Il punto della situazione

Il punto della situazione

di Stefano Stefanel

Poiché mi pare che siamo arrivati ad un nuovo momento di svolta anche per la scuola italiana (direi almeno il decimo degli ultimi vent’anni), prima di trovarci di fronte a procedure da completare e a modifiche da avviare dentro una confusione che rischia di essere ossessiva più che oppressiva, provo a stilare una sintetica agenda di alcune questioni aperte, al di là di qualunque modifica possa avvenire nei prossimi mesi. Non essendo molto appassionato ai proclami e alle dicerie sulla scuola, mi limiterò ad analizzare alcuni punti fondamentali del sistema scolastico italiano così come si è venuto modificando in questi ultimi anni.

Organico dell’autonomia. Anche se introdotto solo da due anni credo sia difficile immagine una scuola senza l’organico dell’autonomia. Credo sarebbe interessante un osservatorio nazionale su come questo organico è stato utilizzato dalle varie scuole, ma certamente il numero di ore aggiuntive e di possibilità progettuali introdotte con l’organico dell’autonomia mi sembrano elementi pienamente consolidati. Certamente qualche furia iconoclasta potrà abrogare la legge 107/2015 mantenendo solo l’organico dell’autonomia, ma in questo caso verrebbe a mancare la ratio della sua utilizzazione. Inoltre l’organico dell’autonomia ha permesso l’avvio di un ripensamento anche degli organici funzionali tradizionali delle scuole dell’infanzia e primaria, che risentono di una certa rigidità e di una pesante tendenza alla secondarizzazione della scuola primaria.

Bonus premiante il merito. E’ abbastanza irrilevante sapere se il bonus resterà in forma autonoma, come voce del contratto o sparirà del tutto. Quello che è più importante da sapere è se vi sarà un tentativo per premiare il merito dei docenti, se vi sarà una tendenza verso una carriera docente o se tutto rimarrà ancorato all’egualitarismo connesso all’anzianità di servizio. In sé il bonus è uno strumento, che non ha avuto alcun effetto dirompente e che oggi ha solo i sindacati come veri nemici. Ma sono nemici potenti e credo non reggerà all’urto riformatore. Ma sotto il bonus, così come è stato concepito dalla legge 107/2015, esiste il territorio delle diverse competenze dei docenti, alcuni dei quali sono palesemente non idonei all’insegnamento, mentre altri hanno un livello così alto che non possono non trovare il giusto riconoscimento a scuola. Non è chiaro quali siano i mezzi per operare diversificazioni che sono già nei fatti e che l’opinione pubblica scolastica (genitori e alunni) percepisce chiaramente. Certamente l’eliminazione del bonus o il suo riassorbimento nel fondi d’istituto (che paga la quantità e non la qualità) non toglieranno evidenza al problema principale.

IO CONTO. I conti. Il nuovo regolamento di contabilità. Con un nome infausto (IO CONTO) il Miur ha lanciato la seconda campagna di formazione contabile-amministrativa per le scuole. Lo strapotere dei revisori dei conti non pare venga messo in discussione da nessuno, così come da nessuno viene percepito il loro sconfinamento in questioni di merito didattico ed educativo. Detto questo il piano di formazione va di pari passo con quello di revisione del regolamento di contabilità, strumento pieno di burocrazia, nel complesso inutile a fini pubblici e ancorato alla vecchia idea secondo cui il bilancio delle scuole debba seguire quello dello stato (anno solare) anche se le scuole vivono in anni scolastici. Nel settore dei conti si parte dall’idea sbagliata che i dirigenti scolastici debbano uniformarsi ai direttori dei servizi generali e amministrativi, delegando i conti a loro. Nell’ambito della progettualità diffusa (PTOF, PDM, RAV, PON, PNSD, PNF) e ormai diventata fortemente invasiva invece dovrebbe essere il Direttore dei servizi generali e amministrativi che si dovrebbe uniformare al dirigente scolastico, in quanto garante dell’unità dell’istituzione scolastica. Questo avviene soltanto se i dirigenti scolastici si impossessano dei conti, ne comprendono tutti i dettagli e quindi considerano l’azione del direttore come istruttoria e non decisoria. Il passaggio formativo che si apre con la seconda edizione di IO CONTO apre una grande possibilità che non è chiaro se verrà colta o se tutto rimarrà ancora di più in mano alla parte amministrativa della scuola.

Ambiti e reti di ambito. Il passaggio alle reti di ambito è ormai arrivato al secondo anno. Anche in questo caso laddove le aggregazioni fossero cassate e si tornasse alle reti di scopo per tutte le questioni, anche per quelle di sistema, bisognerebbe avere cura di capire come si governa il sistema. La oggettiva diminuzione di poteri e competenze dagli Uffici scolastici richiede un ulteriore potenziamento della governance di rete e per questo le scuole si troverebbero in gravi difficoltà organizzative a riprendere la strada delle sole riti di scopo. Il governo dell’ambito non è semplice e in alcuni casi potrebbe essere anche inutile (se la 107/2015 viene cancellata, naturalmente), ma la questione sostanziale rimane inalterata anche con diversi sistemi di governo. Le scuole necessitano di sinergie e non di isolamenti e le sole sinergie elettive non cambiano i connotati dell’isolamento. Per questo comunque laddove si cancellassero questi due anni di ambito resterebbe il problema del governo del territorio davanti all’impossibile compito degli uffici periferici del Miur di governare una realtà ormai totalmente atomizzata.

Piano Nazionale di Formazione. Il secondo anno del Piano Nazionale di Formazione ha evidenziato una grande domanda e una grande offerta formativa. Anche in questo caso l’accentramento negli ambiti ha permesso azioni di progetto di ampio respiro, che la programmazione di scuola non riusciva più ad avere. Sul Piano Nazionale di Formazione sono piovute molte critiche, che spesso non hanno voluto tenere conto del fatto che si è passati dall’atomizzazione delle proposte formative ad un confronto in area più vasta. La tendenza non può che essere quella, perché una riduzione del Piano di Formazione a bisogni di singole microstrutture o all’appiattimento sulle proposte delle agenzie formative private o delle università non può rispondere alle reali esigenze del sistema scolastico. E’ possibile far saltare tutto, ma poi bisognerà riprendere le fila altrove.

Immissioni in ruolo, chiamata diretta, trasferimenti. Personalmente penso che i nodi ormai siano venuti al pettine, anche se genitori e studenti stentano a mettere in relazione le esigenze dei lavoratori (insegnanti) con quelle della didattica. La stabilizzazione triennale e la stabilizzazione dentro una scuola per scelta della scuola e non del lavoratore sono passaggi che verranno certamente eliminati, ma che determineranno comunque disorientamento. Chi viene a scuola vuole stabilità e adesione all’identità della scuola. E il meccanismo dei trasferimenti questo non lo permette più. La percezione della scuola da parte dell’opinione pubblica è spesso sbagliata e priva di competenza (da parte sia degli studenti che delle loro famiglie). Quello su cui nessuno transige però è ritenere che sia necessaria una formazione certa in ingresso e che la laurea non basti più per saper insegnare. Il reclutamento previsto dalla legge 107/2015 e il tentativo di svuotamento delle GAE paiono destinati alla cancellazione, ma il ritorno alle abilitazioni e alle graduatorie permanenti, l’ingresso per anzianità e la totale scelta del docente se rimanere in una sede o andarsene costituiscono comunque un problema di cui ci si renderà conto quanto prima. Ci sono passi ministeriali molto forti verso il reclutamento e la formazione in ingresso, che possono essere spazzati via con poco, ma che sono destinati comunque a lasciare il segno di un passaggio non ancora chiarito tra necessità degli studenti e diritti dei docenti.

PON. La macchina dei tre miliardi di fondi PON alle scuole è ormai in moto con la sua ineluttabilità europea. Credo sia necessario dotare le scuole di supporti e competenze, farle lavorare in rete, interagire con le realtà del territorio soprattutto regionale e avere competenze rendicontative e negoziali chiare. I PON non si possono respingere al mittente, perché sono meccanismi di finanziamento che hanno invaso il sistema dentro una pianificazione decennale. Troppa superficialità si vede in giro per la gestione di questo grande Piano innovativo per la scuola, ma l’impatto è stato troppo grosso e troppo forte per poter rimanere senza supporto.

Alternanza scuola lavoro. Toccare questo punto significa semplicemente mettere le lancette indietro e creare scompiglio nelle scuole. L’alternanza scuola lavoro deve essere migliorata, controllata, monitorata, ma non eliminata. Credo che troppi apprendisti stregoni pensino che basta rimettere indietro le lancette per ricreare paradisi mai esistiti. Ma la questione dell’alternanza scuola lavoro costituisce una novità che ha cambiato il modo di interagire delle scuole secondarie con il mondo esterno. Non è stato un cambiamento da poco e sta coinvolgendo almeno un milione di studenti. Per questo le modifiche, possibili e in alcuni casi necessarie, richiedono molta attenzione e particolare cura.

Valutazione dei dirigenti scolastici. Anche in questo caso l’accelerazione data dalla legge 107/2015 alla valutazione dei dirigenti scolastici può essere bloccata dall’ennesimo stop. Non sarebbe la prima né l’ultima volta. Ma il sistema non può più sopportare una dirigenza che non viene valutata a fronte di tutto quello che si è messo in moto. Il primo anno di vera valutazione ha messo in luce alcuni problemi nel sistema, ma anche alcuni gravi problemi nella categoria. Credo che anche in questo caso l’ennesima eliminazione della valutazione dei dirigenti sarebbe solo l’apertura di un buco che poi qualcuno o qualcosa dovrebbe coprire. Lasciare che siano solo Corte dei conti, Tar, Revisori dei conti, Ispettorati del lavoro, Ragionerie provinciali dello stato a controllare e analizzare il lavoro dei dirigenti, senza che il Miur abbia mai niente da dire significa soltanto rendere la categoria ancora più debole e senza timone, in balia del primo controllore dissennato che intende colpire una dirigenza atipica, ma trattata come tipica.

Ho tracciato una rapida agenda per evidenziare come ci sono problemi molto importanti dietro ai proclami del tempo. In questa situazione ogni abrogazione di parti o del tutto è di fatto una nuova temibile riforma.

Per un apprendimento… competente!

Per un apprendimento… competente!

di Maurizio Tiriticco

E’ un titolo che non tira in ballo l’insegnare, ma l’apprendere! Ed è proprio lo stesso verbo di insegnare che non si confà più con la scuola di oggi e, in primo luogo, con gli studenti di oggi! Il web – se si vuole e quando si vuole – è in grado di sciorinare tutte le “lezioni” possibili, purché, ovviamente, si sappiano individuare le fonti corrette! E’ noto che, quando ancora non c’erano né la stampa né i libri, tutte le informazioni corrette dipendevano dall’insegnante! Di fatto, è colui “che sa” e che “in-segna”, “traccia i segni”, relativi a concetti e conoscenze, sulla testa degli alunni. Come in-segnanti erano coloro che tracciavano segni sulle “testae”, sulle anfore, su tutti quei vasi di coccio di cui il mondo antico faceva un uso sovrabbondante. Gli “alumni” dei Latini erano quindi coloro che dovevano essere “alimentati” delle informazioni necessarie al crescere e al vivere! Come il neonato deve essere alimentato dal latte materno!

Oggi in un cellulare c’è tutto lo scibile umano! O meglio, la possibilità di accedervi! E “insegnare” all’uso produttivo del web è forse uno dei compiti nuovi e più importanti degli insegnanti di oggi. Più che i “contenuti”, ormai a portata di mano di tutti, contano i “modi” con cui ricercarli e saperli utilizzare. La leva non è più sull’insegnare, sul tracciar segni nella testa dell’alunno, ma sul guidare all’apprendere, al come “ritrovare i segni” corretti e produttivi sullo sterminato mare del web con un semplice gioco di dita!

Insomma, è come se l’insegnante di oggi debba essere un Comenio digitale! Comenio, il grande pedagogista e pedagogo ceco, autore dell’”Orbis pictus”, chiamò il suo metodo didattico Pampaedia, ovvero “educazione universale”, di cui tutti potessero beneficiare, non solo i bambini: un’educazione permanente ante litteram!

Pertanto, la preoccupazione di un insegnante non deve essere tanto quella di “tenere una lezione”, quanto quella di sollecitare e promuovere apprendimenti”! E ciò secondo la strategia della “didattica laboratoriale”, a cui invitano sia le Indicazioni nazionali che le Linee guida. Si tratta di una didattica attiva di cui è protagonista la Professoressa Patricia Tozzi, che la pratica con i suoi alunni e di cui parla diffusamente in alcuni webinar (seminari via Web) prodotti da Tuttoscuola.

Un insegnante oggi deve soprattutto “progettare e realizzare interventi di EDUCAZIONE, FORMAZIONE e ISTRUZIONE, finalizzati a garantire a ciascuno il suo personale SUCCESSO FORMATIVO (dpr 275/99, art.1, c. 2). Sono attività strettamente interrelate con altre e finalizzate a far conseguire ai nostri studenti non solo conoscenze, come nella scuola di sempre, ma anche abilità e competenze.

 

istruire

 

formare

 

educare

 

conoscenze

 

abilità

 

competenze

 

misurare

 

valutare

 

certificare

Nel riquadro c’è un tentativo di ritrovare i legami che corrono tra queste “parola nuove” della scuola dell’autonomia. L’istruzione da sempre è finalizzata a fare acquisire conoscenze. La formazione riguarda le persona in quanto tale, che, in forza delle conoscenze, acquisisce date abilità. L’educazione riguarda la persona in relazione con gli altri e con il fare: il “buon cittadino”. Le conoscenze hanno un carattere oggettivo e si misurano (tre più tre dà sei; Napoleone è morto a Sant’Elena; L’Italia è una Repubblica). Le abilità, cioè l’uso produttivo delle conoscenze, si valutano. Le competenze riguardano attività complesse, in genere originali e creative, che implicano conoscenze e abilità pregresse saldamente acquisite. Riguardano tappe terminali di processi di apprendimento, pertanto si certificano.