La lettura: processi coinvolti e difficoltà specifiche

La lettura: processi coinvolti e difficoltà specifiche

di Immacolata Lagreca

Nel 1975, il linguista e semiologo francese Roland Barthes (1915-1980), durante un incontro al Congresso dell’Association Francaise des Enseignants de Francais, osservava: «Leggere può essere eseguito da mille complementi oggetto: io leggo dei testi, delle immagini, delle città, dei visi, dei gesti, delle scene, ecc». Questo ci suggerisce che l’atto di leggere è molto più complesso di quanto crediamo. L’etimologia del termine ci introdurrà alla comprensione di termine e alle implicazioni che esso comporta. Leggere è da ricondursi al latinolegere, con il significato di raccogliere. Leggeresignifica fondamentalmente raccogliere, ma il termine ci suggerisce un significato che va oltre la semplice ripetizione meccanica di suoni. Infatti, la radice leg- è alla base del termine lògos, che racchiude in sé svariati significati (parola, discorso, causa, ragione), per cui la lettura può essere considerata come un’azione che coinvolge la totalità della persona che “raccoglie” e “cogliere”il significato profondo di quello che legge.

L’atto di leggere, sia che si tratti di un testo scritto, di una fotografia, di un’illustrazione o di un di volto, si compone di tre azioni tra esse integrate:

    • raccogliere i dati delle parole ,delle immagini, della realtà;
    • dare loro un senso, un significato, capire;
    • reagire, rispondere, attivare una reazione cognitiva, emotiva e comportamentale. Senza la reazione, qualsiasi lettura rimane un atto puramente meccanico, di semplice registrazione.

Facciamo alcuni esempi di lettura:

1) lettura della realtà: un bambino vede una figura di donna entrare in casa (raccoglie i dati della realtà che gli sta attorno), riconosce la sua mamma al rientro a casa (da un senso a quell’immagine, capisce), si agita, sorride o piange perché vuole essere coccolato da sua madre che non vede da un po’ (reagire, rispondere, attivare una reazione cognitiva, emotiva e comportamentale).

  1. lettura di parole (ascolto): il bambino ascolta la frase detta dal papà “Fuori è buio” (raccoglie le parole), capisce che fuori è successo qualcosa (da un senso alle parole, un significato), corre a guardare dalla finestra per curiosità (ha reazione cognitiva, comportamentale).

  2. lettura di un libro illustrato: il bambino vede una foto in cui è ritratto un cane (raccoglie le immagini del libro), coglie che è l’immagine di un cane (da un senso all’immagine), emette il suono “bau” (reagisce, attivare una reazione cognitiva).

Dopo questi esempi, possiamo affermare che l’atto della lettura è di pertinenza innanzitutto della psicologia, poiché riguarda il nostro apparato percettivo. Infatti, la lettura è un processo cognitivo complesso che per svilupparsi in modo adeguato necessita sia di buone abilità uditive-fonologiche sia di adeguate abilità visuo-percettive, che sembrerebbero mediate dall’attenzione spaziale.

La lettura è un processo il cui scopo è quello della comprensione di un testo scritto, di un’immagine, della realtà. Tralasciando gli ultimi due, concentriamo la nostra attenzione sul testo scritto.

Nei processi di lettura di un testo scritto intervengono più fattori: la messa a fuoco dell’occhio idonea a rilevare i tratti segnici da leggere; la rappresentazione dei segni grafici e la sua trasmissione, affinché la sensazione si traduca in percezione; l’intelligenza e la memoria che comprende l’idea espressa e la ricorda (comprensione del testo); il processo motorio della parola (oralizzazione); il sentimento che sottolinea l’interesse per il contenuto (reazione). La comprensione del testo si realizza quando il soggetto riesce a ricostruire una rappresentazione mentale dello scritto; il processo psicolinguistico si ha quando il soggetto che legge costruisce una rappresentazione mentale (la parte psico) che ricava da una serie di elementi linguistici scritti (la parte linguistica); l’oralizzazione si ha quando si trasforma il testo scritto (segni) in enunciato verbale (suoni). L’analisi sperimentale di questi processi (ottico, acustico-motorio e mentale) ha permesso di strutturare vari metodi per l’insegnamento della lettura.

La lettura ha un ruolo di primaria importanza che ha delle sensibili ricadute su tutti i settori dell’apprendimento, si può affermare che il successo scolastico è strettamente connesso alla capacità di decifrare correttamente un messaggio verbale e/o scritto, sia sul piano fonologico sia su quello semantico.

Il processo di acquisizione della lettura di un testo scritto avviene per passaggi successivi e graduali. Concentriamo brevemente la nostra attenzione sui i meccanismi del processo di lettura. La lettura come processo psicolinguistico si realizza attraverso almeno due meccanismi:

  • il meccanismo di anticipazione (meccanismo cognitivo che assolve la parte psico);

  • il meccanismo di decifrazione (meccanismo linguistico che assolve alla parte linguistica).

Il meccanismo di anticipazione è un dispositivo di previsione attraverso il quale chi legge immagina ciò che è scritto in un testo prima di decifrarlo interamente. Può essere effettuato sia su tutto il testo che sulle singole parole e consente di economizzare nel meccanismo di decifrazione. L’anticipazione si basa sugli indici selezionati dal soggetto. Gli indici possono essere: linguistici (sono quelli che si ricavano dal test) ed extra linguistici (sono quelli che non si ricavano dal testo scritto e che tuttavia vi si riferiscono, come le immagini, alle conoscenze preesistenti sull’argomento. È importante tener presente che l’anticipazione è un meccanismo cognitivo, che non riguarda solo la lettura, ma anche altri processi di comprensione non linguistici. Inoltre, all’interno del processo di lettura, non riguarda una singola fase, ma le investe tutte.

Il meccanismo di decifrazione è l’attività con cui il soggetto analizza il segmento scritto nelle unità che lo compongono. È un meccanismo percettivo, quindi un elemento molto importante che influenza l’apprendimento del meccanismo di decifrazione è dato dalla natura del carattere utilizzato. Il sistema più semplice da decifrare, e che il bambino sceglie spontaneamente prima dell’inizio del processo di oralizzazione, è lo “stampato maiuscolo”.

L’accesso al significato delle parole, dunque, avviene sia direttamente, sulla base di un codice visivo (via visiva), sia sulla base di un codice fonologico (via fonologica). Questo modello, chiamato “modello standard “a due vie” di Coltheart.

Una difficoltà in uno di questi processi o vie di lettura determina particolari errori di lettura che possono far parte di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento, quale la Dislessia.

La principale caratteristica di questa categoria di DSA è la sua specificità, ovvero il disturbo interessa uno specifico dominio di abilità (lettura, scrittura, calcolo) lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. La Dislessia è un disturbo settoriale della lettura che si manifesta in un bambino privo di deficit neurologici, sensoriali, cognitivi, relazionali. La Dislessia, spesso, si accompagna a difficoltà nella scrittura, nei processi di letto-scrittura del numero e del calcolo. Questo tipo di deficit, che è abbastanza frequente, è dunque caratterizzato dall’incapacità di imparare a decifrare e comprendere testi scritti, anche in assenza di danni sensoriali e/o neurologici o di ritardo nello sviluppo intellettivo. In particolare, la lettura è caratterizzata da distorsioni, sostituzioni, omissioni, lentezza ed errori di comprensione.

La dislessia può essere di due tipi: acquisita, quando fa riferimento a quei disturbi di lettura che insorgono come conseguenza di un danno cerebrale; o evolutiva, quando c’è un disturbo specifico che inibisce il normale processo di acquisizione della lettura. Se nel primo caso la dislessia sopraggiunge a causa di un infortunio, nel secondo caso non è dovuta a incidenti e si manifesta nonostante il bambino abbia avuto (ed ha) normali e adeguate opportunità scolastiche.

Durante il processo di lettura, si possono distinguere due sottotipi di dislessia: dislessia superficiale, quando i soggetti sono in grado di leggere parole regolari attraverso la conversione grafema-fonema, ma incontrano difficoltà a leggere parole non regolari; dislessia fonologica, che consiste nella marcata difficoltà a leggere parole che sono già state immagazzinate come lessico visivo, ma rimane integra la capacità di leggere parole ad alta frequenza d’uso.

La diagnosi è posta alla fine del secondo anno della scuola primaria. Tuttavia, già alla fine del primo anno della scuola primaria profili funzionali compromessi e presenza di altri specifici indicatori diagnostici (ritardo del linguaggio e anamnesi familiare positiva per DSA) possono anticipare i termini della formulazione diagnostica.

Quando qualcuno (genitore o insegnante) sospetta di trovarsi di fronte ad un bambino dislessico è importante che venga fatta, al più presto una valutazione diagnostica. La diagnosi deve essere fatta da specialisti esperti, mediante specifici test. La diagnosi permette di capire che cosa sta succedendo ed evitare gli errori più comuni come colpevolizzare il bambino (ad esempio rimproverarlo perché non impara perché non si impegna) e l’attribuire la causa a problemi psicologici, errori che determinano sofferenze, frustrazioni. Ottenuta la diagnosi si possono mettere in atto aiuti specifici, tecniche di riabilitazione e di compenso, nonché alcuni semplici provvedimenti della modifica della didattica a favore dei ragazzi dislessici e contenute nelle direttive Ministeriali (Prot. n. 4099/A/4).

È importante sapere che i bambini/ragazzi dislessici possono imparare ad apprendere anche se in maniera un po’ diversa dagli altri.

Bibliografia

Biancardi A., Milano G., Le difficoltà di apprendimento a scuola.Vincere la dislessia e i disturbi dell’apprendimento, Rizzoli, Milano, 2001.

Chauveau G., Come il bambino diviene lettore. Per una psicologia cognitiva e culturale della lettura, trad. it. ,Armando, Roma 2000.

Crowder R.G., Wagner R., Psicologia della lettura, il Mulino, Bologna 1998.

Flores d’Arcais G.B., Introduzione alla psicologia della lettura, Cleup, Padova 2008.

Porta M., Pellegrini L., L’apprendimento della lettura. Processi, problemi, prevenzione,Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 1996.

Sabato 7 luglio il mondo della conoscenza si veste di rosso

La FLC CGIL aderisce all’iniziativa di Libera, Anpi e Arci. Sabato 7 luglio il mondo della conoscenza si veste di rosso per fermare “l’emorragia di umanità” in Europa
Anche la Federazione dei lavoratori della conoscenza Cgil aderisce all’iniziativa di Anpi, Arci e Libera e sabato 7 luglio si vestirà di rosso per gridare forte l’indignazione contro “l’emorragia di umanità” che, da anni, colora di sangue il mar Mediterraneo. Le magliette rosse indossate dai bambini annegati nel nostro mare sono un monito per l’Europa che dimentica la sua umanità, la sua civiltà, la sua cultura dell’accoglienza ed erige muri per farsi fortezza impenetrabile contro i poveri e gli ultimi, contro chi fugge dalle dittature e dalle guerre.

Esprimiamo dolore e cordoglio per tutte le persone che invece della sponda della speranza, in uno dei nostri porti, hanno toccato il fondo del mare e condanniamo coloro che lanciano proclami contro chi cerca aiuto.

Siamo vicini, invece, alle centinaia di migliaia di docenti che ogni giorno manifestano solidarietà e accoglienza, in tante scuole del Paese, alla ricerca di forme positive e civili di integrazione. Così come apprezziamo quei tanti studenti italiani che ogni giorno a scuola e nelle università sperimentano la ricchezza delle differenze culturali e ne traggono giovamento. Gli studenti sanno essere amici, fratelli e sorelle di chi ha la pelle di un colore diverso, di chi conosce un’altra lingua insieme alla nostra, ma negli occhi esprime la gioia di una vita diversa.

Sabato indosseremo una maglietta rossa perché spargere odio razziale è sbagliato, incivile e profondamente diseducativo. Il nostro auspicio è che dalle scuole e dalle università italiane si tragga una lezione fondamentale: l’altro è una ricchezza, sempre, ed è un valore accoglierlo, da qualunque parte del mondo provenga.

Le maestre contro il ministro “Punisce noi con la laurea”

da la Repubblica

Le maestre contro il ministro “Punisce noi con la laurea”

Dopo la sanatoria delle diplomate scoppia la protesta. Domani manifestazione al MIUR

Corrado Zunino

Il governo salva cinquantamila diplomate magistrali, 49.189 per la precisione, e nel mondo del precariato scolastico esplode la protesta. Mai così forte. “Scateniamo l’inferno”, scrive sui social Luisa Sarnataro, supplente storica napoletana in Graduatoria Gae (quindi non assunta) da tredici anni. Consysalva Farvet, stesso bacino precario, dice: « Gente bocciata ai concorsi lavorerà e gente selezionata dai concorsi starà a casa».

Il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, lunedì sera, ha congelato per quattro mesi la sentenza del Consiglio di Stato che aveva deciso che il titolo di diploma magistrale non era sufficiente per salire in cattedra. Prima della Plenaria le cinquantamila diplomate, grazie a varie decisioni dei Tar e otto dello stesso Consiglio di Stato, avevano affiancato o scavalcato 140 mila colleghe destinate alle scuole d’infanzia e alle elementari: 24 mila precarie storiche, oltre 110 mila laureate in Scienze della formazione primaria. Indietro, aveva replicato il Consiglio di Stato a sessioni riunite: le diplomate devono tornare allesupplenze. Annunci di scioperi della fame.

A 35 giorni dal giuramento del governo, il nuovo Miur ha fatto il primo, timido passo sulla questione ( sulla quale Lega e Cinque Stelle si erano spesi in campagna elettorale). E ha — « come prevede un decreto del 1996» — concesso «di ottemperare alle esecuzioni dei provvedimenti dei tribunali amministrativi entro 120 giorni dalla data di comunicazione del titolo esecutivo » . Ovvero, a fronte di sentenze che tra luglio e agosto avrebbero tolto la cattedra a 5.655 maestre e retrocesso alla seconda fascia altre 43.534, ha posticipato licenziamenti e retrocessioni. Bussetti ha poi chiesto al Parlamento di realizzare, in due mesi, una legge che diriga il traffico in ingresso a scuola per i tre tipi di precari. La stessa scelta del predecessore Valeria Fedeli. È venuto giù il mondo.

« Il Governo del cambiamento ha mostrato la sua vera faccia: privilegia i furbi e l’illegalità mortificando il merito nella scuola pubblica » , ha scritto il Gruppo docenti storici. Il rancore è cresciuto quando gli insegnanti hanno ascoltato la gaffe del vicepremier Luigi Di Maio: « I laureati magistrali sono stati salvati», ha detto in video. Laureati, li ha chiamati, non diplomati. La Cgil ora scrive: «La soluzione è poco dignitosa e profondamente inadeguata per garantire il regolare avvio dell’anno scolastico. I diplomati magistrali restano in servizio con l’angoscia di essere licenziati di lì a poco». Il passetto di Bussetti — congelamento della sentenza — non è piaciuto agli stessi maestri magistrali.

L’apertura di credito al ministro- provveditore, trascorsi 35 giorni, sembra essere in crisi. La prima scelta fatta — consentire ai “deportati al Nord” con specializzazione sul sostegno di tornare a insegnare al Sud — ha tolto lavoro ai supplenti storici meridionali: « Una porcata dietro un’altra » , ora si legge. Il senatore leghista Mario Pittoni, presidente della commissione Istruzione, è allertato: deve sbrigarsi ad avviare concorsi riservati per i “diplomati”. Ieri a Milano e oggi a Bologna studenti e laureandi di Scienze della formazione hanno allestito sit-in davanti ai provveditorati. Domani, sotto le finestre di Bussetti, è prevista la prima manifestazione precaria contro il ministero del cambiamento. Si annuncia numerosa.

Concorsi dirigenti scolastici, Consiglio di Stato esclude precari e docenti di ruolo in anno di prova

da Orizzontescuola

Concorsi dirigenti scolastici, Consiglio di Stato esclude precari e docenti di ruolo in anno di prova

di redazione

Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 4799/2018 del 22 giugno u.s., ha accolto l’appello del Miur contro la sentenza del TAR Lazio, che aveva concesso a dei docenti non confermati in ruolo la partecipazione al corso-concorso per dirigente scolastico.

Requisiti richiesti dal Bando

Per la partecipazione al concorso il Regolamento (D.M. 3 agosto 2017 n. 138) e il successivo Bando  predispongono che i candidati (personale docente ed educativo di ruolo) siano in possesso dei seguenti requisiti:

  • diploma di laurea magistrale, specialistica ovvero di laurea conseguita in base al previgente ordinamento, di diploma accademico di secondo livello rilasciato dalle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica ovvero di diploma accademico di vecchio ordinamento congiunto con diploma di istituto secondario superiore;
  • conferma in ruolo;
  • 5 anni di servizio (compreso quello non di ruolo)

Ricorso docenti

Il ricorso, su cui si è espresso il Consiglio di Stato, riguarda un gruppo di docenti, in possesso dei suddetti requisiti, eccetto quello di essere confermati in ruolo e/o di essere già assunti a tempo indeterminato.

Sentenza Consiglio di Stato

Il Consigli di Stato ha accolto il ricorso del Miur, che si era appellato contro la sentenza del TAR Lazio che aveva dato ragione ai docenti.

Secondo il Consiglio di Stato, la richiesta della conferma in ruolo “appare non manifestamente irragionevole in particolare sotto il profilo del rispetto del principio di uguaglianza”, in quanto il docente confermato in ruolo è stato oggetto di una valutazione relativa a tutto il percorso, per cui allo stesso è riconosciuta “professionalità superiore, perché specificamente accertata, rispetto a quello che abbia semplicemente prestato un servizio”.

Non vi è neppure, prosegue il Consiglio di Stato, contrasto con la normativa europea che protegge i lavoratori a termine, poiché il servizio precario è valutato allo stesso modo di quello prestato a tempo indeterminato per conseguire il requisito dell’anzianità quinquennale richiesta.

Pertanto, l’istanza cautelare proposta in primo grado viene respinta.

Vaccini obbligatori, proroga di un anno con autocertificazione presentata dalle famiglie

da Orizzontescuola

Vaccini obbligatori, proroga di un anno con autocertificazione presentata dalle famiglie

di redazione

Confermato dal Ministro della salute un intervento per rimodulare la questione legata alle certificazioni vaccinali

Obiettivo semplificazione del rapporto tra cittadini e istituzioni, attraverso una significativa riduzione dell’onere documentale a carico delle famiglie per quanto riguarda le vaccinazioni.

Non una misura temporanea – ha detto il Ministro Grillo durante un question time appena conclusosi – ma accorgimenti per rendere meno conflittuale il rapporto tra cittadino e istituzioni.

Per poter entrare in classe il prossimo settembre, potrebbe bastare che i genitori presentino un’autocertificazione delle avvenute vaccinazioni e non la certificazione di avvenuta vaccinazione da parte della Asl la cui scadenza di presentazione era prevista per il 10 luglio 2018.

Sarebbe questo, a quanto si apprende, il contenuto del provvedimento amministrativo dei ministeri Salute e Istruzione che sarà presentato domani.

“Obiettivo governo è di alleggerire oneri in capo alle famiglie, senza compromettere la frequenza per tutti i minori di asili nido e obbligo.” Un bilanciamento tra il diritto dell’istruzione istruzione e quello alla salute, presente nel contratto di governo

L’uffingtonpost anticipa i contenuti del decreto, dando qualche contenuto in più: “I controlli – leggiamo – sulle vaccinazioni dovrebbero essere effettuati solo a campione, senza altre garanzie sulla reale somministrazione dei vaccini. In questo modo – spiegano le fonti – l’obbligatorietà dei vaccini non sarà ufficialmente smontata, ma sarà nei fatti annacquata dalla proroga di una pratica, quella dell’autocertificazione, pensata in origine per essere solo temporanea ed emergenziale.

Concorso dirigenti scolastici, il 20 novembre la Consulta: in 500 rischiano il licenziamento

da Orizzontescuola

Concorso dirigenti scolastici, il 20 novembre la Consulta: in 500 rischiano il licenziamento

di redazione

comunicato Anief – Un nuovo concorso per dirigenti scolastici sta prendendo il via: il prossimo 23 luglio è prevista la prova preselettiva, alla quale parteciperanno oltre 35mila docenti tra cui diversi ricorrenti, grazie all’operato dell’Anief.

Nel frattempo, però, il giovane sindacato è stato costretto a portare in Corte Costituzione un problema irrisolto, riguardante l’ultima selezione di presidi, quella del 2011, e la soluzione parziale del 2011 che ha lasciato fuori molti ricorrenti.

La Consulta deciderà se l’art. 1, comma 88, della legge 107/2015, l’ultima riforma, abbia peccato di illegittimità nel prevedere una procedura riservata per il reclutamento dei dirigenti scolastici rivolto ai soli ricorrenti del concorso 2004 e solo parzialmente a quelli del 2011, se destinatari di un provvedimento di primo grado favorevole discriminando così gli altri ricorrenti.

Questo significa che potrebbero essere licenziati centinaia di presidi se non interviene il Parlamento. Anief chiede, pertanto, una modifica al Decreto Legge “Dignità”, in modo da ammettere i ricorrenti del 2011 e neutralizzare un eventuale provvedimento che renderebbe illegittima l’assunzione disposta a seguito delle procedure riservate disposte dal D. M. n. 449 del 20 luglio 2015.

“Chiediamo a deputati e senatori – dichiara Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – di estendere a tutti i ricorrenti del 2011 la possibilità di partecipazione al corso-concorso, in un momento in cui ancora per i prossimi due anni scolastici avremo una scuola su quattro scoperta, quindi affidata in reggenza. Abbiamo tentato in tutti i modi di evitare che il contenzioso arrivasse alla Consulta, salvaguardando le immissioni in ruolo avvenute senza pregiudicare l’indizione del nuovo concorso, ma i nostri docenti ricorrenti hanno pieno diritto di ottenere una sessione di concorso a loro riservata, alla luce del danno professionale loro cagionato da un’amministrazione non all’altezza della situazione”.

L’iter del contenzioso

LAnief, qualche mese fa, dopo avere presentato un emendamento ad hoc al disegno di legge costitutivo della manovra di bilancio, subito dopo l’approvazione del ddl 4768 sulla Legge di Stabilità 2018, ha depositato centinaia di ricorsi ad adiuvandumin in Corte Costituzionale. Dando seguito, in tal modo, a quanto previsto dal Consiglio di Stato (con ordinanza n. 3008/2017 del 21 giugno scorso) e fornendo una chiara risposta a tutti quei docenti candidati a preside che hanno aderito al ricorso per l’ammissione alle prove scritte dell’ultimo concorso a preside, bandito nel luglio del 2011, o anche al ricorso avverso il D.M. 499/2015 per l’ammissione ai corsi intensivi di formazione per dirigenti scolastici.

Quello della Corte Costituzionale, in programma il 20 novembre prossimo, è un parere che in caso di accoglimento rischia anche di travolgere la Legge di riforma 107/15 e il corso-concorso che nel‎ 2015 ha sanato il contenzioso del 2004, ma solo parzialmente quello del 2011, autorizzando l’assunzione di più di 500 dirigenti scolastici in questi ultimi due anni. Va anche ricordato che il Comitato ricorsisti 2011 concorso DS, lo scorso mese, ha scritto al Ministro dell’Istruzione, inviando una memoria storica (dal 2011 ad oggi 2018) degli accadimenti, e chiedendo a Marco Bussetti “un intervento, che possa dare voce alle nostre copiose istanze”, al fine di valutare “la posizione dei ricorsisti, ingiustamente non inseriti a partecipare al corso-concorso abilitante al ruolo”.

Pure a Montecitorio si chiede al Ministro di intervenire per sanare la discriminazione. Mauro D’Attis, deputato di Forza Italia, ha detto di avere presentato “al nuovo Ministro dell’Istruzione, Bussetti, un’interrogazione urgente sulla delicata questione dei ricorrenti al concorso per il ruolo di Dirigente scolastico del 2011 rispetto a una questione al vaglio della Consulta”. Perché, scrive il deputato, “la Legge 107/2015, art.1, cc. 87/88/89/90, ha sanato le posizioni dei ricorrenti dei concorsi DS 2004/06 sia di coloro che avevano superato la prova preselettiva sia di chi, pur non avendola superata, avesse un contenzioso pendente alla data di promulgazione della L. 107/2015, la cosiddetta “Buona Scuola”, istituendo, ai sensi del D.M. 499/2015, corsi intensivi di 80 ore finalizzati all’inserimento dei suddetti ricorrenti al ruolo di Dirigente Scolastico”.

Ricorda l’on. D’Attis che “nel c. 88 vengono coinvolti anche i Ricorrenti 2011 ma solo per “coloro già vincitori di concorso ovvero utilmente collocati nelle graduatorie ovvero che abbiano superato positivamente tutte le fasi di procedure concorsuali successivamente annullate in sede giurisdizionale relative al concorso DS 2011, indetto con decreto direttoriale del MIUR il 23.07.2011 e pubblicato in G.U. 4° serie speciale n° 56 del 15 Luglio 2011”.

Utilizzazioni e assegnazioni: personale educativo, IRC e licei musicali

da La Tecnica della Scuola

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Diplomati magistrale fuori dalle GaE, ecco perché è stato “congelato” tutto per 120 giorni

da La Tecnica della Scuola

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Vaccini a scuola, restano obbligatori: basterà l’autocertificazione entro il 10 luglio

da La Tecnica della Scuola

Vaccini a scuola, restano obbligatori: basterà l’autocertificazione entro il 10 luglio

Bussetti: “Nessuna rivoluzione per la scuola. Solo cambiamenti mirati. Anche per la legge 107”

da La Tecnica della Scuola

Bussetti: “Nessuna rivoluzione per la scuola. Solo cambiamenti mirati. Anche per la legge 107”

Diplomati magistrali, Turi: ‘Decreto del Governo non risolve’

da Tuttoscuola

Diplomati magistrali, Turi: ‘Decreto del Governo non risolve’ 

“Quello adottato dal Consiglio dei Ministri è un provvedimento del quale si fatica a comprendere la portata e l’obiettivo” commenta il segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi, in riferimento alla decisione presa circa i diplomati magistrali.

“Non  ci si può limitare a garantire l’avvio ordinato dell’anno scolastico, senza dare  risposte – aggiunge Turi –  sia pure articolate e graduali, ai docenti interessati”.

“La scelta di fondo, politicamente rilevante,  dovrebbe essere quella di porre un freno al precariato – continua Turi –  disinnescare la bomba ad orologeria del limite dei 36 mesi di lavoro continuativo, procedere all’eliminazione dell’organico di fatto e fare i conti con l’organico di diritto”.

“Quella di oggi, invece, appare una sorta di tachipirina che cura i primi sintomi e lascia avanzare la malattia. Una non–soluzione con l’aggravante che sarebbe pregiudicato l’intero anno scolastico, sia per i docenti che per famiglie e ragazzi che vivrebbero un anno di precarietà”.

“Come si potrà sentire un’insegnante, che va in classe  – e ‘garantisce il regolare avvio delle lezioni’ – sapendo che sarà licenziata in corso d’anno. Con quale serenità potrà svolgere il suo lavoro” – solleva la questione Turi.

“Si è pensato ancora una volta di considerare la scuola, un ufficio pubblico in cui è importante la procedura e non il contenuto: fare partire bene l’anno scolastico significa anche dare motivazioni, sicurezza, stabilità ai docenti che lo dovranno affrontare, serenità alle famiglie e agli alunni”.

“Ci auguriamo in un ripensamento del Governo che presenti un provvedimento organico che cerchi di risolvere il male endemico della precarietà che nella scuola, è ancora più deleterio,  per le ricadute negative che ha su studenti e famiglie”.

“Invitiamo il ministro ad aprire un confronto di merito che porti ad affrontare il problema nella sua globalità ed evitare  provvedimenti a singhiozzo”.

Decreto Direttoriale 5 luglio 2018, AOODGRUF 1146

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali
Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie

Decreto Direttoriale 5 luglio 2018, AOODGRUF 1146

Procedura selettiva per titoli e colloquio, ai sensi dell’art. 1 commi 619-621 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, finalizzata all’immissione in ruolo del personale titolare di contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati con le istituzioni scolastiche statali ai sensi dei decreti attuativi dell’articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, per lo svolgimento di compiti e di funzioni assimilabili a quelli propri degli assistenti amministrativi e tecnici (decreto direttoriale n. 209 del 28 febbraio 2018)

Sentenza Consiglio di Stato 5 luglio 2018, n. 5156

N. 05156/2018REG.PROV.COLL.

N. 02403/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2403 del 2018, proposto dal Comune di Benevento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Abbamonte, Oreste Di Giacomo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Andrea Abbamonte in Roma, via degli Avignonesi, 5;

contro

XXX tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Giorgio Vecchione, Raffaele Rauso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonella Fumai in Roma, Piazzale delle Medaglie D’Oro, 7;
XXX non costituiti in giudizio;

nei confronti

XXX non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 01566/2018, resa tra le parti;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di XXX;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 luglio 2018 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati Andrea Abbamonte, Oreste Di Giacomo e Giorgio Vecchione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, un gruppo di genitori di alunni frequentanti le scuole materne ed elementari del Comune di Benevento ha impugnato le deliberazioni n. 21/2017 (del Consiglio Comunale) e n. 121/2017 (della Giunta Comunale) adottate dal Comune di Benevento e concernenti l’istituzione e il regolamento del servizio di refezione scolastica per gli alunni delle scuole materne ed elementari a tempo pieno.

2. Con le citate delibere, in particolare, il Comune di Benevento ha previsto l’obbligatorietà, per tutti gli alunni delle scuole materne ed elementari, del servizio di ristorazione scolastica, stabilendo altresì che nei locali in cui si svolge la refezione scolastica non è consentito consumare cibi diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice del servizio. Ciò sul presupposto che “il consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale, oltre che una possibile fonte di rischio igienico sanitario”.

3. Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe, il Tribunale amministrativo ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato le deliberazioni impugnate, nella parte in cui vietano, nei locali in cui si svolge il servizio di refezione scolastica, il consumo, da parte degli alunni, di cibi diversi da quelli forniti dalla dita appaltatrice del servizio.

4. Per ottenere la riforma della sentenza in esame ha proposto appello il Comune di Benevento, riproponendo anche le pregiudiziali eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado, per difetto di giurisdizione e per difetto di interesse degli originari ricorrenti.

5. Si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello alcuni degli originari ricorrenti, specificati nominativamente in epigrafe.

6. Alla pubblica udienza del 5 luglio 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

7. In via pregiudiziale devono essere esaminate le eccezioni di difetto di giurisdizione e di interesse del ricorso di primo grado, riproposte dal Comune di Benevento con specifici motivi.

7.1. L’eccezione di difetto di giurisdizione è infondata: la controversia attiene al legittimo esercizio di un potere autoritativo, che si è tradotto, attraverso le norme regolamentari impugnate, nell’imposizione agli alunni a tempo pieno delle scuole materne ed elementari del divieto di consumare (nei locali in cui si svolge il servizio di refezione scolastica) i cibi portati da casa (o comunque acquistati autonomamente).

Non basta per radicare la giurisdizione ordinaria la circostanza, valorizzata dal Comune di Benevento, che gli originari ricorrenti deducano la violazione di diritti soggettivi fondamentali costituzionalmente tutelati (in primis, il diritto all’istruzione).

Come ha evidenziato la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr., in particolare, Cass., SS.UU., 25 novembre 2014, n. 25011), la natura fondamentale del diritto all’istruzione non è di per sé sufficiente a ritenere devolute le controversie che ad esse si riferiscono alla giurisdizione del giudice ordinario. Sugli stessi temi, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ha ribadito che “la cognizione e la tutela dei diritti fondamentali […], intendendosi per tali quelli costituzionalmente garantiti, non appare affatto estranea all’ambito della potestà giurisdizionale amministrativa, nella misura in cui il loro concreto esercizio implica l’espletamento di poteri pubblicistici, preordinati non solo alla garanzia della loro integrità, ma anche alla conformazione della loro latitudine, in ragione delle contestuali ed equilibrate esigenze di tutela di equivalenti interessi costituzionali […]. l’affermazione dell’estensione della giurisdizione esclusiva amministrativa anche alla cognizione dei diritti fondamentali […] non vale in alcun modo a sminuire l’ampiezza della tutela giudiziaria agli stessi assicurata, nella misura in cui al giudice amministrativo è stata chiaramente riconosciuta la capacità di assicurare anche ai diritti costituzionalmente protetti una tutela piena e conforme ai precetti costituzionali di riferimento (Corte Cost., sentenza 27 aprile 2007, n.140), che nessuna regola o principio generale riserva in via esclusiva alla cognizione del giudice ordinario.” (Cons. Stato, Ad. plen., 12 aprile 2016, n. 7).

Per un verso, infatti, occorre considerare la presenza nell’ordinamento di una norma – l’art. 133 Cod. proc. amm., comma 1, lett. c), – che, in continuità con l’abrogato d.lgs. n. 80 del 1998, art. 33 devolve alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie in materia di pubblici servizi relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo.

Per l’altro verso, e più in generale, la lata categoria dei c.d. diritti fondamentali – rinveniente e configurata in relazione ai diritti dell’uomo, vale a dire riguardante un contesto per sua natura estraneo al riparti interno di giurisdizione italiano e alla sua distinzione funzionale tra diritti soggettivi e interessi legittimi, non delimita un’area estranea all’intervento di pubblici poteri autoritativi. Tutt’altro che infrequente, anzi, è proprio l’intervento autoritativo finalizzato ad attuare siffatti diritti, per realizzarli nella prospettiva di una tutela sistemica, anche rispetto alle esigenze di funzionalità del servizio pubblico.

Sotto questo profilo, la sussistenza di poteri amministrativo conferiti dalla legge anche quando il bene della vita coinvolto è proiezione di un siffatto diritto fondamentale, con la conseguente possibilità di configurare la situazione, ai detti fini di riparto di giurisdizione, come un interesse legittimo, trova conferma sia nel riconoscimento costituzionale dell’idoneità del giudice amministrativo “ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa” (Corte cost., 27 aprile 2007, n. 140, a tenore della quale non vi è “alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario escludendone il giudice amministrativo  la tutela dei diritti costituzionalmente protetti”); sia nelle previsioni legislative del Codice del processo amministrativo, che escludono che la concessione o il diniego della misura cautelare possa essere subordinata a cauzione quando la domanda cautelare attenga a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale (art. 55), o che, ad esempio, affidano alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati (art. 133, comma 1, lett. p)). Ai fini del riparto di giurisdizione italiano, un “diritto fondamentale” può dunque atteggiarsi, a seconda dei casi rispetto all’esercizio della pubblica funzione, o come diritto soggettivo o come interesse legittimo.

7.2. Infondata è anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per carenza di interesse.

Il regolamento impugnato è, infatti, manifestamente autoapplicativo (c.d. regolamento self-executing) nel senso che non richiede, almeno per la parte contestata dai ricorrenti, un ulteriore provvedimento attuativo da parte dell’Amministrazione scolastica o del Comune.

Il divieto di consumare pasti diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice del servizio di refezione scolastica, introdotto con tale regolamento, è immediatamente operativo: ed incide di per sé, in senso manifestamente limitativo nella sfera giuridica dei ricorrenti, ed è, come tale, idoneo ad arrecare agli stessi una lesione attuale e diretta: vuoi nella qualità di legali rappresentanti (art. 320 Cod. civ.) dei minori immediatamente toccati, quali alunni, dalla disposizione; vuoi nella qualità propria di genitori, come tali titolari della primaria funzione educativa ed alimentare nei confronti dei figli e non solo dell’inerente formale obbligazione (art. 433, n. 3), Cod. civ.).

Proprio la natura auto-applicativa del regolamento impugnato rende non applicabile al caso di specie l’usuale orientamento giurisprudenziale (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 2 novembre 2017, n. 5071) che esclude l’impugnabilità del regolamento priva dell’adozione dell’atto attuativo, allorché questo è necessario per realizzarne la prescrizione.

Nel caso oggetto del presente giudizio, è dirimente la considerazione che al regolamento non seguiranno attuativi in grado di attualizzare la lesione o differenziare ulteriormente la posizione degli attuali ricorrenti, i quali, al contrario, sono già titolari, rispetto alla prescrizione impugnata, di un interesse differenziato oggetto di lesione immediata. La pretesa all’uso legittimo del potere è dunque qui già concreta e attuale.

8. Nel merito l’appello è infondato.

Il regolamento impugnato presenta plurimi profili di illegittimità, già evidenziati dalla sentenza appellata, che merita di essere confermata.

8.1. Vi è, anzitutto, un’incompetenza assoluta del Comune, che – spingendosi ultra vires – con il regolamento impugnato impone prescrizioni ai dirigenti scolastici, limitando la loro autonomia con vincoli in ordine all’uso della struttura scolastica e alla gestione del servizio mensa.

Il regolamento, in particolare, interferisce con la circolare del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (di seguito anche solo MIUR) 348 del 3 marzo 2017, rivolta ai direttori degli Uffici scolastici regionali, che (muovendo dal “riconoscimento giurisprudenziale” del diritto degli alunni di consumare il cibo portato da casa, e in attesa della pronuncia della Corte di cassazione innanzi alla quale sono pendenti alcuni ricorsi proposti dallo stesso MIUR avverso le pronunce dei giudici di merito) ha, nelle more, confermato la possibilità di consumare cibi portati da casa, dettando alcune regole igieniche ed invitando i dirigenti scolastici ad adottare una serie di conseguenziali cautele e precauzioni.

8.2. In questo contesto, la scelta restrittiva radicale del Comune – di suo non supportata da concretamente dimostrate ragioni di pubblica salute o igiene né commisurata ad un ragionevole equilibrio – di interdire senz’altro il consumo di cibi portati da casa (attraverso lo strumentale e previsto divieto di permanenza nei locali scolastici degli alunni che intendono pranzare con alimenti diversi da quelli somministrati dalla refezione scolastica) limita una naturale facoltà dell’individuo – afferente alla sua libertà personale – e, se minore, della famiglia mediante i genitori, vale a dire la scelta alimentare: scelta che – salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di varia sicurezza o decoro – è per sua natura e in principio libera, e si esplica vuoi all’interno delle mura domestiche vuoi al loro esterno: in luoghi altrui, in luoghi aperti al pubblico, in luoghi pubblici.

Occorre pertanto, per poter legittimamente restringere da parte della pubblica autorità una tale naturale facoltà dell’individuo o per esso della famiglia, che sussistano dimostrate e proporzionali ragioni inerenti quegli opposti interessi pubblici o generali. Queste ragioni, vertendosi di libertà individuali e nell’ambiente scolastico, non possono surrettiziamente consistere nelle mere esigenze di economicità di un servizio generale esternalizzato e del quale non si intende fruire perché non intrinseco, ma collaterale alla funzione educativa scolastica; e che invece, nella situazione restrittiva data, verrebbe senz’altro privilegiato a tutto scapito della libertà in questione.

Nella specie, la restrizione praticata con l’impugnato regolamento – che nemmeno si preoccupa di ricercare un bilanciamento degli interessi – manifestamente non corrisponde ai canoni di idoneità, coerenza, proporzionalità e necessarietà rispetto all’obiettivo – dichiaratamente perseguito – di prevenire il rischio igienico-sanitario. E l’assunto che “il consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale” si manifesta irrispettoso delle rammentate libertà e comunque è apodittico.

L’inidoneità e l’incoerenza della misura emerge in particolare dalla considerazione che non risulta, ad esempio, inibito agli alunni il consumo di merende portate da casa, durante l’orario scolastico: per analogia, si potrebbe addurre infatti anche per queste la sollevata problematica del rischio igienico-sanitario.

Da un altro lato, per ciò che concerne la proporzionalità e la necessità della misura, occorre rilevare che la sicurezza igienica degli alimenti portati da casa non può essere esclusa a priori attraverso una regolamento comunale: ma va rimessa al prudente apprezzamento e al controllo in concreto dei singoli direttori scolastici, mediante l’eventuale adozione di misure specifiche, da valutare caso per caso, necessarie ad assicurare, mediante accurato vaglio, la sicurezza generale degli alimenti.

La tassativa e rigorosa prescrizione regolamentare che ha introdotto il divieto di permanenza nei locali scolastici per gli alunni che intendono consumare cibi portati da casa (o acquistati autonomamente) si rivela, pertanto, affetta da eccesso di potere per irragionevolezza, in quanto misura inidonea e sproporzionata rispetto al fine perseguito.

9. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va, quindi, respinto.

La peculiarità della controversia giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Raffaele Prosperi, Consigliere

Valerio Perotti, Consigliere

Federico Di Matteo, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberto Giovagnoli Giuseppe Severini

IL SEGRETARIO