Pensiero impensante: speranze di crisi?

Pensiero impensante: speranze di crisi?

di Gabriele Boselli

Forse siamo alla fine dell’INVALSI, l’istituto che meglio ha svolto attraverso la formulazione e il trattamento dei test e la pubblicizzazione dei “risultati” prestazionali un compito di stereotipizzazione/banalizzazione del pensare; ha operato di fatto per la svalorizzazione del pensiero divergente, critico e creativo. Incerto anche il persistere dell’ANVUR, l’omologa macchina di inibizione del novum nelle università. Segni un nuovo approccio al tema della valutazione?

Tremolanti lumicini

Da quasi un secolo, salvo brevi parentesi con Ermini, Valitutti e Spadolini, nessuna alta forma di pensiero è stata individuabile nei documenti ufficiali MIUR; ogni tanto qualche fugace apparizione, poi più nulla. Il pensiero è sopravvissuto nelle scuole e in qualche rara università ma a viale Trastevere non se n’è vista traccia anche perché, se mai ve ne fosse stata, non sarebbe stata visibile a causa di massicce quantità di circolari del pensiero impensante.
Le cose non sono cambiate nemmeno con il “governo del cambiamento”, però vi sono segnali di crisi del non-pensiero e della sua produzione di stupidità. Tale benvenuta crisi è mondiale, trascende i governanti e sta riverberandosi magari inconsapevolmente nell’agire di questi ultimi. Tra i segni di crisi il più incoraggiante per coloro che in questi decenni hanno continuato a pensare è l’annuncio della fine dell’INVALSI, l’organizzazione che meglio ha svolto attraverso i test e il trattamento dei risultati il suo compito di stereotipizzazione/banalizzazione del pensiero, di mortificazione del pensiero creativo. Altro segno positivo è pure la messa in questione del persistere dell’ANVUR, la corrispondente macchina di controllo del sapere accademico e degli strumenti di determinazione delle carriere universitarie.
INVALSI e ANVUR hanno vigilato, peraltro non del tutto efficacemente per la santa resistenza di docenti e dirigenti, a che la piattezza della produzione non mostrasse discontinuità, non si aprissero squarci al Novum. La prima istituzione, i cui operatori in quanto non ministeriali di ruolo sono molto controllabili e in buona parte assunti fuori da ogni graduatoria e con contratto a tempo determinato, lo ha fatto con la macchina dei test pseudo-oggettivi (la vera piattaforma programmatica riconosciuta dal sistema); la seconda con rituali come l’impact factor, meccanismo fondato sugli accordi citazionali incrociati che ha premiato i ricercatori conformisti e mortificato originalità di pensiero e autentica creatività.

Valutazione come controllo

Quel che il Potere, vecchio o “nuovo”, oligarchico o populista che sia, vuole da sempre è il controllo della funzione magistrale degli insegnanti, specie di quelli più colti e appassionati, dunque pericolosamente liberi. Al controllo dei docenti e dei ricercatori non colti e non appassionati (tanti, grazie alle ventennali e sempiternamente autoriproduttive graduatorie permanenti ad escludendos juvenes) provvede già il sistema informativo globale (TV e la prevalente massa di pressione di internet e stampa).
La scuola, dal nido all’università, è importante per chi comanda: influisce sui flussi ideali, forma, se non controllata, il pensiero critico. Nell’interesse dei gruppi che hanno ottenuto il controllo del Potere, valutare non dev’essere indomito processo di conoscenza secondo idee di valore, né attività costante di ricerca per comprendere le situazioni e introdurre cambiamenti; né attività volta alla valorizzazione di tutti, ad incrementare le consapevolezze. Nell’ottica del Potere valutare significa controllare, sorvegliare e premiare/punire.
Buono peraltro tutto ciò che può concorrere a far scena: convention di presentazione con tanto di slides e musichette, video esaltanti i successi della scuola, sfilate nordcoreane di studenti sincronizzati. E per i presidi qualche convegno in cadenti alberghi romani e promesse di riconoscimento di più elevato livello retributivo e di status dirigenziale.

Valutazione ermeneutica. Tracce

-L’egemonia della impensante concezione del mondo comporta l’efficacia come misura del valore dell’educazione, l’insegnamento non come missione ma come lavoro subordinato qualsiasi, il successo della rappresentazione come sostituto della verità .
-Cogliere nell’auspicabile scomparsa di INVALSI e ANVUR l’occasione per criticare i fondamenti politici, epistemologici, etici e pedagogici dei modelli oggettivistici di valutazione.
– Analizzare, decostruire nelle associazioni, nei collegi dei docenti e nei gruppi di lavoro il trentennale dettato trasteverino per coglierne gli elementi costitutivi e raffrontarli con principi scientificamente avanzati. Un modo per difendere meglio la funzione magistrale (da magis-stratus, posto sopra).
– I testi scolastici e soprattutto i programmi ministeriali sono la tomba delle discipline. Esplicitare dunque la precarietà e l’evolutività dei costrutti disciplinari (1) senza ingessarli in nozioni ma privilegiando la comprensione delle discipline in quanto strutture generativo-trasformazionali di comprensione di un campo di esperienza teoretica o pratica.
– Le pratiche valutative non mirino a verificare la corrispondenza delle conoscenze individuali a precostituiti statuti disciplinari ma a cercare meglio il collimare delle rappresentazioni. La valutazione del grado di conoscenza é indivisibile, non smontabile in obiettivi ovvero in frammenti posti come dotati di senso e di significato propri.
-Il viaggio attraverso le discipline seguito non può essere pianificato e temporizzato. E’ una navigazione a vento, in cui l’ ipercomplessità (analoga a quella meteorologica con cui dovevano fare i conti i naviganti di un tempo) non può essere forzata navigando a motore ossia riducendola e così rischiando effetti di archiviazione.
Valutare non è pretendere di rispecchiare il supposto valore intrinseco di una prestazione o di una persona o di una scuola ma –onestamente- riconoscere uno stato di collimazione tra i valori del valutante e quelli del valutato passando attraverso (facendosi un’esperienza) l’ipercomplessità dell’evento pedagogico e dichiarando chiaramente la soggettività individuale o del gruppo di valutazione.
– – Contribuire affinchè collegi dei docenti e consigli di facoltà non siano un’adunata di dipendenti chiamati a prendere ordini ma organi autenticamente collegiali in cui si discute, si dibatte e si prendono decisioni a maggioranza e in cui il preside è primus inter pares.

( 1) Non essendo il guaio limitato alla nostra nazione, il novum (che in quanto tale all’inizio non può disporre di conferme) non ha raramente potuto manifestarsi nelle discipline. Altro fattore concorrente alla piattezza della produzione scientifica e alla latitanza del novum nel nuovo secolo è individuabile nella riduzione della diversità linguistica. La monolingua inglese in cui si formulano, si conducono e si comunicano le ipotesi di ricerca non può più attingere nuclei ideativi alla fontana della pluralità sintattica delle varie lingue.
Da valutare anche gli effetti inibitivi della scomparsa della carta e dell’ipervelocità comunicativa di internet sulle singolarità.

Per leggere
G. Boselli, Per una valutazione delle scuole e di chi vi lavora, n. 30, annata 2011 di Encyclopaideia, Bononia University Press
Rivista Aut aut, Il saggiatore, n. 360, 2013
V. Pinto, Valutare e punire, Cronopio, 2014


“Iscrizioni scolastiche, l’anticipo del ministero al 7 gennaio disorienta gli studenti”

da la Repubblica

Secondo un sondaggio di Skuola.net la decisione del Miur ha messo in difficoltà il 41 per cento dei quattordicenni che frequentano la Terza media e sono alle prese con una scelta importante: liceo, istruzione tecnica o professionale. “Questo passaggio ci dirà che cosa faremo da grandi”

Salvo Intravaia

Il ministero dell’Istruzione anticipa l’avvio delle iscrizioni all’anno scolastico 2019-’20 e gli studenti vanno in tilt. Si parte il 7 gennaio (le pre-iscrizioni sono aperte addirittura dallo scorso 27 dicembre) e la scelta dovrà essere presa entro il 31 gennaio. L’anno scorso si partì il 16 gennaio e si terminò il 6 febbraio, e già si era anticipato di quattro giorni rispetto al 2016-’17 . Un vantaggio, quello ordinato dal ministro Marco Bussetti, che serve per anticipare tutte le operazioni propedeutiche all’avvio del prossimo anno scolastico – cattedre dei docenti, innanzitutto -, ma che, a quanto pare, ha messo in difficoltà gli oltre 500mila quattordicenni che frequentano la Terza media e che sono alle prese con una scelta importante: liceo, istruzione tecnica o professionale?

Secondo Skuola.net, “la decisione del Miur di anticipare la finestra in cui si dovrà scegliere a quale indirizzo e a quale istituto segnarsi per l’anno 2019-2020 ha spiazzato i ragazzi: il 44 per cento non ha ancora le idee chiare”. È proprio questo l’esito di una ricerca condotta su 4mila studenti di Terza media da Skuola.net in collaborazione con Radio 24. L’accesso alle scuole superiori per l’89 per cento degli stessi studenti è “un passaggio chiave per il lavoro che si andrà a fare da grandi”. Per Scuola.net e Radio24 “il fattore tempo è stata la discriminante di quest’anno”. Dodici mesi fa il dato degli indecisi si fermava al 36 per cento: l’aumento è dell’8 per cento. Nei giorni di gennaio, tra l’altro, le scuole organizzano le attività di orientamento per illustrare le peculiarità dei diversi indirizzi.

Dalla ricerca emerge anche che tra “consiglio orientativo” della scuola e parere della famiglia è quest’ultimo il più seguito dai ragazzi: il 19 per cento contro il 37. E uno studente su cinque ha fatto tutto da sé consultando i siti internet delle scuole. Anche per il prossimo anno dovrebbero essere i licei a farla da padrona: “Due studenti su tre sembrano orientati ad andare al liceo; il 21 pe cento, invece, predilige un istituto tecnico; il 9 per cento un istituto professionale; il 4 per cento un corso regionale di formazione professionale”. La scelta per la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze, il 53 per cento in tutto, è condizionata dal lavoro che intende fare da grande. Il restante 47 per cento teme di non riuscire a trovare un lavoro dopo i cinque anni delle superiori e spera di mantenersi diverse strade aperte. Uno studente su quattro ha scelto o sceglierà in base ai propri interessi.


Istat, solo il 32% delle scuole è accessibile ai disabili

da  Corriere della sera

Situazione migliore al Nord con il 40% e peggiore al Sud con il 26%. E una scuola su 4 risulta carente di postazioni informatiche adatte agli alunni con sostegno

 Valentina Santarpia

Soltanto il 32% delle scuole italiane risulta accessibile per gli alunni disabili, ancora più difficile la situazione nel Sud, dove soltanto il 26% degli edifici scolastici è a norma, mentre la situazione è migliore al Nord dove i valori raggiungono il 40% superando la media nazionale. A dirlo è il rapporto Istat «L’inclusione scolastica: accessibilità, qualità dell’offerta e caratteristiche degli alunni con sostegno» relativo all’anno scolastico 2017/2018. Nel report vengono definite «accessibili dal punto di vista fisico-strutturale» solo le scuole che possiedono tutte le caratteristiche a norma: ascensori, bagni, porte, scale e che dispongono di rampe esterne e/o servoscala. Per la prima volta nell’indagine sono incluse anche la scuola dell’infanzia e la scuola secondaria di secondo grado. Si tratta complessivamente di 56.690 scuole, frequentate da 272.167 alunni con sostegno che rappresentano il 3,1% del totale degli iscritti. Il quadro peggiora notevolmente se si considera la presenza di barriere senso-percettive: la percentuale di scuole accessibili scende al 18%, anche in questo caso la quota più bassa si registra nelle regioni del Mezzogiorno (13%). In questa analisi vengono considerate «scuole accessibili dal punto di vista senso-percettivo», soltanto quelle che dichiarano di possedere almeno un facilitatore sensoriale: o i segnali acustici per non vedenti, o le segnalazioni visive per sordi, o le mappe a rilievo o i percorsi tattili.

Bussetti: «Un tema che mi sta a cuore»

«È un tema che a me sta molto a cuore e che rientra nel piano della sicurezza degli edifici scolastici. Noi siamo partiti fin da subito, stanziando fondi cospicui per la messa a norma di tutti gli edifici», ha commentato il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti. «Bisogna anche ricordare che quello dell’accesso è un tema importante ma anche legato alle vie di fuga in caso di pericolo, ci stiamo lavorando con tanto impegno. Io penso che siamo arrivati ad un momento in cui anche i comuni di certe regioni che hanno trascurato questo problema si stanno attivando per consentire la messa norma degli edifici scolastici», ha spiegato il ministro.

Emergono anche altri problemi: 1 scuola su 4 risulta carente di postazioni informatiche adatte agli alunni con sostegno. Gli insegnanti di sostegno, secondo i dati del Miur, sono circa 156 mila, con un rapporto di 1,5 alunni per insegnante ed emerge una maggiore dotazione di insegnanti per il sostegno nelle regioni del Mezzogiorno: 1,3 alunni per insegnante. Altro dato è che la graduatoria degli insegnanti di sostegno non è sufficiente a soddisfare la domanda ed il 36% dei docenti viene selezionato dalle cosiddette «liste curriculari» cioè dagli insegnanti destinati all’intera classe e quindi non specializzati. Gli alunni con sostegno che frequentano le scuole primarie e secondarie di primo grado sono poco più di 165 mila (3,7% degli alunni iscritti: 213 maschi ogni 100 femmine). Il problema più frequente è la disabilità intellettiva che riguarda il 46% degli alunni con sostegno; seguono i disturbi dello sviluppo e quelli del linguaggio (rispettivamente 25% e 20%). Molti gli alunni che hanno più di un problema di salute (48%). Gli alunni fruiscono in media di 14 ore settimanali di sostegno: il numero di ore è maggiore nelle scuole del Mezzogiorno – mediamente 3 ore in più – rispetto a quelle rilevate nelle scuole del Nord. La continuità del rapporto tra docente per il sostegno e alunno non risulta ancora garantita: il 41% degli alunni ha cambiato insegnante rispetto all’anno precedente, mentre il 12% lo ha cambiato nel corso dell’anno scolastico.

Trasferimenti docenti: preruolo 6 punti. Quali anni e servizi sono utili

da Orizzontescuola

di Paolo Pizzo

La novità introdotta dal CCNI 2016/17 per i trasferimenti docenti relativa alla valutazione del servizio preruolo è confermata anche per l’anno scolastico 2019/20: al pari degli anni di servizio di ruolo anche quello preruolo è valutato punti 6 (e non 3) per ogni anno effettivamente prestato.

Si dovranno inoltre conteggiare due volte gli anni di servizio preruolo effettivamente prestati in istituti situati su piccole isole o in paesi in via di sviluppo.

Quali anni sono validi ai fini del preruolo

Per gli anni scolastici anteriori al 1945/46

l’insegnante deve aver prestato 7 mesi di servizio compreso il tempo occorso per lo svolgimento degli esami (1 mese per la sessione estiva e 1 mese per l’autunnale).

 

Per gli anni scolastici dal 1945/46 al 1954/55

l’insegnante deve aver percepito la retribuzione anche durante le vacanze estive.

Per gli anni scolastici dal 1955/56 al 1973/74

all’insegnante deve essere stata attribuita la qualifica.

Per gli anni scolastici successivi al 1974 fino ad oggi

l’insegnante deve aver prestato servizio per almeno 180 giorni o ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale o, in quanto riconoscibile, per la scuola dell’infanzia, fino al termine delle attività educative.

Quali servizi sono validi ai fini del preruolo

Servizio su posto di sostegno

Il servizio su posti di sostegno o su posti speciali prestati anche senza il possesso del titolo di specializzazione (se prestato in possesso del titolo di specializzazione tale servizio andrà inserito anche nell’apposita casella qualora si richiedano anche o solo posti di sostegno).

Servizio in scuole pareggiate ed educandati femminili statali

  • II servizio non di ruolo nelle scuole secondarie se prestato in scuole statali e pareggiate o in scuole annesse ad educandati femminili statali.
  • Il servizio non di ruolo nelle scuole elementari se prestato nelle scuole statali o parificate o in scuole annesse ad educandati femminili statali. È valutabile anche il servizio prestato nelle scuole popolari, sussidiarie o sussidiate.

Insegnamento della religione cattolica

Il servizio di ruolo e non di ruolo prestato nell’insegnamento della religione cattolica.

Incarico ex art. 36 del CCNL 2007

Il servizio prestato in qualità di incaricato ex art. 36 del CCNL 2006/2009.

Paesi appartenenti all’Unione Europea e servizio all’estero

  • I servizi di insegnamento prestati nelle scuole statali di ogni ordine e grado, dei Paesi appartenenti all’Unione Europea, che sono equiparati ai corrispondenti servizi prestati nelle suole italiane, anche se prestati prima dell’ingresso dello Stato nell’Unione Europea. Ai fini della valutazione tali servizi devono essere debitamente certificati dall’Autorità diplomatica italiana nello Stato estero;
  • Servizio di insegnamento (o in qualità di lettore) non di ruolo prestato negli istituti italiani di cultura e nelle istituzioni scolastiche all’estero, svolto con specifico incarico del Ministero degli Affari Esteri.

Servizio militare

  • Il servizio militare o il sostitutivo servizio civile, nei limiti previsti dagli artt. 485, 487 e 490 del D.L.vo n. 297/94 ai fini della valutabilità per la carriera. In questo caso il servizio militare di leva, o il sostitutivo servizio civile, può essere valutato solo se prestato in costanza di rapporto di impiego come docente a tempo determinato nella scuola statale.
  • Servizio militare di leva o per richiamo o per il servizio civile sostitutivo o per l’opera di assistenza tecnica prestata nei paesi in via di sviluppo, se in costanza di rapporto d’impiego non di ruolo presso scuole statali, pareggiate o elementare parificata prestati con il possesso del titolo di studio.

Professore incaricato o assistente incaricato e contrattista all’università

  • Il servizio prestato come professore incaricato o assistente incaricato o straordinario (e come ricercatori anche riconfermati per effetto della loro equiparazione per effetto della legge 341/90 alla figura dell’assistente universitario), nelle università a decorrere dal 1/7/975;
  • Servizio prestato come contrattista all’università ai docenti che avevano in corso un servizio non di ruolo presso scuole statali.

Altri servizi

  • Servizi prestati nelle scuole popolari di tipo A, B e C plurimi, nei corsi di orientamento musicale, nei corsi CRACIS istituiti dai Provveditori agli studi direttamente o su proposta di Enti od Associazioni con finanziamento statale o a carico degli organizzatori;
  • nei centri di lettura mobili e pedagogici e nei corsi di perfezionamento culturale per materie nelle scuole secondarie. È necessario aver prestato servizio per almeno 5 mesi o per l’intera del corso ed abbia riportato la qualifica;
  • Servizi prestati nelle libere attività complementari (LAC) e nello studio sussidiario e di doposcuola di scuola media.

Quali assenze sono utili

  • I periodi di congedo retribuiti e non retribuiti disciplinati dal Decreto Legislativo 26.3.2001 n. 151 (Capo III – Congedo di maternità, Capo IV – Congedo di paternità, Capo V – Congedo parentale, Capo VII – Congedi per la malattia del figlio), che sono computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti.
  • La fruizione del congedo biennale per l’assistenza a familiari con grave disabilità di cui agli artt. 32, 33 e 34 comma 5 del D.L.vo n. 151/2001.
  • Tutte le altre assenze o permessi interamente o parzialmente retribuite (es. malattia pagata al 50%).

Quali assenze interrompono l’anzianità di servizio

In generale tutte le assenze non retribuite anche se ricadenti in un periodo coperto da contratto (es. permessi non retribuiti per motivi personali o familiari o aspettative varie, salvo diversamente previsto).

Quali servizi non sono utili

  • Il doposcuola nelle scuole elementari in quanto gestiti dai Patronati Scolastici le cui funzioni erano di preminenza di ordine assistenziale e ricreativo e solo in minima parte didattico;
  • Il servizio prestato nelle scuole paritarie in quanto non riconoscibile ai fini della ricostruzione di carriera. È fatto salvo il riconoscimento del servizio prestato:
  • fino al 31.8.2008 nelle scuole paritarie primarie che abbiano mantenuto lo status di parificate congiuntamente a quello di paritarie;
  • nelle scuole paritarie dell’infanzia comunali;
  • nelle scuole secondarie pareggiate (art. 360 del T.U.).

Inclusione, solo 36% scuole accessibili. Bussetti: “Ci stiamo lavorando con tanto impegno”

da Orizzontescuola

di redazione

Nella giornata di ieri, abbiamo riferito sul rapporto dell’Istat “L’inclusione scolastica: accessibilità, qualità dell’offerta e caratteristiche degli alunni con sostegno” relativo all’anno scolastico 2017/2018.

Barriere architettoniche

Nel rapporto si evidenzia che meno di una scuola su tre è accessibile agli alunni disabili a fronte del 32% di quelle accessibili.

L’accessibilità risulta maggiore nelle scuole del Nord (40%), seguite da quelle del Centro (32%) e del Sud (26%).

Bussetti: un tema a me caro

I dati succitati, come riferisce il Corriere.it, sono stati commentati dal Ministro Bussetti, il quale ha evidenziato che si tratta di un tema che gli sta a cuore e che il Governo, sin da subito, è intervenuto stanziando risorse per la messa a norma degli edifici scolatici. Queste le Sue parole:

«È un tema che a me sta molto a cuore e che rientra nel piano della sicurezza degli edifici scolastici. Noi siamo partiti fin da subito, stanziando fondi cospicui per la messa a norma di tutti gli edifici», ha commentato il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti. «Bisogna anche ricordare che quello dell’accesso è un tema importante ma anche legato alle vie di fuga in caso di pericolo, ci stiamo lavorando con tanto impegno. Io penso che siamo arrivati ad un momento in cui anche i comuni di certe regioni che hanno trascurato questo problema si stanno attivando per consentire la messa norma degli edifici scolastici», ha spiegato il ministro.

Pensioni quota 100, buonuscita subito ma col prestito bancario da restituire in cinque anni

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

Il pagamento ultra-ritardato della buonuscita degli statali, previsto dalla Legge di Bilancio, rischia di compromettere gli sforzi fatti per mandare tanti lavoratori in pensiona prima del tempo: cittadini, opposizione politica e sindacati hanno già fatto emergere il problema e sono pronti a scatenare un mare di polemiche. Il Governo gialloverde lo sa bene. E per questo motivo starebbero studiando, assieme all’Abi, degli accordi per l’anticipo del Tfs proprio per i dipendenti pubblici.

L’idea di fondo per evitare la lunga attesa

Ricordiamo che il trattamento di fine servizio, ad oggi, può essere percepito entro 6, 12 o 24 mesi dal pensionamento, a seconda del tipo di uscita e dell’entità della liquidazione.

Per chi esce con quota 100, il rischio è vedersi corrispondere il Tfs, quindi, con almeno cinque anni di ritardo: una enormità.

 

L’idea del Governo, da concretizzare nel decreto in via di approvazione presso il Consiglio dei ministri della prossima settimana, è che se il lavoratore statale pensionando vorrà, potrà accedere a un prestito (da restituire in 5 anni, con interessi a carico dello Stato) per ottenere subito il Tfs, anziché attendere appunto il raggiungimento dei 67 anni.

Cosa prevede il decreto

Nel frattempo, salgono le quotazioni sulle date delle prime uscite indicate in questi ultimi giorni: per i lavoratori privati si avranno da aprile, con una finestra mobile di tre mesi che sale a sei mesi per gli statali. Nel pubblico le prime uscite con quota 100 si avranno a luglio.

Il decreto prevede una sperimentazione per tre anni dell’uscita anticipata con 62 anni di età e 38 di contributi (quota 100 appunto). Previsto però il divieto di cumulo fino al raggiungimento del requisito di vecchiaia (67 anni).

Via libera anche alla possibilità per chi è interamente nel regime contributivo di riscattare in un massimo 60 rate senza interessi, i periodi “per i quali non sussista obbligo contributivo” (come ad esempio i congedi parentali).

Confermate Ape sociale e Opzione donna

Disco verde anche per una ulteriore possibilità di anticipo dell’uscita con la possibilità per i fondi di solidarietà bilaterali (di imprese e sindacati) di finanziare, volontariamente, la contribuzione mancante per arrivare a quota 100, con uno scivolo aggiuntivo fino a 3 anni.

Oltre all’uscita anticipata con 62 anni di età e 38 di contributi, il decreto ripristinerà anche due misure ‘scadute’ a fine anno, Ape social (prorogato di un altro anno) e Opzione donna (che nella scuola vale solo per maestri della scuola dell’infanzia), oltre a tornare a 42 anni e 10 mesi di contributi indipendentemente dall’età per le pensioni anticipate.

Alcune indiscrezioni, confermate dall’Ansa, infine, indicano come probabile anche la riforma della governance di Inps e Inail, con il ritorno dei Cda, e il probabile commissariamento dei due istituti fino all’entrata in vigore della nuova normativa di settore.

Docente di sostegno, per essere assunti in ruolo non basta specializzarsi

da La Tecnica della Scuola

Di Redazione

“Per diventare insegnante di sostegno di ruolo non basta specializzarsi, ma occorre anche superare un concorso pubblico oppure il Fit, peraltro in via di cancellazione: di sicuro, occorre del tempo. Anche per questo motivo, il ministero dell’Istruzione ha previsto nei prossimi tre anni, nella Legge di Bilancio 2019, che un alto numero di cattedre continuerà ad andare a supplenza, rimanendo quindi nell’organico di fatto. Questo significa che anche i 40 mila specializzati del prossimo triennio, di cui 16 mila selezionati già nel 2019, quindi andranno in gran parte a coprire le supplenze”.

Tante cattedre in organico di fatto ancora per tre anni

A ricordarlo, nel corso di un’intervista a Radio Cusano, è stato il nostro direttore responsabile Alessandro Giuliani.

Interpellato per un giudizio sulle disposizioni attuate nella legge di bilancio a proposito della scuola, Giuliani ha detto che “effettivamente ha ragione il Miur a dire che non corrispondono a dei tagli i 4 miliardi in meno previsti nella manovra per fare fronte alla riduzione di spesa richiesta dall’Unione Europea: in realtà, si tratta di una voce di bilancio riguardante docenti che non risultano in organico di diritto e che  per via di una norma già esistente”, il comma 69 dell’articolo 1 della legge 107/2015, “stavolta sono stati scorporati dalla spesa del Miur. Ora, però, questo significa anche che quei posti andranno sicuramente a supplenza fino al 2021”.

Nessun taglio, il Miur ha ragione: la spesa è in aumento

Ciò significa anche che costerà meno l’operazione di scorporo alle casse dello Stato? “Non proprio – ha risposto il direttore – perché sicuramente i docenti in organico di fatto, a partire dai 50 mila insegnanti di sostegno assunti in deroga con supplenza al 30 giugno, anche nel prossimo triennio verranno assunti a tempo determinato”.

Anzi, siccome gli alunni disabili sono in aumento, la loro spesa verrà sicuramente incrementata. A ben vedere, poi, quest’anno ne sono stati assunti appena 1.600, a fronte di oltre 13 mila autorizzati, perché le GaE e le graduatorie di merito risultavano esaurite. Per migliaia di specializzati nell’insegnamento ai disabili, inseriti solo nelle graduatorie d’istituto, non c’è stato nulla da fare, se non continuare a fare i supplenti. Sempre in attesa del concorso o di partecipare al Fit”.

Almeno 5 anni su sostegno: va bene così

“Poi, se assunti, dovranno rimanere per cinque anni almeno sul sostegno: un periodo di tempo – ha continuato Giuliani – che con la Buona Scuola si voleva portare a dieci, ma che è rimasto immutato perchè siccome si tratta di un insegnamento particolare, che necessita di particolari predisposizioni e motivazioni interiori, appare quello più indicato prima di tornare, se uno vuole, ad insegnare sulla disciplina”.

Scuola tutelata o maltrattata dalla manovra?

A Giuliani, infine, è stato chiesto se la Scuola nella legge di bilancio è stata tutelata o maltrattata. “Né l’uno, né l’altro”, ha replicato il giornalista. “Francamente ci aspettavamo di più, anche considerando quanto era stato detto in campagna elettorale”.

“Effettivamente, sono passati solo pochi mesi dall’insediamento del Governo. Per un giudizio obiettivo, secondo noi occorre attendere il prossimo anno: certo, se tra 12 mesi si continuerà a non investire nella scuola somme importanti, allora il giudizio sarà negativo”.

Niente rientro a scuola per 17 mila studenti: istituti senza luce e gas a causa dei tagli agli enti locali

da La Tecnica della Scuola

Di Fabrizio De Angelis

Il prelievo forzoso dello Stato nei confronti degli enti locali ha mandato in tilt diversi servizi essenziali, come la scuola, in diverse regioni italiane.

Niente luce e gas: scuole chiuse nel nisseno

L’ultimo allarme arriva dalla Sicilia, dove 17mila studenti degli istituti superiori della provincia di Caltanissetta non potranno rientrare nelle loro scuole dopo le vacanze natalizie. Perchè? Gli istituti scolastici del nisseno non avranno a disposizione energia elettrica, gas e telefono.

Lo fa sapere Giusi Bartolozzi di Forza Italia, che ha depositato una interrogazione ai ministri degli Interni, dell’Economia e dell’Istruzione e una richiesta ispettiva all’assessore regionale alle Autonomie locali: “il Libero consorzio comunale ha comunicato, infatti, solo a metà dicembre la disdetta di luce, gas e telefono ai 20 dirigenti scolatici”.

 

Bartolozzi spiega all’Ansa che “l’ente versa in una gravissima situazione finanziaria per il prelievo forzoso dello Stato che ha eroso gli avanzi d’amministrazione e così non vengono pagate le spese correnti degli istituti e, cosa ancor più grave, non verrà assicurato il servizio di assistenza ai disabili. Tutto questo è inaccettabile”.

“Mi sono battuta per questo durante l’esame della manovra – conclude Bartolozzi – ma la maggioranza ha bocciato l’emendamento e poi il mio ordine del giorno per eliminare il prelievo forzoso, senza che alcun parlamentare leghista o grillino eletto in Sicilia abbia tentato di comprendere e sostenere questa giusta causa”.

I tagli agli enti locali generano disservizi

In base a quanto riportato da La Stampa, nelle manovre di finanza pubblica dal 2010 al 2017 ci sarebbe stato un maxi-taglio da 22 miliardi di euro per le autonomie locali.

La legge di bilancio 2019 non sembra entusiasmare gli enti locali, in primis i comuni: secondo la nota di lettura Anci ifel in merito al testo della manovra, la valutazione complessiva dei Comuni sulla legge di bilancio è negativa, nonostante vi siano misure favorevoli e significative su alcuni versanti.

In generale, è evidente come i problemi degli enti locali stiano facendo sentire ripercussioni anche per la scuola, con il caso di Caltanissetta ultimo in ordine cronologico.

Docenti neoassunti, con passaggio di ruolo e FIT, i primi dati della formazione

da La Tecnica della Scuola

Indire ha reso disponibili i primi dati della formazione dei docenti neoassunti e con passaggio di ruolo e dei docenti impegnati nel percorso annuale FIT.

I dati, aggiornati al 20 dicembre 2018, riportano 26.274  docenti iscritti nell’ambiente neoassunti e percorso annuale FIT e 18.116 tutor associati tra il 26 novembre e il 20 dicembre 2018.

14.548 è il numero di esperienze inserite dai docenti nel Curriculum formativo, 15.291 i Bilanci iniziali in lavorazione e 1.742 i Bilanci iniziali inviati.

49 è il numero di laboratori formativi documentati dai docenti, 5 il numero di visite a scuole innovative documentate e 451 è il numero complessivo dei materiali utilizzati dai docenti per documentare l’attività didattica.

Il 15 gennaio 2019 sarà pubblicato online l’aggiornamento sui dati della formazione docenti.

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Sciopero scuola il 7 e 8 gennaio, ecco cosa c’è da sapere

da La Tecnica della Scuola

Di Fabrizio De Angelis

Uno sciopero nazionale di tutto il personale docente e Ata potrebbe causare problemi al rientro da scuola. 

Il 7 e l’8 gennaio, quindi, alla ripresa dopo le vacanze natalizie, gli alunni potrebbero non trovare il personale docente e ATA che aderiranno allo sciopero.

La protesta è stata organizzata “dall’Associazione Sindacale SAESE, Sindacato Autonomo Europeo Scuola ed Ecologia, che con una nota dell’11 dicembre 2018 ha comunicato la proclamazione dello sciopero nazionale nel Comparto Scuola di tutto il personale docente e ATA a tempo indeterminato e determinato, atipico e precario in servizio in Italia e nelle scuole e nelle istituzioni italiane all’estero, per il 7 e 8 gennaio 2019”.

Come funziona lo sciopero per i lavoratori della scuola

In via preliminare, è bene chiarire che la normativa di riferimento si rintraccia nella legge 146/1990, a cui va affiancata anche la legge 83/2000. La scuola rientra fra i servizi pubblici essenziali, ragione per cui bisogna mantenere alcune prestazioni nonostante lo sciopero, che sono:

– lo svolgimento degli esami, degli scrutini finali e degli esami di idoneità;

– gli adempimenti da parte degli uffici di segreteria della scuola per assicurare il pagamento degli stipendi e delle pensioni;

– la vigilanza sui minori durante la refezione, quando non sia possibile prevedere una adeguata sostituzione del servizio.

La Legge 146/90, prevede infatti che in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali (tra cui la scuola) il Dirigente scolastico formi un gruppo minimo (contingente) di lavoratori che non hanno aderito allo sciopero per garantire le prestazioni indispensabili (o servizi minimi). Nella scuola tali contingenti esistono solo per il personale ATA o gli educatori di convitti o educandati e solo in determinate circostanze. Non è previsto alcun contingente per i docenti.

Prendendo come riferimento anche la scheda elaborata dal sito Flc Cgil, possiamo suddividere le operazioni necessarie, i diritti e i doveri del personale, in 2 passaggi: PRIMA DELLO SCIOPERO e IL GIORNO DELLO SCIOPERO.

Prima dello sciopero

Le organizzazioni sindacali sono tenute a comunicare la data e la durata dello sciopero con un preavviso di almeno 15 giorni. L’amministrazione, di conseguenza, è tenuta a trasmettere tutte le notizie sullo sciopero, assicurandosi che venga data agli utenti una informazione chiara, esauriente e tempestiva.

Inoltre, prima dello sciopero, il Dirigente Scolastico invita i dipendenti a comunicare l’adesione o meno alla protesta;

Tuttavia, è d’obbligo ricordare che tale comunicazione è volontaria, nel senso che non esiste nessun obbligo da parte del dipendente di dichiarare in anticipo la propria volontà di scioperare.
Nel caso il lavoratore dovesse decidere di trasmettere la propria adesione o non adesione allo sciopero, quest’ultima comunicazione non può essere revocata.

A quel punto, sarà compito del preside comunicare alle famiglie, almeno 5 giorni prima dello sciopero, le modalità di funzionamento o la eventuale sospensione del servizio previsti per il giorno di sciopero.
A scanso di equivoci, evidenziamo che la comunicazione rientra fra gli obblighi della scuola e non dei singoli docenti.

Il giorno dello sciopero

Per quanto riguarda invece il giorno in cui si svolgerà lo sciopero, nel caso gli insegnanti decidono di partecipare, questi non sono tenuti a comunicare nulla, anche se è prassi comune, se non si è dichiarato in precedenza (volontariamente), far sapere lo stesso giorno dello sciopero le proprie intenzioni alla scuola.

Il personale docente che non ha aderito allo sciopero, deve assicurare la prestazione per le ore di lavoro previste, ma non può essere chiamato a lavorare per un numero di ore maggiore.
Tuttavia, il dirigente potrebbe disporre di cambiare orario, ma non il totale delle ore di lezione previsto per il giorno dello sciopero, oppure a cambiare classe per assicurare la mera vigilanza ad alunni.

Inoltre, il personale docente non scioperante può essere chiamato ad essere presente sin dalla prima orama non può essere tenuto a disposizione per tutta la giornata a scuola ma solo per l’orario che gli è stato comunicato preventivamente e pari a quello previsto per quel giorno.

Nel caso di sospensione del servizio, il docente deve presentarsi a scuola, nel suo orario di lavoro o secondo le indicazioni date.

Infine, chi ha il giorno libero non può essere obbligato a dichiarare se sciopera o meno e non può comunque perdere la retribuzione. Inoltre, non può essere chiamato a scuola per sostituire docenti in sciopero.

Rapporto Istat: meno di 1 scuola su 3 è accessibili per gli alunni disabili

da Tuttoscuola

Soltanto il 32% delle scuole italiane risulta accessibile per gli alunni disabili. Le cose vanno peggio poi se la scuola si trova in Sud Italia, dove soltanto il 26% degli edifici è a norma, mentre la situazione è migliore al Nord dove i valori raggiungono il 40%. A dirlo, secondo quanto segnalato da Ansa.it, è il rapporto Istat “L’inclusione scolastica: accessibilità, qualità dell’offerta e caratteristiche degli alunni con sostegno” relativo all’anno scolastico 2017/2018. Nel report vengono definite “accessibili dal punto di vista fisico-strutturale” solo le scuole che possiedono tutte le caratteristiche a norma: ascensori, bagni, porte, scale e che dispongono di rampe esterne e/o servoscala.

L’indagine include anche la scuola dell’infanzia e la scuola secondaria di secondo grado. Si tratta complessivamente di 56.690 scuole, frequentate da 272.167 alunni con sostegno che rappresentano il 3,1% del totale. Il quadro peggiora considerando la presenza di barriere sensopercettive: la percentuale di scuole accessibili scende al 18%.

Nota 5 gennaio 2019, AOODGRUF 74

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per la Programmazione e la Gestione delle Risorse Umane, Finanziarie e Strumentali
Direzione Generale per le Risorse Umane e Finanziarie – Ufficio IX

Alle istituzioni scolastiche ed educative statali
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Agli Uffici scolastici regionali
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Ai revisori dei conti per il tramite dell’istituzione scolastica

Oggetto: Decreto 28 agosto 2018, n. 129, avente ad oggetto “Regolamento recante istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’articolo 1, comma 143, della legge 13 luglio 2015, n. 107” – Orientamenti interpretativi