’invecchiamento dei genitori delle persone disabili quanto piuttosto il loro diritto all’autodeterminazione, il piacere di sentirsi autonomi. E anche il costo per la collettività, ossia quello a carico del sistema sanitario nazionale, è molto minore”. La Fondazione ha elaborato anche il progetto “Junior House”: una palestra di indipendenza per gli adolescenti (o poco più) realizzata insieme alle associazioni bolognesi Ceps e Grd onlus, “convinti che non sia mai troppo presto per iniziare a cavarsela da soli, fare acquisti, gestire il denaro o ordinare una pizza da asporto”.

Autonomia.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche la cooperativa Vite vere Down Dadi di Padova, che lavora sull’autonomia abitativa dei più giovani a partire dai dodici anni in su. Un ricettario semplificato per cucinare bene, telecamere accese le prime volte che i più piccoli sperimentano il vivere senza mamma e papà, imparare a raggiungere la piscina o il posto di lavoro da soli: ecco l’essenza di “Casa Vela” e “Casa Ponte”, sede rispettivamente dei progetti “Navigando” e “Mettiamo su casa”. Percorsi graduali, in cui aumentano le ore lontano dalla famiglia e diminuisce la presenza dell’educatore, il cui valore sta nella continuità. Attualmente Vite vere Dadi vede coinvolti nei suoi progetti di autonomia abitativa autofinanziati 75 ragazzi Down del padovano, a rotazione, suddivisi in piccoli gruppi. Segno che c’è molta richiesta, “anche da parte delle famiglie dei giovani con disabilità intellettiva, tanto che ci stiamo attrezzando ad allestire un nuovo spazio”.