Più Autonomia alle Regioni

PER LA PROSSIMA LEGISALTURA PIU’ AUTONOMIA ALLE REGIONI

di Gian Carlo Sacchi

La legislatura termina con un impegno trasversale a diverse amministrazioni e parti politiche: il riconoscimento di maggiore autonomia alle Regioni.

E’ noto che Lombardia e Veneto hanno celebrato un referendum in tal senso, ottenendo il conforto dei cittadini, mentre l’Emilia Romagna ha espresso un preciso indirizzo da parte dell’Assemblea Legislativa. Tre regioni che chiedono l’applicazione dell’art. 116 della Costituzione ed avviano una fase interlocutoria con il governo nazionale. Due le novità: la prima è che dalla periferia si torna a sentire il bisogno di contare di più e di valorizzare il ruolo delle istituzioni locali; dopo più di dieci anni dall’approvazione della riforma costituzionale, rimasta lettera morta per paura della competizione tra le forze politiche, qualcosa si muove. E la seconda è che il governo ha risposto positivamente, come mai era avvenuto per tutto questo tempo.

L’iter però è ancora lungo, perché si tratta di approvare da parte del nuovo Parlamento una legge per ogni regione richiedente con le materie per le quali si vuole operare con maggiore autonomia, prese tra quelle che oggi la Costituzione considera “concorrenti” tra Stato e Regioni. Si tratta di una svolta, che dato il numero di queste ultime che si aggiungono, potrebbe riproporre l’esigenza di una nuova riforma costituzionale più mirata ai diversi livelli di governo ed alle questioni fiscali.

I settori sui quali intervenire sono numerosi ma piuttosto affini tra le varie richieste, in modo da far pensare ad una nuova legge costituzionale che possa rimettere in relazione più autonomia da parte delle regioni ordinarie con le competenze esclusive di quelle a statuto speciale. Ma se non si vuole volare troppo alto ci si può accontentare di proseguire il lavoro, già avanzato nei rapporti bilaterali, auspicando che la campagna elettorale non distolga lo sguardo.

Di solito le riforme istituzionali non infiammano gli animi nel periodo preelettorale, ma costituiscono pur sempre il modo di organizzare dei contenitori nei quali sia possibile valorizzare le peculiarità dei territori, offrendo loro maggiore capacità di gestione anche a livello internazionale, prima di tutto per una visione più efficiente di Europa, per creare così maggiore ricchezza che può servire a tutto il Paese, in una prospettiva di solidarietà, ma in primis ai cittadini di quelle località per il miglioramento dei loro servizi. Ciò imporrà una diversa modalità di calcolo delle risorse che lo stato impegna per le regioni ed una compartecipazione alla fiscalità generale, in considerazione anche di un diverso e migliore uso delle stesse, così da rendere più stabile la programmazione al riparo da esigenze di finanzia pubblica.

Da altre regioni arriva la richiesta di voler partecipare alla trattativa e la cosa più interessante è che viene ad arricchirsi ulteriormente il quadro delle forze politiche in campo per quanto riguarda l’applicazione del suddetto art. 116, che pur con motivazioni diverse era stato in questi anni tralasciato. Dal Piemonte e dalla Campania, due amministrazioni di centro-sinistra, insieme a Lombardia, Emilia e Veneto emerge anche un impegno alla stabilità dei bilanci, requisito necessario per giungere alla maggiore autonomia, il che stimola in generale comportamenti virtuosi. Ma anche la Liguria, con una maggioranza di centro-destra, scende in campo e notizie in tal senso giungono dalla Puglia e dall’Umbria: l’Italia delle autonomie si mobilita di nuovo, forse con un po’ di ritardo, ristabilendo il filo conduttore della riforma del titolo quinto della Costituzione e ricercando sul territorio quelle alleanze che mettono al primo posto gli interessi dei cittadini rispetto a quelli della politica; oltre ai referendum che hanno chiamato direttamente la popolazione, questo obiettivo viene condiviso da maggioranze e minoranze dei consigli regionali.  Piemonte e Umbria riportano inoltre alla luce l’antico dibattito sulla revisione dei confini amministrativi; per essi può valere la definizione di “area vasta” già introdotta dalla legge sulla revisione delle province.

Tra le materie che ciascuna regione propone ci sono ricerca, istruzione e formazione professionale, a supporto dello sviluppo economico delle diverse realtà e della loro capacità competitiva: un “sistema” delle autonomie locali che va a rinforzare il livello nazionale e sa confrontarsi in modo più dinamico e flessibile con un’Europa delle Regioni.

Tessuto produttivo, governo e formazione devono trovare sempre più occasioni di integrazione a partire dai territori, allo stato nazionale gli elementi di regolazione e valutazione. Nell’ambito del sistema formativo occorre superare il parallelismo tra le istituzioni valorizzando la dimensione locale, a partire dalla scolarità di base, con il nuovo ciclo 0-6 anni recentemente introdotto dal D. Leg.vo 65/2017, la formazione professionale già di competenza regionale, ma in rapporto stretto con l’istruzione che si esplica attraverso l’autonomia delle scuole e delle università.

Dentro le autonomie scolastiche occorrerà scavare molto di più di quanto non si sia fatto finora, in modo da rendere efficace la loro presenza in relazione alla domanda sociale, assicurando obiettivi e standard precisi, un efficiente valutazione e una governance di carattere pubblico/partecipativo. La legge 107 ha messo in evidenza ancora di più la domanda di autonomia, ma non l’ha soddisfatta, rimanendo legata al centralismo burocratico per molte attività anche di carattere didattico.

Tra le materie indicate si nota che le diverse esigenze regionali hanno molti punti in comune, il che rende possibile da un lato individuare un quadro unitario nazionale, e, dall’altro, riconoscere le peculiarità dei territori. Solo il Veneto esprime la volontà di intervenire a definire le norme generali sull’istruzione che la Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato, per il resto tutte vogliono occuparsi di:

– Programmazione della rete scolastica e universitaria e dell’offerta formativa regionale, per aderire alle esigenze del tessuto produttivo

– Modalità di valutazione del sistema,

– Determinazione della consistenza organica del personale

– Rapporti tra istruzione, formazione e lavoro, anche nella recente previsione delle attività di alternanza, orientamento e tirocini aziendali; sistema unico di istruzione tecnica e professionale

– Regionalizzazione delle politiche attive del lavoro

– Disciplina dei rapporti con il personale nel rispetto di uno status giuridico ed economico statale; reclutamento regionale e territorializzazione della contrattazione

– Finanziamento alle scuole non statali

– Organi collegiali territoriali e assunzione da parte delle regioni delle funzioni dell’ufficio scolastico regionale

– Educazione degli adulti

– Edilizia scolastica

– Potestà legislativa nei confronti dell’UE e gestione dei relativi fondi

– Attuazione del federalismo fiscale

– Diritto allo studio e ristorazione collettiva nelle scuole

Sono fatti salvi i limiti derivanti dal rispetto dei “livelli essenziali delle prestazioni” da garantire su tutto il territorio nazionale e la piena valorizzazione delle autonomie scolastiche come indicato dalla stessa Costituzione.

Il trasferimento di tali competenze non sembra una rivoluzione alla catalana, ma una richiesta del tutto plausibile se si vuol veramente far aderire le strutture formative alle esigenze del territorio e migliorarne l’efficienza; anzi per alcune di esse sono già in atto processi di decentramento che sarebbe bene completare.

Iniziamo dall’autonomia delle scuole e dalla loro rappresentanza istituzionale, affinchè l’offerta formativa sia davvero capace di interpretare la domanda sociale e del mondo del lavoro, nell’ambito delle norme generali sull’istruzione, integrandosi con gli altri servizi educativi, la formazione professionale e permanente, e non sia semplicemente un adempimento burocratico vincolato dalle risorse economiche dello stato e dalla rigidità dei curricoli.

Nell’ottica dell’autonomia sarà possibile riconsiderare i rapporti con le scuole non statali e tutta la questione della parità; si aspettavano norme sull’autogoverno delle scuole stesse (statuti, regolamenti, organi collegiali, piani formativi territoriali, ecc.), nemmeno sfiorate dalla buona scuola. Una programmazione regionale-locale era già prevista dal 1988, ma mai realmente attuata. Anche il passaggio delle competenze degli UUSSRR era indicata dai decreti Bassanini; le funzioni fondamentali degli enti locali sono state ribadite dal D.Leg.vo 261/2010 in corrispondenza con l’attuazione del federalismo fiscale.

Che vi sia bisogno di una maggiore autonomia nella definizione degli organici e nell’assunzione del personale lo dimostra l’inefficienza che ogni anno condiziona l’avvio delle lezioni: un timido tentativo fu fatto in passato da parte del coordinamento delle regioni, e la cosa non avrebbe contrastato i rapporti sindacali con l’introduzione di una contrattazione regionale, così come si voleva che l’assegnazione dei contributi statali alle scuole avvenisse su un unico capitolo per agevolare l’autonomia di spesa.

Sull’educazione degli adulti un documento stato-regioni del 2014 attribuiva a queste ultime il compito di realizzare una rete di strutture che oltre ai CPIA coinvolgesse anche le realtà del privato-sociale. Stato e regioni potrebbero lavorare insieme nei rapporti con l’INVAlSI per la valutazione di sistema; riprendere la questione  del canale unico tra istruzione tecnica, professionale e formazione, fino all’istruzione terziaria sarebbe stato importante, mentre il recente decreto ha limitato il riordino agli istituti professionali quinquennali, per finire con le politiche attive del lavoro che devono tornare alle regioni eleminando quella sovrastruttura che è l’ANPAL.

E si potrebbe continuare per dimostrare che il sistema è maturo per una maggiore autonomia da affidare, come avviene in quasi tutta Europa, alla gestione di “regioni virtuose”, quelle cioè con “i conti a posto”, sotto la vigile attenzione del predetto art. 116 e di una legislazione ordinaria chiara ed efficace.

Cosa aspettarci dunque dalla prossima legislatura ? Innanzitutto che non venga mortificato il lavoro fin qui svolto dai tavoli tecnici tra governo e regioni su questi temi, ma anzi che venga sviluppato fino al necessario compimento parlamentare, facendolo uscire dall’angolo degli specifici e spesso marginali rapporti multilaterali per coinvolgere i diversi dicasteri nazionali, tra i quali il Miur che in materia ha sempre assunto un comportamento frenante.

La politica scolastica in questo momento esprime una contraddizione portata dalla buona scuola: il tentativo di liberalizzare alcune procedure per rientrare in una gestione centralistica complessiva del sistema. Forse l’autonomia potrebbe far toccare con mano la necessità di certe aperture se si vogliono offrire convincenti risposte al territorio senza perdere di vista ovviamente il valore unitario del Paese.

La scuola pubblica sia al centro dei programmi elettorali

SNALS-CONFSAL LANCIA PETIZIONE ALLE FORZE POLITICHE ITALIANE

La scuola pubblica sia al centro dei programmi elettorali

“I partiti indichino misure e risorse. Di questo impegno risponderanno agli elettori”

 

 

Roma, 19 gennaio. Viene lanciata oggi la petizione dello Snals-Confsal che coinvolge il mondo della scuola, le famiglie e tutti i cittadini al di là di ogni appartenenza partitica o associativa.

Con questa petizione lo Snals impegna i partiti a indicare chiaramente nei propri programmi elettorali misure e risorse per la scuola. Il sindacato fornirà una costante informazione sulle risposte, invitando a votare chi si impegnerà più chiaramente. Saranno i cittadini, negli anni seguenti, a decidere nel segreto dell’urna se i politici eletti e i loro partiti abbiano onorato o no la promessa.

Numerose le motivazioni dell’iniziativa, perché da più di due anni la scuola sta vivendo sulla propria pelle le conseguenze della L. 107 (la cosiddetta Buona Scuola) che l’ha portata a trasformarsi da palestra di istruzione e di intelligenza a luogo di trasmissione di direttive governative e gestione di potere arbitrario. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: la funzione docente umiliata, la collegialità retrocessa, il diritto alla titolarità eliminato con compromissione della continuità didattica, mentre permangono le classi pollaio e i problemi della sicurezza, cui non ha certo giovato il progressivo taglio degli organici ATA.

Ancora più grave è la totale rimozione di ciò che costituisce il cuore della scuola: la centralità del processo d’insegnamento e la sua libertà, la qualità didattica, la serietà degli studi, perché l’istruzione è un diritto ma studiare è un dovere, il giusto riconoscimento, economico e sociale, dei lavoratori del settore. In realtà, oggi la scuola è meno libera, più farraginosa e anche più classista.

Questi i 7 obiettivi programmatici della petizione promossa dallo Snals:

1)       La quantificazione di risorse economiche certificate ai fini del finanziamento di un Piano quinquennale di investimenti che porti nel giro di 5 anni a un progressivo innalzamento della quota di Pil destinata alla scuola così da posizionarla ai livelli degli altri paese Ue.

2)       La messa in sicurezza di tutti gli edifici scolastici.

3)       La persona al centro delle politiche e il riconoscimento del diritto alle pari opportunità formative.

4)       L’abrogazione della L. 107/2015 e la rielaborazione di una riforma condivisa.

5)       Lo stop alle classi pollaio.

6)       Lo stop definitivo all’innalzamento dell’età pensionabile.

7)       La valorizzazione del personale scolastico, il recupero del suo ruolo sociale, la tutela della libertà d’insegnamento.

Dialogando

Dialogando con Salvo

di Maurizio Tiriticco

 

Ormai abbiamo raggiunto il top con questa mania ossessiva dello scrivere su documenti ufficiali del Miur sostantivi maschili e femminili! Come se si dovesse liquidare una sorta di guerra di genere che nello scrivere e nel parlare dura ormai da più secoli! L’amico Salvo scrive su FB: “E che ne dite degli ultimi decreti della 107, appesantiti nella lettura dalla continua ripetizione anche a distanza di due tre righe del tipo… delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti,… e addirittura in un decreto che abbraccia tutti gli ordini di scuola infanzia compresa, alla litania aggiungono in coda anche le bambine e i bambini, rubando così quattro righe nella colonna standard della gazzetta ufficiale dove potevano uscirsene semplicemente con la parolina allievi che ne non offendeva nessuno”.

E no, caro Salvo! Se dici/scrivi solo allievi, le allieve dove le mettiamo? Lo stesso vale per gli alunni! Ma non per gli insegnanti perché, se dovessimo scrivere “insegnante” come femminile plurale, gli alunni e le alunne ci riderebbero dietro! Mah! Di questo passo diremo che un’aula è di genere femminile solo se ospita alunne!!! Ma, se ospita alunni, dovremo chiamarla aulo! Per non dire della scheda di valutazione!!! Solo per le alunne dichiaratamente femmine! Per gli alunni maschi avremo lo schedo di valutaziono! E poi il registro di classe vale solo per gli alunni maschi! Per le femmine avremo la registra di classe! Non se ne può più di questa distinzione ossessiva dei due generi! Il nostro Paese… e la nostra Paesa… hanno bisogno di ben altra cosa… e di ben altro coso!

Eppure abbiamo origini nobili in materia di lingua! Sappiamo tutti che nel lontano 960 alcuni contadini a Capua testimoniarono: «Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti». Nacque così, con molta umiltà, la nostra bella lingua! E un tale fiorentino, indubbiamente colto e un po’ saccente, volle scrivere una commedia, che osò definire divina, in volgare, perché tutti potessero leggerla! Ma indubbiamente il nostro Alighieri sapeva dove andava a parare, avendo a che fare con tanti parrucconi che scrivevano solo in latino, anche se in casa, quando picchiavano le mogli, le rimproveravano in un volgare che… più volgare non si può! E il nostro Alighieri ebbe comunque un gran coraggio! Esaltò il volgare sia in volgare che in latino, per non essere accusato di essere un incolto ignorante! E fu così che scrisse il Convivio in volgare e il De vulgari eloquentia in latino, volendo raggiungere così sia i dotti cosiddetti che il popolino che di latino non masticava nulla!

E nei secoli successivi vennero opere grandi! Il dialogo sui massimi sistemi! Il principe! Gli asolani! La scienza nuova! I promessi sposi! Insomma, ormai si affermava una lingua che non aveva più bisogno di essere difesa perché da sola poteva anche imporsi e parlare al mondo. Mah! Un MAH! GROSSO COSI’! In effetti, mi sembra che oggi l’ignoranza al potere, a poco a poco, sta pure distruggendo la nostra bella lingua! Politici, cosiddetti… giovanotti politicanti, imberbi ma chiacchieroni imperversano sulle piazze e sui piccoli schermi delle nostre case! I poderosi “vaffanculo” di un comico da strapazzo hanno avuto la meglio! Per me e per te, caro Salvo, dovremmo dire “la peggio”! Lo sdoganamento del volgare, non quello dell’epoca di Dante, ma quello delle nostre odierne periferie, purtroppo ha fatto breccia e l’ignoranza al potere sembra che sia diventata la parola d’ordine! Ti ricordi il linguaggio dei Moro, dei Forlani e degli Andreotti? Addirittura forbiti, ma sempre colti e spesso ironici! “A parlare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina”. “Il potere logora chi non ce l’ha”. “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”! Per non dire dei discorsi fiume dei Togliatti e dei Nenni ai congressi di partito! Puntualmente pubblicati su “l’Unità” e sull’”Avanti”! Discorsi che nelle sezioni di partito venivano letti e commentati! “Politique d’abord”! Non era solo uno slogan lanciato da Nenni! Era una divisa che connotava, se non tutti, una gran parte degli italiani impegnati nella politica, o in quella attiva o in quella partecipata!

Ora non so! Questa seconda repubblica mi sembra assai povera! Politicanti che passano da una tv ad un’altra, che concionano su tutto e di tutto, con una cultura di base, non solo politica, abbastanza discutibile! Parlano tanto, ma non scrivono nulla! Chissà in quanti strafalcioni cadrebbero! E noi, professori di lettere, sempre un po’ maniacali, giù a sottolineare gli errori con la matita rosso/blu! Insomma, non è un periodo esaltante per il nostro Bel Paese dove il sì suona! O suonava? Altro dirti non vo; ma la tua festa ch’anco tardi a venir non ti sia grave.

Fedeli: «Inaccettabili i professori molestatori. Vanno licenziati, sempre»

da Corriere della sera

Fedeli: «Inaccettabili i professori molestatori. Vanno licenziati, sempre»

La ministra propone di mettere nel nuovo contratto la sanzione aggravata per i docenti autori di molestie, anche se non c’è reato. «Ragazze denunciate, la scuola vi ascolterà»

Gianna Fregonara

Non verranno messi a gestire la biblioteca della scuola, né saranno trasferiti in un altro istituto. Non resteranno a disposizione del preside, come succede ora. La ministra Valeria Fedeli ha deciso di usare la mano pesante con i professori che sono responsabili di episodi di molestie: «Chi viene giudicato colpevole dopo il procedimento disciplinare, sarà comunque licenziato». Anche se non c’è reato vero e proprio. E questa norma che istituisce l’aggravante per tutti i casi che si svolgono a scuola dovrà essere inserita nel nuovo contratto degli insegnanti che si sta chiudendo proprio in questi giorni. Eccola: «Il docente accusato di comportamenti o molestie a carattere sessuale nei confronti di alunne o alunni, studentesse o studenti minorenni, viene sospeso dall’insegnamento e sottoposto a iter disciplinare, al termine del quale, se giudicato colpevole, scatta il licenziamento».

Dunque non si distinguerà più tra casi gravi e casi meno gravi, come avviene ora: per i primi c’è già il licenziamento per altri una multa?

«Un docente che ha molestato una studentessa non può rimanere al proprio posto. Non sfugge infatti a nessuno che nel particolare e delicato rapporto che si instaura tra docente e discente ci sono dei limiti che non possono mai essere varcati. E’ anche questione di etica professionale. E’ intollerabile che gli autori di queste violenze siano coloro ai quali le famiglie affidano i proprio figli e le proprie figlie».

Se guardiamo i fatti di cronaca si tratta di professori e studentesse, uomini e ragazze. C’è un problema solo con i professori?

«E’ un fenomeno questo che c’è dentro la società e riguarda i rapporti uomo/donna, c’è dentro le famiglie purtroppo, e dentro la scuola. Ma io dico brave alle ragazze che denunciano, che hanno il coraggio di dirlo ai genitori e ai professori. Ma queste ragazze devono trovare ascolto, sostegno e risposte proprio dentro le istituzioni».

In tempi rapidi magari.

«Certo, ci vogliono verifiche accurate ma rapide, il procedimento disciplinare da parte dell’Ufficio scolastico regionale e poi, se c’è colpevolezza, la sanzione, sempre la più grave perché c’è un rapporto asimmetrico di forza oggettiva del professore nei confronti degli alunni. La libertà di insegnamento non c’entra perché deve e può riguardare la didattica ma non giustifica atteggiamenti scorretti. Il docente ha una responsabilità pubblica per questo se non rispetta il suo ruolo non solo può commettere reati ma anche creare un vulnus nel rapporto di fiducia con l’amministrazione e con lo Stato che lo delega».

Il licenziamento scatta anche se non c’è un reato vero e proprio, accertato con sentenza definitiva?

«Non tutte le infrazioni disciplinari hanno rilievo penale. Nei limiti della legge Madia sul pubblico impiego va messa aggravante per tutte le molestie nei confronti dei minori».

Quello delle molestie è un fenomeno in aumento o sono in aumento le denunce?

«Credo che ci sia più consapevolezza delle ragazze e che siano le denunce ad essere aumentate rispetto al passato. E io dico: meno male»

A lei è successo di subire avances o molestie a scuola?

«Andavo dalle suore a Bergamo, non mi è mai successo nulla a scuola. Dopo sì, ma ero già forte e autonoma per poter reagire».

Quella a sfondo sessuale non è l’unica violenza che c’è – anche se gli episodi sono fortunatamente pochi – nelle scuole. C’è anche la violenza fisica: quella delle maestre che picchiano i bambini è una notizia che si ripete nei giornali. L’aggravante vale anche per loro?

«Per loro ci sono le norme generali per il momento, ma dovremo rifletterci. Dopo i recenti fatti di cronaca affrontiamo il tema della violenza a sfondo sessuale. Va detto che oltre alle sanzioni io credo molto alla prevenzione e dunque ala formazione dei docenti che se ben fatta ci dovrebbe aiutare a tenere fuori questi fenomeni dalle nostre scuole».

Personale Ata, cresce l’attesa per il modello D3. Cinque utili indicazioni

da La Tecnica della Scuola

Personale Ata, cresce l’attesa per il modello D3. Cinque utili indicazioni

Save the Children, le 5 caratteristiche di una classe inclusiva

da La Tecnica della Scuola

Save the Children, le 5 caratteristiche di una classe inclusiva

Shoah, presentato il Piano delle attività per le scuole

da La Tecnica della Scuola

Shoah, presentato il Piano delle attività per le scuole

Fedeli: “Un docente che molesta la propria alunna deve essere licenziato”

da La Tecnica della Scuola

Fedeli: “Un docente che molesta la propria alunna deve essere licenziato”

ANP: “Le scuole hanno bisogno di manutenzione. I presidi non sempre sono ascoltati”

da La Tecnica della Scuola

ANP: “Le scuole hanno bisogno di manutenzione. I presidi non sempre sono ascoltati”

Sindacati: OK Fedeli, ma va tutelata la libertà di insegnamento

da Tuttoscuola

Sindacati: OK Fedeli, ma va tutelata la libertà di insegnamento

Non possiamo non essere d’accordo con la Ministra dell’Istruzione Università e Ricerca quando afferma che occorre allontanare dalla cattedra il docente che approfitta del proprio ruolo di educatore per stabilire con gli alunni rapporti eticamente e  professionalmente inaccettabili e da punire severamente“.  Così inizia un comunicato sottoscritto dai segretari generali dei tre sindacati scuola confederali Cgil Cisl e Uil e dall’autonomo Snals, che però osservano subito dopo che “Oggi esistono già le norme per procedere in questa direzione a partire dalla immediata sospensione dal servizio“.

Tali comportamenti sono da condannare in sé, prosegue il documento, ma “diventano ancor più gravi se legati a professioni
di cura o se avvengono nell’ambito di una speciale relazione quale è quella educativa che si instaura fra docenti e allievi“.
I sindacati, tuttavia, “ritengono necessario riaprire un confronto sull’opportunità di sedi alle quali affidare, in un ruolo di esplicita terzietà, una valutazione dei comportamenti dei docenti che assicuri la piena salvaguardia delle prerogative connesse all’esercizio della libertà di insegnamento costituzionalmente garantita“.

La proposta dei sindacati è di parlare di questo tema in sede di rinnovo del contratto. Un  confronto che non  dovrebbe però “limitarsi alla sola individuazione delle sanzioni da correlare alle condotte antidoverose, ma anche tentare di individuare sedi deputate all’esame dei casi concreti e in grado, per la loro specifica competenza, di mantenere l’azione disciplinare entro un quadro di piena tutela della libertà di insegnamento espressa nella relazione didattica, presidio di rango costituzionale ma prima ancora elemento di garanzia per la corretta formazione e la crescita delle nuove generazioni“.

Quali potrebbero essere le citate “sedi deputate” non è chiaro. Il fatto che nel titolo del comunicato si parli di “ripristino” di organismi di tutela farebbe pensare a qualcosa che si richiami ai “consigli di disciplina” previsti dal soppresso CNPI, organismi nei quali i sindacati avevano un peso preponderante.

Contratto scuola: ok inserimento sanzioni, ma non solo per abusi sessuali

da Tuttoscuola

Contratto scuola: ok inserimento sanzioni, ma non solo per abusi sessuali

Le violenze sui bambini della scuola dell’infanzia non sono meno gravi delle molestie sessuali dei docenti sulle studentesse.

Negli ultimi giorni le cronache hanno riportato notizie di abusi sessuali da parte di insegnanti nei confronti di allieve. È comprensibile e condivisibile, quindi, che la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, abbia opportunamente preso posizione per cambiare e inasprire le regole contrattuali in materia, dopo aver sottolineato la fondamentale funzione sociale svolta dalla grande maggioranza dei docenti.

La durezza delle dichiarazioni rilasciate alla stampa è in linea con l’indignazione dell’opinione pubblica per la violazione – nei pochi ma gravissimi casi oggetto di cronaca – del patto educativo tra docente e studente, e servono anche ad un distinguo importante e necessario per non accomunare in un giudizio sommario l’intera categoria dei docenti che merita ben altra considerazione e apprezzamento.

I docenti svolgono un ruolo decisivo, per quanto spesso sottovalutato. L’importanza sociale della loro figura e le loro responsabilità diventano sempre più delicate, e il loro compito più complesso.

Chiarito questo (e non sarà mai sottolineato abbastanza), il tema degli abusi verso gli alunni va inquadrato in un contesto più ampio. Parlare solo di molestie sessuali potrebbe essere limitativo. Le poche “mele marce” non sono solo quelle che compiono questo reato.

Basta, infatti, andare alle settimane scorse e agli ultimi mesi per trovare altre sgradevoli notizie di violenze nella scuola. Sono quelle di alcune maestre di scuola dell’infanzia, riprese, grazie a telecamere nascoste, mentre mettevano in atto ripetutamente atti di violenza fisica o psichica nei confronti di bambini di pochi anni di età.

La ministra Fedeli ha parlato di codice etico e di misure sanzionatorie molto dure da introdurre nel contratto scuola attualmente in trattativa all’Aran. Su chi compie atti di  violenza fisica (e psichica, aggiungiamo noi) è stata più prudente nell’intervista al Corriere: «Per loro ci sono le norme generali per il momento, ma dovremo rifletterci. Dopo i recenti fatti di cronaca affrontiamo il tema della violenza a sfondo sessuale». E ha aggiunto: «Va detto che oltre alle sanzioni io credo molto alla prevenzione e dunque alla formazione dei docenti che, se ben fatta, ci dovrebbe aiutare a tenere fuori questi fenomeni dalle nostre scuole».

Se il contratto scuola (sindacati permettendo) includerà disposizioni ad hoc contro i docenti violenti o molestatori, sarebbe limitativo prevedere soltanto interventi sugli abusi sessuali.

Non estendere eventuali norme contrattuali anche alle violenze nella scuola dell’infanzia sarebbe una occasione perduta. Nell’interesse non solo degli studenti, ma anche del buon nome della stragrande maggioranza degli insegnanti che lavora seriamente e merita riconoscenza e rispetto.

Pensioni scuola 2018: le indicazioni dell’Inps

da Tuttoscuola

Pensioni scuola 2018: le indicazioni dell’Inps

Con circolare n. 5 dell’11 gennaio 2017 l’Inps ha stabilito l’adozione, a regime dal 1° gennaio 2017, di una nuova modalità di definizione delle prestazioni basata sui dati presenti sul conto individuale assicurativo dell’iscritto.

L’accertamento del diritto al trattamento pensionistico, dunque, sarà effettuato dalle Strutture territoriali INPS sulla base dei dati presenti sul conto individuale assicurativo entro i termini previsti per la lavorazione degli elenchi di seguito indicati.

Secondo le indicazioni Inps attualmente vigenti, il datore di lavoro può comunicare le informazioni relative al lavoratore avvalendosi di diversi strumenti, segnatamente:

– fino al 31 dicembre 2013: Passweb;
– dal 1° gennaio 2014: utilizzo esclusivo del flusso UniEmens (ListaPosPA). Rimangono validi, in ogni caso, gli accordi di collaborazione stipulati, o eventualmente da stipulare, dalle Direzioni Regionali Inps/Direzioni metropolitane di coordinamento con i corrispondenti Uffici Scolastici Regionali o Provinciali, così come previsto nella citata circolare n. 5/2017.

Per i pensionamenti Scuola 2018, in accordo con il MIUR, sono state definite specifiche modalità operative affinché l’Istituto, entro i termini di seguito concordati, possa procedere all’accertamento del diritto a pensione dandone relativo riscontro al Miur per la successiva comunicazione al personale dimissionario. A tal fine il Miur, dopo aver individuato i soggetti per i quali dovrà essere risolto unilateralmente il rapporto di lavoro per limiti di età e la platea di coloro che hanno presentato domanda di risoluzione del rapporto di lavoro, ha comunicato all’Inps gli elenchi dei pensionandi Scuola 2018.

Tali elenchi, suddivisi nelle categorie infanzia, primaria, secondaria di 1° e 2° grado, personale educativo, insegnanti di religione, ATA. e dirigenti, dovranno essere lavorati dagli ambiti territoriali provinciali/scuole e dalle Strutture territoriali INPS secondo la seguente tempistica:

– l’elenco Miur 2018 – Infanzia deve essere chiuso dagli ambiti territoriali provinciali/scuole entro il 30 marzo 2018 e lavorato dalle Strutture territoriali INPS entro il 27 aprile 2018;
– l’elenco Miur 2018 – Primaria deve essere chiuso dagli ambiti territoriali provinciali/scuole entro il 30 marzo 2018 e lavorato dalle Strutture territoriali Inps entro il 27 aprile 2018;
– l’elenco Miur 2018 – Secondaria di 1° grado deve essere chiuso dagli ambiti territoriali provinciali/scuole entro il 20 aprile 2018 e lavorato dalle Strutture territoriali Inps entro il 18 maggio 2018;
– l’elenco Miur 2018 – Personale educativo deve essere chiuso dagli ambiti territoriali provinciali/scuole entro il 20 aprile 2018 e lavorato dalle Strutture territoriali Inps entro l’11 maggio 2018;
– l’elenco Miur 2018 – Secondaria di 2° grado deve essere chiuso dagli ambiti territoriali provinciali/scuole entro il l’11 maggio 2018 e lavorato dalle Strutture territoriali Inps entro l’8 giugno 2018;
– l’elenco Miur 2018 – insegnanti di religione cattolica deve essere chiuso dagli ambiti territoriali provinciali/scuole entro l’11 maggio 2018 e lavorato dalle Strutture territoriali Inps entro il 1° giugno 2018;
– l’elenco Miur 2018 – ATA deve essere chiuso dagli ambiti territoriali provinciali/scuole entro l’11 maggio 2018 e lavorato dalle Strutture territoriali Inps entro l’8 giugno 2018;
– l’elenco Miur 2018 – Dirigenti deve essere chiuso dagli ambiti territoriali provinciali/scuole entro l’11 maggio 2018 e lavorato dalle Strutture territoriali Inps entro l’8 giugno 2018.

Maggiorazioni di servizio

Per quanto riguarda le maggiorazioni di servizio spettanti in relazione all’attività lavorativa svolta (ad esempio “servizio prestato nelle scuole italiane all’estero” di cui all’art. 24 del D.P.R n. 1092/1973), gli Uffici scolastici/scuole avranno cura di inviare la documentazione necessaria per il riconoscimento del diritto alle citate maggiorazioni.

Nella comunicazione dell’Inps si precisa che per le cosiddette “maggiorazioni di status” rimangono ferme le indicazioni contenute nel messaggio n. 1836 del 3 maggio 2017. Pertanto, ai fini dell’accertamento del diritto a pensione, gli Uffici scolastici/scuole avranno cura di informare gli eventuali beneficiari delle maggiorazioni in questione di produrre, direttamente alla competente Struttura territoriale INPS, idonea documentazione attestante il diritto all’attribuzione delle stesse.

Servizio Militare

Ai fini dell’acquisizione del periodo di servizio militare sulla posizione assicurativa dell’iscritto, esclusivamente per l’anno corrente ed in deroga a quanto disposto con circolare n. 138 del 28 luglio 2016, gli Uffici scolastici/scuole invieranno alle competenti Strutture territoriali INPS il foglio matricolare, qualora presente agli atti.

Provvedimenti “Ante subentro” emanati a ridosso del pensionamento

Gli ambiti territoriali provinciali del Miur dovranno definire con la massima sollecitudine, coerentemente alla tempistica prevista per la lavorazione degli elenchi, i cosiddetti provvedimenti ante subentro, inviandoli tempestivamente, con le consuete modalità e in formato cartaceo, alle competenti Strutture territoriali INPS per consentire l’acquisizione in Posizione Assicurativa dei dati del provvedimento. Pertanto, gli ambiti territoriali provinciali del Miur, in sinergia con le Strutture territoriali dell’Istituto, dovranno avviare la fase istruttoria correlata alle domande da definire attraverso la richiesta dei modelli CER o TRC. Al fine di consentire la celere definizione dei provvedimenti da parte degli ambiti territoriali provinciali del Miur, le Strutture territoriali Inps provvederanno a elaborare e a inviare, con tempestività, i richiesti modelli.

Gli operatori Inps dovranno attenersi a quanto disposto nel messaggio Hermes n. 6659 del 30 ottobre 2015 e nel messaggio n. 1894 del 5 maggio 2017 per le modalità di inserimento dei periodi cosiddetti ante subentro. In particolare, qualora il provvedimento dell’Amministrazione Statale riconosca un periodo che superi la capienza di giorni consentita, in quanto superiore alla sua collocazione temporale, lo stesso deve essere restituito all’Ufficio che lo ha emanato affinché venga emesso un nuovo atto con modalità operative che saranno oggetto di successive istruzioni.

Periodi Pre-ruolo (dal 1° gennaio 1988)

Per la sistemazione delle posizioni dei soli pensionandi 2018, viene messa a disposizione dell’operatore Inps nell’applicativo Nuova Passweb un’ulteriore funzione quale supporto alla lavorazione. Tale funzione consentirà all’operatore Inps di visualizzare i periodi pre-ruolo del personale interessato, ai fini dell’eventuale valorizzazione nella banca dati Inps della Posizione Assicurativa, qualora non dovessero essere già presenti.

Una comunicazione di disponibilità dei dati sui periodi pre-ruolo sarà fornita all’operatore INPS a seguito dell’avvio dell’attività di sistemazione nella pagina iniziale dell’applicazione. L’operatore Inps potrà quindi procedere alla lavorazione delle posizioni assicurative con l’apertura delle attività di “Sistemazione della posizione assicurativa”. È importante che nella sistemazione della posizione assicurativa l’operatore Inps curi:

– la completezza della posizione assicurativa fino alla data corrente;
– la validazione/certificazione dei periodi utili e dei periodi riconosciuti affinché alla chiusura dell’attività di sistemazione possa essere verificato il diritto al trattamento pensionistico con decorrenza 1 settembre 2018.

La verifica del diritto al trattamento pensionistico sarà effettuata dall’operatore Inps attraverso un’apposita funzione che consentirà, a partire dall’ultima denuncia presente in banca dati, la valutazione in anticipo del servizio fino al 31 dicembre 2018. A tale riguardo è fondamentale la massima collaborazione tra il personale Inps e il personale Miur. Con successivo messaggio saranno diramate ulteriori istruzioni operative per gli operatori Inps. Con successive istruzioni da parte del Miur saranno fornite, inoltre, agli ATP/scuole le indicazioni operative sull’utilizzo delle funzioni informatiche SIDI per la gestione delle informazioni utili all’Inps ai fini del trattamento pensionistico.

Giornata della Memoria: presentato al Miur il piano di attività per le scuole

da Tuttoscuola

Giornata della Memoria: presentato al Miur il piano di attività per le scuole

«È importante promuovere tra gli studenti, e in tutta la comunità scolastica italiana, la conoscenza della Shoah. Perché solo attraverso la conoscenza si forma la coscienza critica necessaria per saper cogliere gli elementi della modernità che possono riproporre i germi di quello che la storia ha sconfitto». Queste le parole utilizzate dalla Ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, nel corso della presentazione, lo scorso 17 gennaio, del programma di attività per le scuole sulla conoscenza della Shoah lanciato in vista del Giorno della Memoria, che si celebrerà il 27 gennaio prossimo, ma che attraverserà tutto il 2018, concentrandosi sugli 80 anni dall’emanazione delle leggi razziali.

Il lancio è avvenuto al Ministero dell’Istruzione. Alla conferenza stampa hanno preso parte, fra gli altri, anche il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm), Giovanni Legnini, la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei), Noemi Di Segni, e il Capo delegazione dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), l’Ambasciatore Sandro De Bernardin.

Una mostra itinerante “I giovani ricordano la Shoah”, dedicata alle migliori opere prodotte per il concorso aperto alle scuole. Il primo seminario nazionale di formazione delle e dei docenti sui temi dell’integrazione, dell’accoglienza e della lotta al razzismo. Un portale nazionale delle buone pratiche, realizzato in collaborazione con l’Ucei, sulle esperienze didattiche più significative. Le Linee guida nazionali per l’insegnamento della Shoah, che offriranno alle e ai docenti uno strumento per affrontare la materia con correttezza storica ed efficacia didattica. Ma anche: un cartone animato, “La stella di Andra e Tati”, il primo sulla tematica della Shoah realizzato in Europa, realizzato grazie alla collaborazione fra Miur, Rai e Larcadarte, che racconta la storia delle sorelle Bucci, deportate ad Auschwitz-Birkenau nel corso della Seconda Guerra Mondiale, all’età di 4 e 6 anni. E ancora, la pubblicazione di un ebook, “Gli anni della vergogna”, realizzato dalla Fondazione Museo della Shoah di Roma in collaborazione con la Direzione Generale per lo Studente del Miur, per le alunne e gli alunni delle secondarie di II grado, che ripercorre le vicende della deportazione degli ebrei dall’Italia. Sono alcune delle principali novità previste dal Piano del Miur, che vanno ad aggiungersi a quelle già portate avanti nelle scuole.

«Vogliamo offrire – ha spiegato la ministra Fedeli – un percorso di formazione e non una singola giornata di studio. E vogliamo farlo declinando questo percorso in diversi linguaggi, con video, libri, cartoni animati, in modo da rendere disponibili contenuti che siano adatti alle diverse fasi di crescita delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi».
Le iniziative sono promosse anche con il Consiglio Superiore della Magistratura e l’Unione delle Comunità Ebraiche, sulla base di una Carta d’Intenti siglata a gennaio dello scorso anno a Cracovia. Proprio nell’ambito di questa intesa, il Csm inviterà quest’anno le studentesse e gli studenti di alcune scuole secondarie di I e II grado a partecipare alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario. «Abbiamo deciso – ha anticipato il Vice Presidente Legnini – di invitare gli studenti all’inaugurazione dell’anno giudiziario che si terrà, presso ciascuna Corte di Appello, proprio il prossimo 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria».

Le nuove attività che saranno realizzate nell’ambito del Piano diffuso lo scorso 17 gennaio vanno ad aggiungersi a quelle già promosse dal Miur da molti anni. Come il Viaggio della Memoria con le scuole, che quest’anno si svolgerà dal 21 al 23 gennaio. È organizzato con la collaborazione dell’Ucei per commemorare l’anniversario della liberazione del campo di Auschwitz-Birkenau e consentire alle studentesse e agli studenti italiani che si sono distinti con progetti dedicati alla Shoah di partecipare ad un’esperienza didattica particolarmente significativa.
Sempre in collaborazione con l’Ucei, sarà riproposto, anche per questo anno scolastico, il concorso “I giovani ricordano la Shoah”, giunto alla sua XVI edizione e rivolto a tutte le classi del I e II ciclo di istruzione. Le classi vincitrici saranno premiate al Quirinale dal Presidente della Repubblica e dal Presidente delle Comunità Ebraiche. Il concorso, che ha fatto registrare una partecipazione crescente, fornirà le opere per la mostra itinerante che farà tappa almeno in due città italiane e sarà accompagnata da una serie di eventi.

Per il 2018 l’Italia, proprio in occasione dell’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali, avrà la presidenza dell’IHRA, l’organismo internazionale che si occupa della memoria della Shoah e dell’educazione delle nuove generazioni. La guida della delegazione italiana è stata affidata dal Miur all’Ambasciatore Sandro De Bernardin.

Sistema duale: quali risultati e prospettive di sviluppo per i giovani, le imprese e l’occupazione?

da Tuttoscuola

Sistema duale: quali risultati e prospettive di sviluppo per i giovani, le imprese e l’occupazione?

Un deciso cambio di passo ha connotato le attività istituzionali degli ultimi anni in materia di formazione e proposte occupazionali per i giovani. Anche in Italia è nato così il Sistema Duale, che prevede una collaborazione tra istituzione formativa e impresa, per consentire agli allievi di apprendere attraverso l’esperienza pratica, con una presenza in azienda fino alla metà del monte ore dei percorsi di istruzione e formazione professionale.

Oggi, dopo i positivi risultati di una prima sperimentazione, il Sistema Duale si avvia alla messa a regime, grazie ad un finanziamento stabile di 80 milioni di euro introdotto dalla Legge di bilancio per il 2018 (L. 205/2017), a cui si aggiungono per il solo anno in corso ulteriori 50 milioni di euro.

Anche le imprese che collaborano attivamente nella formazione dei giovani potranno contare su un finanziamento crescente nel tempo, fino a 22 milioni annui, per garantire il totale abbattimento dei contributi per gli apprendisti del sistema duale ed il mantenimento della decontribuzione per tre anni nel caso di assunzione a tempo indeterminato di quegli stessi giovani che hanno ospitato in alternanza o in apprendistato duale durante il percorso di studi.

Venerdì 19 gennaio alle ore 17 si terrà a Firenze, presso l’A.S.P. Montedominivia Faenza 48, l’incontro organizzato dall’Associazione nazionale Enti di Formazione Professionale FORMA, intitolato Sistema Duale. Risorsa per i giovani, le imprese e l’occupazione, cui interverrà anche il Sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba.

Grazie alla fruttuosa sinergia tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e le Regioni, il Sistema Duale è diventato realtà anche nel nostro Paese e rappresenta un’autentica risorsa per il rilancio dell’occupazione e una risposta concreta alla disoccupazione giovanile” – osserva Paola Vacchina, Presidente di FORMA – “di questo vogliamo discutere in modo costruttivo perché la sperimentazione ha dimostrato che l’apprendistato duale in Italia si può fare; le aziende sono interessate e disponibili e i risultati formativi sono più che incoraggianti, anche se siamo consapevoli che c’è ancora tanta strada da precorrere per saldare una nuova alleanza tra giovani e imprese”.

Tracceranno bilanci e prospettive di sviluppo la Vice sindaco di Firenze, Cristina Giachi; l’Assessora della Regione Toscana e Coordinatrice della Commissione Istruzione, lavoro, innovazione e ricerca della Conferenza delle Regioni, Cristina Grieco; il Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Luigi Bobba; la Dirigente all’Istruzione Tecnica Superiore del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Nadia Garuglieri; la Presidente del CIOFS-FP (Centro Italiano Opere Femminili Salesiane – Formazione Professionale), Manuela Robazza; l’Esperto di sistemi formativi, Eugenio Gotti; il Presidente della Fondazione Clerici, Massimiliano Sabbadini, e il Presidente di SCF-Scuola Centrale di Formazione, Bruno Emilio Gandini, introdotti da Paola Vacchina, Presidente FORMA.

L’incontro sarà occasione per annunciare in anteprima gli ultimi dati relativi all’apprendistato di I livello, quello orientato all’acquisizione di titoli di studio legati al mondo delle professioni e dei mestieri.

Nota per Osservatorio nazionale sulla valutazione della dirigenza scolastica

DIRIGENTISCUOLA-Di.S.Conf.: Nota per la convocazione dell’Osservatorio nazionale sulla valutazione della dirigenza scolastica, del 19 gennaio 2018

 

  1. Premesso che la valutazione ha molteplici configurazioni e correlate funzioni, per DIRIGENTISCUOLA-Di.S.Conf., sindacato rappresentativo nell’area dirigenziale Istruzione, Università e Ricerca, è prioritariamente non più dilazionabile l’obbligo di corrispondere al dettato della legge, risolvendo l’assurdità che, ad un ventennio dalla sua nascita nell’ordinamento giuridico, fa di quella scolastica l’unica dirigenza pubblica a non essere valutata, ai sensi e per gli effetti della norma generale contenuta nell’art. 21 del D. Lgs 165/01 e s.m.i., integrata – integrata, non già sostituita! – dalla norma speciale del successivo articolo 25: con la conseguenza di cristallizzarne lo status di figlia di un dio minore.

Ma il dispositivo messo a punto dall’Amministrazione – con la direttiva 36/16 – e sul quale si vuol centrare la discussione, per meglio testarlo e poi eventualmente correggerlo, DIRIGENTISCUOLA-Di.S.Conf. lo ritiene un inemendabile ponderoso, confusivo e proliferante ircocervo, fortunatamente arrestatosi – nel momento in cui se n’è decretato il sostanziale de profundis – alla previsione e produzione di – soli! – 22 corposi documenti, dal PTOF al Portfolio, unitamente alle sue generose propaggini, quali Anagrafe professionale, Autovalutazione e bilancio delle competenze, Azioni professionali; replicante ottusamente – con una cocciutaggine degna di miglior causa – quei modelli sperimentali susseguitisi negli ultimi dieci anni e tutti puntualmente naufragati.

Ma, soprattutto, l’intero concettuoso marchingegno, come lo erano i suoi antecedenti, è palesemente contra legem, se si ha cura di porre un minimo di attenzione alle disposizioni del D. Lgs. 165/01, integrate dal D. Lgs. 150/09 prima e dal D.P.R. 80/13 poi, per essere infine richiamate e sintetizzate nel comma 93 sgg. della legge 107/15.

Perché, nelle predette fonti di diritto positivo, si legge de plano che la valutazione dirigenziale – se valutazione dirigenziale è! – vuole accertare esclusivamente le competenze (o i comportamenti) organizzativo-gestionali e il grado di raggiungimento degli obiettivi formalizzati non già in progress, bensì nei provvedimenti d’incarico; semplicemente preordinata alla retribuzione di risultato, significativamente differenziata ex lege ovvero, in caso di esito negativo, collegata alle conseguenze sanzionatorie graduate nel menzionato art. 21 del D. Lgs. 165/01: come per ogni soggetto di qualifica dirigenziale.

Precisamente, la valutazione dirigenziale apprezza la performance individuale e il contributo recato alla performance della struttura organizzativa (che nel caso di specie è ogni istituzione scolastica): come per tutta la dirigenza pubblica, inclusi i dirigenti scolastici, atteso che le deroghe (recte: gli adattamenti) riguardano la Presidenza del consiglio, la dirigenza medica, la dirigenza in alcune amministrazioni di piccole dimensioni e, testuale, il personale docente della scuola e delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale, nonché i tecnologi e i ricercatori degli enti di ricerca (art. 74, comma 4, D. Lgs. 150/09).

All’opposto, sempre il Legislatore, neanche nella norma speciale (art. 1, comma 93, legge 107/15), ha inteso conferire alla valutazione dei dirigenti scolastici il compito di promuovere e affinare, in via diretta e immediata, lo sviluppo professionale; peraltro avendo essi vinto un concorso pubblico, essendosi sottoposti al canonico corso di formazione, avendo infine superato il prescritto periodo di prova.

La valutazione dirigenziale e la valutazione definibile, in senso lato, formativa (di affiancamento e supporto lungo l’intero percorso professionale, per il c.d. miglioramento continuo), qui imposta a chi sembra essere destinato a fungere perennemente – e gratuitamente! – da cavia per legittimarsi ruoli e funzioni altrui, sono fattispecie diverse e ben distinte – sebbene correlabili – sotto il profilo concettuale e, più ancora, per gli esiti cui mettono capo: strutturalmente dura e classificatoria la prima, prosaicamente proiettata su benefici economici e sviluppi di carriera; amicale e priva ex se di incidenza sulla sfera giuridica soggettiva la seconda.

Lo stesso D.P.R. 80/13, contenente il Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione, nell’ambito della generale valutazione collaborativa delle istituzioni scolastiche per contro prevede un distinto capitolo – dunque, da non confondere – per l’individuazione di indicatori per la valutazione del dirigente (art. 3, comma 1, lett. d), che l’INVALSI avrebbe dovuto produrre entro il 31 dicembre 2014, e tuttora latitanti, tesi ad evidenziare … le aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche direttamente (a lui) riconducibili ai fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale (art. 6, comma 4): passaggi richiamati – giova ripeterlo – dal comma 93 della legge 107, che ne conferma l’obbligata coerenza con le disposizioni contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, di cui in prosieguo.

Se ciò è vero – e, sino a prova di smentita, lo è – il Portfolio e suoi ammennicoli può dirsi, come minimo, inconferente, mentre potrebbe giustificarsi, magari alleggerito da inutili orpelli, per i soggetti in anno di formazione e prova, ovvero per implementare innovazioni normative attraverso un percorso di riflessione partecipata e conseguenti azioni sul campo: che, beninteso, è più che legittimo, ma profondamente altro.

E difatti, quale correlazione significativa potrà mai stimarsi tra la necessità di misurare, e valutare, comportamenti organizzativi e grado di conseguimento degli obiettivi dell’azione dirigenziale e l’imposizione di uno strumento che, testualmente, assolve alle funzioni di orientamento, analisi e riflessione sui compiti e sulle competenze richiesti al dirigente scolastico…nonché di supporto per lo sviluppo professionale?

E qual è qui il senso di un’Anagrafe professionale, con facoltà dell’interessato di integrarla con documenti qualificanti e particolarmente significativi, che intende raccogliere tutte le informazioni professionali più rilevanti, andando a ficcare il naso nell’intera storia di vita del dirigente scolastico, sino ai più minuziosi ed ininfluenti dettagli?

Analogamente, quale utilità può ravvisarsi nel Bilancio delle competenze, che ha l’obiettivo di consentire al dirigente scolastico una riflessione sul suo ruolo e sui suoi punti di forza/debolezza, nell’ottica dello sviluppo e del miglioramento della professionalità?

Infine – stiamo parlando di un dirigente che deve realizzare con ampia autonomia operativa, rispondendone, direttive, piani o programmi – come può pensarsi di elencare oltre centocinquanta esemplificazioni possibili di azioni dirigenziali, da cui – dopo averle lette e rilette – è invitato a sceglierne non più di due?

  1. Esperti di antico lignaggio e di recente conio si peritano però di evidenziare che la valutazione della dirigenza – di tutta la dirigenza pubblica, non solo di quella delle istituzioni scolastiche! – non è esclusivamente preordinata alla retribuzione di risultato, ma, in seguito all’emanazione del D. Lgs. 150/09 (Riforma Brunetta), anche al miglioramento della qualità del servizio offerto dalle amministrazioni pubbliche (cui appartengono le istituzioni scolastiche, ex art. 1, comma 2, D. Lgs. 165/01), nonché alla crescita delle competenze professionali. E che pertanto il Portfolio, con rispettive appendici, è uno strumento idoneo a compendiare, armonizzandole, queste tre dimensioni.

La prima affermazione è vera ex litteris. La seconda è falsa, nel senso che logicamente – e non solo logicamente – è un non sequitur: e lo si può dimostrare agevolmente con un’argomentazione essenziale, sostenuta da evidenze normative e, non meno, fattuali.

2.1. Dispone l’articolo 3, comma 1 del D. Lgs. 150/09 che la misurazione e la valutazione della performance sono volte al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alla crescita delle competenze professionali, attraverso la valorizzazione del merito e l’erogazione dei premi per i risultati perseguiti dai singoli e dalle unità organizzative in un quadro di pari opportunità di diritti e di doveri, trasparenza dei risultati delle amministrazioni pubbliche e delle risorse impiegate per il loro perseguimento.

Nel conseguente Piano di gestione della performance sono definiti gli obiettivi generali connessi alle priorità strategiche delle pubbliche amministrazioni, tramite apposite linee guida triennali della Presidenza del consiglio dei ministri, cui seguono gli obiettivi specifici delle diverse amministrazioni pubbliche, secondo le direttive ministeriali.

La performance, sia organizzativa che individuale, riguarda non solo i dirigenti, essendo estesa all’intero personale, che in questa sede può essere tralasciato.

La prima è riscontrata mediante modelli predisposti dalla Funzione Pubblica (art. 8, comma 1 bis, introdotto dal D. Lgs. 74/17), mentre la seconda – ai sensi dell’art. 9, comma 1 del primigenio e qui immodificato testo normativo – è collegata:

a)agli indicatori di performance relativi all’ambito organizzativo di diretta responsabilità, ai quali è attribuito un peso prevalente nella valutazione complessiva;

b)al raggiungimento di specifici obiettivi individuali;

c)alla qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate, nonché ai comportamenti organizzativi richiesti per il più efficace svolgimento delle funzioni assegnate;

d)alle capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi.

L’articolo 19 del D. Lgs. 150/09, rivisitato dal D. Lgs. 74/17, oltre a collegare la significativa differenziazione dei giudizi all’effettiva diversificazione dei trattamenti economici, nell’ambito delle risorse destinate alle remunerazioni accessorie, specifica che per i dirigenti il criterio di attribuzione dei premi è applicato con riferimento alla retribuzione di risultato.

E’ appena il caso di annotare che i premi, che riconoscono il merito e la professionalità, hanno un’estensione semantica più ampia della valutazione dirigenziale in senso stretto, ancorché gli stessi – come i demeriti, sanzionati nel massimo grado con il licenziamento – siano alla medesima connessi.

Di tale più ampia estensione semantica se ne ha un riscontro nei correlati istituti e/o misure elencati nel successivo articolo 20, che possono essere applicati cumulativamente o disgiuntamente:

– bonus annuale delle eccellenze;

– premio annuale per l’innovazione;

– progressioni economiche (per le qualifiche non dirigenziali);

– progressioni di carriera;

– attribuzione di incarichi e responsabilità;

– accesso ai percorsi di alta formazione e di crescita professionale in ambito nazionale e internazionale;

– premio di efficienza.

Occorre peraltro avvertire che qui necessitano almeno due precisazioni: la prima per significare che il complesso e articolato costrutto della performance, reso con sbrigativa sintesi, troverà compiuta applicazione a partire dai prossimi rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018; la seconda per ricordare che per la scuola – in cui non sono stati previsti gli organismi interni di valutazione (OIV) – valgono le disposizioni codificate nel D.P.R. 80/13, Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione (ante), integrate dalla legge 107/15, in particolare comma 93 dell’unico articolo di cui essa si compone, ancorché della performance l’uno e l’altra ne mutuino la medesima logica e ne partecipino il medesimo fine.

Si ricorderà che il predetto comma 93 indica i criteri generali che devono fondare la valutazione della dirigenza scolastica:

a)competenze gestionali e organizzative finalizzate al raggiungimento dei risultati, correttezza, trasparenza, efficienza ed efficacia dell’azione dirigenziale, in relazione agli obiettivi assegnati nell’incarico triennale;

b)valorizzazione dell’impegno e dei meriti professionali del personale d’istituto, sotto il profilo individuale e negli ambiti collegiali;

c)apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale;

d)contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti e dei processi organizzativi e didattici, nell’ambito dei sistemi di autovalutazione, valutazione e rendicontazione sociale;

e)direzione unitaria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto sociale e nella rete di scuole.

Le voci sub a)-e) sono dedotte dall’art. 25 del D. Lgs. 165/01, quella sub d) dal D.P.R. 80/13, quelle sub b)-c) dal D. Lgs. 150/09. Il che conferma che identica è la logica e identico è il fine (supra): per la generica dirigenza pubblica e per la specifica dirigenza scolastica.

In ogni caso, i passaggi sopra rimarcati e le annotazioni che li seguono, con gli afferenti richiami al diritto positivo, dovrebbero rendere di immediata evidenza la siderale distanza che li separa dalla filosofia, e dalle incombenze applicative, del Portfolio, come innanzi illustrate.

2.2. Oltre alle evidenze normative testé sunteggiate soccorrono probanti, e non meno perspicui, riscontri fattuali.

Il riferimento è il decreto del MIUR n. 971 del 23.11.13 – che poi dovrà riprendersi – recante ricognizione di indicazioni e criteri per l’attribuzione del trattamento accessorio al personale dirigenziale e delle Aree per gli anni 2012 e 2013.

Si compone di una premessa che, tra le altre disposizioni normative, richiama quelle che hanno introdotto importanti modifiche in materia (legge 135/12, di conversione del decreto legge 95/12, delineante il processo di valutazione del personale nelle more dei rinnovi contrattuali, di cui all’art. 6 della legge 141/11), cui seguono cinque articoli – di cui uno riguarda il personale non dirigente – che, ai fini dell’attribuzione del trattamento economico accessorio, rispettivamente statuiscono:

– che la valutazione dei dirigenti di seconda fascia viene effettuata dal Capo di gabinetto per quelli in servizio negli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dal Capodipartimento per quelli operanti nei suoi uffici di supporto;

– che la valutazione del personale dirigenziale avverrà tramite un’apposita allegata scheda SOR (scheda degli obiettivi e dei risultati), che consente di valutare sia il conseguimento degli obiettivi assegnati e il contributo dato alla performance complessiva dell’amministrazione, che il comportamento organizzativo, ivi compresa la capacità di valutazione dei propri collaboratori. Gli obiettivi sono desunti dal Piano della performance e possono dar luogo all’attribuzione di un punteggio massimo di 100;

– che il comportamento organizzativo, cui potranno essere attribuiti non più di 10 punti, sarà valutato con riguardo a analisi e programmazione; gestione e realizzazione; relazione, coordinamento e capacità di valutazione dei propri collaboratori;

– che il valutatore potrà tener conto degli eventuali elementi di difficoltà riscontrati nell’attività gestionale e indicati dal valutato nell’apposita scheda EDE (elementi di difficoltà evidenziati, così predefiniti: mutamento obiettivi programmati, insufficiente consistenza del personale, non adeguata preparazione professionale del personale coinvolto, non adeguate risorse strumentali, non sufficienti risorse finanziarie, difficoltà di coordinamento con altre strutture dell’amministrazione; il tutto semplicemente crociando le voci nelle apposite caselle del SI, ovvero aggiungendo Altro, da specificare nei successivi righi, unitamente a ulteriori osservazioni del valutato;

– che il valutatore, relativamente ai dirigenti di seconda fascia, dovrà assicurare che il punteggio massimo venga attribuito a non più del 30% del personale in servizio.

E, particolare di non poco momento, le due schede SOR e EDE sono sempre quelle preistoriche allegate alla Direttiva n. 4072 del 12.05.05, concernente il Sistema di valutazione della dirigenza del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

Ben si vede che non ci sono visite di Nuclei, né interlocuzioni via skype o assistenze tutoriali. E sono del tutto estranei portofolii o consimili amenità da compilare, perché è lasciata alla libertà dei singoli interessati allegare la documentazione ritenuta significativa a comprova di quella che è una procedura gentile, non invasiva: sostanzialmente un’autovalutazione, con il punteggio che ognuno si attribuisce e che il valutatore potrà poi confermare o correggere.

Con questo dispositivo essenziale, chiaro, maneggevole, che ha dato prova di funzionare (pochi obiettivi concordati e tre sole voci a compendiare il comportamento organizzativo) e con un solo valutatore, senza che altri soggetti entrino in scena se non in via eventuale e decisamente remota, i valutati – dirigenti amministrativi di pari seconda fascia, preposti ad uffici interni con non più di una decina di persone da dirigere (art. 17, D. Lgs. 165/01), e dirigenti tecnici privi di una dipendente struttura organizzativa e meri attributari di posizioni dirigenziali (art. 9, D.P.C.M. 98/14) – si son potuti annualmente mettere in tasca una retribuzione di risultato tutt’altro che simbolica.

  1. Ciò nonostante, pur ammettendosi che il Portfolio rivela delle criticità, e pure qualche aporia, si è largamente convinti – e si insiste – che esso, con alcuni correttivi, può ben essere mantenuto: con il risultato – inconsapevole oppure scientemente perseguito? – di mandare fuori bersaglio l’eterna questione della valutazione della dirigenza scolastica, sollecitando l’inclinazione a disquisire sui massimi sistemi e a spaccare le virgole, senza mai arrivare al dunque perché manca sempre qualcosa per fare cento, secondo uno sterile copione che si recita da più di tre lustri: frutto della incomprimibile e perniciosa inclinazione a filosofeggiare, mentre gli altri – i dirigenti normali, non aggettivati – incassano!

Incidentalmente, ci sarebbe poi da chiedersi – ma ben pochi, per usare un eufemismo, se lo chiedono – quale sarebbe la ricaduta pratica di uno sforzo finalmente coronato dalla scelta dell’albero cui essere impiccati: una retribuzione di risultato che, con le attuali risorse finanziarie del FUN (Fondo unico nazionale a disposizione della dirigenza scolastica per remunerare altresì posizione variabile e, pro parte, le reggenze) non supererebbe la cifra media pro capite di 2.000 euro annui lordi, meno di quella percepita – sino a quando è stata percepita – in via automatica, parametrata sulla fascia di complessità dell’istituzione scolastica diretta, senza la necessità di sottoporsi a vessazioni burocratiche.

Poiché DIRIGENTISCUOLA-Di.S.Conf. è fermamente convita che moltissimi pregiati colleghi sono indifferenti allo sterco del diavolo, non sprofonderanno sicuramente in una crisi di nervi se si riportiano gli ultimi dati ufficiali disponibili al 20 novembre 2014; che dicono di una retribuzione annua lorda media – dei valutati con le due schede SOR e EDE – di 30.000 euro, con punte sino a 46.135,17 e senza mai scendere sotto i 28.000 (Le caselle indicanti 0,00 si riferiscono ai dirigenti tecnici, e a qualche dirigente amministrativo, immessi successivamente nei ruoli per vincita di concorso o per nomina politica ex art. 19, commi 5 bis e 6, D. Lgs. 165/01.

Eppure basterebbe porsi una semplice domanda sul perché la dirigenza scolastica resti a tutt’oggi l’unica dirigenza pubblica non valutata: non sarà per caso anche per l’assurdità degli strumenti – in realtà, sempre lo stesso, semplicemente mutato nella sua denominazione – sinora escogitati per disattendere la prescrizione legale e mantenerla quiescente?

Ma pure qualcuno che la domanda se l’è posta ha subito però sollevato due obiezioni, ostative al rovesciamento del tavolo e all’adozione del surriferito modello ministeriale: la specificità della dirigenza scolastica e la problematica fattibilità di un dispositivo non adatto ai grandi numeri. Ma sono obiezioni facilmente smontabili.

3.1. Circa la specificità – per il vero una specificità pezzente, incredibilmente(?) difesa con le unghie per primi dai suoi beneficiati – può tranquillamente dirsi, già prima facie, che essa può ben essere rilevata, valutata e rendicontata da quello che è un dispositivo sostanzialmente neutro, con alcuni adattamenti sia per il comportamento organizzativo che per gli obiettivi da perseguire.

In primo luogo si tratterebbe di riferire la valutazione ai criteri/parametri del pluricitato comma 93 della legge 107/15, incluso l’apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale, naturalmente avendosi cura di ponderarne il peso e di predisporre idonei accorgimenti per tenersi il più possibile sotto controllo gli effetti distorsivi.

Allo stesso modo, previo puntuale e sistematico raccordo tra l’Amministrazione centrale e gli Uffici scolastici regionali, dovrebbero definirsi gli obiettivi: anch’essi pochi e ben selezionati, che possano armonizzarsi reciprocamente e con gli obiettivi (non più di due) figuranti nel Piano di miglioramento dell’istituzione scolastica: tutti formalizzati nel provvedimento d’incarico ed elencati nella scheda SOR. Obiettivi, che siano nella diretta disponibilità del soggetto valutato; non ridondanti declaratorie di profilo, estrapolate in copia conforme dalle eterogenee e sedimentate norme che delineano, semplicemente, il perimetro dell’oggetto dell’incarico e che, per definizione, non sono perseguibili!

Andrebbe solo invertito il peso attribuito al primo e ai secondi per corrispondere alla peculiarità delle istituzioni scolastiche, non assimilabili ad un ufficio amministrativo siccome strutturalmente contrassegnato da procedure in larga prevalenza standardizzate. Ragion per cui qui la prevalenza non può essere quella dei risultati, attingibili con strumenti quantitativi (valutazione di prodotto), bensì dei comportamenti organizzativi, essenzialmente deducibili con un sistema di indicatori e descrittori – conosciuti in anticipo – e la cui frequenza e intensità siano convenzionalmente stimati significativi, in termini di causalità adeguata, salvo verifica e loro consequenziale rimessa a punto (valutazione di processo).

3.2. La seconda obiezione – quella dei grandi numeri – sembra più solida, ma è parimenti inconsistente.

Sì è vero, un capodipartimento valuta un numero di direttori generali che non sempre superano le dita di una mano, dei quali ha conoscenza diretta in forza di un quotidiano rapporto di prossimità (e sarebbe interessante svilupparne le implicazioni, in termini di supposta maggiore garanzia di oggettività per i valutati) . E, a cascata, un direttore generale valuta i dirigenti del proprio ufficio, che non di rado alle dita di una mano neanche ci arrivano.

Ben diversa è la situazione allorquando un direttore generale di un ufficio scolastico regionale deve formalizzare una valutazione, in media, di 450-500 dirigenti scolastici, sparsi sul territorio ed esercitanti la funzione non già in un omogeneo ufficio amministrativo strutturato su livelli gerarchici, bensì – con ben più ampia libertà – in più complessi enti-organi dotati di soggettività giuridica nell’agire doverosamente la propria autonomia funzionale; e in cui sono incardinati soggetti – individuali e collettivi – attributari di facoltà decisionali addirittura garantite dalla Costituzione.

Pur tuttavia, il Legislatore la soluzione l’ha indicata nell’articolo 25 del D. Lgs. 165/01, statuendo che i dirigenti scolastici – nel rispondere, agli effetti dell’articolo 21 (norma-base per tutta la dirigenza pubblica) dei risultati (estensivamente: dei comportamenti organizzativi, del raggiungimento degli obiettivi, nonché dell’osservanza delle direttive degli organi d’indirizzo) – si relazionano in prima istanza con un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all’amministrazione stessa, in ragione – evidentemente – della specificità delle funzioni (ante) svolte dai valutandi.

Le recenti disposizioni di cui è parola nel comma 94 della legge 107/15 hanno previsto, nell’ambito della dotazione organica dei dirigenti tecnici del MIUR, l’attribuzione temporanea di incarichi di livello dirigenziale non generale, di durata non superiore a tre anni, per le funzioni ispettive, impiegabili per la costituzione dei nuclei di cui all’art. 25 del D. Lgs. 165/01 (che possono ora essere articolati con una diversa composizione in relazione al procedimento e agli oggetti di valutazione), data l’indifferibile esigenza di assicurare la valutazione dei dirigenti scolastici; per la realizzazione del sistema nazionale di valutazione, di cui al D.P.R. 80/13; infine per garantire le indispensabili azioni di supporto alle scuole impegnate nell’attuazione delle presente legge.

Non sembrano perciò sussistere particolari difficoltà a che i nuclei esaminino con tempi sufficientemente distesi di tre-quattro mesi (da settembre a dicembre dell’anno scolastico successivo a quello di riferimento?) le due schede (dei comportamenti organizzativi, degli obiettivi assegnati e delle eventuali difficoltà evidenziate) unitamente all’essenziale documentazione a corredo ritenuta significativa dai soggetti valutati: dai 150 ai 200.

Eventuali visite dovrebbero essere limitate ai casi in cui l’Amministrazione, in corso d’anno, sia venuta a conoscenza di fatti e circostanze che lascino ragionevolmente presumere un giudizio negativo, o gravemente negativo, per il dirigente scolastico.

Il Nucleo, quindi, per ogni dirigente scolastico assegnatogli, formulerebbe un giudizio e definirebbe la collocazione nei previsti livelli – anche sulla scorta di un protocollo standard ministeriale ai fini della necessaria uniformità – e comunque assistiti da un’adeguata motivazione.

Il direttore generale dell’USR potrà confermarli nell’adozione del provvedimento formale oppure potrà assumere, debitamente motivandola, una decisione diversa.

  1. La procedura fin qui illustrata, con i correttivi suggeriti, a DIRIGENTISCUOLA-Di.s.Conf. sembra, oltre che pienamente fattibile, abbondantemente garantista: di sicuro non meno di quella riguardante i dirigenti amministrativi e tecnici, atteso che l’eliminazione della dimensione soggettiva nella valutazione è, per definizione, impossibile.

Allora, qual è il problema? O meglio, riguarda esso soltanto i diretti interessati – partecipanti o meno ai vari convegni – o investe altri soggetti agenti nel sistema, a cominciare dall’Amministrazione che, con i progetti sperimentali che si susseguono e si accavallano, continua ad avvantaggiarsi di una prestazione formalmente dirigenziale, ma è esonerata dal corrispondere una reale retribuzione di risultato, sbrigandosela con una mancia e mantenendo sospesa quella che, sul piano dell’effettività, di dirigenza ha soltanto il nomen iuris?

In verità, coloro che – vuoi per granitici pregiudizi ideologici, vuoi per prosaici e molto concreti interessi – non sono disposti a denunciare che il re è nudo sono in tanti: dalle associazioni professionali ai sindacati storici rappresentativi.

Si divaga quando si insiste – lo si vuol pensare in buona fede – sulla necessità di rifisionomizzare la figura del dirigente scolastico per focalizzarla sui processi di insegnamento-apprendimento, in una comunità professionale attiva, aperta al territorio, caratterizzata da un forte spirito cooperativo, orientata verso didattiche innovative, sede privilegiata di inclusione ed emancipazione civile e culturale. Sicuramente affermazioni condivisibili – e come potrebbero non esserlo? – ma che ci girano intorno e, come suol dirsi, non prendono mai il toro per le corna.

E’ a suo modo coerente chi, con onestà sebbene del tutto fuori contesto, orfana dei presidi, aspira a un modello di valutazione…che valorizzi la dimensione educativa…di una professione direttiva. Di modo che, in luogo di fondarsi sulle caratteristiche di managerialità gestionale, si indirizzi ai bisogni formativi e culturali delle nostre scuole e del Paese.

Ed è completamente fuori dall’orizzonte del cartello dei sindacati generalisti la sola idea che i dirigenti scolastici possano essere (effettivamente) valutati come tutti i dirigenti pubblici normali. Difatti contestano non già la filosofia dell’attuale caravanserraglio, bensì le sue insufficienti garanzie nei confronti – il che è davvero(?) stupefacente – della loro dichiarata controparte datoriale!

Le (mancate) garanzie consisterebbero nell’assoggettamento dei dirigenti scolastici ai direttori generali, con la compressione della loro autonomia professionale e la libertà delle scuole autonome. In altri termini, la valutazione loro imposta è ingiusta e offensiva perché consegnata ad una burocrazia esterna…non supportata da competenza e terzietà dei valutatori… e in violazione della vigente normativa contrattuale. E’ perciò una valutazione ingiusta e offensiva, ragion per cui deve essere ricondotta ad un’intesa sindacale e non decisa unilateralmente dal datore di lavoro.

La riconduzione della valutazione della dirigenza scolastica ad un’intesa sindacale, anziché essere decisa unilateralmente dall’Amministrazione – come invece è avvenuto con l’ultimo ectoplasma e precedenti – è, in punto di diritto, legittima. Ma con alcune precisazioni.

Recita l’articolo 40 del D. Lgs. 165/01 che in materia di valutazione delle prestazioni per la corresponsione del trattamento accessorio, la contrattazione è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge. Ma sono limiti che possono essere resi più elastici ricorrendosi all’istituto dell’ esame congiunto, che la legge 135/15 (di conversione del decreto legge 95/15) aveva previsto in materia di rapporti di lavoro e che ora il D. Lgs. 75/17, integrando il D. Lgs. 165/01, ha esteso all’organizzazione degli uffici: il che significa che il Sindacato può interloquire su tutte le materie di contrattazione, così come su tutti gli aspetti organizzativi del servizio, sino ad arrivare alla sottoscrizione di un’intesa che poi obbliga le parti ad eseguirla secondo i principi della correttezza e della buona fede, benché tale sottoscrizione non sia assistita da un obbligo giuridico.

Nel caso che qui ne occupa il canovaccio disegnato dalle disposizioni di legge che abbiamo riferito potrà bensì essere meglio sviluppato e dettagliato in sede negoziale, ma non di certo alterato o dandosene un’interpretazione alternativa, magari per cancellare la valutazione dei dirigenti che si fonda sull’applicazione del disastro della 107!

Orbene, chiunque potrà convenire che, con queste premesse, che esplicitamente si propongono di vanificare norme imperative, si sarà sempre destinati su un binario morto.

Sorge dunque il sospetto che chi, nel complesso, detiene il 52% di rappresentanza della dirigenza scolastica – e non perde occasione nel rimarcarlo – non vuole che essa sia valutata. Perché una dirigenza non valutata non è legittimata a valutare i propri dipendenti – docenti, personale amministrativo, personale tecnico e collaboratori scolastici – né ad attribuire bonus premiali e, ancor prima, individuare i docenti dagli ambiti territoriali e poi stipulare i relativi atti d’incarico.

Peraltro, se per i docenti vi è una deroga all’applicazione della brunettiana valutazione della performance (art. 74, comma 4, D. Lgs. 150/09, citato), per ora e per almeno un triennio surrogata dall’estemporaneo bonus premiale (commi 126-130, legge 107/15), il personale ATA ben potrebbe da subito essere valutato dal dirigente scolastico secondo i parametri figuranti nell’art. 4 del plurimenzionato D.M. 971/13:

  1. livelli di responsabilità;
  2. fungibilità delle prestazioni di lavoro e/o dell’eventuale aggravio di lavoro per situazioni contingenti, e/o collaborazione funzionale e flessibilità;
  3. accuratezza e tempestività nello svolgimento delle attività;
  4. comunicazione e gestione delle relazioni con l’utenza e/o all’interno dell’ufficio;
  5. sviluppo e condivisione della conoscenza e/o analisi e risoluzione dei problemi;
  6. contributo assicurato al raggiungimento degli obiettivi dell’unità organizzativa di appartenenza.

Da ultimo, il sindacato della dirigenza scolastica relativamente più rappresentativo non sembra aver mutato linea con l’avvento del suo nuovo presidente, peraltro appartenente all’area dirigenziale delle Funzioni centrali, cioè dei dirigenti veri. Ha accettato il Portfolio, ma ne rifiuta la compilazione perché è stata indebolita la funzione dei dirigenti scolastici con l’Intesa del 30 novembre 2016 tra la Funzione Pubblica e le confederazioni CGIL-CISL-UIL, seguita dall’Accordo del successivo 29 dicembre tra il MIUR e i sindacati di comparto. Con il che si rinforza un cortocircuito che, al di là delle opposte motivazioni, fa il gioco dei suoi competitor e, sicuramente, non rende un servizio alla dirigenza scolastica.

  1. Dopo circa vent’anni di stand-by, con questo scenario non è azzardato presumere che altrettanti ne occorreranno per una valutazione seria di una dirigenza vera: più o meno lo stesso tempo in cui il popolo d’Israele andò vagando nel deserto prima di raggiungere la Terra Promessa.

A meno che i diretti interessati, dismettendo l’illusione di potersi affidare alla benevolenza altrui e a protezioni – quanto meno sospette, anzi ora palesemente scoperte – di sigle spuntate fuori all’ultima ora, non si determino a rendersi artefici del proprio destino.

Sempreché si sentano – e vogliano essere – dirigenti.