Scuole vere in Sicilia

Scuole vere in Sicilia

di Gabriele Boselli

Abito e ho lavorato prevalentemente in Romagna ma da circa venti anni, per tenere conferenze o verificare l’attuazione dei progetti europei o altri tipi di ispezione, ho fatto conoscenza delle scuole di Sicilia. Quasi sempre sono rimasto positivamente impressionato per l’alta qualità culturale, umana e professionale di docenti e dirigenti.

Professioni localmente considerate di prestigio

Su tale risultanza certamente influisce il fatto che in quella regione essi sono di fatto meglio retribuiti (per il differente costo della vita), detengono uno status sociale nettamente superiore a quello riconosciuto al Nord e la gioventù migliore ancora vede nell’insegnamento una professione desiderabile. Quando –come spesso accade in Sicilia- un professionista svolge la professione cui era da sempre proteso, è convinto del valore del proprio lavoro e avverte un certo riconoscimento sociale, vi avverte un evento di autorealizzazione e consegue solitamente risultati migliori. Chi insegna in Sicilia non pensa quasi mai di svolgere una professione di ripiego.

Risultati scarsi perché epistemologicamente infelici i metodi di valutazione sistemici

Va detto che i metodi di analisi del produrre scolastico che seguo non sono di tipo positivistico (oggettivistico) ma fenomenologico-ermeneutico e pertanto non mettono in evidenza solo il pensiero a-prenditivo, applicativo e compilativo ma tendono ad accertare ogni aspetto dell’educazione intellettuale ed estetica. Non mi sono mai limitato a compilare schede burocratiche (spesso inutilmente ridondanti ed escludenti invece l’essenziale, ovvero le strutture del pensare generativo-trasformazionale) e a redigere relazioni pre-strutturate; esaminavo gli elaborati; discorrevo a lungo con studenti, insegnanti e genitori; andavo in giro per le classi e interrogavo, con cordialità ma interrogavo, come gli ispettori hanno sempre fatto. Riscontrando così come i risultati conseguiti dagli alunni –magari poco addestrati dagli insegnanti a metter crocette nei tests- spiccassero soprattutto per quel che riguarda la capacità di pensiero critico e la creatività, capacità in cui i ragazzi siciliani solitamente sopravanzano quelli delle più accreditate regioni del mitizzato Nord d’Italia e anche d’Europa, o comunque dei luoghi dove la qualità dell’istruzione viene identificata con la corrispondenza delle prestazioni a modelli di risposta predefiniti. O, in Italia, con l’abilità nella compilazione degli strumenti di certa docimologia INVALSI. Ciò che non è misurabile –per le lor correnti docimologiche- non esiste.

Ricerca delle performances contro insegnamento delle discipline come saperi dell’Intero

A leggere bene le citate ricerche di massa, qualche pezzo di verità invero si trova, soprattutto guardando a cosa NON E’ valutato. E’ allora il caso, a mio avviso, di riflettere sui criteri di derivazione economicistica con cui stanno operando questi sistemi europei e nazionali di valutazione, di fatto non interessati a valutare il conoscere della persona, ovvero il modo in cui in ciascun soggetto si tiene in attività (o si spegne) il nucleo generativo di impegno nelle regioni gnoseologiche, il topos ove si riavviano i saperi consolidati, si allacciano relazioni con tutta la gamma possibile dello sviluppo del sapere stesso.
Presso e oltre lo Stretto, le discipline sono prevalentemente intese non come formulari di contenuto il cui apprendimento sia riscontrabile attraverso test ma come sedimentazioni nelle nuove generazioni di infiniti atti cognitivi avvenuti nella storia. Direi che laddove la competenza (parente banalizzata della conoscenza) esaltata nelle ricerche PISA e Invalsi & C risiede nella cultura dell’ “utile oggi”, l’essenziale delle discipline abiti in quella della “fondazione”; dove la competenza è “saputa”, la conoscenza è sapere in-finitamente in atto.

Quel che conta e quel che vale

L’enfatizzazione prestazionale conta molto per i media e sinora per il MIUR ma a mio avviso non è quel che vale. Il conoscere dell’ intero-persona versus l’Intero-cultura attraverso le discipline, il volgersi di un soggetto attraverso le forme dell’intersoggetività (discipline) trovato in Sicilia –la terra di Giovanni Gentile- è quel che vale. Io ho sempre cercato di condurre indagini per vedere se si mantenesse attivo soprattutto il tipo di attesa che genera “spinta”, quel fascio di vettori che attraversando i portali delle strutture della soggettività trascendentale (categorie, sistemi simbolici e costellazioni cognitive) riprende il carattere organico, sempre in fieri e infinito del pensiero della persona che si volge all’Intero.

E’ però vero che……

Tutto bene, dunque, al di là dello stretto? No, ma con qualche eccezione non è colpa di chi vi lavora: lo stato di manutenzione delle scuole è penoso; palestre e piscine vengono costruite, in qualche zona, con grande dispendio di fondi europei ma poi lasciate decadere per incuria degli enti locali. Spesso le stesse costruzioni sono edificate con grande impiego di sabbia di mare e grande avarizia di cemento, come d’altronde gli ospedali e gli altri edifici pubblici; dopo pochi anni cadono a pezzi ma al potere locale importa poco, anzi fa gioco così si possono chiedere a Roma altri fondi per far guadagnare le imprese locali. Su questo Bussetti ha ragione.
Un ulteriore punto debole –dipendente però dall’ambiente extrascolastico- è rappresentato dagli elevati tassi di dispersione. Va comunque considerato che in altre regioni oltre agli studenti che si disperdono fuoriuscendo dal sistema scolastico ve ne sono anche di più che si disperdono continuando a sedere sui banchi ma che a tutto si dedicano tranne che allo studio. Il fenomeno della “dispersione in sede” andrebbe meglio studiato e credo che i risultati comparativi per la regione di cui tratto sarebbero lusinghieri.
Colpa grave invece –anche se comune ad altre regioni del Sud, specie la Campania- la scarsa serietà nell’effettuazione dei concorsi così come risulta anche dalle note vicende delle centinaia di dirigenti fuori quota recentemente assunti in loco o che sono andati a coprire i posti vacanti nelle regioni ove si è operato con rigore.

Scuole, 10 miliardi per la sicurezza

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

L’ultima in ordine di tempo è stata la scuola primaria Cambini di Pisa. Che martedì scorso ha visto crollare una parte del soffitto. Per fortuna senza feriti, perché il primo piano era stato già dichiarato inagibile. Ma è l’ennesima prova che l’edilizia scolastica in Italia resta un’emergenza. Come gli enti locali proprietari ricordano al governo praticamente ogni giorno. Anche se al ministero dell’Istruzione ne sono consapevoli già da soli. Al punto che stanno lavorando in due direzioni: da un lato, sbloccando tutti i finanziamenti “sbloccabili”; dall’altro, rimpinguando la dote per la messa in sicurezza degli stabili. Che – tra fondi scongelati e nuove poste – sfiora ormai i 10 miliardi di euro.

La nuova anagrafe

A fine settembre il Miur ha presentato la nuova anagrafe dell’edilizia scolastica. Mettendo online tutti i dati in suo possesso. La fotografia che ne deriva lascia poco spazio ai dubbi. Su 40.151 edifici censiti (+17,8% rispetto all’ultima rilevazione) oltre 22mila sono stati costruiti prima del 1970. Nel complesso solo il 53,2% possiede il certificato di collaudo statico mentre il 59,5% non ha quello di prevenzione incendi. Senza contare che il 53,8% non possiede il documento di agibilità/abitabilità. Tutti dati – sottolineano dal ministero – che verranno aggiornati in tempo reale grazie allo scambio di informazioni con le anagrafi regionali. Una volta che queste saranno complete. Dei 500 campi che le autonomie dovranno inserire, 158 andranno prodotti da giugno in poi e gli altri solo a partire dal 2020. Nel frattempo, a giorni sarà operativo operativo lo scambio di notizie con l’anagrafe degli studenti. In modo da conoscere in tempo reale la dislocazione degli alunni nei vari plessi scolastici.

Le risorse a disposizione

Quando il discorso si sposta sui fondi cominciano le note dolenti. Almeno a detta degli enti locali. Nel sottolineare che il fabbisogno complessivo per la messa in sicurezza dell’intero patrimonio scolastico richiederebbe 30 miliardi l’Anci quantifica in oltre 6 miliardi le risorse disponibili in teoria ma bloccate in pratica. Un tema rilanciato anche dalle province che si soffermano, ad esempio, sugli 1,7 miliardi di mutui Bei. A tal proposito l’Upi ricorda l’impegno a destinarne almeno il 30% alle superiori (di loro competenza) e lamentando l’assenza del decreto interministeriale Mef-Miur di assegnazione. Provvedimento che in realtà sarebbe stato firmato il 31 gennaio ed è in attesa di pubblicazione. Interrogato sui numeri, al Sole 24 ore del Lunedì il ministro Marco Bussetti risponde: «Come governo abbiamo lavorato da subito per sbloccare le risorse a disposizione, oltre 7 miliardi, che erano rimaste nel “cassetto”. In pochi mesi – aggiunge – le abbiamo sbloccate e ne abbiamo chieste di nuove, abbiamo semplificato la normativa, velocizzando la spesa, abbiamo lavorato al miglioramento dell’anagrafe dell’edilizia scolastica, abbiamo messo a disposizione degli enti locali risorse specifiche per la progettazione in mancanza delle quali, spesso, i lavori si rallentavano». E cita poi i 114 milioni con cui sarà avviato «uno specifico piano per l’antincendio che si attendeva da anni». E che consentirà – precisa – di avviare «2.000 interventi per l’ottenimento della certificazione». Nonostante lo stop alla proroga triennale dei piani antincendio che è entrato e uscito dal decreto semplificazioni dopo l’alt del Colle ai troppi emendamenti disomogenei.

Nel complesso da qui ai prossimi anni le risorse per l’edilizia sfioreranno i 10 miliardi. Se ai 7 citati da Bussetti aggiungiamo gli 80 milioni per l’antisismica e soprattutto i 2,6 miliardi sul Fondo investimenti. Richiesti per effetto della manovra 2019 e da sbloccare mano a mano.

Il paradosso del tessile: tanto lavoro e pochi studenti

da Il Sole 24 Ore

di Claudio Tucci

Nei prossimi tre anni il settore tessile avrà bisogno di circa 21mila tecnici; se si allarga l’indagine all’intero comparto moda il fabbisogno stimato dagli operatori arriva a 47mila nuovi ingressi da qui al 2024. Ma se si guarda al numero di iscritti oggi agli indirizzi di studio tessile-moda delle scuole secondarie superiori si accende subito “una spia rossa”: i frequentanti al primo anno di questi istituti tecnico-professionali non superano le 3mila unità. A ciò si aggiunga che oltre un terzo degli impieghi offerti dalle aziende rischiano, concretamente, di rimanere posizioni vacanti.

La fotografia del prossimo anno scolastico non fa immaginare una (rapida) inversione di tendenza. All’istituto “Marzotto-Luzzatti” di Valdagno (Vicenza), per esempio, dove alle spalle c’è un’azienda leader in Europa, la Marzotto, gli iscritti a settembre 2019 all’indirizzo tessile saranno appena 11.

Anche al “Paleocapa” di Bergamo il prossimo anno i ragazzi della prima classe del tessile saranno 11. Ma qui, anche grazie alle attività di orientamento alle medie organizzate assieme a Confindustria Bergamo, c’è stato un sostanziale raddoppio degli alunni rispetto agli anni precedenti. «Dopo il biennio iniziale riusciamo a mantenere una classe in terza – spiega il preside, Imerio Chiappa -. I nostri studenti, presa la maturità, ricevono 3-4 offerte di lavoro. Parliamo di occupazioni che prevedono, in media, una retribuzione dai 1.450 euro in su».

A mancare, oltre a una comunicazione adeguata, è spesso anche un dirigente di ruolo. Accade, è un altro esempio, all’istituto tecnico “Quintino Sella” di Biella, una delle più antiche scuole tessili d’Italia, quest’anno affidata a un “reggente”.

Certo, troviamo anche best practice. A Padova, all’istituto professionale “Ruzza”, ci sono quattro classi a indirizzo moda professionale e due a indirizzo sistema moda, più un corso serale. «Riusciamo ad attrarre ragazzi soprattutto per le tante attività che facciamo, come open day, mini stage e sfilate – racconta Silvia Tebaldi, docente di laboratori tecnologici ed esercitazioni moda -. È forte anche il legame con il territorio, e organizziamo, inoltre, project work con le aziende». Anche a Napoli, all’istituto “Isabella D’Este”, evidenzia la preside Giovanna Scala, «puntiamo molto su orientamento e dialogo, quotidiano, con le imprese. Al tessile abbiamo circa 270 iscritti. Bisogna investire di più sulla comunicazione. Ho portato nella scuola una gestione manageriale. L’indirizzo di studio funziona: in due anni circa 30 studenti hanno ottenuto un contratto di lavoro».

Il punto è che serve un’accelerazione. Tra i profili più richiesti dalle aziende (e che spesso non si riescono a trovare) ci sono: «Periti chimici e tecnici, filatori, tessitori, addetti alla confezione, prototipisti e modellisti – sottolinea Paolo Bastianello, presidente del comitato per la Formazione di Smi (Sistema moda Italia) -. A novembre, assieme al Miur, abbiamo dato vita alla rete Tam, che riunisce 56 tra istituti tecnici, professionali e Its, afferenti al settore tessile, abbigliamento, moda».

L’obiettivo è proprio quello di migliorare l’orientamento a livello territoriale. Ma è fondamentale pure ripensare le competenze dei ragazzi delle scuole tessili e rendere più efficaci i percorsi di alternanza. «La congiuntura economica non è delle migliori – chiosa Bastianello -. Ma sono fiducioso in uno scatto di reni del settore e in un rafforzamento del link scuola-lavoro. La rete Tam è operativa. I primi risultati mi auguro arriveranno già alle prossime iscrizioni al 2020/2021».

Se l’autonomia diventa un delitto

da la Repubblica

Piero Ignazi

Nella generale disattenzione si sta perpetrando un vero e proprio delitto nei confronti della nostra comunità nazionale: non dall’Oltralpe come farneticano alcuni scriteriati nostrani attratti come falene nella notte dal giallo-gilet , bensì dall’oltre Po, dal Veneto e dalla Lombardia, con la sorprendente complicità dell’Emilia Romagna. Si tratta delle richieste di maggiore autonomia, anche finanziaria, da parte di queste regioni. È stata già firmata, alla fine dell’anno scorso, una pre-intesa tra stato e regioni che sarà finalizzata a giorni in attesa poi di essere discussa e approvata dal parlamento.

L’ intesa è frutto di un percorso opaco, senza dibattito pubblico, che ha coinvolto solo gli interessati e non tutta la comunità nazionale. Le altre regioni, i cui interessi sono pesantemente colpiti dall’accordo, non erano presenti. Ma cosa c’è di tanto grave in questo accordo? In primo luogo, come per le concessioni autostradali, lo stato non ha contrattato nulla e cede in toto alle richieste delle regioni, soprattutto del Veneto che, tanto per fare un esempio, pretendeva nelle sue proposte iniziali, poi corrette, di trattenere e gestire, addirittura i 9/10 del gettito dell’Irpef, dell’Ires e dell’Iva. Come scrive Gianfranco Viesti nel suo libro Verso la secessione dei ricchi? (Laterza), le competenze dovranno essere definite in base ai cosiddetti “fabbisogni standard”, calcolati sul reddito prodotto da ciascuna regione. Per cui, dato che le tre regioni equivalgono al 40% del Pil nazionale, alle restanti 17 non rimane che spartirsi le briciole. Quello che è profondamente iniquo è soprattutto il calcolo dei costi e delle capacità di spesa per unità territoriale, non per cittadino. E quindi, il territorio che ha di più, riceve di più. La logica della redistribuzione e perequazione delle risorse viene totalmente disattesa. L’Italia diventa un vestito di Arlecchino con alcune pezze sfavillanti ed altre logore.

In secondo luogo, riprendendo la metafora autostradale, l’intesa non potrà essere modificata per dieci anni e ogni intervento dovrà avere l’assenso delle tre regioni coinvolte. Insomma, una volta assegnate le competenze non se parlerà più. Infine, oltre alla questione finanziaria vi è un aspetto culturale non di secondaria importanza: le competenze sulla scuola. Il Veneto che, come la Lombardia, ma contrariamente all’ Emilia-Romagna, ha chiesto autonomia su tutto, vuole determinare anche la programmazione dell’ “offerta formativa integrata” e dei contributi alle scuole paritarie: vale a dire, demolire il sistema educativo nazionale a favore di quello padano, magari sull’esempio della (in)gloriosa scuola dei “popoli padani” della moglie di Bossi. Inoltre vuole disciplinare i ruoli per il personale, evidentemente per poter selezionare insegnanti dalle immacolate camicie verdi. Di tutto ciò nessuno parla. Non Forza Italia, alleato della Lega. Non il Pd che ha mani legate e bocca cucita dall’improvvida adesione dell’Emilia Romagna che ha fornito una legittimità politica fortissima al progetto. Mentre i 5Stelle, nella loro ingenuità, lasciano mano libera a chi sottrarrà risorse allo sviluppo del Mezzogiorno. Il treno incorsa sta richiamando altri vagoni: tutte le regioni, ad esclusione di Abruzzo e Molise, si sono accodate.

È un treno che porta alla definitiva disunità d’Italia. Il vecchio progetto leghista ha trovato altre strade per compiersi.

Piero Ignazi è professore di Politica comparata presso l’Università di Bologna.

Il suo ultimo libro è “I partiti in Italia dal 1945 al 2018” (il Mulino, 2018)

“Caro ministro Bussetti, venga a vedere in che condizioni si insegna al Sud”

da la Repubblica

Giovanna Martano

Illustre ministro Bussetti, ho avuto modo di vedere il video che la ritrae in visita nella nostra provincia, ad Afragola e Caivano, ed ascoltare la sua risposta ad una domanda di un giornalista. Le devo confessare che mi hanno molto colpito le sue parolee il suo sguardo: appariva disgustato e disturbato e allora, mi sono chiesta, perché?

Scuola, Bussetti ai professori del Sud: “Vi dovete impegnare, lavorare e fare più sacrifici”

Forse è dura vedere realtà della profonda provincia del napoletano, scuole che definire difficili è davvero un eufemismo. E ho pensato che mi farebbe piacere se volesse anche venire in visita a Procida, la più piccola isola del golfo di Napoli, nell’istituto comprensivo “ 1° C. D. Capraro” che dirigo da 4 anni. Sicuramente il paesaggio la meraviglierà e il suo sguardo potrà apparire più sereno: il mare azzurro, l’incanto del borgo di pescatori della Corricella, la cucina strepitosa, il fascino dell’ex carcere di Terra Murata, una realtà decisamente più armoniosa dei luoghi da lei visitatil’altro giorno.

Pur tuttavia, anche Procida è come Afragola, Caivano e la maggior parte del Sud Italia e le racconto perché. La nostra scuola ha circa 1000 alunni, dai 3 ai 13 anni, 138 docenti, 13 collaboratori scolastici, 6 unità di personale amministrativo ed è ubicata su 4 plessi. Il trasferimento ordinario di fondi dal Miur per questa comunità ( che a Procida costituisce la prima “ azienda” dell’isola, per numeri) è di circa 16.000 euro all’anno: fondi che servono per il funzionamento generale e la didattica (dalla carta, al materiale di cancelleria, a eventuali sussidi didattici, piccole riparazioni, carta igienica, assicurazione degli alunni). Ricordo che, non essendo un istituto superiore, non è previsto il versamento di tasse scolastiche da parte delle famiglie, ma un contributo volontario, che non sempre viene erogato.

Questo è il capitolo dei fondi. Apriamo ora il capitolo dei sacrifici e dell’impegno da lei evocati. L’orario di lavoro dei docenti va spesso al di là di quello previsto dal contratto di lavoro: ricordo che per un docente dell’Infanzia l’orario di servizio settimanale è di 25 ore, per un docente della Primaria di 22 ore per uno stipendio medio di 1400 euro, per un docente della Secondaria di Primo Grado si tratta di 18 ore per una media di 1600 euro ( ovviamente a queste ore si sommano altre funzionali all’insegnamento, fino a un massimo di 80 ore annue ed altre ancora legate alla preparazione delle lezioni, la correzione dei compiti, l’accompagnamento a visite guidate, viaggi di istruzione ecc., rigorosamente non retribuite).

Gli stipendi medi di un assistente amministrativo sono di 1300 euro, quelli di un collaboratore scolastico di 1200. Un dirigente scolastico, ruolo di “privilegio” nella scuola, non più preside ma “manager” (come si ama dire da qualche anno) percepisce uno stipendio mensile che non arriva a 3000 euro netti, con responsabilità civili, penali, disciplinari e soprattutto equiparato a un “datore di lavoro” per quanto riguarda la sicurezza. Questo è il quadro delle retribuzioni e, sommariamente, delle responsabilità di chi opera, a diverso titolo nella scuola: a questo aggiungiamo il “non riconoscimento” sociale che ormai da anni investe il mondo della scuola, i tanti luoghi comuni che circolano ( tre mesi di ferie per i docenti, le scuole chiuse quando finiscono le attività didattiche, solo per citare due bugie che ormai si sono trasformate in certezze nell’opinione pubblica).

Aggiungo, solo a titolo esemplificativo, che i docenti spesso conoscono oltre che i nomi di tutti gli alunni, le loro storie, le loro paure, i loro desideri, i disagi ed i sogni, perché anche al di fuori delle aule, a dispetto di un immaginario collettivo superficiale, li ascoltano, li seguono, li “ orientano”. Vogliamo parlare delle strutture nelle quali lavoriamo? Mi autodenuncio: sono una scuola non adeguata alla normativa antincendio. Al Sud siamo tutte scuole in questa situazione: ma, a quanto pare, questo non è un tema urgente per il governo. Per non parlare della certificazione completa che le scuole dovrebbero avere sul versante della sicurezza: credo, caro ministro, che d’ufficio possa chiudere quasi tutte le scuole meridionali ( ma, se i dati non mentono, anche molte del Nord).

Le scuole più “ fortunate” dipendono da enti locali che erogano ordinariamente fondi, forniscono il riscaldamento e gli arredi, si occupano della manutenzione ordinaria e straordinaria. Peccato che la maggior parte di noi dipenda da enti locali in dissesto o predissesto, che, dunque, non riescono materialmente nemmeno a garantire l’ordinario.

E, secondo lei, se domattina nella mia bella scuola, nella mia isola felice, dopo una pioggia torrenziale, non volesse il cielo dovesse staccarsi una guaina impermeabile e colpire un alunno che aspetta l’ingresso nel cortile, come farei a dimostrare di non essere responsabile di non aver eliminato il pericolo? Inutile dirle che, a dispetto del mio contratto, lavoro mediamente 10 ore al giorno, con il cellulare sempre acceso per eventuali comunicazioni di servizio e diversi weekend impegnati a studiare documenti e circolari che, durante la giornata, non riusciamo nemmeno a sfogliare.

Questa è la mia quotidianità a Procida, come tanti altri dirigenti scolastici nella città e nella provincia di Napoli, come ad Afragola e Caivano, dove, a differenza mia, devono anche “combattere” con territori difficili, dove il disagio giovanile spesso incrocia la camorra e la microdelinquenza. E allora: a quale impegno e sacrificio pensava quando, con sguardo seccato, rispondeva alla domanda del giornalista?

“I prof del Sud si impegnino” Bussetti provoca, lite con i 5S

da la Repubblica

Niente soldi. Per rilanciare la scuola meridionale occorrono più impegno e sacrificio da parte dei docenti e dei dirigenti che vi lavorano. È la ricetta del ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, che ieri ha determinato un mezzo terremoto politico. Fino in serata quando è intervenuto il vicepremier Luigi Di Maio: « Se un ministro dice una fesseria sulla scuola, chiede scusa. Punto » . E Bussetti replica: «Leggo post e commenti infiammati sulle mie parole ad Afragola. Un video decontestualizzato che sta girando sul web viene usato per rappresentare un ministro ostile al Mezzogiorno, alle sue donne e ai suoi uomini. E io non lo sono. Sarebbe ridicolo pensarlo».

La frase che ha creato un mezzo terremoto politico all’interno della stessa maggioranza è dell’altro ieri. A chi chiedeva se per riequilibrare le disparità Nord- Sud sarebbero arrivati più soldi nelle scuole meridionali, l’inquilino di viale Trastevere rispondeva: « No. Più sacrificio, più lavoro, più impegno. Vi dovete impegnare forte » . E giù un diluvio di polemiche.

L’infelice battuta, rilasciata al volo, ad un cronista nel primo pomeriggio sollecita perfino la presa di distanze del viceministro Lorenzo Fioramonti e del sottosegretario, Salvatore Giuliano, entrambi di area 5Stelle, che tentano di gettare acqua sul fuoco ” reinterpretando” il Bussetti pensiero. « Vogliamo credere — dichiarano — che il ministro nell’auspicare maggior impegno da parte del Sud, sottintendesse quanto siano stati finora straordinari proprio l’impegno, il lavoro e il sacrificio di tutti gli operatori della filiera scolastica e universitaria del meridione, autentici eroi civili, altissimi rappresentanti di uno Stato che non sempre ha saputo tutelare adeguatamente queste zone dalla criminalità e dal disagio sociale ».

Probabilmente, il proposito di non inviare ulteriori fondi alle scuole meridionali deriva dal fatto che da circa vent’anni le istituzioni scolastiche del cosiddetto Obiettivo 1 ( Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna) vengono letteralmente inondate di quattrini provenienti dai fondi europei. Ma resta l’evidenza statistica che dispersione scolastica, disoccupazione giovanile e povertà al Sud assumono percentuali ancora macroscopiche.

Tra i primi a censurare le parole di Bussetti, in mattinata, l’Associazione nazionale presidi. «Parole inaccettabili», dice Antonello Giannelli. « Forse — continua — il ministro ignora che in molte aree del Sud le scuole sono l’unico avamposto dello Stato ». Alla loro si aggiunge la protesta di Cisl scuola, Anief e Flc Cgil. In poche ore la protesta sbarca su internet, col gruppo Facebook ” I docenti dicono basta”. «Che amarezza. Faccio parte di quei ” docenti terroni fannulloni” — sbotta Anna Paola Aroi — che stanno contribuendo a mandare avanti la scuola del Nord lasciando al Sud affetti e casa » . Anche il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris si affida ai social: « Parole di chi non conosce storie e fatti».

Le opposizioni incalzano l’esponente di governo con Mila Spicola, del Partito democratico, e Mara Carfagna, di Forza Italia, che invita Bussetti a «chiedere scusa». Un fuoco di fila che in serata costringe Bussetti a innestare una decisa retromarcia.

Concorsi infanzia/primaria e secondaria, Bussetti: banditi entro il 2019

da Orizzontescuola

di redazione

Il Ministro Bussetti è ritornato sulla tempistica relativa al concorso per la scuola dell’infanzia e primaria e su quello della scuola secondaria di primo e secondo grado.

Concorsi entro il 2019

Bussetti, nel corso di un’intervista a “Il Mattino“, ha affermato che il concorso ordinario per la scuola dell’infanzia e primaria e quello per la scuola secondaria di primo e secondo grado saranno banditi entro il 2019.

Ricordiamo quali requisiti sono richiesti per accedere ai due succitati concorsi

Concorso secondaria: requisiti

Per i posti comuni:

  • abilitazione specifica sulla classe di concorso oppure
  •  laurea (con piano di studio completo per l’accesso a quella classe di concorso) e 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche oppure
  • abilitazione per altra classe di concorso o per altro grado di istruzione, fermo restando il possesso del titolo di accesso alla classe di concorso richiesta (no 24 CFU) oppure
  • laurea + 3 anni di servizio svolti negli ultimi otto (no 24 CFU). Si partecipa per una delle classi di concorso per cui si ha  un anno di servizio.

Per i posti di insegnante tecnico-pratico:

  • diploma valido per l’accesso alla classe di concorso richiesta fino al 2024/15 (no 24 CFU) poi abilitazione o laurea triennale
 Per i posti di sostegno:
  • requisiti previsti per i posti comuni e per gli ITP
  • specializzazione su sostegno.

Concorso infanzia/primaria: requisiti partecipazione

Per i posti comuni:

  • diploma magistrale o diploma sperimentale a indirizzo linguistico conseguito entro l’a.s.2001/02 oppure
  • laurea in Scienze della Formazione o analogo titolo estero equipollente.

Per i posti di insegnamento sul sostegno è richiesta la specializzazione.

Bussetti: mobilità tra aprile e maggio, 8mila posti per rientro docenti

da Orizzontescuola

di redazione

Il Ministro Bussetti, nel corso di un’intervista rilasciata a “Il Mattino”, è intervenuto sulla prossima mobilità e sulle possibilità dei docenti assunti al Nord di rientrare al Sud.

Mobilità: tempistica

Il Ministro ha affermato che la finestra per la mobilità si aprirà tra fine aprile e inizio maggio.

La finestra sarà unica anche per coprire tutti i posti nei passaggi di ruolo.

Mobilità: posti disponibili

Alla domanda del giornalista se i posti disponibili per il rientro dei docenti assunti al Nord saranno 4mila, Bussetti ha risposto che saranno il doppio, ossia 8mila, considerato che con quota 100 andranno in pensione più di 20.000 insegnanti.

Ricordiamo che la mobilità si articola in due tipologie di movimenti: passaggi di ruolo/cattedra e trasferimenti. A ciascun movimento è assegnata un precisa percentuale di posti.

Per il 2019/20 le percentuali saranno così suddivise:

  •  40 % ai trasferimenti interprovinciali;
  • 10% ai passaggi di ruolo/cattedra.

Pensioni, scuole possono visualizzare domande presentate

da Orizzontescuola

di redazione

Il Miur ha inviato un messaggio alle scuole, relativo alle domande di cessazione dal servizio a partire dal 1° settembre 2019.

Domande cessazione: funzione interrogazione

Con il succitato messaggio, il Miur ha comunicato la disponibilità della funzione “Interrogazione Domande Inoltrate Personale Docente, Educativo, IRC e ATA”, presente nell’area SIDI “Fascicolo Personale Suola – Gestione Cessazioni”.

La funzione permette la sola visualizzazione ed eventuale stampa delle domande polis del Personale docente, educativo, ATA e IRC.

Al momento, è possibile visualizzare soltanto le istanze presentate entro il 12/12/2018.

Domande cessazione dopo il 12/12/2018

Ricordiamo che, in seguito al decreto su quota 100 e le altre forme di  pensionamento anticipato e sul reddito di cittadinanza, si sono riaperti i termini di presentazione delle domande di cessazione dal servizio dal 1° settembre 2019.

Le domande si possono presentare entro il prossimo 28 febbraio, tramite Istanze online (oltre all’istanza di cessazione va presentata quella di pensione –  al riguardo leggi gli articoli di approfondimento).

Sulla base del succitato decreto, è possibile accedere alla pensione con quota 100, opzione donna, anticipata e Ape social.

Corso specializzazione sostegno: dall’autorizzazione all’attivazione. Tempistica

da Orizzontescuola

di redazione

Il DM n. 92 dell’8 febbraio 2019 reca disposizioni riguardanti le procedure di specializzazione sul sostegno di cui al decreto del Miur n. 249/2010 e successive  modificazioni. Riguarda i percorsi di specializzazione per la scuola sia dell’infanzia sia primaria che secondaria.

Percorsi specializzazione: autorizzazione, contingenti, test preliminare

I percorsi di specializzazione sono istituiti e attivati dagli Atenei nel limite dei posti autorizzati a ciascuno di essi con decreto del Miur. Possono essere attivati dalle Università anche in convenzione tra loro, fermo restando il numero di posti autorizzato a ciascun Ateneo.

Con un successivo decreto dunque:

  • saranno autorizzati i percorsi;
  • si ripartiranno i contingenti agli Atenei;
  • si fisseranno le date uniche del test preliminare per ciascun indirizzo di specializzazione;
  • si fisseranno le eventuali deroghe alla data di termine dei percorsi, ossia il 30 giugno dell’anno accademico di riferimento, in ragione delle tempistiche previste per gli adempimenti procedurali.

Percorsi di specializzazione: tempistica

Stando alle parole del Ministro Bussetti , il bando sarà pubblicato a giugno.  Entro un lasso di tempo non troppo lungo, dunque, dovrebbe essere pubblicato il succitato decreto relativo all’autorizzazione dei percorsi e alla ripartizione dei contingenti, in modo da far partire le procedure entro il mese di giugno o anche prima.

Qui i requisiti di partecipazione

Bussetti: tempo pieno al sud, ma cosa diranno le Regioni del nord? I tempi sono molto stretti

da La Tecnica della Scuola

Di Reginaldo Palermo

Nel replicare alle accuse che gli sono state mosse per l’infelice dichiarazione sui docenti del sud, il ministro ha voluto rimarcare le buone iniziative fin qui avviate o programmate proprio a favore delle scuole delle regioni meridionali.

Più tempo pieno al sud

Fra queste il Ministro ha citato la misura contenuta nelle legge di bilancio che prevede l’istituzione di 2mila posti di tempo pieno nella scuola primaria.
Ma i tempi stringono e il rischio è che anche una misura pur modesta non dia i risultati sperati.
La legge di bilancio stabilisce infatti che per attuare la norma sul tempo pieno è necessario adottare entro fine febbraio un decreto ministeriale sul quale va preliminarmente acquisito il parere della Conferenza Unificata Stato Regioni Enti locali.
Per il momento, però, l’argomento non è presente nell’ordine del giorno della prossima seduta della Conferenza già convocata per il prossimo 13 febbraio.
C’è poi da dire che non è affatto detto che i 2mila posti previsti dalla legge di bilancio vadano a finire tutti (o in prevalenza) nelle regioni del sud: c’è da pensare, infatti, anche le regioni del nord rivendicheranno una parte dei posti di cui parla la legge.
A meno che, per aiutare il ministro nel suo tentativo di ricucire con i docenti del sud, le regioni leghiste del nord non decidano di “cedere” un po’ di posti. Ma non sarà facile ottenere questo risultato.
Quando si arriverà al dunque, la questione del tempo pieno potrebbe anzi diventare una ulteriore occasione di scontro fra il ministro Bussetti e i docenti meridionali.

Legge 11 febbraio 2019, n. 12

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione. (19G00017)
(GU Serie Generale n.36 del 12-02-2019)

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga la seguente legge:

Art. 1
1. Il decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione, e’ convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.
2. Il decreto-legge 29 dicembre 2018, n. 143, e’ abrogato. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge 29 dicembre 2018, n. 143.
3. Il decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2, e’ abrogato. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2.
4. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana.
E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addi’ 11 febbraio 2019
MATTARELLA
Conte, Presidente del Consiglio dei ministri
Visto, il Guardasigilli: Bonafede

Avvertenza: Il decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, e’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 290 del 14 dicembre 2018. A norma dell’art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attivita’ di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), le modifiche apportate dalla presente legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Il testo del decreto-legge coordinato con la legge di conversione e’ pubblicato in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 49.