Può invalidarsi il procedimento elettorale?

Può invalidarsi il procedimento elettorale?

di Cinzia Olivieri

Si sta concludendo nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado il definito “rito stanco” delle elezioni per il rinnovo dei consigli di istituto giunti a scadenza ovvero delle suppletive.
All’indifferenza che accompagna il procedimento in ormai numerosissime scuole, con insignificante e poco interessata presenza, si contrappongono casi virtuosi come quello di un istituto comprensivo di Boscoreale dove hanno votato circa 400 genitori o altri in cui i candidati, a prescindere dall’affluenza e lamentando vere o presunte irregolarità, auspicano l’annullamento dell’intera procedura per modificare per questa via il risultato.
Ebbene l’ordinanza ministeriale non appare prevedere tale ipotesi e neanche quella di un eventuale rinnovo straordinario delle elezioni.
Un caso tuttavia può ricorrere ad esempio laddove non risultino presentate liste di candidati oppure allorquando si rendono inutili le elezioni come per l’art. 17 comma 4 (per i convitti ed educandati) per cui ove gli insegnanti in servizio siano non superiori a sei per cui tutti fanno parte di diritto del consiglio, ovvero per l’art. 6 (parte II relativa al consiglio di classe, interclasse, intersezione sebbene il testo appaia avere carattere generale) “8. Nei casi in cui il numero degli elettori di un qualsiasi organo collegiale sia inferiore o pari al numero dei posti da coprire, tutti gli elettori fanno parte di diritto dell’organo collegiale di cui trattasi, ed i posti eventualmente non attribuiti rimangono scoperti”.
Il ministero con la sua circolare annuale fissa il termine delle operazioni e gli uffici regionali individuano le date, anche delle suppletive. I dirigenti formalmente le indicono avviando le procedure. Il procedimento è spiegato nell’ordinanza 215/91 e tutti possono conoscerlo verificando la regolarità delle singole fasi. Dunque il difetto di informazione non appare di rilevanza invalidante.
È l’ordinanza che in diversi momenti del procedimento contempla la possibilità di ricorrere per la risoluzione di eventuali irregolarità.
L’art. 28 disciplina i ricorsi alla commissione elettorale contro l’erronea compilazione degli elenchi degli elettori, entro il termine perentorio di 5 giorni dalla data di affissione all’albo dell’avviso di avvenuto deposito degli elenchi stessi. La commissione decide entro i successivi 5 giorni, sulla base della documentazione prodotta e di quella acquisita d’ufficio. Quindi gli elenchi definitivi, previa informativa all’albo, sono rimessi ai seggi elettorali allorquando si insediano e dati in visione a chiunque ne faccia richiesta.
In sintesi si propone il ricorso, la commissione lo verifica, provvede alle correzioni e rimette gli elenchi al seggio dandone informazione.
L’art. 34 contempla la regolarità delle liste. La commissione elettorale provvede a ridurre le liste che contengano un numero di candidati superiore al massimo consentito nonché a cancellare i nominativi dei candidati eventualmente inclusi in più liste e non tiene conto delle firme dei presentatori che abbiano sottoscritto altre liste presentate in precedenza. Qualora all’esito i presentatori risultino in numero inferiore a quello richiesto e nell’eventualità di ogni altra irregolarità riscontrata nelle liste, è affisso avviso all’albo con invito alla regolarizzazione entro tre giorni e comunque non oltre il terzo giorno successivo al termine ultimo di presentazione. La decisione è pubblicata entro 5 giorni dalla scadenza di detto termine e può essere impugnata entro due giorni dall’affissione con ricorso al “Provveditore agli Studi” (da intendersi ormai al direttore generale dell’ufficio regionale) che è deciso nei successivi due giorni. Le liste definitive sono affisse all’albo e quindi inviate ai seggi elettorali all’atto del loro insediamento.
A questo punto la fase preelettorale si è cristallizzata.
Dolo le votazioni si può ricorrere alla commissione (Art. 46) avverso i risultati delle elezioni entro 5 giorni dall’affissione degli eletti proclamati. La commissione elettorale decide entro 5 giorni dalla scadenza del termine sopra indicato, all’esito evidentemente provvedendo a correggere il risultato.
L’intero procedimento appare governato da un principio generale del nostro ordinamento che è quello di conservazione e della salvezza di atti e procedure.
Per questo ad esempio nell’esecuzione delle operazioni di scrutinio (art. 43) si deve cercare di interpretare la volontà dell’elettore, … in modo da procedere all’annullamento delle schede soltanto in casi estremi e quando sia veramente impossibile determinare la volontà dell’elettore (es: voto contestuale per più liste, espressione contestuale di preferenze per candidati di liste diverse) o quando la scheda sia contrassegnata in modo tale da rendere riconoscibile l’elettore stesso”. Dunque l’annullamento rappresenta l’extrema ratio.
Ma come può accadere che non si possa salvare il voto di una scheda, così sia impossibile determinare il risultato elettorale (ad esempio perché risultano un numero sensibile di schede superiore a quello dei votanti tale da influire in maniera determinante sul risultato elettorale).
Cosa accade in questi casi?
In assenza di chiare ed espresse indicazioni dell’ordinanza, deducendo dal sistema così delineato, la commissione elettorale dovrebbe limitarsi ad accertare i fatti ed a concludere per l’impossibilità di proclamare il risultato elettorale.
Le decisioni conseguenti dovrebbero essere adottate dal dirigente o dall’USR secondo competenza.
Occorre ricordare a questo punto che se l’annullamento dovesse riguardare una o più componenti per l’art. 37 del Dlgs 297/94 (analogamente è previsto anche dall’ordinanza ministeriale): 1. L’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza quanto meno fino alle suppletive dell’anno successivo e per l’art. 50 dell’OM 215/91 comma 2: “I consigli di circolo o di istituto possono funzionare anche se privi di alcuni membri cessati per perdita dei requisiti, purché quelli in carica non siano inferiori a tre, in attesa dell’insediamento dei nuovi eletti” ed è sempre possibile nelle more procedere alla nomina di un commissario straordinario ai sensi dell’art. 9 CM 177/1975.

Vent’anni dopo

Vent’anni dopo

di Stefano Stefanel

Nel 2019 cadono due ventennali: quello del D.P.R. n° 275 dell’8 marzo 1999 e quello dell’avvio dell’autonomia sperimentale del 1° settembre 1999. Quando si ha a che fare con qualcosa che dura da vent’anni diventa logico e normale cercare di tirare le somme e di vederne i pro e i contro. Anche perché l’autonomia scolastica dal 2001 è entrata in Costituzione, anche se in quella parte di Costituzione che il mondo della scuola stenta a riconoscere come facente realmente parte della “Costituzione più bella del mondo” (su cui, però, si stanno addensando molti seri dubbi). Il recente dibattito sulla “regionalizzazione” è partito però, purtroppo, dall’ideologia e non dalla Costituzione stessa e dunque non pare portare a niente di buono, perché la Costituzione andrebbe attuata al di là delle ideologie. Poiché i cittadini con il referendum hanno bocciato l’idea di eliminare la legislazione concorrente di stato e regioni, a questo punto sull’istruzione diventerebbe necessario intervenire e quindi attuare la regionalizzazione – secondo il dettato costituzionale – ma su base culturale e amministrativa, non ideologica.
Credo, comunque, che non sarà possibile ragionare in maniera scientifica durante questi anniversari, visto che le “tifoserie” anti autonomia sono molto agguerrite e quelle filo autonomia molto perplesse. Il disegno dell’autonomia scolastica nasce dalla visione della scuola di Luigi Berlinguer, che riteneva logico legare il sistema scolastico nazionale alle scuole e non al ministero, e di Raffaele Iosa, che ha pensato a creare le modalità per costruire l’offerta formativa non più dentro i “programmi ministeriali”, ma dentro ad un Piano dell’Offerta Formativa territorialmente e culturalmente situato. Però Berlinguer è stato estromesso anzitempo dal Ministero soprattutto per opera dei sindacati e degli insegnanti, attraverso la causa “scatenante” del così detto “concorsone”, che voleva introdurre il merito in una parte della retribuzione accessoria dei docenti. Le riforme che si sono succedute in applicazione dell’autonomia scolastica sono tutte state fortemente ostacolate dal mondo della scuola e quindi applicate per niente o solo in parte: dal “riordino dei cicli” di Tullio De Mauro con l’eliminazione della scuola media alla legge 53 del 2003 di Letizia Moratti con il Portfolio, le prime Indicazioni Nazionali, le Unità di Apprendimento, il docente tutor, le ore opzionali; dalla Riforma Gelmini del secondo ciclo con l’eliminazione del mare confuso delle sperimentazioni eterne fino alla legge 107 del 2015 con la “chiamata diretta”, il bonus premiante il merito, gli ambiti territoriali, il PTOF, la valutazione dei dirigenti, l’alternanza scuola lavoro nei licei. Queste “riforme incompiute” hanno creato molto movimento e molti cambiamenti, ma non hanno permesso di verificare i loro effetti, perché spesso sono state spazzate via in un attimo: il riordino dei cicli è stato eliminato con un comma della legge 53; la stessa legge 53 (Riforma Moratti) è stata disapplicata – credo sia stato il primo caso di una legge modificata da una nota ministeriale – attraverso il “famoso” cacciavite di Fioroni. La legge 107 viene oggi smantellata con qualche difficoltà dall’attuale Governo con l’appoggio dei sindacati, anche perché il Governo ha promesso che la smonterà pezzo per pezzo, perché non pare avere il coraggio di smontarla con un colpo solo.
E’ possibile in questo quadro dire com’è andata? Direi proprio di no, perché i cambiamenti, soprattutto se sistematici, hanno bisogno di molti anni per sedimentarsi: si possono citare i casi della Spagna e della Finlandia, senza entrare tanto nel dettaglio, dove le riforme sono andate gradualmente a regime in una decina d’anni. Il mondo della scuola, ma anche l’opinione pubblica quando si occupa di scuola, non vuole le riforme e si compatta quasi solo attorno ai “no”, perché non c’è alcun cambiamento che viene accettato e sperimentato senza freni ideologici. Anche l’estremista LIP (Legge di Iniziativa Popolare) è stata sonoramente bocciata, traendo in inganno i suoi estensori che ancora una volta hanno scambiato la compattezza del mondo della scuola per i “no” con una compattezza da trasferire a una legge propositiva, che aveva come scopo il ripristino della scuola degli Anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.
Una certa curiosità intellettuale potrebbe nascere nel valutare se l’autonomia scolastica ha migliorato o peggiorato la scuola italiana, partendo dal giudizio sulla scuola post 68 sedimentatasi negli Anni 70 e poi diventata stabile negli Anni 80 e 90 con i decreti delegati della partecipazione, la riforma della scuola media e della scuola elementare e la “marmorea” conferma dell’impianto gentiliano della scuola superiore, lasciata al suo destino attraverso un “corpo” stabile e statico attorno a cui hanno cominciato a ruotare un paio di centinaia di sperimentazioni diventate “quasi ordinamentali”. E’ chiaro che, non essendoci controprova, si può dire tutto e il suo contrario, ma cercando perlomeno di indicare qualche “traccia”, dato che le “strade maestre” sono state via via tutte interrotte.
Chi ha vissuto – come me – la scuola degli Anni Sessanta e Settanta da studente e quella degli Anni Ottanta e Novanta da docente si è scontrato quotidianamente con la necessità di modificare qualcosa, di sperimentare, di uscire dal sistema delle microscuole diretta da Provveditorati asfittici e conservatori. I cambiamenti però venivano avanti molto piano, quasi più per mano di singoli docenti, di singoli gruppi di docenti, di consigli di classe, di scuole, di direttori didattici con una grande visione come Cinzia Mion o di ispettori che non stavano al loto posto come Giancarlo Cerini o Franco De Anna. C’era poi sempre quello spettro del post 68, che in qualche modo andava a condizionare un cambiamento che era richiesto come molto forte, ma che poi procedeva con la grande lentezza propria di tutti i sistemi centralizzati.
Nel periodo della grande trasformazione sociale dovuta alla caduta del Muro di Berlino e alla crisi del sistema della rappresentanza partitica italiana degli Anni 90 sono cominciati ad affiorare i dati sul nostro sistema dell’istruzione con rilevazioni internazionali che ci collocavano inesorabilmente molto in basso. Il risveglio per molti è stato traumatico, anche se la maggioranza (dei docenti, ma anche dei cittadini) quei dati non li ha mai presi in seria considerazione. La percezione dell’immobilismo della scuola superiore e dell’aumento della disoccupazione giovanile sia diplomata, sia laureata, ha fatto accendere l’attenzione su quel mondo immobile pensato da Gentile e vissuto in forma ostentata dalla gran parte delle scuole secondarie italiane. Era buona la scuola degli Anni 80 e 90? Probabilmente sì. Ha dato buoni risultati? Certamente no. E’ dentro questo controverso punto che nasce la necessità di intervenire sul sistema e lo si fa prima con la Bassanini-uno, creando l’autonomia scolastica e la funzione dirigenziale (art. 21 della legge delega n° 59 del 15 marzo 1997), poi con il DPR 275 attraverso cui Berlinguer ha ritenuto di mettere in moto un grande processo d’innovazione e invece ha messo in moto un mastodontico processo di conservazione. Lo “scontro” tra Miur e scuole sta ancora tutto qui: il Ministero è “innovatore”, le Scuole sono “conservatrici”. La storia della legge 107 è scolpita in questo passaggio mai affrontato seriamente: un Governo, con un Primo Ministro molto forte e con Ministri dell’Istruzione deboli fino all’inesistente, ha prodotto il corto circuito tra innovazioni che volevano emancipare il sistema e il sistema che si è rifugiato dai sindacati per farsi difendere dalle innovazioni. Tutti a parole sono innovatori, ma avendo ognuno in mente la “propria” perfetta innovazione, diventano fortemente conservatori verso le innovazioni proposte dagli altri. E comunque il processo di innovazione slegato dalle logica e dalle cogestioni sindacali si frange su un immediato consenso del mondo della scuola per l’onda favorevole all’eliminazione del processo innovativo.
L’autonomia scolastica ha però permesso alle scuole di comprendere se stesse, salvandole dalla deriva di un egualitarismo falso e che ha sempre penalizzato i più deboli (stranieri, ragazzi deboli e demotivati, ripetenti, ragazzi dispersi, ecc.): infatti oggi si constata che la scuola non è più un ascensore sociale e chi nasce ricco e in una famiglia colta fa una strada ben diversa da chi nasce povero e in una famiglia che non crede nella cultura. La scuola conservatrice ha sempre investito sulle teste “ben piene” ponendo però come proprio vessillo le “teste ben fatte”. La questione gira attorno a queste cose da vent’anni: si era illuso Berlinguer che, dicendo che i programmi non c’erano più e che le scuole avrebbero dovuto elaborare dei curricoli, aveva creduto e sperato che nella scuola sarebbero nati una grande officina e un grande dibattito culturale sulle modalità di questa grande innovazione. In realtà il dibattito culturale c’è stato e c’è, ma troppe scuole continuano ancora oggi ad insegnare programmi attraverso libri di testo standardizzati, che sono la negazione dell’idea curricolare. Studenti e famiglie stanno però da quella parte: diteci da che pagina a che pagina dobbiamo studiare per essere interrogati. Lo dicevo anch’io da studente (i miei genitori mai si sarebbero azzardati negli Anni Settanta ad interferire), mentre oggi la simbiosi studente/famiglia li fa parlare con una voce sola dentro uno “scontro generazionale” che è di tipo forse culinario o calcistico, ma che per il resto non è più scontro ma incontro, come ben insegnano i concerti di Vasco Rossi.
L’autonomia ci ha salvati? Io ne sono certo, ma sono anche convinto che tutte le prove che posso portare della mia certezza e tutti gli argomenti che ho qui esposto potrebbero essere immediatamente confutati da chi vuole dimostrare il contrario: siamo osservatori senza dati, siamo critici senza controprove. Però senza l’autonomia le scuole non si sarebbero prese neppure una parte di quella responsabilità che si stanno prendendo e non avrebbero trovato tempo neppure per fare quelle doverose rendicontazioni che facciamo oggi. Che vi sia però un atteggiamento non “autonomo” da parte delle scuole (e di molti dirigenti) lo si vede nell’attenzione maniacale che viene prestata all’aggressione contabile dei revisori dei conti (privi di poteri) e alla disattenzione di troppi verso il Sistema Nazionale di Valutazione proposto da un Miur che invece i poteri ce li avrebbe. In questo senso si situano i sindacati, che vogliono cogestire l’autonomia scolastica slegandola dai suoi soggetti principali (dirigente scolastico e collegio docenti). In questo senso va anche letta la questione degli ATA e la loro forza dentro la scuola, con un protagonismo che mai c’è nelle leggi e invece c’è sempre nei contratti.
Leggendo però la storia dell’autonomia scolastica ci si imbatte nell’evoluzione (o per qualcuno nell’involuzione) di una figura molto marginale nella scuola degli Anni Settanta e Ottanta e diventata improvvisamente centrale: il dirigente scolastico. Al di là delle lamentele della categoria e delle lamentele dei docenti e degli ata sulla categoria, rimane il dato di fatto che nella scuola dell’autonomia si “deve passare” dal dirigente scolastico. Questa figura crea una sorta di immedesimazione tra chi dirige la scuola e la direzione che questa prende: questo anche perché la forma professionale e collegiale di gestione di una scuola è il Collegio docenti, non il Consiglio d’Istituto. Il Collegio docenti deve però agire per commissioni, documenti preparatori, gruppi di lavoro, cioè attraverso un decentramento progettuale che il vecchio sistema centralizzato non richiedeva. Le circolari ministeriali hanno molta meno forza delle delibere del Collegio docenti, soprattutto laddove queste vanno ad incidere, attraverso l’autonomia scolastica, nel corpo vivo dell’offerta formativa. Ma proprio perché il Collegio docenti deve agire come un piccolo parlamento in cui “in aula” arriva solo la parte finale di un lavoro che è di predisposizione, il ruolo del dirigente scolastico è centrale anche quando sembra non lo sia. Se il dirigente scolastico non si occupa di didattica (come molti colleghi fanno) la scuola prende una direzione, ma se il dirigente scolastico si occupa della didattica tutta la progettazione curricolare passa attraverso di lui, visto come soggetto ordinatore e facilitatore.
L’autonomia ha complicato il rapporto tra scuole e potere centrale e ha destabilizzato il rapporto con i sindacati, che si trovano a lavorare su due livelli non sempre omogenei, anche per la mole enorme di contratti d’istituto che ogni anno si firmano (direi a occhio e croce intorno ai 50.000) e per la varietà di situazioni non più riconducibili a schemi fissi. L’autonomia ha costretto le scuole dentro una logica comunicativa e rendicontativa, l’unica in grado di farle resistere al cambiamento del mondo che ci è vicino. Inoltre il legame tra l’autonomia scolastica e il contesto di riferimento (enti locali, soggetti del mondo lavoro, università, ecc.) ha creato legami molto forti dentro una struttura, come quella scolastica, che vive di legami deboli. L’ancoraggio delle scuole alla comunità locale e non al sistema centrale le ha rese più forti dentro un quadro di riferimento sempre più confuso: ogni scuola ha i suoi punti fermi, che sono stabiliti a livello locale e non vengono influenzati più di tanto dal raffronto nazionale.
Il quadro nazionale si è spezzato? Certamente sì e i sindacati lo sanno bene perché i Contratti Collettivi Nazionali sono diventati sempre di più una vera “impresa”. Dire però che i sindacati imbrigliano l’autonomia delle scuole è dire una cosa profondamente inesatta: i sindacati rappresentano quel desiderio di egualitarismo e uniformità che permane anche davanti ai dati dell’oggettività che dicono che quel tipo di mondo non esiste più. Infatti il “conflitto” interno alle scuole sfocia sempre in accordi, senza grandi clamori se non in pochi casi eclatanti, segno che i punti di equilibrio dentro un’autonomia funzionale si trovano sempre. E se ci sono evidenti discrasie tra le necessità dell’utenza (ad esempio: docenti in classe dal primo giorno di scuola, supplenti in classe dalla prima ora di assenza del titolare, ecc.) e le protezioni dei lavoratori (ad esempio: trasferimenti a domanda del docente, scorrimento delle graduatorie con possibilità di rinuncia) queste vengono facilmente assorbite dentro un rapporto diretto tra la scuola, i suoi problemi, l’opinione pubblica di riferimento e la tolleranza generale anche quando il sistema traballa.
Quindi vent’anni dopo possiamo dire che l’autonomia sta salvando la scuola da una globalizzazione confusa e da un riformismo caotico? Forse questo è un passo un po’ troppo lungo. Diciamo che l’autonomia ci fa pensare, ma dentro una scuola che va avanti per storie virtuose e una normativa che va avanti solo per strappi. La grande pazienza delle scuole convive con l’impazienza del sistema di cambiare e dei sindacati di controllare. Ma se ciò avviene senza grandi scosse è perché l’autonomia scolastica protegge tutti, in un mondo che globalizzandosi si è frantumato.

Scuola, gite e lezioni extra servirà il «sì» dei genitori

da Il Messaggero

Scuola, gite e lezioni extra servirà il «sì» dei genitori

Ma si rischia così di incontrare continui blocchi alle attività e di mettere in contrasto scuola e famiglia. La nota infatti, da un lato, ha suscitato l’entusiasmo di numerose associazioni per la famiglia ma, dall’altro, ha incontrato la protesta dei sindacati della scuola: «Così si lede l’autonomia scolastica, chiediamo subito un incontro al ministro Bussetti».

Parlare a scuola di omosessualità, aborto, divorzio o gender non è possibile per i ragazzi se mamma e papà non vogliono. In base a una circolare diramata dal ministero dell’istruzione agli uffici scolastici regionali, infatti, tutte le attività extracurricolari dovranno ricevere il consenso delle famiglie. Ma si rischia così di incontrare continui blocchi alle attività e di mettere in contrasto scuola e famiglia. La nota infatti, da un lato, ha suscitato l’entusiasmo di numerose associazioni per la famiglia ma, dall’altro, ha incontrato la protesta dei sindacati della scuola: «Così si lede l’autonomia scolastica, chiediamo subito un incontro al ministro Bussetti».

LA CIRCOLARE

La circolare della discordia si riferisce alla compilazione del piano triennale dell’offerta formativa, specificando che le famiglie devono conoscerne i contenuti prima dell’iscrizione e devono esprimere il consenso per la partecipazione dei ragazzi alle varie attività extracurricolari. Si tratta, ad esempio di corsi di lingua, laboratori di scienze, concerti, lezioni di musica e teatro, viaggi di istruzione e attività sportive, di incontri legati alla salute, alla psicologia, allo sviluppo emotivo degli adolescenti, al concetto di famiglia o di identità sessuale: spesso si tratta di temi, quindi, legati alle dinamiche del bullismo e della violenza di genere. Non sempre però questi incontri sono stati apprezzati da tutti i genitori. Tanto da scatenare proteste contro la teoria del gender arrivate in piazza anche per il Family day. Ora il ministero ha sottolineato la necessità del consenso delle famiglie per la partecipazione dello studente: senza firma di mamma e papà il ragazzo viene esonerato, tutto ciò che arriva ai ragazzi, al di fuori dei programmi strettamente scolastici, deve essere approvato dai genitori.

LE REAZIONI

«Una vittoria storica per i diritti dei genitori italiani – ha commentato Chiara Iannarelli, vicepresidente di Articolo 26 – da oggi, in particolare per quei temi più delicati e sensibili, legati alle scelte educative delle famiglie come affettività, sessualità, educazione di genere, i genitori non potranno più veder loro imposti progetti non condivisi, spesso senza alcuna informazione, e che per i loro contenuti sono invece da sottoporre alle scelte educative delle singole famiglie, anche se svolti nel normale orario scolastico». Una vittoria dunque, per le associazioni, mal digerita però dai sindacati che rivendicano il diritto all’autonomia delle scuole e ribadiscono che la partecipazione dell’intera scuola alle scelte educative è già prevista: «Chiediamo al ministro un incontro urgente – spiegano Francesco Sinopoli della Flc Cgil, Maddalena Gissi della Cisl scuola e Pino Turi della Uil scuola – per un confronto di merito su questa circolare, i cui contenuti rischiano di essere lesivi dell’autonomia professionale dei docenti e dell’autonomia scolastica, entrambe costituzionalmente garantite. Le procedure di definizione dell’offerta formativa sono fortemente democratiche e partecipative, richiedono la delibera del Consiglio di istituto e un’ampia fase di consultazione e proposta anche nei consigli di classe. Il Piano dell’offerta formativa, quindi, costituisce il momento più alto di espressione dell’autonomia scolastica: il rapporto con la collettività scolastica non può essere inteso come adesione ad un servizio a domanda individualizzata».

I PRESIDI

Che cosa ne pensano i presidi, che rischiano di trovarsi alle prese con un continuo braccio di ferro tra i genitori per avere un’attività a scuola o per abrogarla? «Facciamo chiarezza – spiega Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale dei presidi – se la scuola decide di trattare, ad esempio, l’educazione sessuale durante l’ora di scienze curricolare e la inserisce nel piano triennale dell’offerta formativa, i ragazzi seguiranno queste lezioni senza possibilità di essere esonerati. Se invece si tratta di un’attività extracurricolare, quindi facoltativa, la famiglia può decidere di non far partecipare lo studente. Ma la scuola comunque, da parte sua, porta avanti le lezioni come meglio crede».
Lorena Loiacono

Reclutamento, Bussetti: laurea e poi concorso, vincolo quinquennale

da Orizzontescuola

Reclutamento, Bussetti: laurea e poi concorso, vincolo quinquennale
di redazione

Il Ministro Bussetti, nel corso di un’intervista rilasciata al giorno, è intervenuto ancora sul nuovo reclutamento, ribadendo quanto già affermato in precedenza su concorsi e mobilità.

Concorsi

Il Ministro ha ribadito che i concorsi saranno l’unico canale d’accesso all’insegnamento.

Il titolo richiesto sarà la laurea, in modo da avere in cattedra docenti giovani.

I concorsi saranno banditi soltanto per le classi di concorso e nelle regioni in cui vi sia necessità.

Vincolo quinquennale

I vincitori di concorso non potranno partecipare alla mobilità per cinque anni, assicurando la continuità didattica e superando il problema della cattedre che restano scoperte.

Pensioni quota 100, “solo per i lavoratori manuali e quelli a bassa retribuzione”

da Orizzontescuola

Pensioni quota 100, “solo per i lavoratori manuali e quelli a bassa retribuzione”
di redazione

La misura volta a modificare la legge Fornero, ossia la quota 100 continua a far discutere, come testimonia l’intervento dell’ex Ministro greco delle finanze Varoufakis.

Pensioni quota 100

Con la quota 100, i requisiti per andare in pensione dovrebbe essere:

  • 62 anni d’età;
  • 38 di contributi.

Il Governo, al fine di non sforare le risorse stanziate in legge di bilancio, sta vagliano l’ipotesi di inserire dei paletti.

Quota 100 solo per lavoratori manuali

Varoufakis (ex ministro delle finanze greco), secondo quanto riferito al Sole 24Ore,  ritiene che la quota 100 dovrebbe riguardare soltanto i lavoratori manuali e quelli che hanno stipendi bassi. Queste le Sue parole:

Quota 100 “dovrebbe andare avanti solo per i lavoratori manuali e quelli a bassa retribuzione, ma non per quelli con redditi più alti che lavorano in finanza, pubblica amministrazione o nelle professioni. Qualsiasi cifra venga risparmiata dovrebbe essere investita in progetti infrastrutturali verdi“.

Concorso dirigenti scolastici, Bussetti: corso formazione durante periodo prova

da Orizzontescuola

Concorso dirigenti scolastici, Bussetti: corso formazione durante periodo prova
di redazione

Il Ministro Bussetti è intervenuto sul corso-concorso per diventare dirigente scolastico, attualmente in corso di svolgimento con la prova scritta ormai svolta, per cui si è in attesa della prova orale.

Corso concorso

Il corso concorso per diventare dirigente scolastico prevede un percorso abbastanza lungo, tale da rendere impossibile l’immissione in ruolo dei nuovi presidi per il 2019/20. Queste in sintesi le fasi del corso-concorso:

Abbreviazione percorso

Considerate le numerose reggenze assegnate, con tutte le conseguenze negative del caso, il Ministro Bussetti, sin dal suo insediamento, ha manifestato la volontà di abbreviare il percorso.

Ultime dichiarazioni in merito, sono state rilasciate dal Ministro nel corso di un’intervista al “Giorno”.

Rispondendo ad una precisa domanda su quando entreranno in ruolo i dirigenti attualmente impegnati a svolgere il concorso, Bussetti ha affermato: settembre 2019.

Il Ministro ha ribadito che al Ministero si lavora per abbreviare il percorso. In che modo? Facendo svolgere il corso di formazione durante il periodo di prova.

Dimensionamento scolastico

Al fine di avere un quadro completo delle dirigenze scolastiche da assegnare, il Bussetti ha dichiarato che le regioni saranno sollecitate ad operare il dimensionamento della rete scolastica.

Quando la modifica?

Il Ministro non ha indicato alcuna tempistica. Ci si attendeva che tali modifiche fossero inserite nella legge di Bilancio, ma, dal testo in nostro possesso, così non è. Fonti ministeriali ci hanno informato che il provvedimento potrebbe essere inserito nel collegato, e come tempistiche si punta a gennaio 2019. Se così fosse, allora l’obiettivo di avere in nuovi dirigenti già dal 1° settembre 2018, sarebbe realizzabile.

Violenza contro le donne, un femminicidio a settimana: studenti in concorso per dire basta con un video

da La Tecnica della Scuola

Violenza contro le donne, un femminicidio a settimana: studenti in concorso per dire basta con un video
Di Alessandro Giuliani

Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2018. Il fenomeno ha assunto un’incidenza notevole: in Italia, solo nei primi nove mesi del 2018 abbiamo assistito a 32 femminicidi, quasi uno a settimana. Con tanto di crescita di denunce e arresti. E in due casi su tre l’autore è italiano: è bene ricordarlo, perchè spesso a compiere violenza sono familiari, parenti o amici. Per celebrare la giornata, sono diverse le iniziative che si effettueranno nella nostra Penisola, ad iniziare dalla campagna bipartisan “Non è normale che sia normale“. In prima linea c’è pure il Miur, che ha lanciato il concorso nazionale “Nuovi finali – le scuole contro la violenza sulle donne”, rivolto agli studenti delle scuole secondarie di I e II grado.

Per partecipare al concorso un video da un minuto

L’Istat ci ha detto che l’anno scorso in Italia le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza sono state 49.152: di queste, quasi 30 mila hanno iniziato un percorso di uscita dal tunnel dei maltrattamenti

Con una circolare inviata a tutti gli istituti coinvolti, il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha invitato “le studentesse e gli studenti ad analizzare gli stereotipi di genere contenuti in opere letterarie e di animazione, fumetti, film, pubblicità, videogiochi e programmi televisivi”.

“Dopo averli individuati e analizzati, i ragazzi dovranno mettere in scena la situazione approfondita e proporre la versione originale e una con un finale differente. Il tutto, secondo quanto richiesto dal bando del concorso, dovrà essere ripreso e montato in un video della durata massima di un minuto”.

Le due scene dovranno avere la durata massima di 30 secondi ciascuna. I video prodotti dovranno essere accompagnati da una relazione del lavoro svolto che dovrà contenere il nominativo e i riferimenti del docente referente, l’elenco dei materiali analizzati e le metodologie utilizzate.

Le premiazioni

Le scuole, che potranno partecipare anche con più di un video, avranno tempo per caricare i materiali realizzati dal 15 dicembre 2018 al 28 febbraio 2019.

Una commissione appositamente costituita valuterà e selezionerà i progetti migliori che verranno premiati nel corso di un evento nazionale sul tema, che avrà luogo in occasione del 25 novembre 2019.

Nella stessa circolare, il Miur invita tutte le istituzioni scolastiche ad approfondire con i propri studenti i temi correlati all’eliminazione della violenza contro le donne per sensibilizzare, prevenire e contrastare ogni forma di violenza e discriminazione.

A Roma convegno al Campidoglio

Anche il Comune di Roma si è attivato: presso la Protomoteca del Campidoglio, dalle 9.30 alle 13.00, si terrà il convegno organizzato dalla Commissione Capitolina delle Pari Opportunità “La schiavitù invisibile e il business della prostituzione”.

Parteciperanno la sindaca Virginia Raggi, l’assessora di Roma Capitale per Roma Semplice e Pari Opportunità Flavia Marzano e l’assessora di Roma Capitale per la Persona, la Scuola e la Comunità solidale Laura Baldassarre.

Nel pomeriggio, dalle 14.30 alle 17.00, “Ti amo da vivere”: monologhi teatrali, letture di poesie e video sul tema della violenza contro le donne.

Sarà presente, nell’area sottostante la Scalinata del Vignola, il Camper del “Progetto della Polizia di Stato – Questo non è amore”, con a bordo un’equipe multidisciplinare di personale della Polizia di Stato che svolgerà attività informativa e di prevenzione contro la violenza di genere.

Entrambi gli eventi ospiteranno inoltre, all’interno della Protomoteca, una mostra fotografica sul femminicidio di Marco Picistrelli.

“Sin dal nostro insediamento – ha detto la sindaca Virginia Raggi – abbiamo rafforzato le azioni e le iniziative per contrastare la violenza sulle donne. Lo scorso marzo abbiamo aperto tre nuovi Centri Antiviolenza nei Municipi VI, VII e VIII. Nei primi sei mesi di attività, queste strutture hanno accolto 443 donne. È stato poi attivato l’avviso pubblico per l’apertura di altri 2 nuovi Centri Antiviolenza, nei Municipi I e III”.

Il sottosegretario alla Giustizia Morrone: molta violenza sommersa

Anche il Governo interviene: “Al fianco delle vittime. Sempre. Per dire no a qualunque tipo di violenza e di discriminazione nei confronti delle donne. È un impegno che il Governo si assume a tutto campo e che si sta traducendo in atti concreti, come il disegno di legge ‘Codice Rosso’, fortemente voluto dai ministri Alfonso Bonafede, Giulia Bongiorno e Matteo Salvini, con cui si intende assegnare alle vittime corsie di priorità assoluta perché non rimangano bloccate dai tempi della giustizia in caso di seri pericoli per la loro incolumità”.

A dirlo è stato Jacopo Morrone, sottosegretario alla Giustizia, presenziando il 24 novembre a Ferrara all’inaugurazione dell’installazione di una ‘Panchina Rossa’ nello spazio antistante alla Casa circondariale. Morrone ha anche lamentato il fatto che “il fenomeno della violenza nei confronti delle donne, non solo fisica, ma anche psicologica, economica e culturale, sia ancora, purtroppo, in parte sommerso”.

“A molte donne manca il coraggio di parlare e di denunciare, addirittura di chiedere, aiuto. Non possiamo permetterlo”, ha concluso il sottosegretario.

Il cardinal Bassetti: è sacrilegio massacrare una donna

Sulla giornata è intervenuto anche il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinal Gualtiero Bassetti: “chi maltratta una donna – ha detto – rinnega e sconfessa le proprie radici perché la donna è fonte e sorgente della maternità. È una specie di sacrilegio massacrare una donna. La violenza contro le donne sta diventando sempre più un’emergenza anche a livello nazionale che va combattuta a vari livelli”, ha sottolineato il cardinale in un videomessaggio su Tv2000.

“Nella mia esperienza di Pastore – ha proseguito Bassetti, che è anche arcivescovo di Perugia – sono venuto a contatto con situazioni davvero preoccupanti. Diverse donne si sono rivolte a me in confidenza e con vergogna, timorose delle conseguenze se la vicenda si fosse venuta a sapere e scoraggiate dall’ipotesi di non essere credute. Era brutto perché la loro confidenza che le avrebbe potute aiutare rimaneva soltanto uno sfogo”.

Puglisi (Pd): più formazione e specializzazione

Secondo Francesca Puglisi, esponente Pd e promotrice di TowandaDem, “non bastano annunci o slogan demagogici. Serve concretezza nel contrasto alla violenza maschile sulle donne. Come narrano purtroppo le cronache, molte vite potrebbero essere salvate semplicemente applicando, senza se e senza ma, tutte le misure di prevenzione e protezione che abbiamo a disposizione nel nostro ordinamento. Serve formazione e specializzazione per le Forze dell’Ordine e per gli operatori di giustizia, ma anche per gli psicologi e gli assistenti sociali che devono saper distinguere e riconoscere la violenza domestica dal semplice conflitto familiare”.

“Vanno estesi in tutti i distretti protocolli territoriali coinvolgendo i centri anti violenza. E non dimentichiamo che la violenza di genere non è un problema delle donne. Ma degli uomini che la compiono. Per questo serve più educazione alla parità tra i sessi e alla gestione dei conflitti a scuola e una ferma condanna della violenza maschile sulle donne da parte di tutta la società italiana, a partire dai media”, ha concluso Puglisi.

Fassina (Leu): a Roma contagiosa energia positiva

“Un’immensa e contagiosa energia positiva e creativa, un grande fiume di donne, tantissime giovani, insieme a tanti uomini per fermare il femminicidio, contro la violenza quotidiana verso mogli, madri, figlie, sorelle, amiche, contro le discriminazioni sessiste e per la libertà di tutte e tutti, per una società delle differenze, delle pari opportunità, dei diritti: al lavoro, alla condivisione delle responsabilità famigliari, all’auto-determinazione”: a chiderlo è stato Stefano Fassina, deputato di Liberi e Uguali, a margine della manifestazione svolta sabato 24 nel centro di Roma.

“In Parlamento, nelle istituzioni, nei luoghi di lavoro e di studio, nelle famiglie dobbiamo respingere i tentativi di portare indietro il nostro Paese, come con la proposta di legge Pillon. Dobbiamo allargare – ha concluso Fassina – il protagonismo femminile nelle classi dirigenti, promuovere il lavoro e la parità retributiva, ampliare l’offerta dei servizi di welfare: dagli asili nido, al tempo pieno nella scuola, alla cura degli anziani”.

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Per tale occasione il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha lanciato il concorso nazionale “Nuovi finali – le scuole contro la violenza sulle donne”, rivolto agli studenti delle scuole secondarie di I e II grado.

Con una circolare inviata a tutti gli istituti coinvolti, il MIUR invita studentesse e studenti ad analizzare gli stereotipi di genere contenuti in opere letterarie e di animazione, fumetti, film, pubblicità, videogiochi e programmi televisivi. Dopo averli individuati e analizzati, i ragazzi dovranno mettere in scena la situazione approfondita e proporre la versione originale e una con un finale differente. Il tutto, secondo quanto richiesto dal bando del concorso, dovrà essere ripreso e montato in un video della durata massima di 1 minuto. Le due scene dovranno avere la durata massima di 30 secondi ciascuna. I video prodotti dovranno essere accompagnati da una relazione del lavoro svolto che dovrà contenere il nominativo e i riferimenti del docente referente, l’elenco dei materiali analizzati e le metodologie utilizzate. Le scuole, che potranno partecipare anche con più di un video, avranno tempo per caricare i materiali realizzati dal 15 dicembre 2018 al 28 febbraio 2019. Una commissione appositamente costituita valuterà e selezionerà i progetti migliori che verranno premiati nel corso di un evento nazionale sul tema, che avrà luogo in occasione del 25 novembre 2019.

Nella stessa circolare, il Ministero invita tutte le istituzioni scolastiche ad approfondire con i propri studenti i temi correlati all’eliminazione della violenza contro le donne per sensibilizzare, prevenire e contrastare ogni forma di violenza e discriminazione.