Il pericolo della superficialità e della conservazione

IL PERICOLO DELLA SUPERFICIALITA’ E DELLA CONSERVAZIONE

A proposito di un Appello per la scuola pubblica

di Rita Bortone

Più che l’obiettivo di aprire un dibattito sulla scuola e sui suoi discutibili processi di trasformazione, mi sembra che l’Appello per la scuola pubblica persegua l’obiettivo di aprire le ostilità nei confronti delle riforme in atto e, cavalcando la tigre dello scontento diffuso (legittimamente) tra insegnanti e dirigenti, di sparare a zero sugli aspetti fondamentali delle innovazioni promosse a livello ministeriale.

Non sono affatto una sostenitrice tout court delle innovazioni in questione, ma per motivi professionali ho dovuto studiarne storia, ragioni e possibili interpretazioni, obbligo che probabilmente non è stato avvertito né dai firmatari dell’Appello (e che bisogno c’è mai di studiare quando è così facile mettere un mi piace da qualche parte, soprattutto se riguarda una cosa che mi risulta scomoda e difficile da capire?) né da tutti gli estensori del documento (e che bisogno c’è mai di studiare le pochezze degli omuncoli di passaggio, quando si possiedono solide e scientifiche certezze immutabili nel tempo?).

In sostanza penso che i dibattiti, se tali vogliono essere, debbano nutrirsi di conoscenze, approfondimenti, confronti, argomentazioni, articolazioni del pensiero, non di affermazioni di principi e di slogan ideologici. L’Appello, al contrario, in barba alla acclarata intellettualità e ai meriti scientifici di molti dei firmatari, appare molto povero quanto a problematizzazione, aggressivamente assertivo nei toni e metodologicamente fondato sull’opinione non argomentata più che sul pensiero dimostrativo: in coerenza – duole dirlo – con le più diffuse tendenze della “dossologia” imperante sui social più che con i costumi della ricerca scientifica.

Chi negli ultimi decenni ha studiato e ricercato sui punti di forza e di criticità delle riforme che, provenienti da destra o da sinistra, variamente hanno interessato la scuola, sforzandosi di coglierne gli aspetti che portassero qualcosa di buono ad un sistema d’istruzione come quello italiano, pachidermico nonostante l’autonomia, sgangherato nonostante l’abbondanza e l’enfasi normativa, spesso inconcludente nonostante le best practices sbandierate, può farsi una ragione del fatto che la complessità linguistica, concettuale e operativa della nuova scuola non venga ben compresa e/o accettata dal docente periferico, o troppo avanti negli anni, o pigro, o frustrato, o legittimamente stanco e demotivato, o anche ideologicamente accecato; può farsi cioè una ragione del fatto che a questo docente l’innovazione non compresa o mal riuscita appaia solo una deriva culturale, imputabile alle strane parole d’ordine del momento e all’enfasi trasformativa che pervade uffici e aule, centro e periferia, ministri e dirigenti.

Ma non può farsi una ragione del fatto che macroscopiche banalità siano state, prima che condivise dagli ottomila firmatari, concepite e scritte da nomi illustri della intellettualità nazionale e della ricerca scientifica, nomi che peraltro non hanno fatto sentire la propria voce quando il dibattito sulla scuola e sulle stesse annunciate innovazioni è stato aperto, promosso, richiesto, a livello centrale.

Non può farsene una ragione perché appare inaccettabile sia l’ipotesi che la banalità (e il populismo) delle affermazioni e delle denunce derivi da disinformazione, sia l’ipotesi che derivi da una ideologizzazione dei problemi e da una intenzionalità strumentale.

Sarebbe interessante considerare i sette temi dell’Appello uno per uno, per smontare con ragionamenti e dati le singole affermazioni/opinioni, problematizzando davvero, come sarebbe necessario ed urgente, quanto accade oggi nella scuola, quale direzione vanno assumendo le innovazioni in atto, e quali le ragioni e quali i rischi, ma ricorrendo ad argomenti costruttivamente seppur severamente critici, non apoditticamente e perentoriamente liquidatori.

Le questioni sollevate dall’Appello corrispondono realmente a punti caldi del sistema, portatori di ambiguità e di rischi:

è davvero un problema che la scuola italiana (e non solo la scuola) non riesca a “significare” le ragioni e i modi dello sviluppo di competenze e non sappia concepirlo se non come svalutazione delle conoscenze;

è davvero un problema che la lezione non riesca ad adeguarsi alle trasformazioni intervenute nei processi cognitivi dei ragazzi (così come ci insegna la scienza cognitiva) e che la “trasmissione”, pur palesemente inefficace e demotivante, continui ad essere la regina delle metodologie didattiche nella scuola del I e del II ciclo;

è davvero un problema che le nuove tecnologie vengano sottoutilizzate o sovrautilizzate o mal utilizzate o enfaticamente esaltate, in ambienti o da soggetti spesso privi delle necessarie consapevolezze pedagogiche;

che la scuola italiana sia così lontana dalla cultura del lavoro, così incapace di venir fuori dagli schemi progettuali standardizzati, così poco sorretta dal Territorio, da considerare la laboratorialità o l’alternanza una perdita di tempo;

che la scuola italiana non riesca a coniugare la valutazione formativa e l’accompagnamento dei processi con una cultura del risultato e del confronto con standard nazionali e sovranazionali;

è davvero un problema che la ricerca accademica in campo educativo appaia talvolta priva di orizzonti culturali di ampio respiro e povera di prospettive, se non anche appiattita su interessi che poco hanno da spartire con la costruzione di una nuova idea di scuola e molto con interessati supporti alle logiche ministeriali;

ed è davvero un problema che nessuna intellettualità e nessuna ricerca riescano a delineare un impianto più flessibile del nostro sistema d’istruzione, che professa principi di inclusione, di lotta alla dispersione, di differenziazione, ma che non riesce a scardinare le rigidità di tempi, spazi, gruppi, che ne impediscono l’attuazione.

Sono davvero problemi, questi, e certamente la frenesia innovativa, l’ansia dell’adeguamento all’Europa, il convulso scopiazzare modelli e sistemi “altri”, la richiesta quasi ricattatoria di pratiche innovative anche se non “significate” dalla base, contribuiscono non poco allo smarrimento dei docenti ed al degrado culturale e pedagogico dell’offerta formativa.

Ma attribuire questo degrado alla L. 107 e ai suoi maldestri tentativi di innovazione è sciocco o disonesto.

Con le sue richieste incalzanti e prive di analisi di fattibilità, con il caos organizzativo e gli algoritmi errati, con l’arrogante e pretenziosa velleità di realizzare la buona scuola, la legge 107 ha solo reso evidenti i mali che già c’erano.

I principi e le visioni contenuti nella L. 107 non nascono con la L.107. Le competenze, l’innovazione metodologica, l’alternanza scuola-lavoro, la diffusione delle nuove tecnologie, il sistema nazionale di valutazione: chi ha scritto l’appello non può non sapere che nessuna di queste “novità” è nata con la L. 107. E non può nascondere a nessuno che neanche la distanza tra Università e scuola e il disinteresse del mondo accademico per la ricerca educativa sono nati oggi.

Certo chi ha concepito la buona scuola ha la pesante responsabilità di aver voluto rendere operative innovazioni, potenzialmente di grande portata, senza alcuna preventiva analisi di fattibilità e senza costruire le condizioni necessarie per una loro significativa interpretazione.

Ha la pesante responsabilità di compiacersi di una sedicente formazione obbligatoria mistificando la realtà e conservando nelle professionalità le gravi lacune che impediscono la costruzione di nuovi significati e l’adozione consapevole di nuove pratiche.

Ha la gravissima responsabilità di non voler vedere, o addirittura di voler coprire le spazzature sotto ai tappeti e di enfatizzare pratiche di autoanalisi e di miglioramenti che spesso son fatti di carta e non migliorano niente.

Ha la gravissima responsabilità di enunciare principi cui non offre strumenti. Di dispensare denaro che non forma e blaterare di meriti che non sa riconoscere.

Di annunciare nuove e migliori professionalità che non è in condizioni di garantire; di adottare sistemi di reclutamento di cui non sa e non può promettere attendibilità, trasparenza, omogeneità sul territorio nazionale…

E l’elenco potrebbe continuare.

Ma se gli insegnanti e i dirigenti di questa scuola, e con loro anche qualche docente universitario, non sono in grado di comprendere il rapporto tra conoscenze e competenze (tanto da vederle in contrapposizione e lesive le une delle altre!), e non sono in grado di costruire contesti e ambienti di apprendimento funzionali e adatti alle menti dei giovani d’oggi, e non sono in grado di coniugare valutazione formativa e sommativa, o valutazione individuale e di sistema, e se l’Università italiana e le intellettualità in essa diffuse fanno sentire la loro voce solo come supponenti j’accuse nei confronti di cose e problemi su cui non vogliono “sporcarsi le mani” (vedi appello dei 600 proff. sulle carenze linguistiche), queste cose sono responsabilità non degli ultimi governi, ma dei governi di destra e di sinistra che in tempi lunghi e con continuità di interventi non fatti o mal fatti hanno prodotto un lento e inesorabile smarrimento della scuola pubblica italiana, attraverso un lento e inesorabile processo di demotivazione, dequalificazione, designificazione sociale di docenti e dirigenti.

Le responsabilità, tuttavia, stanno da più parti. E non sono poche quelle degli intellettuali che stanno a guardare e che avviano presunti dibattiti solo quando vogliono demolire, puntare indici, additare nemici, senza fare la fatica di analizzare, comprendere, scoprire processi e cause, delineare prospettive e soluzioni: è facile e scontato condividere che l’innovazione non è un bene in sé, meno facile è condividere cosa significhi qualità formativa oggi e quali siano le condizioni della sua costruzione.

L’innovazione non è un bene in sé, ma l’alternativa all’innovazione mal fatta non è la conservazione di un esistente del tutto inadeguato.

Scuola-lavoro, richiesta bella presenza?

Scuola-lavoro, richiesta bella presenza? MIUR già intervenuto. Terminologia inaccettabile, annunci devono essere cambiati

(Venerdì, 12 gennaio 2018) Richiedere la “bella presenza” o fare riferimento a questioni che riguardano l’aspetto fisico di studentesse e studenti quando si offrono percorsi di Alternanza scuola-lavoro è sbagliato e inaccettabile. Lo precisa il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a seguito dei casi segnalati da organi di stampa in relazione alle descrizioni fatte da alcune strutture ospitanti sul Registro dell’Alternanza, quello che raccoglie le aziende e le realtà disposte ad ospitare studentesse e studenti.

Si tratta, precisa il MIUR, di pochissimi casi, sui quali il Ministero, attraverso la task force attivata dalla Ministra Valeria Fedeli e resa nota lo scorso 16 dicembre, è intervenuto chiedendo una verifica agli Uffici scolastici regionali di riferimento. Delle quattro strutture coinvolte (tre alberghi e una pasticceria) in tre casi si trattava di offerte di Alternanza, mentre in un caso si trattava di apprendistato. Quest’ultimo sarà segnalato anche al Ministero del Lavoro.

Il MIUR, oltre a ritenere improprio l’utilizzo della terminologia menzionata, ribadisce che quelli dell’Alternanza sono percorsi con finalità educative, aperti a tutte le studentesse e a tutti gli studenti, pensati per orientare, per educare al saper fare. Percorsi ai quali tutte le realtà partecipanti, le scuole, come le strutture ospitanti, devono approcciarsi nella piena consapevolezza che si tratta di un pezzo del percorso di formazione delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, che va curato esattamente come si curano tutti gli aspetti della formazione quando si è a scuola, con attenzione anche al linguaggio.

Il Ministero tiene a rassicurare le famiglie e le studentesse e gli studenti: la dicitura “bella presenza” non sarà tollerata e deve essere eliminata dalle descrizioni di tutti i percorsi – ricordiamo ancora che si tratta di sparuti casi – presenti sul Registro nazionale dedicato all’incontro fra la domanda delle scuole e l’offerta delle strutture ospitanti. Un Registro previsto dalla legge 107 e gestito da Unioncamere in virtù di un accordo siglato a dicembre del 2016 con il MIUR, visti e sentiti il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Si sottolinea inoltre che con lo sviluppo della Piattaforma di Gestione dell’Alternanza Scuola-Lavoro del MIUR, presentata lo scorso 16 dicembre, il processo di verifica e controllo delle strutture ospitanti, nonché della qualità delle esperienze di Alternanza, è stato rafforzato, su precisa richiesta della Ministra Fedeli, attraverso due funzioni: valutazione esperienziale e bottone rosso. Con la valutazione esperienziale (sarà attiva in piattaforma entro marzo), al termine di ogni percorso di Alternanza, studentesse e studenti, scuole e strutture ospitanti saranno chiamati ad esprimere un giudizio sull’esperienza e su tutti gli attori coinvolti. Con la funzione “bottone rosso”, si mette invece a disposizione delle studentesse e degli studenti uno strumento di segnalazione di quei casi di criticità in cui è necessario un intervento in itinere (e non alla fine del percorso di Alternanza) in quanto non sussistono le condizioni per poter considerare l’esperienza in corso un’esperienza di qualità. Tutte misure che consentono il massimo della trasparenza e di intervenire tempestivamente qualora si verifichino situazioni inaccettabili. Come si è verificato in questo caso.

All’attacco di dirigenti e docenti

La UIL Scuola all’attacco di dirigenti e docenti

Nei giorni scorsi abbiamo letto sconcertanti dichiarazioni della UIL Scuola sui lavoratori del settore: si parla di amici del preside quali destinatari del bonus e di “situazioni truffaldine” circa la Carta del docente.

Tali dichiarazioni, successivamente, sono state precisate: per ricevere il bonus non occorre essere amici del dirigente scolastico, ma essergli fedeli. Quindi non di amicizia si tratta, ma di amicizia interessata.

Che dire? La toppa è veramente peggiore del buco!

Sapevamo già che la UIL Scuola contrasta la dirigenza; apprendiamo ora che spara a zero anche sui docenti, descritti come professionisti propensi a comprare lavatrici, invece che ad aggiornarsi, ma soprattutto capaci di amicizie interessate pur di portare a casa gli spiccioli del bonus premiale.

Quello che sorprende non è tanto scoprire che un sindacato ha così scarsa fiducia nella correttezza e nella serietà professionale dei dirigenti scolastici e dei docenti, quanto dover accettare che ci siano ancora dirigenti e docenti che se ne sentano rappresentati.

Chi conosce fatti specifici li denunci assumendosene tutta la responsabilità!

L’ANP-CIDA condanna con fermezza il comportamento di chi discredita le categorie dei dirigenti e dei docenti, rappresentati come cinici amici interessati.

Come stupirsi se chi lavora nella scuola diventa poi bersaglio di genitori maneschi ed esagitati? L’irresponsabile delegittimazione favorisce comportamenti aggressivi come quelli di cui si ha notizia in questi giorni.

Per occuparsi di scuola sono necessari serietà, rispetto e senso di responsabilità, soprattutto se si hanno l’ambizione e la pretesa di rappresentarne i lavoratori.

M. Cohen Corasanti, Come il vento tra i mandorli

Come il vento tra i mandorli di Michelle Cohen Corasanti
Universale Economica Feltrinelli,  2015

di Mario Coviello

In questo tempo di paura verso i milioni di profughi che attraversano il Mediterraneo per sfuggire alla guerra e alla fame, il romanzo di Michelle Cohen Carasanti “ Come il vento tra i mandorli” è un libro necessario.

Questo è un libro che parla di israeliani e di palestinesi, fin dall’alba del loro dolore. Ne parla un’israeliana dalla parte della pace, che in quanto a rinunce non porta meno dolore della guerra. Consiglio ai docenti di comprarlo e leggerlo in classe perché con Baba,il padre di Ichmad, il protagonista, insegna che “Non si può vivere di rabbia”.

In 374 pagine, divise in quattro parti: 1955–1966–1974–2009,che si leggono d’un fiato, il palestinese Ichmad racconta la vita della sua famiglia in un villaggio sotto la dominazione di Israele.

E’ una storia cruda, violenta, dura. Ichmad, che è un vero genio in matematica, è costretto a lasciare la scuola perche deve mantenere la famiglia quando il padre viene messo in prigione per 14 anni con l’accusa di terrorismo.

Con il fratello Abbas, che viene buttato giù da un’impalcatura e rimane storpio, si spezza la schiena tutti i giorni e a stento riesce ad assicurare un po’ di cibo per la madre e il resto della famiglia.

Il professore di Ichmad lo spinge a partecipare ad un concorso per vincere una borsa di studio per l’università di Tel Aviv e anche se vestito di stracci e con i sandali cuciti dalla mamma con dei pneumatici vince il primo premio dopo una gara serratissima.

La scienza, lo studio, la ricerca sono la vita di Ichmad che è odiato a morte dal professore di fisica Sharon che fa di tutto per farlo cacciare dall’università.

Ma sarà proprio il professor Sharon che gli spianerà la strada per la carriera universitaria in America e insieme i due vincono il premio Nobel per la fisica.

Con Ichmad il lettore compie il difficile cammino verso la consapevolezza che bisogna crescere con radici profonde come quelle degli ulivi che resistono alle aggressioni e continuano a dare i loro frutti per secoli, perché non bisogna consentire a nessuno di “portarti via l’anima” e con chiunque ci si incontra bisogna “sforzarsi di trovare un interesse comune.”

Questo romanzo ci ricorda che “ Siamo stati noi arabi a inventare lo zero nel 967 a.c. e gli occidentali ci hanno messo fino al tredicesimo secolo per comprenderlo. Abbiamo inventato l’algebra, abbiamo insegnato al mondo come distinguere la trigonometria dall’astronomia.”

E’ un romanzo capace di raccontare la bellezza della cultura araba che vive insieme i momenti importanti della vita dal matrimonio ai funerali. “ Come il vento tra i mandorli “ è un romanzo che ha al centro la forza della famiglia, l’amore di un padre verso i figli, l’amore di una donna per il suo uomo.

La ricerca della pace si nutre del talento e dei sogni di questo ragazzino, che riesce a insegnarci la vita anche dove la vita sembra non potersi più vivere. Il libro è scritto in uno stile giornalistico che non lascia spazio a sentimentalismi e raggiunge sicuramente lo scopo di far riflettere sugli anni che hanno cambiato il corso della storia nel mediterraneo. Più in generale, su come si possa non farsi snaturare dalla violenza se si cede all’amore per la propria gente e, in ultima analisi, per se stessi.

Alternanza, i presidi sono responsabili della formazione degli studenti

da Il Sole 24 Ore

Alternanza, i presidi sono responsabili della formazione degli studenti

di Franco Portelli

Un ragazzo di 18 anni appena compiuti, iscritto a un istituto tecnico, coinvolto in un progetto di alternanza scuola-lavoro, è rimasto ferito in un incidente sul lavoro. Anche a seguito di fatti come questo, non mancano i dirigenti scolastici preoccupati di applicare correttamente quanto previsto dalla normativa. Come si devono comportare le scuole per realizzare le attività previste senza incorrere in eventuali sanzioni previste in tema di sicurezza sul lavoro? L’alternanza scuola-lavoro è diventata un elemento strutturale dell’offerta formativa, è inserita dentro il curricolo quindi dentro il percorso educativo stabilito per raggiungere gli obiettivi e le competenze stabilite. Con almeno 400 ore da effettuare negli ultimi tre anni degli istituti tecnici e professionali e 200 nei licei è stato introdotto il sistema duale nelle scuole.

La realizzazione delle attività previste comporta non pochi problemi per le scuole. Molti dirigenti scolastici sottovalutano la problematica relativa alla sicurezza sul lavoro, pensando che l’alternanza si configuri come una semplice attività didattica. La circolare Inail 44 del 21 novembre 2016 prevede l’assimilazione dello studente a lavoratore in quanto esposto ai medesimi rischi pur non svolgendo attività lavorativa. Da questo consegue l’obbligatorietà della formazione sulla sicurezza nei luoghi di lavoro prevista dall’articolo 37 del Dlgs 81/2008 in quanto, in questo caso, gli studenti sono equiparati a lavoratori.

Il datore di lavoro, che nel caso specifico è il dirigente scolastico, deve assicurare che ciascun lavoratore (e dunque ciascun alunno in alternanza) riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, con particolare riferimento a: concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza.

La formazione generale compete dunque all’istituzione scolastica che deve provvedere a rilasciare agli allievi equiparati ai lavoratori gli attestati di avvenuta formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro (Dlgs 81/2008, articolo 37, comma 14-bis). In questi casi la durata delle attività è pari a 4 ore. L’alternanza scuola-lavoro prevede, infatti, la realizzazione di percorsi progettati, attuati, verificati e valutati, sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa, sulla base di apposite convenzioni con le imprese, o con le rispettive associazioni di rappresentanza, o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con gli enti pubblici e privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di apprendimento in situazione lavorativa.

Tutto questo ha anche implicazioni per quanto riguarda la valutazione dei rischi. Nel documento di valutazione dei rischi del soggetto ospitante dovrà essere, in qualche modo, prevista la presenza di soggetti in formazione (non in apprendistato): tirocinanti, stagisti.

 

Oggi appuntamento con la “Notte nazionale del liceo classico”

da Il Sole 24 Ore

Oggi appuntamento con la “Notte nazionale del liceo classico”

di Maria Piera Ceci

Maratone di lettura, dibattiti, ma anche teatro, musica, cinema e degustazioni a tema ispirate al mondo antico. Davvero ricca l’offerta delle oltre quattrocento scuole che aderiscono quest’anno alla quarta edizione della “Notte nazionale del liceo classico”. Una serata, quella di oggi, per tenere aperte le porte delle scuole dalle ore 18 a mezzanotte e mostrare le tante attività che accompagnano lo studio tradizionale, fatto di banchi, lavagne ed interrogazioni. Un’iniziativa aperta alle famiglie degli studenti dei classici, ma anche a quelle che si apprestano ad affrontare la scelta della scuola secondaria superiore per i ragazzi ora in terza media.
Una festa arrivata al suo quarto anno con un numero sempre in crescita di scuole aderenti, passate dalle 367 dell’anno scorso, alle 407 di quest’anno.

Instancabile organizzatore della “Notte”, sostenuta anche dal Miur, è Rocco Schembra, docente di latino e greco presso il liceo classico “Gulli e Pennisi” di Acireale, in provincia di Catania.
«La “Notte” si presenta come una vetrina del nostro curriculum di studi, per far vedere che al classico non studiamo materie obsolete e che proprio nella cultura classica riposa la chiave per la costruzione del futuro e del successo», spiega Rocco Schembra. «E’ un momento in cui i nostri studenti possono esprimere la loro gioia di studio, di lettura, di canto, di tutti quei talenti che vengono messi in campo in queste ore. E tutto questo al di fuori delle aule scolastiche, delle costrizioni, delle dinamiche a volte un po’ perverse delle verifiche e delle interrogazioni E’ un riappropriarsi in maniera più ludica degli ambienti scolastici. Ma la cultura passa anche da questo. Il nostro vuole essere un modo alternativo di fare scuola, che va ad affiancare la didattica tradizionale».

La “Notte” può essere anche un’occasione per mostrare la ricchezza dell’offerta di questo tipo di scuola ai ragazzi che dal 16 gennaio dovranno iscriversi alle superiori. Ma perché iscriversi in una scuola che viene ancora vissuta come polverosa, legata allo studio di materie senza alcun legame con il mondo del lavoro attuale?
«Proprio per dimostrare che non è così polverosa», continua Rocco Schembra. «Consiglio la scelta del classico perché nel panorama scolastico è la scuola che assicura una formazione a 360 gradi, dopo la quale ci si può iscrivere a tutti gli indirizzi universitari. Questo perché la formazione logica che lo studio delle discipline classiche e lo studio della filosofia in un certo modo comportano, determina la chiave di successo presso tutte le università. I più grandi ricercatori, anche in ambito scientifico, matematico e medico sono tutti arrivati dal liceo classico», conclude Schembra.

“Riportiamo in classe 135 mila ragazzi”

da la Repubblica

“Riportiamo in classe 135 mila ragazzi”

Il piano anti-abbandono dell’ex sottosegretario Rossi-Doria: “Asili, tempo pieno, laboratori e lezioni in strada” Il tasso di dispersione è sceso al 13,8%, ma resta tra i più alti d’Europa. Va peggio al Sud, per maschi e stranieri

Ilaria Venturi

Un bel giorno non rispondono più all’appello tra i banchi: lasciano a lezioni cominciate, non si ripresentano l’anno successivo, anche se promossi, vengono bocciati e gettano la spugna, dicono di volersi trasferire in un altro istituto, ma in realtà non lo fanno. Insomma: spariscono. Perduti alla scuola. Quelli che abbandonano medie e superiori, quando stare in classe è ancora un obbligo, sono in calo. Ma rimangono pur sempre un’emergenza. Anzi, sono “ il problema”, della scuola e del Paese, secondo l’ultimo rapporto del gruppo di lavoro istituito dalla ministra Valeria Fedeli e guidato da Marco Rossi- Doria, maestro per 43 anni, ex sottosegretario all’Istruzione.

Di qui un piano nazionale di contrasto che tiene insieme azioni diverse, e scende nei dettagli: più asili, perché c’è una relazione tra l’inserimento da piccoli nel sistema educativo e il successo scolastico futuro, ma anche un sistema di formazione professionale nelle regioni dove non funziona; e ancora più tempo pieno, laboratori, didattica a misura del alunno. E aule aperte alla strada, come già si sperimenta in alcune periferie di Napoli e Palermo dove gli insegnanti seguono i ragazzi in famiglia, lavorando con educatori e assistenti sociali.

Il fenomeno della dispersione è fotografato da Eurostat. Nel confronto con l’Europa, che valuta quanti giovani tra i 18 e i 24 anni hanno solo la licenza media o una qualifica e non sono più in formazione, l’Italia ha fatto passi avanti: il tasso di quanti abbandonano precocemente gli studi è passato dal 20,8% del 2006 al 13,8% del 2016. Ma restano forti squilibri tra Nord e Sud, con Sicilia, Campania e Sardegna ben sotto la media nazionale. L’istantanea sul biennio 2015- 2017 emerge invece dall’anagrafe degli studenti. Ed è comunque impietosa: 14.258 ragazzini che hanno abbandonato le medie, altri 8.949 persi nel passaggio alle superiori, 112.240 che non hanno continuato gli studi nei licei e in tecnici e professionali. Un esercito di oltre 135mila dispersi. Soprattutto maschi, sedicenni, stranieri, in particolare nati all’estero, o di origine rom e sinti (per loro il tasso di abbandono sale al 42%). Figli del disagio economico e culturale. In Italia, ricorda il rapporto, oltre un milione di persone tra i 3 e i 18 anni è in condizioni di povertà assoluta.

«Perdiamo troppi alunni — scuote la testa Rossi- Doria — Così neghiamo a bambini e ragazzi il diritto al futuro. Un danno che un Paese che fa sempre meno figli non può permettersi». Fedeli guarda alle conseguenze: «L’abbandono e la dispersione hanno conseguenze negative non solo sulle vite dei singoli, causano una perdita economica per l’intero Paese in termini di Pil, minano la coesione sociale».

Le condizioni di partenza sono un ostacolo. Poi subentrano gli insuccessi della scuola, che « a 50 anni da don Milani è tuttora di classe » , si legge. Tra le indicazioni anche quella di limitare, con forme di moratoria, le bocciature, che «non sono efficaci». Le ripetenze, osserva l’ex sottosegretario, sono l’anticamera della dispersione nei quartieri difficili delle nostre periferie. « Io sono stato bocciato, ma avevo una famiglia che poteva aiutarmi a recuperare. Quando però una bocciatura capita in una famiglia povera, cosa accade? Il problema non è bocciare, ma cosa succede dopo, cosa faccio per quel ragazzo». Frena la ministra: «Abolire la bocciatura sarebbe controproducente, meglio un percorso di accompagnamento dei ragazzi».

Il problema è la solita Italia a due velocità: in Veneto, a lasciare precocemente la formazione è l’ 8%, in Sicilia il dato triplica. L’obiettivo è scendere sotto il 10%, il target indicato dall’Europa per il 2020. Possibile? « Non è una battaglia persa — ragiona Rossi Doria — ma per vincerla occorre un coordinamento nazionale per ottimizzare le risorse per almeno un decennio, l’individuazione di zone di educazione prioritaria su cui concentrare gli interventi, che devono essere costanti nel tempo. E una forte rete tra scuole e realtà educative: oratori, terzo settore, centri sportivi. È un tema trasversale ai partiti, che deve diventare una priorità del prossimo governo».

Visite fiscali, gli aspetti salienti del nuovo regolamento in vigore dal 13 gennaio

da La Tecnica della Scuola

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Pensioni scuola: i dati provvisori sulle domande presentate per il 2018/2019

da La Tecnica della Scuola

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Docenti neo-assunti: strumenti per il visiting e attività peer to peer

da La Tecnica della Scuola

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Previdenza complementare, le novità contenute nella Legge di Bilancio 2018

da La Tecnica della Scuola

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Riammissione in servizio, domanda entro il 15 gennaio 2018

da La Tecnica della Scuola

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Iscrizioni 2018/2019, trasmessi i modelli da utilizzare

da La Tecnica della Scuola

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Contratto scuola, se ne parla la prossima settimana

da Tuttoscuola

Contratto scuola, se ne parla la prossima settimana 

Diversi siti, ancora poche ore fa, davano per imminente l’inizio di una no-stop per concludere la trattativa sul rinnovo del contratto-scuola in stallo presso l’Aran. In effetti la settimana scorsa si era parlato di nuovo appuntamento per l’11 gennaio, cioè oggi, per riprendere le trattative con l’obiettivo (non dichiarato) di chiudere finalmente il confronto.

Sembra che lo stesso premier Gentiloni confidasse sul raggiungimento dell’accordo per aggiungere il contratto scuola (un milione di interessati) ai diversi risultati positivi raggiunti dal suo Governo.

Non ci sarà la no-stop. Il fine settimana servirà come pausa di riflessione per cercare soluzioni.

Siamo anche noi interessati ad una conclusione in tempi brevi del confronto – ha detto Maddalena Gissi, segretaria generale della Cisl-scuola – ma è chiaro che ciò è possibile solo se vengono sciolti positivamente i nodi su cui si sta sviluppando la discussione.

Una discussione che non può essere affrettata – ha aggiunto – ci prenderemo i tempi necessari per approfondire come è giusto e normale che sia tutte le questioni, economiche e normative, ancora sul tappeto”.

“Mi sembra un’ipotesi poco realistica – ha concluso la Gissi– anche se per quanto ci riguarda la questione dei tempi è direttamente legata ai contenuti di un possibile accordo. Su quelli valuteremo e decideremo, come è nostro costume da sempre”.

Visite fiscali: tutte le novità e le modalità di svolgimento

da Tuttoscuola

Visite fiscali: tutte le novità e le modalità di svolgimento 

La pubblicazione sulla G.U. (n. 302 del 29.12.2017) del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 206 del 17.10.2017, che entrerà in vigore il prossimo 13 gennaio 2018, aggiunge un tassello fondamentale alle modalità di effettuazione delle visite fiscali per i dipendenti dei comparti pubblici privatizzati, quindi, anche per il personale del comparto scolastico. Di seguito, le novità di maggior rilievo.

Richiesta della visita fiscale

Il Decreto, con l’art. 1, dopo avere ribadito quel che è già previsto dal vigente CCNL della scuola, ovvero la possibilità di richiedere, da parte del datore di lavoro (per la scuola, il dirigente scolastico), la visita fiscale sin dal primo giorno di assenza per malattia del dipendente, introduce un elemento ulteriore. Anche l’Inps, di propria iniziativa e con modalità autonome e predefinite, potrà disporre le visite fiscali nei confronti di tutti i dipendenti pubblici.

Richiama inoltre, con l’art. 2, l’obbligo del datore di lavoro di richiedere la visita fiscale ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 55-septies, comma 5, del d.lgs. n. 165/01, vale a dire in tutte le situazioni in cui l’assenza per malattia “…si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative. Di più. Precisa che per tali tipologie di assenze le visite fiscali possono avere “ cadenza sistematica e ripetitiva”. Cioè, essere disposte non solo con ricorrenza regolare e ripetuta, ma essere svolte anche per più volte per uno stesso periodo di malattia.

Ed è, quest’ultima, una innovazione di non poco conto, posta in atto – quasi certamente – per contrastare e/o prevenire il triste fenomeno dell’assenteismo.

Fasce orarie di reperibilità

Le fasce orarie di reperibilità domiciliare (cfr. art. 3) del dipendente assente per malattia non subiscono variazioni, rimangono quelle fissate dal precedente Decreto(n. 206/2009), ovvero dalle ore 9,00 alle ore 13,00 e dalle ore 15,00 alle ore 18,00, di tutti i giorni non lavorativi e festivi. Non è stata accolta, per questo aspetto, la sollecitazione del Consiglio di Stato, intesa a equiparare le fasce di reperibilità oraria del settore pubblico con quelle del settore privato.

Esclusione dall’obbligo di reperibilità

Sono esclusi dall’obbligo di reperibilità domiciliare (cfr. art.4) i dipendenti assenti:

  • per patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
  • per causa di servizio ascrivibile alle prime 3 categorie della Tab. A del Dpr 30.12.1981, n. 834 ( mancanza di arti, deformazioni, gravi forme di cecità, ecc…) o da patologie di cui alla Tab. E dello stesso Decreto ( soggetti affetti da gravi forme di invalidità e che percepiscono assegni di superinvalidità);
  • per stati patologici connessi a invalidità riconosciuta pari o superiore al 67%.

Anche per questo aspetto – salva la conferma del non obbligo di reperibilità per i dipendenti affetti da patologie con terapie salvavita – è dato constatare un severo giro di vite rispetto alla disciplina previgente.

In particolare, non risultano più inclusi tra coloro che non hanno l’obbligo di reperibilità domiciliare i soggetti che – pur affetti da patologie riconosciute come derivanti da causa di servizio – riscontrano forme patologiche di minore gravità (ad es., sindrome ansiosa, gastriti, bronchiti, ecc…). Va ricordato, inoltre, che la causa di servizio è istituto giuridico abrogato dal 2011 (cfr. art. 6, D.L. n. 201. Del 2011, convertito con L. n. 21472011).

Inoltre, anche la malattia connessa o derivante da invalidità riconosciuta ha subito un brusco ridimensionamento. Con la normativa previgente, infatti, erano esclusi dall’obbligo di reperibilità tutti i soggetti titolari di una qualsiasi e non quantificata percentuale d’invalidità. Ora, invece, tale esclusione riguarda – come già evidenziato – i soli dipendenti con un’invalidità superiore ai 2/3.

 Modalità di svolgimento della visita fiscale

Il medico, subito dopo l’effettuazione della visita ed utilizzando una specifica modalità telematica approntata dall’Inps, redige il relativo verbale, che viene:

  • messo a disposizione del dipendente tramite un apposito servizio telematico;
  • reso disponibile al datore di lavoro tramite un “ambito dedicato” del portale dell’Istituto previdenziale.

L’esito della visita, però, viene comunicato dal medico al dipendente seduta stante. Ed ove quest’ultimo non concordi con la decisione assunta in merito dal medico, deve eccepirlo immediatamente con la contestale apposizione della propria firma sul verbale. Il medico, da parte sua, preso atto del dissenso espresso, invita il dipendente ad una successiva visita ambulatoriale, nel primo giorno utile.

Un po’ diversa è la procedura da seguire qualora il dipendente, che ha espresso esplicito dissenso, opponga un netto rifiuto alla apposizione della propria firma sul processo verbale. In tal caso, il medico informa sollecitamente l’Inps e predispone un apposito invito per la visita ambulatoriale.

Mancata effettuazione della visita

Nel caso in cui la visita fiscale non venga effettuata a motivo dell’assenza del dipendente dal domicilio indicato, l’Inps provvede a darne notizia al datore di lavoro che l’ha richiesta e, al contempo, il medico lascia – per il dipendente – un apposito invito per la visita ambulatoriale.

Rientro anticipato al lavoro

Nell’ipotesi di guarigione anticipata rispetto ad un precedente periodo di prognosi, il dipendente – per poter riprendere servizio – è tenuto a produrre un certificato sostitutivo. Il certificato sostitutivo deve essere rilasciato dal medico che ha redatto la certificazione di malattia con prognosi ancora in corso o, da altro medico, in caso di assenza o d’impedimento assoluto del primo.