Esami di Stato 2018 – Materie II Prova scritta

Rese note con il DM 31 gennaio 2018, AOOUFGAB 53, le materie oggetto della seconda prova scritta e quelle affidate ai commissari esterni delle relative commissioni negli Esami di Stato conclusivi dei corsi di studio ordinari e sperimentali di istruzione secondaria di secondo grado per l’a.s. 2017/2018



#Maturità2018, annunciate le materie della seconda prova

Matematica allo Scientifico, Greco al Classico

La Ministra Fedeli firma il decreto

Torna #NoPanic, l’iniziativa del Miur dedicata all’Esame

Greco per il Liceo classico, Matematica per lo Scientifico, Scienze umane  per il Liceo delle Scienze umane, Economia aziendale per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing degli Istituti tecnici, Scienza e cultura dell’alimentazione per l’indirizzo Servizi enogastronomia e ospitalità alberghiera degli Istituti professionali.

Sono alcune delle materie scelte per la seconda prova scritta della Maturità 2018, annunciate oggi sui profili social del MIUR, dopo la firma dell’apposito decreto da parte della Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli. Il post di annuncio delle materie segna anche il ritorno di #NoPanic, l’iniziativa social del MIUR lanciata lo scorso anno per accompagnare con materiali informativi, consigli di esperti e video esplicativi i mesi che precedono la Maturità.

“Alle ragazze e ai ragazzi che affronteranno le prove a giugno faccio un grande in bocca al lupo. So che questo momento era molto atteso, come ogni anno. Si tratta del primo rito ufficiale che apre il percorso che nei prossimi mesi vi condurrà verso l’Esame. Anche quest’anno la macchina della Maturità si è messa in moto per garantire che tutto si svolga nel migliore dei modi: c’è un grande lavoro dietro le prove che svolgerete”. Prosegue la Ministra: “Le materie della seconda prova sono state individuate anche quest’anno scegliendo tra quelle che caratterizzano maggiormente il corso di studi. Ringrazio fin da ora le docenti e i docenti per l’impegno che metteranno nell’accompagnarvi verso l’Esame. Continuate, ogni giorno, a consolidare la vostra preparazione, ad arricchire le vostre conoscenze e competenze. Non solo in vista della Maturità, ma come bagaglio da portare con voi lungo tutto l’arco della vita”.

La #Maturità2018 avrà inizio il prossimo 20 giugno con la prova di Italiano. Il 21 giugno sarà la volta della seconda prova scritta, nella materia caratterizzante ciascun indirizzo. L’elenco completo delle materie scelte per la seconda prova è disponibile da oggi nella sezione dedicata all’Esame di Stato del II ciclo sul sito del MIUR:

http://www.istruzione.it/esame_di_stato/index.shtml.

Questo l’elenco sintetico delle principali materie.

Licei

Le materie scelte per la seconda prova sono: Greco per il Liceo classico; Matematica per lo Scientifico, anche per l’opzione Scienze applicate; Lingua e cultura straniera 1 per il Liceo linguistico; Scienze umane per il Liceo delle Scienze umane, anche per l’opzione Economico sociale; Discipline artistiche e progettuali caratterizzanti l’indirizzo di studi per il Liceo artistico; Teoria, analisi e composizione sarà la materia della seconda prova al Liceo musicale; Tecniche della danza al Liceo coreutico.

Istituti tecnici

Tra le materie scelte per i Tecnici: Economia aziendale per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing; Lingua inglese nell’opzione Relazioni internazionali per il marketing e nell’indirizzo Turismo; Estimo per l’indirizzo Costruzioni, Ambiente e Territorio; Meccanica, macchine ed energia per l’indirizzo Meccanica, Meccatronica ed Energia; Sistemi e reti per l’indirizzo Informatica e telecomunicazioni; Progettazione multimediale per l’indirizzo Grafica e comunicazione; Economia, Estimo, Marketing e legislazione per l’indirizzo Agrario.

Istituti professionali

Tra le materie scelte per i Professionali: Scienza e cultura dell’alimentazione per l’indirizzo Servizi enogastronomia e ospitalità alberghiera, Diritto e tecniche amministrative della struttura ricettiva nell’articolazione Accoglienza turistica; Tecniche professionali dei servizi commerciali per l’indirizzo Servizi commerciali; Tecnica di produzione e di organizzazione nell’indirizzo Produzioni industriali e artigianali – articolazione Industria; Tecnologie e tecniche di installazione e manutenzione per l’indirizzo Manutenzione e Assistenza tecnica.

Le materie affidate ai commissari esterni sono state individuate in modo da assicurare un’equilibrata composizione della Commissione. Sulla pagina del sito del Miur dedicata all’Esame di Stato è disponibile anche l’elenco delle discipline affidate a commissari esterni.

Quest’anno sono oltre 300 gli istituti coinvolti nel Progetto ESABAC  per il rilascio del doppio diploma italiano e francese; tra questi, per la prima volta sono compresi percorsi dell’istruzione tecnica (ESABAC Techno).

“Non voglio stare con gli altri”. E la gita scolastica va in crisi

da La Stampa

“Non voglio stare con gli altri”. E la gita scolastica va in crisi

L’indagine di Skuola.net: sempre meno alunni scelgono il viaggio d’istruzione. Pesano gli scarsi rapporti coi compagni: “A isolarli sono social e smartphone”
Flavia Amabile
roma

Quasi uno studente su 10 ha deciso quest’anno di non partire con i compagni per il campo scuola. Di questi, uno su tre preferisce restare a casa perché non ha voglia di stare con i compagni di classe. Sono i dati dell’ultima indagine effettuata dal sito Skuola.net sui viaggi d’istruzione organizzati dalle scuole italiane. La crisi di questo tipo di attività scolastica è evidente.

L’anno scorso allo stesso sondaggio il 56% degli studenti ha risposto che sarebbe partito. Quest’anno soltanto il 42%, meno della metà degli studenti italiani.

Stavolta però il sito ha aggiunto una domanda che ha permesso di quantificare per la prima volta un fenomeno che, per chi ha a che fare con il mondo della scuola è sempre più evidente, l’incapacità di avere rapporti con i coetanei. «Non mi va di stare con i miei compagni di classe», è la spiegazione fornita dal 30% di coloro che non partiranno per motivi personali. Non c’è un riferimento storico perché la domanda lo scorso anno era stata posta in modo diverso, ma è una percentuale comunque allarmante.

«Chi è stato studente ricorda il viaggio di istruzione come un’occasione attesa non tanto per l’interesse culturale della meta, quanto per passare del tempo insieme al gruppo classe al di fuori del normale contesto scolastico. E chi non si univa al gruppo classe, lo faceva essenzialmente per motivi economici – spiega Daniele Grassucci, co-fondatore e responsabile dei contenuti di Skuola.net -. Oggi questa è la seconda causa di rinuncia. La prima in assoluto è legata allo scarso feeling con i compagni di classe. Un fatto nuovo, che sembra confermare alcuni studi, che associano al sempre maggiore tempo speso sui social una degradazione della capacità di relazionarsi nel mondo reale. Non è raro osservare che gli adolescenti di oggi (ma anche gli adulti), quando stanno insieme in uno stesso luogo fisico non interagiscono tra loro, ma utilizzano lo smartphone» .

Le difficoltà economiche, infatti, impediscono di partire al 28% degli studenti che non partecipano ai viaggi d’istruzione per motivi personali, la paura del terrorismo al 3%, la mancanza di fiducia dei genitori al 6%. Si tratta di viaggi che nella maggior parte dei casi vengono effettuati in pullman (48%), tra marzo e aprile (63%), e costano meno di 400 euro (70%). Una normale gita scolastica, insomma, quella che per gli studenti ha sempre rappresentato il momento più divertente dell’anno e che negli ultimi tempi è un motivo di scontro con i prof che non hanno più voglia di assumersi le mille responsabilità di accompagnare un gruppo di adolescenti senza avere un centesimo in più (il 25% dei ragazzi che non partono perché la scuola non lo consente spiega che il motivo è il mancato consenso dei prof).

E, invece, sono sempre di più i ragazzi che rinunciano. «Sono le distonie emotive – spiega Mario Rusconi del consiglio nazionale dell’Associazione nazionale presidi – che sono in forte aumento tra ragazzi e ragazze. Aumenta l’aggressività adolescenziale e gli episodi di bullismo, perché aumenta il numero di coloro che trascorrono il pomeriggio a casa da soli, senza genitori, con uno smartphone in mano invece di un libro o un pallone in cortile. Vivere nei social significa amplificare le situazioni di conflittualità e creare le condizioni perché nella realtà i rapporti siano sempre più difficili. Le scuole purtroppo non sempre sono in grado di affrontare il problema, perché preferiscono utilizzare i fondi che hanno a disposizione per formazione o per la digitalizzazione, invece che per aprire un servizio psicologico interno».

I genitori: perchè «9» e non «10» a mio figlio? Ma i giudici confermano il giudizio della scuola

da Il Sole 24 Ore

I genitori: perchè «9» e non «10» a mio figlio? Ma i giudici confermano il giudizio della scuola

di Claudio Tucci

Non bastavano gli appalti, le grandi opere, le questioni legate alla sanità come le querelle sui vaccini o quelle legate a insegnanti e graduatorie. Anche il registro scolastico finisce davanti al Tar.

Il Tar Palermo
Il caso dei genitori di un alunno di Canicattì che si sono rivolti ai giudici amministrativi insoddisfatti di un “ottimo” e invocando un “eccellente”, è emblematico. Si tratta di un ragazzo delle medie che, alla fine del percorso di studio e dopo gli esami di scuola media, ha ottenuto dalla commissione un ottimo. Non abbastanza per i genitori, una coppia di Canicattì, nell’agrigentino, che ha presentato un ricorso al Tar di Palermo. La coppia ha chiesto ai giudici di annullare il verbale dei giudizi sulle prove di esame della scuola Giovanni Verga e consentire al figlio di ottenere un più meritato eccellente: dieci su dieci. Ma il ricorso è stato respinto, con la motivazione, dopo aver ricordato i voti dell’alunno, che il giudizio finale di 9/10 si presenta «coerente con quelli di ammissione e con quelli conseguiti nelle prove d’esame, tanto più che il voto di 10/10 presuppone il raggiungimento dell’eccellenza in tutte le prove – proseguono i giudici nella sentenza – Sotto questo profilo, valga, in particolare, il riferimento fatto nei giudizi sulle lingue straniere (inglese e francese) alla circostanza che l’elaborato era “per lo più” e non “totalmente” corretto». I genitori sono stati condannati a pagare le spese legali quantificate in mille euro.

Altri precedenti
Il punto è che contenziosi come questi non sono poi tanto infrequenti nel mondo della scuola. E le parole pronunciate ieri dal presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, all’inaugurazione dell’anno giudiziario amministrativo, sono eloquenti: c’è una «difficoltà di accettare la decisione dell’autorità» che «trova ulteriore espressione nei ricorsi con cui talvolta i genitori contestano la bocciatura dei propri figli a scuola». Del resto, basta scorrere le sentenze depositate nei mesi scorsi per avere un’idea. Il Tar Sicilia, per esempio, ha respinto il ricorso dei genitori di una ragazza iscritta alle medie, contestando la bocciatura. La sentenza, però, non lascia dubbi: «il giudizio di non ammissione dell’alunna alla classe successiva risulta ampiamente e adeguatamente motivato in ragione del numero delle assenze» e anche «a prescindere dalle assenze, i voti conseguiti durante l’anno (e non contestati) non consentirebbero il superamento dello scrutinio finale». Stessa sorte a Termoli (Campobasso) per il ricorso della mamma di uno studente dell’ultimo anno delle medie. E non è andata meglio a una studentessa di un istituto magistrale con «gravi insufficienze in fisica, inglese e matematica/informatica» e «lacune nella preparazione di base di alcune discipline»: il suo tentativo di vedersi ammessa, facendo leva su una «disparità di trattamento», non ha fatto breccia nei giudici di Firenze.

Ricorsi arretrati sotto assedio

da Il Sole 24 Ore

Ricorsi arretrati sotto assedio

di Antonello Cherchi

Tar e Consiglio di Stato devono autoriformarsi. Concetto che Alessandro Pajno, presidente del Consiglio di Stato, aveva già affermato l’anno scorso e ha ribadito ieri nella relazione di apertura dell’anno giudiziario della giustizia amministrativa, al cospetto del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La strategia di rilancio inizia a dare frutti: continuano a calare i ricorsi pendenti (-12% nel 2017); sta per partire un nuovo programma di aggressione dell’arretrato che con le sezioni stralcio coinvolgerà venti Tar e due sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato; il processo telematico sta andando a regime; i vuoti di organico si stanno ripianando; il lavoro consultivo nei confronti degli atti del Governo si è fatto più serrato grazie alle commissioni speciali, che hanno lavorato soprattutto sulla riforma Madia della pubblica amministrazione e sul codice degli appalti.

È però soprattutto nella cultura dei magistrati che deve avvenire il cambio di passo. «I nostri tempi richiedono al giudice – ha affermato Pajno – una cultura che afferma rigorosamente i diritti dei cittadini nei confronti del potere e che nello stesso tempo si dà carico della complessità sociale, consapevole del ruolo che la sua pronuncia verrà ad avere».

Un giudice «conscio del fatto che il pluralismo e l’economia globale sono le cifre della contemporaneità». Un giudice «non autoreferenziale, non innamorato soltanto delle proprie procedure e dei propri giudizi, ma aperto alla complessità dell’intero sistema giurisdizionale» e in grado di cogliere i segni del cambiamento.

Sono tempi in cui, non solo nel nostro Paese, «sembrano risorgere i fantasmi della razza, della discriminazione, dei muri chiamati a proteggere dall’accoglienza». «L’incertezza per il futuro è divenuta nostalgia del passato» e – ha detto il presidente del Consiglio di Stato – avanza «l’illusione di risolvere problemi generali e globali con il ritorno al primato degli Stati nazionali».

La Costituzione – di cui Pajno ha ricordato i 70 anni – può aiutare a evitare quegli errori, così come il dolore e la vergogna delle leggi razziali promulgate 80 anni fa.

Contraddizione, smarrimento e crisi sono le parole d’ordine del nostro tempo. Anche la giurisdizione risente di tale situazione. La crisi della politica, con la mancanza di chiarezza delle leggi, ha riversato sul giudice la composizione del conflitto tra i valori. Nelle aule dei tribunali si trasferiscono le ragioni della crisi: per esempio, i motivi del precariato hanno determinato un aumento del contenzioso della scuola, a partire dai diplomati magistrali,

Il giudice amministrativo è, inoltre, chiamato a bilanciare le esigenze dell’ambiente e quelle dello sviluppo economico, decidendo sulla realizzazione di gasdotti, oleodotti, tratti autostradali e altre grandi opere di interesse nazionale.

Il lavoro di riposizionamento della giustizia amministrativa non è stato di certo aiutato dalla vicenda della destituzione del consigliere di Stato Francesco Bellomo, direttore di una scuola di magistratura accusato di comportamenti poco consoni al ruolo di giudice. Pajno ha rivendicato l’attenzione avuta sulla vicenda dall’organo di autogoverno ma ha al tempo stesso puntato il dito contro un «procedimento disciplinare estremamente farraginoso, regolato da norme obsolete»..

Bisogna, inoltre, intervenire sul «controverso tema delle scuole» di preparazione ai concorsi in magistratura: in particolare, è necessario «un profondo ripensamento della materia» riguardo agli incarichi extragiudiziari dei magistrati, che in quelle scuole insegnano.

Critici gli avvocati amministrativisti: «Ancora una volta si è aperto l’anno giudiziario senza darci voce», ha affermato Umberto Fantigrossi, presidente dell’Unione nazionale della categoria.

Parte l’Osservatorio sull’alternanza

da Il Sole 24 Ore

Parte l’Osservatorio sull’alternanza

di Claudio Tucci

Un Osservatorio per monitorare la qualità della formazione “on the job”. Lo ha costituito la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, con l’obiettivo di accompagnare l’attuazione dell’alternanza resa curriculare dalla legge 107 in tutti i percorsi delle superiori (almeno 400 ore negli ultimi tre anni degli istituti tecnici e professionali; almeno 200 ore nei licei). Il lavoro dell’Osservatorio servirà a garantire esperienze formative sempre più qualificanti agli studenti.

Fedeli: l’alternanza è innovazione didattica importante
«L’alternanza scuola-lavoro è un’innovazione didattica importante. È un modo nuovo di fare scuola perché permette di unire il sapere, le conoscenze acquisite sui banchi, con il saper fare, le conoscenze e le competenze acquisite con l’esperienza pratica», sottolinea la Ministra Fedeli.

L’Osservatorio
L’Osservatorio «avrà un ruolo centrale nel monitoraggio: metterà intorno ad un tavolo tutti gli attori coinvolti, a partire dagli studenti e dai loro docenti e dirigenti scolastici. Ovvero coloro che vivono e attuano l’alternanza – prosegue Fedeli. L’Osservatorio sarà un luogo di dibattito e confronto, ma sarà anche molto operativo: ogni sei mesi prevediamo un report sullo stato di attuazione dell’alternanza, con un’attenzione specifica agli obiettivi qualitativi, oltre che quantitativi. Vogliamo favorire il continuo miglioramento di questi percorsi, la crescita e lo sviluppo costante di queste esperienze formative, mettendo davvero al centro i ragazzi». L’Osservatorio seguirà anche l’aggiornamento della Guida operativa per le scuole e suggerirà Linee guida in relazione ai protocolli di intesa sull’alternanza. Sarà composto da 25 componenti che saranno individuati tra i rappresentanti degli studenti, dei docenti, dei dirigenti scolastici, dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, della Conferenza delle Regioni e delle imprese e tra i dirigenti e i funzionari del Miur. I lavori saranno coordinati da un esperto individuato dalla ministra Fedeli e potranno essere aperti di volta in volta anche ad esperti di istituzioni formative e di ricerca, imprese, associazioni, per un eventuale loro contributo.

In Italia solo il 20% degli studenti svantaggiati «se la cava» a scuola

da Il Sole 24 Ore

In Italia solo il 20% degli studenti svantaggiati «se la cava» a scuola

di Giuliana Licini

In Italia solo uno studente svantaggiato su cinque “se la cava” a scuola, cioè raggiunge almeno il livello medio di competenze scolastiche in matematica, lettura e scienze. È
quanto emerge da uno studio dell’Ocse, che vede la Penisola nella parte bassa della classifica dei 35 Paesi industrializzati per i risultati scolastici dei 15enni con un background difficile. Da noi i ragazzi che vengono definiti “resilienti”, ovvero con un buon rendimento scolastico nonostante un contesto problematico, nel 2015 erano solo il 20% degli studenti socio-economicamente svantaggiati.

La resilienza
Tecnicamente si tratta di ragazzi che hanno raggiunto almeno il livello 3 sui 6 dei test Pisa-Invalsi (laddove il 6 è l’eccellenza). E’ un dato inferiore sia a quello del 2012 quando erano il 24,7% sia al 2009 (22,7%), per quanto superiore al 15,8% del 2006. In media nell’Ocse gli studenti resilienti nel 2015 erano il 25%, ovvero uno su quattro, ma con grandi variazioni tra i Paesi membri. La resilienza – spiega l’Ocse – cerca di catturare la capacità di un ragazzo di padroneggiare quell’insieme di competenze e abilità «essenziali a partecipare pienamente alla società e avere buone chance di successo sul mercato del lavoro». Come sottolinea lo studio, «la percentuale degli studenti resilienti può essere un indicatore della qualità e dell’equità di un sistema di istruzione».

I Paesi meglio attrezzati
Gli Stati che hanno un’alta percentuale di studenti resilienti sono in effetti anche quelli che ottengono i risultati migliori nei test Pisa (dove l’Italia è in coda) e di solito hanno anche i più alti livelli di equità. La proporzione più alta di studenti resilienti, tra tutti i 67 Paesi analizzati (anche non-Ocse) dallo studio, si trova in Cina a Hong Kong (53%) e Macao (52%), mentre sul fronte opposto ci sono Algeria, Perù, Tunisia e Kosovo con meno dell’1% degli studenti. Tra i Paesi industrializzati le percentuali più alte si trovano in Estonia (42%), Giappone e Canada (40%), Finlandia (39%), Corea (37%), Olanda (33%), Germania, Irlanda, Norvegia, Slovenia (32%) e Danimarca (31%). La Francia è al 24%, la Gran
Bretagna al 28%, la Svizzera al 27% e gli Stati Uniti al 22 per cento. La maglia nera Ocse va al Messico con il 3,5%, ma sono ridotte anche le percentuali di Turchia e Cile (7%), Ungheria
(14%) e Grecia (15%).

La posizione italiana
L’Italia staziona verso il fondo classifica, al 26esimo posto, che è più o meno anche la posizione in cui si trova nei testi Pisa. Lo studio sottolinea che gli studenti resilienti si trovano più spesso in scuole caratterizzate da buone e forti relazioni tra insegnanti e studenti, un solido sostegno da parte dei professori ai ragazzi, un forte focus nell’apprendimento dello studenti e dove c’è, nell’insieme, un positivo clima disciplinare. Clima che in generale è migliore dove c’è un basso turn-over di insegnanti e dove i dirigenti scolastici riescono a motivare gli insegnanti a perseguire gli obiettivi didattici. Tutte caratteristiche che servono per contrastare alcuni dei rischi alla povertà, quali l’alto tasso di
abbandono degli studi, le ridotte percentuali di accesso all’università e una bassa autostima. Al tempo stesso, i ragazzi svantaggiati che frequentano scuole con compagni avvantaggiati riescono più facilmente ad ottenere buoni risultati accademici e quindi a essere “resilienti”. Per contro è minore di quanto si creda il ruolo delle attività extra-curriculari offerte dagli istituti. Quindi, per dare una vera chance a scuola anche ai ragazzi che partono meno fortunati è importante soprattutto il clima dentro la classe e dentro la scuola.

Scuola, chi lascia costa 27 miliardi

da Corriere della sera

Scuola, chi lascia costa 27 miliardi

Dieci anni di abbandoni

Gian Antonio Stella

Ventisette miliardi e mezzo di euro: ecco quanto ci è costato negli ultimi anni l’abbandono di studenti nella Scuola pubblica. Sono tantissimi, 27,5 miliardi. Due volte e mezzo il costo del tunnel della Manica. Eppure il tema, che dovrebbe far tremar le vene a ogni uomo di governo, è quasi assente in campagna elettorale. Un milione e ottocentomila ragazzi hanno mollato? Vabbè …

C erto, è tutto il sistema Scuola a essere trascurato. Lo denunciava giorni fa, sul Corriere , Marco Imarisio: «In campagna elettorale c’è anche lei, ogni tanto fa qualche fugace apparizione, ma sempre in secondo piano. Non si vede, non si sente. Dal rumore di fondo che ci accompagnerà fino al 4 marzo emerge un dato chiaro. La Scuola non è una priorità». Come se «investire maggiore attenzione e risorse nella Scuola non significasse investire sul nostro futuro».

Si può misurare, quel prezioso investimento. Si tratta, come spiega un’inchiesta di TuttoScuola in uscita oggi, di quasi settemila euro (per l’esattezza 6.914,31) che lo Stato impegna ogni anno (la fonte: Education at a glance OECD ) per ogni studente delle «secondarie superiori». C’è chi lascia subito, un anno dopo essersi iscritto, chi dopo due o tre o quattro… Per non dire dello spreco di chi butta via tanti soldi e tanta fatica alla vigilia della maturità. Come lo sciagurato Gigio Donnarumma che mesi fa, dando un pessimo esempio a tutti i ragazzi della sua età, scelse di rinunciare al diploma di ragioniere per volare alle spiagge di Ibiza con un aereo privato messo a disposizione dal suo cattivo maestro, Mino «Lucignolo» Raiola.

Fatto sta che, tirate le somme, i ragazzi che hanno mollato gli studi nell’ultimo decennio nel sistema scolastico statale, stando ai calcoli di TuttoScuola su dati del Miur sono stati 1.744.142. Un 28,5% «disperso, non pervenuto, “fumato” dal sistema di istruzione statale». Quelli che hanno abbandonato, dice il dossier, hanno lasciato in media dopo poco più di due anni: per l’esattezza 2,3. Risultato: hanno gettato tutti insieme l’equivalente di 27.438.139.345 euro. Una somma immensa. Ma niente, accusa la rivista di Giovanni Vinciguerra, «rispetto al costo sociale per le vite “segnate” di questi ragazzi senza istruzione e quindi in larga parte senza futuro».

Per capirci, «se è difficile trovare lavoro per chi ha raggiunto solo il diploma secondario superiore (il 28% rimane disoccupato), figurarsi quali sono le prospettive di coloro che neanche ci arrivano. Non a caso ben il 45% di coloro che sono in possesso della sola licenza media sono disoccupati». Ed è difficile purtroppo, insiste il dossier, «che non tocchi lo stesso destino ai “fuoriusciti” dalla Scuolastatale degli ultimi dieci anni».

«Non c’era stato appena spiegato che la dispersione è in calo?», chiederanno i lettori più attenti. Sì, e il nuovo studio lo conferma. Lo stesso TuttoScuola pubblicava due settimane fa la notizia che, pur restando «forti squilibri territoriali», la Cabina di regia ministeriale istituita da Valeria Fedeli e guidata da Marco Rossi Doria scriveva che «cala la dispersione scolastica, con un tasso del 13,8% di coloro che abbandonano precocemente gli studi (dato 2016) contro il 20,8% di dieci anni fa. L’Italia si avvicina dunque all’obiettivo Europa 2020, al raggiungimento del livello del 10%». Dati ufficiali.

Quei dati però, per esser paragonabili agli altri numeri Eurostat (ogni Paese ha sistemi scolastici diversi) si riferiscono «a tutto l’insieme» del settore, compresi i corsi professionali o i corsi di recupero di istituti privati, in base a un indice «early school leavers, che fa riferimento alla quota dei giovani dai 18 ai 24 anni d’età». Ma è «uno» degli indicatori. «Il nostro», spiega la rivista, è «un indicatore empirico, di immediata comprensione, che misura la differenza tra il numero di iscritti all’ultimo anno delle superiori e quelli al primo anno di 5 anni prima. Non a campione, ma su numeri reali del Miur».

E i numeri reali per il sistema scolastico «statale», insiste, sono questi: «In Sardegna nell’ultimo quinquennio (dall’anno scolastico 2013-14, ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, all’anno in corso 2017-18, quindi non un’era fa) si sono dispersi nella Scuola statale il 47,1% degli studenti degli istituti professionali e il 31,7% degli istituti tecnici, in Sicilia rispettivamente il 42,7% e il 29,7%. In Toscana il 32,7% degli studenti degli istituti professionali ha abbandonato: uno su tre». A farla corta: «Sono, ancora una volta, gli studenti dei professionali a far registrare, con il 32,1%, il più elevato tasso di abbandono». C’è un miglioramento, «ma la situazione resta drammatica».

Lì è il problema forse oggi più vistoso, scriveva due settimane fa il nostro Dario Di Vico: «Sembra incredibile che nel Paese dei Neet e con un tasso di disoccupazione giovanile al 32,7% gli imprenditori non trovino giovani da assumere». Penuria soprattutto di figure professionali. «Le aziende del Friuli Venezia Giulia si lamentano di avere pochi giovani che escono dalle scuole tecniche e “troppi liceali” e stiamo parlando comunque di una fase precedente al 4.0, che renderà ancora più grave la carenza di figure specializzate». E questo perfino in una regione dove la dispersione negli istituti professionali risulta «solo» dell’11,4%.

La realtà è così pesante che gran parte della campagna elettorale dovrebbe essere centrata lì. È vero, sono problemi complessi, «ma almeno parlarne, vivaddio, spiegare come si intenderebbe affrontarli…». Macché. Dice tutto una ricerca nell’archivio dell’Ansa, che non sarà la Bibbia ma aiuta a capire. Nell’ultimo anno, speso in gran parte da tutti per preparare l’Armageddon della campagna elettorale, sapete quante volte Matteo Renzi ha parlato della dispersione scolastica? Risposta dall’archivio: zero. E Silvio Berlusconi? Zero. Matteo Salvini? Zero. Giorgia Meloni? Zero. Luigi Di Maio? Zero. Pietro Grasso? Una volta: «Il problema delle baby gang nelle città e nelle periferie viene dalla disattenzione al fenomeno della dispersione scolastica». Evviva. Sarà stata una coincidenza, ma era proprio la mattina in cui il Corriere aveva sollevato il tema…

Contratto scuola, ultimo appello

da ItaliaOggi

Contratto scuola, ultimo appello

Trattativa in stallo sui 200 milioni del bonus merito di Renzi e sulle sanzioni disciplinari. Pressing su Palazzo Chigi. Enti locali pronti al subentro

Alessandra Ricciardi

Saltato il calendario iniziale, che prevedeva la firma già per metà gennaio, più si va avanti e più aumenta il rischio che il contratto vada a dopo il 4 marzo. Una consapevolezza che i sindacati condividono con l’agenzia governativa per la contrattazione nel pubblico impiego.

Le trattative per il rinnovo del contratto del mega comparto di scuola, università e ricerca si sono arenate su due punti chiave: i 200 milioni del merito, il cosiddetto bonus della Buona scuola di Matteo Renzi, e le sanzioni disciplinari. Sul primo punto i sindacati chiedono che il fondo sia distolto dall’attribuzione discrezionale dei dirigenti scolastici, che ha visto premiare un docente di ruolo su tre, per essere assegnato sullo stipendio tabellare; per le sanzioni disciplinari, hanno ritenuto irricevibile la proposta di prevedere anche per gli insegnanti il sistema sanzionatorio, comprese le sospensioni fino a dieci giorni, che farebbero perno sul preside, così come avviene già per il personale ausiliario tecnico e amministrativo.

Le aperture contenute nell’integrazione all’atto di indirizzo, che, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, il Mef ha licenziato, sarebbero insufficienti. A parere dell’Aran, l’agenzia governativa per la contrattazione nel pubblico impiego, la nuova direttiva non consentirebbe di accogliere le richieste delle sigle. Servirebbe una modifica normativa su entrambi i punti. La sola contrattazione a livello nazionale dei criteri a cui i dirigenti dovrebbero attenersi nell’assegnare i premi, a cui l’Agenzia ha aperto, è stata ritenuta non risolutiva dai sindacati. Che hanno rilanciato chiedendo che invece i 200 milioni siano considerati a pieno salario accessorio. Entrando così a far parte dello stipendio in senso stretto.

La questione è stata rinviata al livello politico: è la ministra dell’istruzione Valeria Fedeli, e indirettamente lo stesso premier Paolo Gentiloni a cui i sindacati si sono appellati perché si possa procedere alla chiusura del tavolo e alla firma del contratto, che dovrà dire fin dove si può spingere in via interpretativa l’Aran. Sul bonus merito ma anche sulle sanzioni disciplinari.

Non giova in questo quadro che la campagna elettorale sia ormai entrata nel vivo: la scuola è bacino elettorale sensibile, una volta appannaggio del centrosinistra, ora incline all’astensionismo e con forti interessi verso il Movimento5Stelle. Una situazione che rende dunque delicato sciogliere i punti chiave della trattativa. Visto che infatti la soluzione non può essere solo tecnica, è la politica che deve farsene carico.

Intanto il comparto degli enti locali si sta portando avanti anche sul fronte del reperimento delle maggiori risorse richieste per assicurare gli aumenti mensili degli 85 euro. E a questo punto non è più escluso che, dopo lo stato e le forze dell’ordine, possa essere il prossimo comparto che rinnova il contratto al termine di nove anni di blocco. Questa settimana, comunque, assicurano da viale Trastevere, sarà decisiva per capire come si chiuderà la partita della scuola che interessa oltre un milione di dipendenti pubblici. Mentre cresce il pressing dei sindacati seduti al tavolo perché, con responsabilità, si chiuda il contratto a cui sono demandati capitoli importanti, economici ma anche normativi, che altrimenti resterebbero in sospeso.

Ma il decreto Madia non aiuta Ecco perché il contratto è in stand-by

da ItaliaOggi

Ma il decreto Madia non aiuta Ecco perché il contratto è in stand-by

L’Aran ha sospeso le convocazioni, i nodi da sciogliere

Marco Nobilio

Contratto scuola, trattative in stand by. La settimana scorsa l’Aran si è astenuta dal convocare i sindacati. Perché sarebbero ancora tutti da sciogliere i nodi che sono venuti fuori al tavolo negoziale durante le trattative che si sono svolte nella settimana precedente. E riguardano praticamente tutte le questioni più importanti: relazioni sindacali, retribuzioni, sanzioni disciplinari.

Sulle relazioni sindacali le sigle hanno chiesto il mantenimento delle garanzie attuali per quanto riguarda la mobilità, compresa la possibilità di continuare ad accedere alle utilizzazioni e alle assegnazioni provvisorie. E anche il ripristino della contrattazione di istituto sulle materie che riguardano la scansione dell’orario di lavoro. Su quest’ultimo punto l’Aran ha espresso un netto no, spiegando che si tratta di materie che ormai non sarebbero più contrattualizzate perché rientrerebbero nelle competenze gestionali e amministrative dei dirigenti scolastici.

Sulla mobilità invece, sembrerebbero esserci alcuni spiragli. Anche perché, in piena vigenza della legge 107/2015, le parti hanno continuato a sottoscrivere accordi su tutte queste materie. Accordi legittimi che hanno recepito il sistema degli ambiti e della chiamata diretta. In buona sostanza, dunque, non vi sarebbero ostacoli di natura giuridica per mantenere in piedi l’attuale disciplina negoziale.

Sulla questione delle retribuzioni sembrerebbero permanere ostacoli di non poco conto. Le organizzazioni sindacali hanno chiesto che i soldi del bonus per il merito, 200 milioni, siano spostati sulla retribuzione accessoria. Il problema da superare è di natura giuridica. I fondi del merito hanno una destinazione d’uso vincolata espressamente prevista dalla legge 107/2015. Che non ne prevede la contrattualizzazione, sebbene qualifichi i relativi emolumenti alla stregua di compenso accessorio. Pertanto, è da escludere che, in assenza di un provvedimento legislativo, le relative somme possano essere spostate sullo stipendio tabellare. Resta il fatto, però, che il bonus del merito è qualificato come compenso accessorio. E in tale veste, con uno sforzo interpretativo, potrebbe essere utilizzato per incrementare i fondi della retribuzione professionale docente: una voce stipendiale, diversa dallo stipendio tabellare, che rientra nel genus del compenso accessorio.

Ma il governo non sembra abbia interesse ad autorizzare questo cambio di destinazione d’uso dei fondi. Al massimo sarebbe disponibile a contrattualizzare i criteri per l’attribuzione del bonus. Una proposta che, però, scontenta i sindacati.

E poi c’è la questione delle sanzioni disciplinari dei docenti. Il governo vorrebbe estendere la competenza dei dirigenti scolastici fino alla possibilità di infliggere ai docenti la sanzione della sospensione fino a 10 giorni. Tanto si evince anche dal decreto Madia, che contiene al suo interno un comma specifico, il quale prevede che nella scuola il dirigente potrebbe applicare anche questa sanzione. Ciò in deroga alla normativa generale del pubblico impiego, laddove i dirigenti non possono andare oltre il rimprovero.

Per il personale Ata è già così. Ma per i docenti sarebbe una novità. Novità che, peraltro, incontra un ostacolo insormontabile proprio nel decreto Madia. Che preclude alla contrattazione collettiva la possibilità di derogare le norme di legge in materia di sanzioni disciplinari. Nel caso specifico si tratterebbe di una deroga da apportare al decreto legislativo 297/94 che, per i docenti, prevede sanzioni più pesanti della sospensione fino a 10 giorni. E quindi la competenza dell’ufficio scolastico in luogo di quella del dirigente. Sulla inderogabilità di queste disposizioni, peraltro, il governo si è espresso in modo chiaro fin dai tempi della riforma Brunetta. Il decreto legislativo 150/2009, infatti, ha abrogato espressamente solo le norme procedurali sul procedimenti disciplinare previste dal decreto 297, ma ha lasciato intatte le sanzioni disciplinari dei docenti in esso previste.

Pertanto, se nel contratto dovesse essere prevista la possibilità per i docenti di essere sospesi dai dirigenti scolastici, la relativa clausola risulterebbe nulla. E proprio per effetto delle previsioni contenute nel decreto legislativo 165/2001, la nullità della clausola sulla sospensione fino a 10 giorni per i docenti comporterebbe la sua automatica sostituzione con la norma di legge con cui contrasterebbe. Nel caso specifico: la norma del testo unico che prevede la sospensione fino a un mese. Su questa materia, peraltro, i sindacati hanno espresso la loro contrarietà anche nel merito, facendo presente che la terzietà del giudizio disciplinare serve a garantire la libertà di insegnamento, principio di rilevanza costituzionale posto proprio nell’interesse dell’utenza. Rischio fatto rilevare a suo tempo anche dal ministero dell’istruzione nella circolare 88/2010, al quale chiarisce che l’esercizio del potere disciplinare deve essere «rivolto alla repressione di condotte antidoverose e non a sindacare, neppure indirettamente, l’autonomia della funzione docente».

Rsu, l’Aran detta le nuove regole

da ItaliaOggi

Rsu, l’Aran detta le nuove regole

l vademecum per eleggere le rappresentanze sindacali unitarie, il voto dal 17 al 19 aprile

Carlo Forte

Un vademecum per le elezioni delle Rsu che si terranno dal 17 al 19 aprile prossimo in tutte le scuole. Lo ha diffuso l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) con una circolare emanata il 26 gennaio scorso (prot. 0000931 disponibile sul sito: aranagenzia.it). L’agenzia ha spiegato che le elezioni si svolgeranno contemporaneamente in tutte le amministrazioni dei vari comparti e che in nessun caso potranno essere rinviate per motivi organizzativi locali. Il 17 aprile dovrà essere destinato dalle commissioni all’insediamento del seggio elettorale e contestualmente inizieranno le operazioni di voto. Le commissioni dovranno anche definire l’orario di apertura e chiusura giornaliera dei seggi e, in particolare, quello del 19 aprile, ultimo giorno di votazione. L’orario dovrà essere reso noto con pubblicità preventiva a tutti gli elettori attraverso l’affissione all’albo dell’amministrazione.

Lo scrutinio dovrà avvenire necessariamente il 20 aprile. A prescindere dalla data di costituzione, il termine di validità di tutte le Rsu è da intendersi decorso. Pertanto le procedure elettorali dovranno tenersi in tutte le scuole. Anche nelle scuole dove le Rsu siano state elette tardivamente a seguito della caducazione della Rsu precedentemente in carica.

Ogni istituzione scolastica andrà intesa come collegio unico a prescindere dalla suddivsione della stessa in plessi e sedi staccate. Pertanto, tutti i lavoratori dell’istituzione scolastica di riferimento eleggeranno lo stesso collegio di Rsu, fermo restando che potranno essere costituiti anche più seggi elettorali all’interno della medesima istituzione scolastica.

L’accesso all’elettorato passivo, vale a dire alla possibilità di candidarsi, sarà consentito a tutto il personale in servizio con contratto a tempo indeterminato, anche se con contratto a tempo parziale e ai supplenti titolari di incarichi con termina fino al 31 agosto oppure fino al 30 giugno. Non potranno condidarsi, invece, i supplenti titolari di contratto di supplenza breve.

L’accesso alle candidature non sarà consentito ai presentatori di lista, ai dirigenti e ai dipendenti scolastici in posizione di comando o fuori ruolo presso altre amministrazioni. Sarà possibile condidarsi in una sola lista. In caso di doppia candidatura, l’interessato, previo invito scritto della commissione elettorale, dovrà optare per una sola sede. In mancanza di tale atto il dipendente sarà escluso dalla competizione elettorale. La lista dovrà essere presentata da un dirigente sindacale, che dovrà essere un dipendente del comparto o da un suo delegato, sempre dipendente del comparto dove la lista viene presentata. La posta in palio è il diritto di accesso alla contrattazione collettiva e alle prerogative sindacali (distacchi e permessi sindacali) che si consegue quando il tasso di rappresentatività del singolo sindacato non risulti inferiore al 5%. La percentuale si calcola facendo la media tra il numero degli iscritti e dei voti conseguiti alle elezioni delle Rsu: metà per il numero degli iscritti e l’altra metà per il voti alle Rsu. La normativa di riferimento è contenuta nell’art. 43 del decreto legislativo 165/2001. In particolare, il comma 1 dispone che « l’Aran ammette alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tal fine la media tra il dato associativo e il dato elettorale».

Allo stato attuale, nel comparto istruzione, università e ricerca, di cui fa parte la scuola, i sindacati rappresentativi sono 5: Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams. La rilevazione del dato elettorale avviene, di norma, ogni tre anni. Quello dell’ultima tornata, che è avvenuta nel 2015, però, è stato ufficializzato solo il 4 dicembre scorso. Il ritardo è dovuto al fatto che, nel frattempo le regole del gioco sono in gran parte mutate. Il legislatore, infatti, ha disposto la riduzione del numero dei comparti di contrattazione. E ciò ha determinato l’accorpamento dei comparti scuola, Afam (conservatori, accademie), università e ricerca in un comparto unico. L’accorpamento ha determinato la necessità di adeguare il contratto quadro sulle prerogative sindacali alla nuova situazione. E le trattative sono durate quasi tre anni: esattamente il tempo di validità dei voti Rsu le cui elezioni si rifanno ogni tre anni.

E dunque, i sindacati che hanno ottenuto meno voti nell’ultima tornata elettorale hanno continuato a fruire di un numero di distacchi e permessi che, se le rilevazioni fossero state effettuate con i nuovi dati, sarebbero spettati ad altre organizzazioni che nell’ultima tornata del 2015 avevano ottenuto un risultato migliore. Ciò vale solo per il dato elettorale, che si rinnova ogni tre anni. Il dato relativo al numero degli iscritti, invece, viene ricalcolato anno per anno. Dunque, la tardività dell’applicazione dei dati aggiornati ha assunto rilievo solo e per il 50% del tasso di rappresentatività: quello legato al dato elettorale.

Nuovi istituti professionali, il Cspi accusa: partenza al buio E i sindacati fanno quadrato: meglio rinviare la riforma

da ItaliaOggi

Nuovi istituti professionali, il Cspi accusa: partenza al buio E i sindacati fanno quadrato: meglio rinviare la riforma

Il parere alla ministra sul regolamento: troppa fretta, le famiglie non sono state informate

Emanuela Micucci

Rinviare la riforma di un anno. Al consiglio superiore della pubblica istruzione (Cspi) i sindacati fanno quadrato e accusano una tempistica troppo stretta per l’avvio a settembre dei nuovi percorsi di istruzione professionale, previsto dal decreto legislativo n. 61/2017. Riuscendo così, a far approvare, il 18 gennaio, un parere sullo schema dei regolamento dei nuovi percorsi di istruzione professionale che da una parte «condivide l’obiettivo di rilancio e rivalutazione dell’istruzione professionale», ma dall’altra «ritiene opportuno un rinvio dell’attuazione del provvedimento » per «i tempi troppo compressi».

Per il Cpsi, infatti, gli istituti professionali, in molte regioni si troveranno nelle condizioni di non garantire alle famiglie che intendano iscrivere i figli nell’anno scolastico 2018/19 sia una scelta consapevole sia la possibilità di conseguire all’interno del percorso di studi la qualifica triennale. Occorrono ulteriori provvedimenti ministeriali che dovranno essere emanati nei prossimi mesi. Così come non è possibile stipulare i necessari accordi con gli usr sia alle scuole vogliano attivare in via sussidiaria corsi di IeFp, sia per il nuovo indirizzo «Gestione delle acque e risanamento ambientale». Inoltre, le necessarie attività di formazione del personale saranno difficilmente realizzabili in tempo utile. Mentre il cambiamento del paradigma didattico e l’introduzione di un progetto formativo individuale richiedano un forte investimento in organici e in risorse (Mof, laboratori e strutture di contesto).

Contraria al rinvio l’Anp, che sottolinea come «ancora una volta, purtroppo, il Consiglio ha evidenziato la sua impostazione ideologica e conservatrice rispetto ad ogni proposta di cambiamento». «L’esperienza ci dice che quando si rinvia si tende ad affossare, cancellare e dimenticare. In questo caso, poi, va ricordato che la legge ha già previsto cospicui investimenti». Tira dritto il Miur pubblicando online materiali e documenti sui nuovi istituti professionali in vista del rush finale delle iscrizioni al prossimo anno scolastico.

Il Cpsi ha espresso anche una serie di rilievi al merito del provvedimento. In particolare, la preoccupazione che i nuovi percorsi professionali siano troppo sbilanciati a inseguire i cambiamenti tecnologici collegati al mondo del lavoro piuttosto che a garantire una formazione qualificata ed idonea ad affrontare anche i cambiamenti del mercato del lavoro. Ha sottolineato la necessità di introdurre nuove metodologie didattiche che inducano gli studenti a cogliere la validità delle teorie e dei paradigmi astratti, partendo dalla osservazione della realtà.

L’organo consultivo della ministra Valeria Fedeli evidenziato l’importanza che l’istruzione professionale rimanga strettamente connessa all’istruzione tecnica, legame che ha prodotto esperienze virtuose come i Poli Tecnico-professionali, evitando il rischio che si produca una negativa e anacronistica separazione tra le due filiere di istruzione. Mentre condivide la necessita di una personalizzazione dei percorsi formativi e l’importanza della funzione tutoriale per orientare, sostenere e accompagnare il percorso di studi di ogni studente e favorire anche un lavoro comune tra i docenti.

Allarme Ue, al 44% dei giovani mancano le competenze digitali anche di base

da ItaliaOggi

Allarme Ue, al 44% dei giovani mancano le competenze digitali anche di base

La commissione europea ha stilato un programma in 11 punti

Angela Iuliano

Con il nuovo Piano Ue l’intelligenza artificiale entra a scuola. Ne hanno discusso ministri, esperti e leader aziendali dell’Unione europea nel primo Vertice europeo sull’istruzione, il 25 gennaio, a Bruxelles. «Guardando al futuro dell’Europa», spiega il commissario europeo all’educazione Tibor Navracsics, «dobbiamo dotarci di un programma ambizioso e condiviso su come utilizzare l’apprendimento come motore dell’unità». Adottate dal vertice di Goteborg e presentate nei giorni scorsi le tre iniziative proposte dalla Commissione europea comprendono il nuovo pacchetto sull’istruzione digitale, oltre alle raccomandazioni per rafforzare le competenze chiave per l’apprendimento permanente e sui valori comuni, l’istruzione inclusiva e la dimensione europea dell’insegnamento. «L’era digitale sta permeando tutti gli aspetti delle nostre vite», sottolinea Mariya Gabriel, commissaria per l’economia e la società digitali. «Mentre il 90% dei lavori del futuro richiedono determinate competenze in campo digitale, il 44% dei giovani europei non possiede neanche le abilità di base»

Tre le priorità del Piano: un migliore impiego delle tecnologie digitali per l’insegnamento e l’apprendimento; lo sviluppo delle competenze e delle abilità digitali necessarie per vivere e lavorare in un’era di trasformazioni digitali; il miglioramento dell’istruzione attraverso una migliore analisi e previsione dei dati. Un programma che Bruxelles prevede di attuare entro il 2020. Undici i passi da compiere. Il primo: affrontare il divario di connettività tra gli Stati membri circa l’adozione della banda larga ad altissima capacità in tutte le scuole, sensibilizzando sui benefici e sulle opportunità di finanziamento disponibili, supportando la connettività attraverso uno schema di voucher incentrato sulle aree svantaggiate e assicurando la piena implementazione del toolkit per le aree rurali.

Occorre, poi, sviluppare entro il 2019 un nuovo strumento di autovalutazione per le scuole per l’insegnamento e l’apprendimento, il Selfie, già sperimentato in 14 Paesi. Fornire un quadro per il rilascio di qualifiche digitali certificate e la convalida delle competenze acquisite, che possono essere archiviate in profili professionali come Europass. Creare una piattaforma europea per l’istruzione superiore digitale, supportata da Erasmus+, che permetterà campus virtuali e scambio di buone pratiche tra istituti. Portare classi di coding in tutte le scuole europee, anche aumentando la partecipazione alla Settimana del codice. Avviare nel 2018 programmi pilota di intelligenza artificiale e di analisi dell’apprendimento per utilizzare meglio l’enorme quantità di dati ora disponibili e contribuire così migliorare l’attuazione e il monitoraggio della politica dell’istruzione. Rafforzare l’open science. Avviare previsioni strategiche sulle principali tendenze della trasformazione digitale per il futuro dei sistemi di istruzione. Costruire prove sulla diffusione delle Tic e sui livelli di competenze digitali nelle scuole, pubblicando uno studio di riferimento. Insieme al prossimo o indagine Piaac, i risultati potrebbero alimentare un aggiornamento del Digital Competence Framework, mentre la Commissione europea collaborerà con l’Ocse allo sviluppo di un nuovo modulo a Pisa sull’uso della tecnologia nell’istruzione. Lanciare una campagna di sensibilizzazione per educatori, genitori e studenti sulla sicurezza online, l’igiene informatica e l’alfabetizzazione mediatica. Sostenere misure per ridurre il divario di genere delle ragazze nel settore tecnologico e imprenditoriale.

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da La Tecnica della Scuola

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