Proposta di modifiche all’alternanza scuola/lavoro

Alla c.a.
del Presidente del Consiglio
del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
dei Vicepresidenti del Consiglio
del Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, dr. Marco Bussetti
dei Sottosegretari all’Istruzione, Università e Ricerca, dr. Lorenzo Fioramonti e dr. Salvatore Giuliano

Oggetto: proposta di modifiche all’alternanza scuola/lavoro

In qualità di insegnante e coordinatore nazionale del comitato di volontariato Osservatorio Antiplagio, mi pregio di portare alla Vostra attenzione alcune criticità dell’alternanza scuola/lavoro e le eventuali modifiche necessarie affinché possa essere svolta nel totale rispetto degli studenti e delle famiglie.
Nel mettermi a disposizione per ulteriori delucidazioni, invio i miei più cordiali saluti.
Giovanni Panunzio
Fondatore Osservatorio Antiplagio
@antiplagioblog

– L’alternanza scuola/lavoro (asl) non dovrebbe essere imposta, né proposta, durante le vacanze natalizie, pasquali, ecc. D’estate può essere facoltativa, lasciando agli studenti e alle famiglie la libertà di decidere. Le ore o i giorni di asl, proprio perché obbligatori, non devono precludere a nessuno il diritto alla vacanza, a meno che qualcuno non lo chieda espressamente; ma solo d’estate, visto che è il periodo di stop più lungo.

– Le famiglie non dovrebbero più spendere. Tutto ciò che è obbligatorio, è giusto che sia anche a costo zero per gli studenti. Attualmente gli alunni partecipano quasi sempre all’asl con un contributo economico, tra l’altro discriminante, che in caso di spostamento prolungato arriva fino a centinaia di euro.

– La perdita delle ore di asl, se l’alunno non viene ammesso alla classe successiva, non dovrebbe essere contemplata: è una totale mancanza di rispetto nei confronti delle famiglie e dei figli che all’asl hanno comunque partecipato. Se hanno pure contribuito finanziariamente, la mancanza di rispetto è indiscutibile. Quando uno studente deve ripetere l’anno, è meglio (oltre che giusto) validargli le presenze di asl svolte l’anno precedente, e nell’anno nuovo permettergli di utilizzare quel numero di ore in corsi di recupero nelle discipline dove ha avuto insufficienze gravi (per es. al di sotto del 5), per le quali è stato respinto.

– Vediamo l’aspetto più critico. Gli alunni impegnati nell’asl, in particolare se minori, dovrebbero essere sempre accompagnati dagli insegnanti, nella misura minima di un docente per ogni “gruppo” da 2 a 10/15 componenti. Uno studente, da solo, non dovrebbe svolgere ore di asl. Delegare la sorveglianza a un estraneo, o a un esterno, non offre alcuna garanzia: né alla scuola, né alle famiglie. La vigilanza dei professori potrebbe avvenire:

a) su base volontaria, con il rimborso delle spese;

b) per contratto temporaneo tra le parti (scuola-insegnante-genitore), con remunerazione aggiuntiva per il docente.

È opportuno sottolineare la responsabilità e l’impegno di un insegnante che, a volte, accompagna per alcuni giorni (24 ore su 24), un certo numero di studenti nei luoghi più disparati. Attualmente l’asl non prevede l’accompagnamento costante retribuito, neanche quando riguarda i minorenni. Da genitore mi rifiuterei di concedere l’autorizzazione per l’asl a un figlio minore non accompagnato; vorrei vedere poi come farebbe la scuola a non ammetterlo all’anno successivo per non aver raggiunto le ore di asl obbligatorie. Penso che in questo caso qualsiasi tribunale sconfesserebbe il consiglio di classe. A tutto ciò è doveroso aggiungere lo sfruttamento degli alunni oltre l’orario di “lavoro” prefissato e/o in mansioni che non competono loro, come segnalato da più parti: sfruttamento che, grazie alla vigilanza degli insegnanti, non sarebbe più praticabile.

La criticità più seria dell’asl in vigore è, dunque, la non-vigilanza sugli alunni minori. In pratica, per mancanza di fondi, i minorenni impegnati nell’asl non sono soggetti a sorveglianza costante da parte della scuola. L’asl, quindi, non è considerata continuativa e complementare all’attività didattica: è come se le famiglie affidassero i propri figli (minori, ma anche maggiorenni) all’istituzione scolastica solo quando si trovano all’interno delle quattro mura di un’aula; ma sappiamo che non è così, perché l’asl è attività scolastica a tutti gli effetti. La motivazione di tale limite è sempre la stessa: non si possono retribuire tutti i docenti accompagnatori necessari. In questo caso, quindi, l’asl si potrebbe svolgere diminuendo drasticamente le ore, se non abolendola.

Credo che apportare alla asl le modifiche summenzionate, ma eventualmente anche altre, sia il modo più appropriato per tutelare gli studenti e le loro famiglie. L’alternanza scuola/lavoro è una buona idea, ma come tutte le buone idee ha bisogno di buon senso e buoni finanziamenti.

Ringrazio per l’attenzione.

Giovanni Panunzio

Bullismo nelle scuole, sospensione legittima solo se adeguatamente motivata

da Il Sole 24 Ore

Bullismo nelle scuole, sospensione legittima solo se adeguatamente motivata

di Amedeo Di Filippo

La sanzione nei confronti dello studente che si rende autore di gesti di bullismo è legittima solo se nel provvedimento che la irroga vengono indicati in maniera puntuale e circostanziata i fatti a lui direttamente attribuibili, riferibili al comportamento effettivamente tenuto. Lo sostiene il Tar Lazio con la sentenza n. 6557 del 12 giugno.

L’episodio
È stato chiesto l’annullamento del provvedimento disciplinare con cui è stata erogata la sanzione disciplinare della sospensione senza obbligo di frequenza scolastica per dieci giorni presso un istituto d’istruzione superiore. Colpa della studentessa è di aver scattato e diffuso alcune foto in cui erano ritratti una sua insegnante e un compagno di scuola. L’istituto descrive la condotta all’interno di un più generale quadro di bullismo applicato nei confronti di un soggetto disabile all’interno della scuola, all’interno del quale è stata prevista analoga sanzione anche per altri studenti coinvolti nella vicenda.

La motivazione
Il Tar Lazio accoglie il ricorso, stigmatizzando il provvedimento sanzionatorio come privo di adeguata motivazione. Questo proprio alla luce della complessità, della vastità e della delicatezza del problema “bullismo” nelle scuole, che come tale non consente di far venire meno le esigenze e i requisiti fondamentali del provvedimento amministrativo, primo tra tutti la motivazione.
Nel caso di specie, rilevano i giudici, non risulta adeguatamente rappresentata la condotta concretamente ascrivibile alla studentessa, ritenuta peraltro di minore gravità rispetto a quella addebitata ad altri studenti, e nemmeno viene ad evidenza la correlazione diretta della motivazione e della sanzione al comportamento effettivamente tenuto dalla stessa. Ne discende che la mancata puntuale descrizione dei fatti attribuibili alla stessa si traduce sia in un vizio della motivazione del provvedimento e, conseguentemente, nella violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione, con conseguente annullamento del provvedimento sanzionatorio impugnato.

Italia fanalino di coda per mobilità sociale

da Il Sole 24 Ore

Italia fanalino di coda per mobilità sociale

L’Italia è in coda tra i Paesi industrializzati per mobilità sociale: da una generazione all’altra, i figli ereditano non solo gli (eventuali) beni di famiglia, ma anche l’istruzione, il tipo di occupazione e di reddito. Nel corso della vita gli spostamenti sulla scala sociale restano scarsi, soprattutto per chi sta ai gradini più bassi. L’ascensore sociale è rotto o, quantomeno, è molto difettoso, come avviene in molti altri Paesi, ma nella Penisola spesso i tratti sono più evidenti, come emerge da uno studio dell’Ocse. Ci sono «pavimenti appiccicosi» che impediscono alle persone di salire, ma anche «soffitti appiccicosi», dove si accumulano le opportunità e che si tramandano di padre in figlio (meno frequentemente alle figlie), sottolineano gli economisti dell’Ocse. Nel mezzo, le classi medie sono quelle che rischiano di più di finire verso il basso.

Italia fanalino di coda
In termini di mobilità sociale assoluta, l’Italia è addirittura ultima, se si considerano quanti tra i 25-64 enni appartengano a una classe sociale diversa, più alta o più bassa, rispetto ai genitori nel 2002-2014. Solo uno su tre si è mosso verso l’alto (il 31%) , quasi 10 punti sotto la media Ocse e lontano dal 42% di Francia, Germania, Svizzera, dal 46% dell’Olanda o dal 49% degli Usa. Tenendo conto della scarsa mobilità delle retribuzioni da una generazione
all’altra e del livello di disuguaglianza, in Italia ci vogliono almeno cinque generazioni per i bambini nati in famiglie con reddito basso per raggiungere il reddito medio, dato che per la verità in questo caso ci accomuna a Francia, Svizzera e Regno Unito. Ai bambini danesi, invece, bastano due generazioni per fare il ‘salto’ sociale e ai norvegesi e agli svedesi tre.

Le cause del ritardo
La scarsa mobilità e i fattori che la determinano (e la hanno peggiorata nel tempo) sono chiaramente percepiti: oltre un terzo degli italiani pensa che avere genitori con un buon reddito sia un fattore fondamentale per avere successo nella vita e il 71% dei genitori italiani esprime la preoccupazione che i figli non raggiungano lo stesso status economico e di benessere che hanno raggiunto loro e lo considerano uno dei tre rischi maggiori a lungo termini. Intanto, il meccanismo dell’ascensore sociale si inceppa dalla scuola, dalla primissima infanzia in poi. Due terzi dei bambini con genitori che non hanno un’istruzione superiore resteranno allo stesso livello contro la media Ocse del 42%. Solo il 6% tra di loro arriva alla laurea, meno della metà della media Ocse.

Il ritorno della laurea
L’Italia, nota il rapporto, ha fatto pochi progressi nell’aumentare la quota degli studenti che completano l’istruzione superiore e allo stesso tempo le lauree “pagano” poco come investimento: i laureati guadagnano in media solo il 40% in più rispetto ai diplomati di scuola superiore contro il 60% della media Ocse. Sul fronte occupazionale, lo studio sottolinea che quasi il 40% dei figli di lavoratori manuali diventano a loro volta lavoratori manuali e solo il 18% arriva a professioni gestionali (uno dei dati più bassi dell’Ocse). Sul fronte opposto, il 40% dei figli di manager seguono le orme dei padri (per quanto negli altri maggiori Paesi le percentuali sono sul 50% o oltre) e solo il 10% si ritrova con un lavoro manuale. Il 31% dei figli di quanti hanno retribuzioni basse continua ad avere bassi salari, situazione che almeno in questo caso corrisponde alla media Ocse.

La mobilità di reddito
Movimenti generazionali a parte, la mobilità di reddito in Italia è sotto la media se si passa a considerare l’intero arco della vita di una persona: in Italia sono più scarse che altrove le probabilità di movimenti verso l’alto o verso il basso. Il 62% delle persone che appartiene alla fascia che include il 20% dei redditi più bassi vi rimane per 4 anni, 5,5 punti percentuali in più rispetto alla media Ocse. Il 42% subisce un periodo ricorrente di bassa retribuzione in questo periodo, percentuale leggermente superiore alla media Ocse. Dagli anni ’90 in poi il pavimento si è fatto ancora più “appiccicoso” : la persistenza dei bassi redditi sul fondo è più forte. Tra il 20% più ricco della popolazione, invece, il 67% è ancora al top dopo 4 anni. Nella classe medio-bassa il 23% corre il rischio di spostarsi verso la classe inferiore, mentre per la fascia più agiata è un’incognita solo per il 3,9%. Nella scarsa mobilità reddituale, il mercato del lavoro ha un ruolo chiave, sottolinea l’Ocse. In Italia la disoccupazione, per quanto in calo, è oltre il doppio della media (11,2% contro 5,3%) ed è elevata soprattutto tra i giovani (33%), che spesso hanno occupazioni di scarsa qualità, con poche opportunità di spostarsi verso l’alto. L’Italia ha anche un tasso record di Neet, giovani che non sono né a scuola, né al lavoro.

Come favorire dunque la mobilità sociale?
L’Ocse consiglia di affrontare le lacune negli investimenti nell’istruzione e nelle competenze, favorendo l’ingresso negli asili nido e all’istruzione terziaria dei giovani che provengono da famiglie disagiate e di introdurre misure per ridurre l’alto tasso di abbandoni
scolastici. Va poi ridotto il dualismo del mercato del lavoro, combattendo la disoccupazione di lunga durata e l’elevata incidenza dei Neet, aumentando la qualità dei servizi di re-inserimento forniti dai servizi pubblici all’impiego. Infine vanno migliorate l’ambito e la copertura delle “reti di sicurezza” per le famiglie a basso reddito assieme a misure che evitino ai lavoratori che perdono il posto di cadere in povertà durante la ricerca di una nuova occupazione.

Scarpetta: l’ascensore sociale riparte se si investe sulla scuola

da Il Sole 24 Ore

Scarpetta: l’ascensore sociale riparte se si investe sulla scuola

Far ripartire l’ascensore sociale investendo su una scuola di qualità, rafforzando le politiche occupazionali e sostenendo il reddito delle famiglie veramente più disagiate, a patto che sia un sostegno ben circoscritto, temporaneo e mirato al reintegro nel mercato del lavoro, rifuggendo quindi da «semplici trasferimenti di risorse» che creino dipendenza. Stefano Scarpetta, direttore della divisione Lavoro e Politiche sociali dell’Ocse, spiega come l’Italia potrebbe rimediare alla sua scarsa mobilità sociale. A bocce ferme servono 5 generazioni nella Penisola per passare da un reddito basso a un fine mese da classe media, quindi ci vogliono «150 anni almeno», ma non c’è nulla di inevitabile. Il punto di partenza è l’istruzione, sottolinea Scarpetta in un colloquio con Radiocor, sulla scia del rapporto Ocse pubblicato oggi e che vede l’Italia in coda tra i Paesi industrializzati per la mobilità sociale, con i figli che ereditano a loro vantaggio o svantaggio, oltre agli eventuali beni di famiglia, anche il grado di istruzione ,il tipo di lavoro e, con ogni probabilità, il reddito dei padri. Così gli ultimi della scala sociale che restano più facilmente ultimi e i primi che si tengono ben stretti il primato.

La scuola in Italia
«Non aiuta la mobilità sociale, non riesce a fare progredire i figli di famiglie svantaggiate, che difficilmente arrivano alla laurea. Il livello di istruzione dei genitori conta per due terzi su quello dei figli, più che altrove», sottolinea Scarpetta. Non è un problema di accesso all’istruzione primaria e secondaria, «ma è una questione di qualità ed è quello che conta per entrare nel mercato del lavoro», osserva l’economista. L’aggravante è che in Italia non solo i figli si ritrovano per via ‘ereditaria’ con lo stesso grado di istruzione dei genitori, ma in media il livello di competenze della popolazione è più basso rispetto agli indicatori internazionali. «L’Italia è uno dei Paesi che ha fatto meno progressi nell’aumentare il livello di istruzione. Bisogna lavorare fin dall’età pre-scolare, dagli asili nido e favorire l’accesso per le famiglie svantaggiate». Nel ciclo scolastico secondario, il Paese «purtroppo in passato ha disinvestito nella formazione tecnico-professionale di qualità, i giovani finiscano gli studi senza le competenze necessarie per trovare un lavoro». Gli istituti tecnici superiori hanno dato un ottimo segnale, ma si tratta di «un’offerta ancora molto limitata, che andrebbe aumentata». L’alternanza scuola-lavoro è «una buona idea», ma «per ora resta più un vincolo per le scuole e gli insegnanti che un’offerta concreta per creare spazio lavorativo per i giovani». Quindi, c’è «parecchio da lavorare per rimettere in marcia il sistema».

I centri per l’impiego
Poi c’e’ tutto il versante del mercato del lavoro: «L’attenzione che il nuovo Governo ha dato ai Centri per l’impiego è una cosa positiva, assolutamente da sostenere». L’Anpal, l’agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro, «andrebbe rafforzata negli strumenti di coordinamento e orientamento che fornisce agli Uffici per l’impiego e questi a loro volta andrebbero rafforzati». Sarebbe utile collaborare di più, come in altri Paesi, con gli imprenditori privati, con le agenzie interinali, che conoscono bene il territorio. Sul capitolo reddito, Scarpetta, sottolinea che «sicuramente in Italia c’è bisogno di migliorare le prestazioni sociali, soprattutto per le famiglie più svantaggiate. L’importante è che sia un intervento attivo mirato al re-integro nel mercato del lavoro, anche con corsi di formazione». Bocciato, quindi, il reddito di cittadinanza «come è stato presentato all’inizio, cioè un sostegno generalizzato, senza alcuna condizionalità, insostenibile finanziariamente e non auspicabile dal punto di vista della policy». Si potrebbe rafforzare il reddito di inclusione, varato dal passato Governo e utilizzarlo come elemento per aumentare la partecipazione al mercato del lavoro. Nella sua versione più recente, osserva Scarpetta, il reddito di cittadinanza sembra essere temporaneo e mirato. Quello che conta, comunque, non è il nome che si vuole dare alla misura, piuttosto come farla funzionare. I 780 euro promessi dal nuovo Governo sono «una cifra importante, bisogna vedere quanto sono condizionati alla ricerca di un lavoro e quanto sia intensiva la richiesta di questa ricerca. Se è una misura temporanea, che serva a permettere a una famiglia di uscire dalla povertà, che aiuta il ritorno all’occupazione, se il tutto è concentrato solo su alcune categorie, quelle veramente a basso reddito, potrebbe anche essere una misura efficace». Se, invece, «è un trasferimento di risorse senza alcuna misura di attivazione del lavoro, rischia di essere una riforma passiva che porta a dipendenza».

In 17mila studi professionali l’alternanza è già realtà

da Il Sole 24 Ore

In 17mila studi professionali l’alternanza è già realtà

di Claudio Tucci

«In estate c’è il picco di attività legato alle dichiarazioni dei redditi, la presentazione del modello Unico. Gli studenti in alternanza ci aiutano: noi prepariamo la check-list con tutta la documentazione, e i ragazzi verificano che sia completa. Durante l’anno li impieghiamo anche nelle pratiche relative alla fatturazione Iva: qui i ragionieri entrano in contatto con istituti come la partita doppia, che a scuola fanno a mano, da noi con il programma gestionale».

Maria Pia Nucera è una commercialista, con studio a Roma e Milano, e da oltre 10 anni accoglie alunni in formazione “on the job”. «Un’esperienza valida – commenta -. Attraverso l’Associazione dottori commercialisti, Adc, abbiamo siglato accordi con istituti tecnici di tutt’Italia. Alcuni ragazzi sono tornati nei nostri studi professionali dopo la maturità: li retribuiamo, e i più validi rimangono a collaborare con noi».

Dai commercialisti agli architetti, il passo è breve. Salvatore Perez ha il suo studio professionale a Latina e lì, per tre settimane, ospita due studenti in alternanza. Cosa fanno? «Un po’ di tutto, ci affiancano, per esempio, nelle attività di progettazioni e nei giri presso gli uffici pubblici – risponde l’architetto Perez -. Un’intera classe quarta, 16 alunni in tutto, poi, entra anche in cantiere. Lo facciamo fare il sabato, assieme all’impresa edile, la Costruzioni Rinaldi, di Latina. Il cantiere è chiuso, pulito e messo in sicurezza. È presente anche la Asl e ci aiuta pure il sindacato Inarsind. In questo modo, gli studenti si cimentano, in assoluta sicurezza, su come si lega il ferro, su piccoli lavori di carpenteria e sul gettito del cemento. Abbiamo organizzato, inoltre, un’uscita studio in un sito vicino Perugia per approfondire con i ragazzi la genesi dei materiali, dall’argilla al prodotto finito. Un’esperienza faticosa? Tutt’altro. I giovani hanno idee nuove ed è utile il confronto con loro».

L’alternanza negli studi professionali è una realtà dai numeri ancora piccoli. Ma i percorsi che hanno interessato gli alunni mostrano una elevata coerenza con lo studio svolto in classe. A confermarlo sono i dati che ci fornisce il ministero dell’Istruzione, relativi ai primi due anni di applicazione della legge 107. Ebbene, i professionisti che hanno accolto studenti “on the job” sono stati, in tutto, 17.066. La fetta più consistente si trova in Lombardia (3.969 studi), a seguire Veneto (1.699), Piemonte (1.516), Toscana (1.475). Complessivamente, il 2,7% dei ragazzi di terzo e quarto anno hanno svolto alternanza negli studi di professionisti; la percentuale è un po’ più elevata per i tecnici (4,2%), dietro i licei (2,1%) e i professionali (1,6 per cento). «La caratteristica che accomuna le esperienze negli studi professionali è la stretta correlazione con il percorso scolastico – evidenzia Fabrizio Proietti, dirigente del Miur che si occupa di alternanza -. Anche per questo, gli studenti sono particolarmente soddisfatti. In queste strutture, infatti, i ragazzi hanno la possibilità di acquisire non solo competenze trasversali, ma anche disciplinari. Segnalazioni di abusi? No, al momento, non ne abbiamo ricevute».

Insomma, si fanno così poche fotocopie? «In realtà, si fanno anche fotocopie, così come si utilizza lo scanner, si inviano fax, si fanno pratiche – dichiara Mario Annaro, consulente del lavoro, con studio in Roma -. Ho iniziato ad accogliere una studentessa in alternanza da pochi giorni. Archivia documenti, e mi sta aiutando con le certificazioni uniche dei pensionati, che non vengono più inviate a casa. Le estrae lei dal sito Inps».

Protezione civile, quest’estate 280 campi scuola per ragazzi in tutta Italia

da Il Sole 24 Ore

Protezione civile, quest’estate 280 campi scuola per ragazzi in tutta Italia 

Entra nel vivo l’undicesima edizione dei campi scuola ‘Anch’io sono la protezione civile’, il progetto rivolto ai ragazzi dai 10 ai 16 anni, organizzato dal Dipartimento della Protezione Civile con le Regioni, che quest’anno, dal 16 giugno al 9 settembre potrà contare sulla collaborazione di 117 organizzazioni di volontariato e su oltre 280 campi scuola attivati su tutto il territorio nazionale.

Una settimana di esercitazioni pratiche e teoriche
In un percorso didattico di una settimana che alterna esercitazioni pratiche a lezioni teoriche, i ragazzi conosceranno i rischi presenti sul proprio territorio, imparando i corretti comportamenti da tenere in caso di emergenza grazie anche al coinvolgimento e agli insegnamenti dei rappresentanti delle strutture operative del sistema di protezione civile – in particolare vigili del fuoco, forze di polizia, carabinieri forestali, capitanerie di porto, 118, volontariato – e delle istituzioni comunali. Queste ultime rivestono un ruolo centrale nello svolgimento dei campi scuola: è loro compito, infatti, diffondere ai giovani la conoscenza dei piani comunali di emergenza, primo e necessario strumento per affrontare con consapevolezza i rischi presenti sul proprio territorio diventando più consapevoli di cosa significhi far parte di una comunità e del ruolo che ognuno può svolgere ogni giorno per la
tutela dell’ambiente, del territorio e della collettività. «L’iniziativa – sottolinea il Capo Dipartimento, Angelo Borrelli- punta ad accrescere nei giovani la cultura di protezione civile e avvicinarli ad una realtà preziosa per il nostro sistema, quella del volontariato, che richiede sempre più professionalità e specializzazioni».

La mappa delle iniziative
Il progetto parte il 16 giugno con i primi tre campi scuola in Emilia Romagna e Veneto. Nel mese di giugno è prevista l’attivazione di ulteriori 48 campi: 7 in Campania, 6 in Abruzzo, 5 in Puglia, 4 rispettivamente in Veneto e Piemonte, 3 nelle regioni Lombardia, Emilia- Romagna, Molise, Basilicata e Sicilia. Due saranno i campi nel Lazio mentre in Friuli Venezia Giulia, Toscana, Marche, Umbria e in Calabria partirà il primo dei campi in programma fino a settembre.

Maturità 2018, 18 giugno riunione plenaria: chi fa che cosa. Scheda di sintesi

da Orizzontescuola

Maturità 2018, 18 giugno riunione plenaria: chi fa che cosa. Scheda di sintesi

di redazione

Al via gli esami di Maturità 2018 con la riunione plenaria prevista per il 18 giugno 2018 alle ore 8.30.

Sintetizziamo, nella tabella seguente, le attività che devono svolgere le Commissioni in sede di riunione plenaria e preliminare:

Qui la tabella in PDF

Cattedre vacanti, quasi tutte al nord. Difficilissimo il rientro al sud

da La Tecnica della Scuola

Cattedre vacanti, quasi tutte al nord. Difficilissimo il rientro al sud

Esami di Stato 2018, ecco cosa fare alla riunione plenaria e preliminare

da La Tecnica della Scuola

Esami di Stato 2018, ecco cosa fare alla riunione plenaria e preliminare

Probabili novità in arrivo: via la chiamata diretta, restano ASL e Invalsi

da La Tecnica della Scuola

Probabili novità in arrivo: via la chiamata diretta, restano ASL e Invalsi