Tavolo tecnico su reclutamento e precariato

Scuola, questa mattina al MIUR tavolo con i sindacati su reclutamento e precariato. Bussetti: “Con questo primo tavolo tecnico rendiamo operativa l’importante intesa siglata a Palazzo Chigi lo scorso 24 aprile”

(Lunedì, 06 maggio 2019) Si è riunito questa mattina al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, alla presenza del Capo di Gabinetto del MIUR Giuseppe Chiné, il tavolo tecnico su reclutamento e precariato. Si tratta del primo dei gruppi di lavoro istituiti per rendere operativa l’intesa siglata a Palazzo Chigi con le Organizzazioni Sindacali del comparto Scuola lo scorso 24 aprile.

“Questo Governo non fa promesse, prende impegni e li mantiene – dichiara il Ministro Marco Bussetti -. La notte del 24 aprile abbiamo raggiunto un importante accordo con le Organizzazioni Sindacali. Abbiamo scritto insieme una bella pagina per l’Amministrazione. Siamo già al lavoro per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti. Oggi abbiamo avviato il primo tavolo tecnico, l’incontro è stato molto proficuo. A breve il gruppo si riunirà nuovamente per definire un’azione condivisa. E nel frattempo porteremo avanti i lavori degli altri tavoli, già convocati per i prossimi giorni, per dare risposta alle esigenze delle scuole e dei nostri studenti”.

Il 14 maggio, infatti, sarà la volta del tavolo tecnico dedicato ai dirigenti scolastici, il 20 si riunirà quello relativo al rinnovo contrattuale, il 28 quello che si occuperà di Università, Ricerca e Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM).

Adeguamento sismico degli edifici scolastici

Risorse per 120 milioni di euro per la messa in sicurezza e l’adeguamento sismico degli edifici scolastici. È quanto previsto dal Decreto del MIUR che punta ad accelerare gli interventi nelle scuole delle quattro Regioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017 (Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria). Il Decreto è stato trasmesso oggi alla Conferenza Unificata.

“Si tratta di un investimento importante – sottolinea il Ministro Marco Bussetti – e di un segnale concreto di impegno attivo nei confronti di comunità duramente colpite dal sisma del 2016 e del 2017. Le scuole costituiscono il vero presidio sul territorio e la loro ricostruzione è tra le priorità per una vera rinascita delle aree più fragili del nostro Paese. Garantire la continuità didattica e il diritto allo studio in ambienti sicuri significa mettere la scuola al centro, riaffermare il suo ruolo e la sua funzione educativa all’interno di una comunità”.

Questa misura si affiancherà alle azioni di ricostruzione già in atto, per garantire un’azione sinergica sui territori. Il Decreto Ministeriale avvierà la definizione di un piano di costruzione di nuove scuole e di messa in sicurezza e adeguamento sismico di quelle già esistenti, nelle zone sismiche 1 e 2 delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, anche a seguito delle verifiche di vulnerabilità già autorizzate ed effettuate nei mesi scorsi dal MIUR. Si inizierà proprio dalle aree sismicamente più sensibili.

SANZIONI DISCIPLINARI

SANZIONI DISCIPLINARI, GILDA: STRUMENTO UTILE, SBAGLIATO ABOLIRLE
“Per quanto poco utilizzate e previste da norme molto datate, le sanzioni disciplinari costituivano un deterrente per arginare le intemperanze degli alunni. Abolirle è stato un grave errore che rischia di legittimare condotte scorrette e ad alimentare ulteriormente il fenomeno delle aggressioni ai danni dei docenti”. Così Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, interviene in merito alla soppressione di due articoli del regio decreto del 1928 stabilita dalla legge sulla reintroduzione dell’Educazione civica a scuola.
Sulle misure che sostituiranno quelle cassate dalla Camera dei Deputati, Di Meglio si dimostra scettico: “Probabilmente le stesse sanzioni disciplinari verranno reintegrate nei regolamenti adottati dalle singole scuole, ma ciò comporterà una grande confusione e disomogeneità perché ogni istituto potrà decidere autonomamente se e quali provvedimenti mettere in campo. Senza considerare, poi, che quasi tutte le scuole primarie fanno parte di istituti comprensivi e che ciò provocherà ulteriori difficoltà. Sarebbe opportuno, e dunque chiediamo, che si torni ad un sistema di sanzioni educative nazionali”.    

Grembiuli a scuola

Grembiuli a scuola: le disuguaglianze si combattono con una scuola inclusiva e accessibile a tutti

Roma, 6 maggio – In questa ininterrotta, aggressiva e spesso irragionevole campagna elettorale, il ministro degli Interni interviene ancora una volta sulle necessità del mondo della scuola, manifestando l’intenzione di reintrodurre l’uso del grembiule per riportare “ordine e disciplina” e combattere le condizioni di disuguaglianza sociale.

Ci preoccupa che a farsi portavoce delle istanze del sistema di istruzione sia il ministro degli Interni, dal momento che la scuola non è una caserma, l’educazione non è un problema di ordine pubblico.
È principalmente compito della scuola rimuovere le disuguaglianze di partenza, offrire a tutti pari opportunità ed educare alla responsabilità individuale e collettiva i cittadini di domani, ricercando una forte alleanza con le famiglie e la società.

Ancora oggi, nonostante i forti tagli subìti, la scuola non ha smarrito la sua funzione originaria di formazione collettiva alla cultura democratica e alla cittadinanza attiva, finalizzata a trasmettere alle nuove generazioni un sistema di valori fondato sulla responsabilità e la consapevolezza delle azioni. Eppure per anni ha subìto la trascuratezza della politica che ne continua a compromettere credibilità e prestigio per l’evidente assenza di un progetto che ne riconosca la centralità.

Per arginare la delegittimazione diffusa, di cui certi episodi di violenza fisica e verbale sono l’estrema conseguenza, non servono telecamere né inasprimento delle sanzioni, ma investimenti che valorizzino le professionalità e riconoscano alle istituzioni scolastiche il loro ruolo fondamentale come strutture strategiche per la crescita della cittadinanza democratica e lo sviluppo del Paese.
Ricordiamo al ministro, inoltre, che le distanze sociali non si nascondono sotto un “grembiulino”, ma si combattono con una scuola più uguale, inclusiva, accessibile a tutti fin dall’infanzia.

Petizione

Petizione diretta al Parlamento europeo

https://www.change.org/p/parlamento-europeo-diritto-all-insegnamento-negato-ai-4-000-docenti-italiani-abilitati-in-ue


“NOI NON VOTIAMO ALLE ELEZIONI EUROPEE DEL 26 MAGGIO 2019!”

Siamo circa 4.000 docenti abilitati in un Paese membro dell’Unione Europea che a seguito di un lungo periodo di “silenzio inadempimento” da parte del MIUR italiano abbiamo scelto anche noi (e le nostre famiglie) di non adempiere ad un nostro diritto attraverso l’astensione al voto poiché ci è stato negato per ben due volte il diritto all’insegnamento e al lavoro: la prima volta per mancata attivazione in Italia di percorsi abilitanti o concorsi docenti, la seconda per mancato riconoscimento del percorso abilitante conseguito in un altro Stato Membro dell’Unione Europea a cui ha fatto seguito una nota ministeriale incostituzionale.

Riportiamo un breve esposto giuridico dell’Avv. Maurizio Danza (Prof. di Diritto del Lavoro “Università Mercatorum” di Roma) per chiarire sul piano legale e soprattutto morale la posizione denigratoria a cui siamo stati ingiustamente classificati senza alcuna valutazione specifica di titoli e competenze. 

Abilitati in Romania: l’avviso n.5636/2019 di rigetto del MIUR è illegittimo nella parte in cui non riconosce alcun valore al titolo conseguito in un Paese Membro dell’UE in violazione di principi comunitari e giurisprudenziali espressi dalla Corte di Giustizia Europea.

Desta notevoli perplessità l’avviso n.5636 del 2 aprile 2019 a firma del Direttore Generale  Dott.ssa Palermo del MIUR in riferimento alle abilitazioni all’insegnamento conseguite in Romania da numerosissimi italiani, secondo cu “le istanze di riconoscimento presentate sulla base dei certificati di conseguimento della formazione psicopedagogica sono da considerarsi rigettate”. In sostanza è di tutta evidenza che il MIUR continui a sostenere l’assurda ed illegittima tesi, secondo cui se il Ministero della Educazione Nazionale Romeno non menziona sulle “Adeverinta” degli abilitati in Romania, l’art.11 della dir.n.36/2005, le istanze di riconoscimento non possono essere accolte, con ciò palesemente violazione della Direttiva CEE n. 36/2005 e del decreto legislativo n.206/2007.

Ad ogni modo, l’avviso appare del tutto illegittimo anche per altre ragioni, poiché il MIUR senza disporre alcuna valutazione istruttoria in riferimento alle singole istanze di riconoscimento presentate dagli interessati, viola palesemente norme interne, la direttiva europea n.36/2005, e i principi giurisprudenziali espressi dalla Corte di Giustizia Europea (anche recenti). Ed infatti, a ben vedere, quanto alle norme di diritto interno il MIUR nell’avviso, non ha tenuto in alcuna considerazione che, nel nostro ordinamento esiste il principio dell’accesso parziale disciplinato dal combinato disposto dell’art. 1 bis del D.lgs.n.206/2007 di attuazione della Direttiva 2005/36/CE secondo cui “Il presente decreto disciplina, altresì, il riconoscimento delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell’Unione europea e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente, ai fini dell’accesso parziale ad una professione regolamentata sul territorio nazionale, nonché i criteri relativi al riconoscimento dei tirocini professionali effettuati da cittadini italiani in un altro Stato membro” e dal successivo art. 5 septies co.1 del medesimo  D.lgs.n.206/2007. A tal proposito ed in riferimento alle vicende che riguardano gli abilitati in Romania, non si può non sottolineare la violazione e omessa applicazione di tale principio da parte del MIUR che illegittimamente, a tutt’oggi in riferimento alle istanze presentate, non ha mai disposto un accertamento finalizzato alla verifica di quei “requisiti minimi” tali da garantire così l’ “espletamento minimo della funzione docente “. Ciò detto, è di tutta evidenza come l’accesso parziale costituisca indubbiamente un ulteriore strumento a disposizione delle amministrazioni italiane, finalizzato a salvaguardare, anche nell’ordinamento scolastico, il diritto alla libertà di circolazione previsto dall’art.45 del trattato fondativo dell’Unione Europea. Tali principi risalgono alla pronuncia della Corte di Giustizia Europea a far data dalla nota sentenza “ Morgenbesser” del 13 novembre 2003 C-313/2001 (cfr. anche sentenza CGE 15 ottobre 1987 causa n 222/86 Heylens e a ; 7 maggio 1991 C-340/89  Vlassopoulou ; 7 maggio 1992 C -104/91 Aguirre Borrell.) che ha stabilito il principio secondo cui uno stato membro a cui si rivolge un cittadino di altro paese che intende svolgere una professione regolamentata, “deve disporre una valutazione del titolo “in bonam partem”, cioè finalizzata in via di principio alla “salvezza degli effetti della qualifica conseguita in un altro paese” anche quando essa non soddisfi pienamente, ma solo parzialmente, i requisiti fissati in quella legislazione: ciò alfine di garantire il diritto alla libertà di circolazione previsto dall’art.45 del trattato fondativo dell’Unione Europea

Sorprende invece che il MIUR, nel “rigettare le richieste”, si limiti a menzionare esclusivamente il parere del CIMEA, ma non la CHAP (2018) 02090 del 22 gennaio 2019 della stessa Commissione europea, “Direzione generale mercato interno, industria, imprenditoria e PMI, Modernizzazione del mercato unico, Qualifiche e competenze professionali”, a firma del Commissario Martin Frohn che, nell’esaminare una richiesta di una abilitata italiana in Romania in riferimento ad “un caso di richiesta di infrazione dell’Italia per non aver riconosciuto la abilitazione conseguita in Romania” ha applicato “il principio della salvezza degli effetti parziali della abilitazione all’insegnamento conseguita da laureati italiani in Romania” richiamando proprio la giurisprudenza comunitaria qui menzionando, affermando altresì che “anche nel caso di difetto di tutti i requisiti per la professione docente in capo al soggetto il tirocinio, occorre garantire l’accesso ai percorsi FIT”.

Spese per l’istruzione, dal nido all’università bonus al 19 per cento

da Il Sole 24 Ore

di Luca De Stefani

Le detrazioni Irpef del 19% per le spese legate all’istruzione seguono la crescita dei cittadini dal nido all’università. Gli sconti si applicano a più momenti della formazione come, ad esempio, il pagamento delle rette, le attività sportive, i costi dovuti a disturbi specifici di apprendimento, le spese per l’università. Tutte queste spese – sostenute nel 2018 – sono già inserite nella dichiarazione precompilata (730 o Reddito PF) che il contribuente trova nella propria area riservata del sito delle Entrate.

Ma focalizziamoci su quelle universitarie, per passare nelle pagine seguenti ad analizzare le altre. I dati gestiti dai server dell’Agenzia per i costi di ateneo pagati lo scorso anno sono stati 3,4 milioni. Per queste spese (anche riferite a master, dottorati di ricerca, di perfezionamento e di specializzazione), detraibili dall’Irpef al 19%, il provvedimento da considerare per l’invio dei dati è quello del 27 gennaio 2017, che ha aggiornato quello del 19 febbraio 2016 (protocollo 27065).

Invio dei dati

Circa i modelli 730 2019 o Redditi PF 2019, precompilati, per il 2018, le spese, pagate nel 2018, sono state inviate online entro lo scorso 28 febbraio, utilizzando i servizi telematici delle Entrate (Entratel o Fisconline) o avvalendosi degli intermediari abilitati. È stato inviato, per ogni studente, l’ammontare delle spese universitarie pagate lo scorso anno (principio di cassa), specificando chi ha sostenuto le spese: può essere esclusivamente lo studente o un suo familiare. È stato indicato anche l’anno accademico di riferimento delle spese universitarie pagate nel 2018. L’importo comunicato è al netto dei rimborsi e contributi ricevuti dal contribuente. Sono stati indicati separatamente i rimborsi erogati nell’anno d’imposta, se riferiti a spese sostenute in anni d’imposta precedenti. Non sono stati inviati, invece, i dati sulle spese sostenute per conto dello studente da parte di enti, società, imprese e professionisti e, in generale, da parte di soggetti diversi dallo studente o dai suoi familiari, in quanto questi pagamenti non costituiscono oneri detraibili dall’Irpef. Va indicata anche l’area disciplinare, scegliendo tra la medica, la sanitaria, la scientifica, la tecnologica, l’umanistica e la sociale, come desumibili dalla tabella 1 del decreto Miur 288 del 29 aprile 2016.

Rimborsi spese universitarie

Entro lo scorso 28 febbraio 2019 chi ha erogato rimborsi di spese universitarie ha anche inviato all’anagrafe tributaria, per ogni studente, l’ammontare dei rimborsi descritti, con l’indicazione dell’anno nel quale è stata sostenuta la spesa rimborsata. Non sono stati inviati, invece, i rimborsi contenuti nelle CU e quelli trasmessi dalle università (provvedimento 27 gennaio 2017).

Opposizione trattamento dati

Nel sito delle Entrate c’è il modello che il contribuente può utilizzare per opporsi (via Pec o fax) all’inserimento nella dichiarazione precompilata, da parte dell’Agenzia, dei dati relativi alle informazioni contabili sulle spese universitarie (e a eventuali rimborsi). L’invio di questo modello va effettuato dal 1° gennaio al 28 febbraio di ciascun anno, con riferimento ai dati dell’anno precedente. La presentazione del modello comporta la cancellazione di queste informazioni, quindi, le stesse non saranno presenti né nella dichiarazione precompilata, il cui accesso è consentito al contribuente stesso, né nella dichiarazione dei soggetti di cui il contribuente risulta eventualmente fiscalmente a carico. L’opposizione al trattamento, comunque, non vieta al contribuente di utilizzare le spese universitarie nella propria dichiarazione dei redditi come onere detraibile.

Il tetto per la detrazione 2018 è di 786 euro per studente

da Il Sole 24 Ore

di Luciano De Vico

Le agevolazioni fiscali per gli studenti cominciano dalla scuola materna. Per i più piccoli, invece, è prevista una detrazione Irpef del 19% sulle rette pagate agli asili nido pubblici e privati, vale a dire le strutture, comprese le cosiddette “sezioni primavera”, per bambine e bambini di età compresa tra i tre mesi e i tre anni. La spesa per il nido, quindi, non può superare 632 euro per ciascun figlio a carico e la detrazione va ripartita tra i genitori sulla base dell’onere da ciascuno sostenuto.

Il bonus

Tornando alla scuola, la normativa fiscale consente di detrarre dall’Irpef lorda il 19% dei costi sostenuti per la frequenza delle scuole d’infanzia (materne), delle primarie e secondarie di primo grado (elementari e medie) e delle secondarie di secondo grado (superiori), statali, paritarie private e degli enti locali. Danno diritto al bonus non solo le tasse dovute per iscrizione e frequenza, ma anche i contributi obbligatori, le erogazioni liberali e i contributi volontari sostenuti per la frequenza scolastica, se sono deliberati dagli istituti scolastici o dai loro organi.

Le spese per la mensa e per i servizi scolastici integrativi, come assistenza al pasto e pre e post scuola, sono detraibili anche quando il servizio è reso dal Comune o da soggetti terzi differenti dalla scuola e anche se non è stato deliberato dagli organi di istituto, essendo istituzionalmente previsto dall’ordinamento.

Sono anche detraibili somme pagate per partecipare a gite scolastiche, per l’assicurazione della scuola e ogni altro contributo per l’ampliamento dell’offerta formativa deliberato dagli organi d’istituto come, ad esempio, i corsi di lingua e di teatro, anche se svolti al di fuori dell’orario scolastico e senza obbligo di frequenza. Nessun beneficio fiscale, invece, è previsto per l’acquisto dei libri scolastici o del materiale di cancelleria.

Il tetto

Per il 2018, il limite massimo su cui calcolare la detrazione del 19% è pari a 786 euro, riferito a ciascun alunno o studente (dalla scuola materna alle superiori) e da suddividere tra gli aventi diritto, ad esempio i genitori, ripartendo la spesa in base all’effettivo sostenimento e annotando sul documento la percentuale di ripartizione, se diversa dal 50 per cento.

In caso di coniuge a carico dell’altro, quest’ultimo può detrarre l’intero importo. Occorre essere in possesso delle ricevute o delle quietanze di pagamento recanti gli importi e il titolo della spesa e, se il pagamento non è effettuato direttamente alla scuola, ma a soggetti terzi, occorre anche l’attestazione dell’istituto scolastico dalla quale si rilevi la delibera di approvazione e i dati dell’alunno.

Per la mensa scolastica è sufficiente, invece, la ricevuta del bollettino postale o del bonifico bancario intestato al soggetto destinatario del pagamento con la relativa causale e il nome e cognome dell’alunno. Se i pagamenti sono effettuati in contanti o mediante buoni mensa cartacei o elettronici, serve anche l’attestazione della scuola o del soggetto che ha ricevuto il pagamento, contenente l’ammontare della spesa e i dati anagrafici dell’alunno.

Per le altre spese come – ad esempio – gite scolastiche, assicurazione della scuola e i contributi destinati all’ampliamento dell’offerta formativa, sono sufficienti ricevute e quietanze comprovanti l’avvenuto pagamento che devono sempre riportare i dati dello studente. Se il pagamento è effettuato nei confronti di soggetti terzi, è necessaria anche l’attestazione della scuola contenente la delibera di approvazione e i dati dello studente.

L’agenzia delle Entrate ha chiarito in proposito che tutte le attestazioni e le relative istanze utili a richiederle sono esenti dall’imposta di bollo se indicano l’uso per il quale sono destinate.

Erogazioni liberali

In alternativa al bonus per le spese di istruzione non universitarie, è possibile usufruire di una detrazione, sempre nella misura del 19%, sulle erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari senza scopo di lucro che appartengono al sistema nazionale di istruzione e delle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, delle università e degli istituti tecnici superiori.

Le erogazioni liberali devono essere finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e all’ampliamento dell’offerta formativa e la spesa va intestata al contribuente che intende portarla in detrazione.

L’agevolazione, per la quale non è previsto alcun limite massimo di spesa, non è cumulabile, con riferimento al singolo studente, con la detrazione per le spese scolastiche. Vale sempre il principio di cassa, quindi non conta l’anno cui si riferisce il pagamento, ma quello in cui le spese sono effettivamente sostenute.

Le erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici devono essere documentate dalla ricevuta del versamento bancario o postale da cui risulti anche il beneficiario.

Se si paga con altri strumenti tracciabili come carta di credito, carta di debito o carta prepagata, è necessario anche l’estratto conto, intestato al beneficiario, della banca o della società che gestisce le carte.

Se, invece, si adoperano assegni bancari o circolari o altri strumenti da cui non risultino i dati richiesti, è sufficiente farsi rilasciare dall’istituto una ricevuta contenente le generalità del donante e il carattere liberale del pagamento.

Va sottolineato che sono, in ogni caso, escluse dal beneficio le erogazioni effettuate in contanti.

In Italia 34% degli studenti scarsi in italiano e 1 su 4 in matematica

da Il Sole 24 Ore

In Italia la quota di ragazzi iscritti al terzo anno delle scuole medie che non raggiungono la sufficienza nelle competenze alfabetiche è il 34,4%, in matematica del 40,1%. E’ quanto emerge dal Rapporto “SDGs 2019. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia”, diffuso dall’Istat.

La Campania, con il 50,2% di low performer in lettura, seguita dalla Calabria (50%) e dalla Sicilia (47,5%) sono le regioni dove i livelli di studenti con scarse competenze alfabetiche sono più alti; anche per le competenze numeriche degli studenti di III classe delle scuole secondarie di primo grado, queste regioni mantengono i livelli più alti di insufficienza, Campania e Calabria con il 60,3% dei ragazzi e Sicilia con il 56,6%.

Rispetto ai maschi, una percentuale più elevata di ragazze si situa al di sotto della sufficienza nelle competenze matematiche (41,7%, contro il 38,5% dei maschi), mentre per la lettura la situazione si inverte: il 38,3% dei ragazzi non raggiunge la sufficienza nelle competenze alfabetiche, contro il 30,4% delle ragazze.

Per quanto riguarda le superiori, il risultato a livello nazionale per tipo di istituto è molto differenziato, con il 17,7% dei liceali che non raggiungono la sufficienza nelle competenze alfabetiche e il 29,2% in quelle matematiche; tra coloro che frequentano gli istituti tecnici, sono insufficienti in lettura e in matematica rispettivamente il 39,6% e il 42,3%; tra i ragazzi degli istituti professionali, i risultati sono molto scoraggianti, con il 69,4% che non raggiunge la sufficienza in lettura e il 77,2% in competenze numeriche.

Con il test di Inglese, cominciate venerdì le prove Invalsi nella primaria

da Il Sole 24 Ore

Iniziate venerdì scorso le prove Invalsi nella scuola primaria con la prova di Inglese nelle classi quinte. La prova di Inglese – come per le scuole secondarie di primo e secondo grado – si suddivide in ascolto e in lettura ma, a differenza degli altri gradi, le modalità di esecuzione sono rimaste invariate rispetto agli altri anni, vale a dire attraverso i fascicoli cartacei.

Grazie alla collaborazione delle scuole e al supporto fornito dall’Istituto, è stato possibile consentire il regolare svolgimento della prova e il download dei file audio per la prova di ascolto non ha fatto registrare particolari difficoltà.

Gli allievi interessati dalla prova di Inglese della classe V primaria sono stati 560.629 suddivisi in 29.675 classi.

Di seguito le percentuali di partecipazione alla prova di Inglese:

partecipazione classi campione 99,42%;

partecipazione classi non campione 98,76%;

partecipazione complessiva (classi campione e non campione) 98,74%.

L’1,26% delle classi non partecipanti è riconducibile per lo 0,09% a eventi di forza maggiore e per l’1,17% a varie ragioni (scioperi, allievi tutti assenti, altro). La partecipazione delle classi è tale da garantire ampiamente la significatività della rilevazione sia per le classi campione sia per quelle non campione.

Oggi si svolgerà la prova di Italiano nelle classi II e V primaria e domani le medesime classi sosterranno la prova di Matematica, entrambe in modalità cartacea.

Il ringraziamento dell’Istituto ai dirigenti scolastici, ai docenti, alle famiglie e agli alunni che hanno partecipato alla rilevazione.

Bando Pon per le competenze, on line le graduatorie provvisorie

da Il Sole 24 Ore

di Al. Tr.

Bando Pon per le competenze, il Miur ha approvato le graduatorie provvisori per i progetti presentati dalle scuole. Le liste sono pubblicate on line sul sito del ministero .

Il bando
Le graduatorie si riferiscono al bando che mette in campo 150 milioni di euro per offrire fino a 210 ore in più di didattica per rafforzare apprendimenti e conoscenze: più italiano, lingue straniere, matematica e scienze nelle scuole del primo e del secondo ciclo, musica, espressione corporea ed espressione creativa nelle scuole dell’infanzia.
L’autorizzazione dei progetti approvati, scrive il Miur in un nota, avverrà in ordine di graduatoria e secondo le risorse programmate nel piano finanziario del Pon per area territoriale. Entro il 12 maggio le scuole potranno presentare domanda di chiarimento sulla loro posizione in graduatoria inviando una mail a dgefid@postacert.istruzione.it .
Dopo tale termine, conclude il ministero, l’autorità di gestione pubblicherà le graduatorie definitive e renderà noto l’elenco degli istituti scolastici che a cui sono stati autorizzati i progetti e l’impegno finanziario assunto.

Cittadinanzattiva, cambierà poco per l’Educazione civica

da Il Sole 24 Ore

Nonostante la reintroduzione dell’Educazione civica nelle scuole, «nei fatti ben poco cambierà per il futuro di questa materia nella scuola italiana». Lo sottolinea Cittadinanzattiva. «Condividiamo la parte relativa all’enunciazione dei principi e dei contenuti riguardanti “Costituzione e cittadinanza” e sottolineiamo l’importanza del ruolo attribuito al Terzo settore nelle esperienze extra-scolastiche, con l’auspicio che, nel passaggio al Senato, lo stesso ruolo venga riconosciuto anche nella definizione delle Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica. Permangono tuttavia grosse perplessità su importanti aspetti del testo. Anziché assumersi la responsabilità e l’impegno di rivedere i programmi ministeriali attuali, il monte ore delle diverse discipline e le previsioni dell’organico necessario alle 33 ore in più all’anno, si è preferito scegliere la via meno innovativa e più economica», prosegue la Onlus.

«Il fatto di aver previsto un monte ore annuo non aggiuntivo ma da ricavare all’interno degli orari attualmente vigenti; la contestuale previsione dell’Educazione civica come materia trasversale ma allo stesso tempo specifica; la numerosità degli ambiti da affiancare ai saperi costituzionali e istituzionali; l’affidamento della materia ai “docenti delle discipline giuridiche ed economiche ove disponibili nell’ambito dell’organico dell’autonomia” in “contitolarità ai docenti della classe”, sotto il coordinamento di un terzo docente, renderà il
nuovo assetto – osserva Cittadinanzattiva – farraginoso, di difficile applicazione e per nulla innovativo, lasciando l’educazione civica una materia non materia».

«Anche la previsione di un Albo per valorizzare le migliori pratiche ma senza la predisposizione di apposite modalità e strumenti di raccolta e catalogazione, rischia di disperdere, così come avvenuto nel biennio di sperimentazione di “Cittadinanza e Costituzione”, un patrimonio prezioso senza poter valutare l’impatto effettivo sugli studenti, destinatari del percorso», conclude.

L’eterno ritorno del grembiule ma ora i presidi dicono no

da la Repubblica

Ilaria Venturi

Uno scatolone colorato e le schede col quesito: « Partecipa con il tuo voto per una scelta di tutti: vuoi continuare a indossare il grembiule? ». Ha vinto il no in questo curioso referendum alla primaria De Amicis di Gallarate: sette alunni su dieci quel camice lungo e nero, come impone il regolamento di istituto, preferirebbero lasciarlo a casa. Ora chi glielo dice che il vice premier Matteo Salvini lo vuole rendere obbligatorio per tutti. Se gli studenti si ribellano e i presidi si spazientiscono ( « abbiamo i solai e i controsoffitti che crollano, altro che grembiule»), il ministro dell’ Interno insiste su un suo cavallo di battaglia scatenato quando i Vigili del Fuoco gli contestarono le divise che indossava e lui si era augurato che almeno alle elementari tornassero. Tre mesi e mezzo dopo e una campagna elettorale in corso, lo ha ribadito aggiungendo il carico del richiamo al Ventennio: « Abbiamo appena reintrodotto l’educazione civica a scuola e vorrei che tornasse anche il grembiule per evitare che vi sia il bambino con la felpa da 700 euro e quello che ce l’ha di terza mano perché non può permettersela — ha detto ieri nel comizio della Lega a San Giuliano Terme — Ma sento già chi griderà allo scandalo ed evocherà il duce, ma un paese migliore si costruisce anche con ordine e disciplina».

In realtà il grembiule, pure col fiocco, alla materna e alla primaria c’è già, solo che non è obbligatorio ed è diffuso in modo disomogeneo nelle scuole. Rosa e bianco per le bambine, nero e azzurro per i maschi, tinta unica, il blu generalmente, per chi ne fa una questione anche di educazione di genere. Ci aveva già provato Mariastella Gelmini da ministra all’Istruzione nel 2008 a renderlo obbligatorio, ma rimase a discrezione dei presidi. Che ora si arrabbiano: « Non è una priorità per la scuola italiana. Ci sono tante cose che andrebbero fatte con urgenza. Al primo posto il controllo dei solai e dei controsoffitti di tutti gli istituti, ogni settimana c’è un crollo. Finora su questo fronte non è stato fatto nulla » , ribatte Antonello Giannelli dell’Associazione nazionale presidi. E poi, osserva Roberta Fanfarillo, voce dei dirigenti scolastici Flc- Cgil « se le scuole lo usano è per praticità, l’accostamento al regime, alla disciplina, è fuori luogo » . Ma tanto basta per sollevare un polverone politico. Il Pd richiama il ministro ad occuparsi dei problemi veri del Paese. E si consuma l’ennesimo screzio col collega di governo Luigi Di Maio che non tarda a punzecchiare: « Il dibattito sul grembiulino può scatenare una discussione nel Paese, ma facciamo in modo che le famiglie possano comprare pastelli e quaderni: prima il welfare familiare ».

Nelle scuole dove si usa le motivazioni sono altre da quelle evocate da Salvini. «Le famiglie ci avevano chiesto di non farlo usare da maggio in avanti per il caldo, invece lo abbiamo appena riconfermato altrimenti arrivano vestiti da mare e non è rispettoso. Ma la destra, il fascismo non c’entrano niente, così come l’inclusione, che non si fa con una divisa. Salvini usa il grembiule per distrarre dai veri problemi della scuola » è netta Rosamaria Lauricella, preside dell’istituto Valente di Roma. Mauro Presini, maestro e blogger che insegna nel Ferrarese, scuote la testa: « I bambini non sono uguali, devi partire dalle loro differenze per educarli al rispetto degli altri. Non renderli uguali col grembiule » . Racconta Antonella Meiani, maestra alla primaria Parco Trotter di Milano: « Avevo una bimba che veniva a scuola vestita in modo troppo ricercato: meglio una tuta, ho suggerito ai genitori. È nella relazione che si risolve la disparità » . Lo sa bene il maestro di strada Cesare Moreno, che pure quando insegnava nelle periferie di Napoli faceva indossare il grembiule perché era un rituale, il passaggio dalla casa alla scuola: il problema, dice, « non è nascondere la felpa di terza mano, ma combattere la povertà dei bambini».

Maturità 2019, colloquio: quali materiali nelle buste. Ecco le indicazioni Miur nei corsi di formazione

da Orizzontescuola

di redazione

Esame di Stato secondaria II grado, colloquio: pubblichiamo ancora una volta i materiali redatti dalla Commissione tecnica del Miur per la formazione dei docenti al fine di smentire delle Fake News pubblicate nei giorni scorsi.

Riferimenti normativi

Il documento prende avvio dai riferimenti normativi, che sono numerosi:

  •  Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n.6
  •  DM 18 gennaio 2019 n.37
  • OM 11 marzo 2019 n.205

Occupiamoci in particolare dell’OM n. 2015/2019 con la quale il Ministero ha inteso fornire indicazioni più pratiche per la predisposizione dei materiali da inserire nelle buste da sottoporre ai candidati durante il colloquio.

Il Colloquio  è formato da tre parti  (Articolo 17, comma 9)

  1. analisi testi, documenti, esperienze, progetti, problemi per verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline, la capacita’ di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle per argomentare in maniera critica e personale anche utilizzando la lingua straniera.
  2. esporre mediante una breve relazione e/o un elaborato multimediale, l’esperienza di alternanza scuola-lavoro
  3. accertare le conoscenze e competenze maturate dal candidato nell’ambito delle attivita’ relative a «Cittadinanza e Costituzione»

Criteri per la scelta dei materiali

Queste le indicazioni del Miur, sulla base dell’Articolo 19 comma 3

  • favorire la trattazione dei nodi concettuali caratterizzanti le diverse discipline
  • tener conto del percorso didattico effettivamente svolto (documento 15 maggio)
  • Coerenza con gli obiettivi del PECUP
  • Possibilità di trarre spunti per un colloquio pluridisciplinare
  • Ricerca di omogeneità tra le tipologie e il livello di difficoltà dei materiali

Quali materiali scegliere

Cosa non deve contenere la busta

Domande, serie di domande, argomenti, riferimenti a discipline

Nella prima parte del colloquio il candidato si confronta con una situazione “non nota”

La Commissione tecnica del Miur sottolinea e pone all’attenzione degli insegnanti alcuni aspetti:

Ne abbiamo parlato in Maturità 2019, colloquio: dura 50-60 minuti, contenuti buste non devono essere divulgati. Materiali Miur

Questo significa che gli studenti non devono conoscere in anticipo il contenuto nelle buste. I percorsi infatti non devono essere strutturati nel documento del 15 maggio, né devono essere messi a disposizione degli studenti qualche giorno prima della prova.

Gli studenti devono infatti confrontarsi con una situazione “non nota” ma strettamente attinente al percorso didattico svolto e deve essere cura della Commissione proporre un materiale di partenza (lo spunto per l’avvio del colloquio), che sia facilmente ricollegabile in un percorso multidisciplinare e di facile comprensione per lo studente.

N.B. I commissari delle discipline che non trovano un diretto
collegamento si inseriranno con argomenti diversi da loro scelti

Il colloquio dura 50-60 minuti

La durata «ottimale» del colloquio: non superficiale, ma non
troppo lungo (es. 50-60 min.)

Oltre alla relazione sul percorso di Alternanza Scuola Lavoro e alla trattazione delle tematiche di Cittadinanza e Costituzione, una parte deve essere riservata alla visione delle prove scritte.

Scarica il materiale della Commissione tecnica Miur in formato .pdf

Concorso scuola secondaria 2019, ci saranno posti per A046 Diritto?

da Orizzontescuola

di redazione

Concorso scuola secondaria 2019: numerosi docenti chiedono se saranno previsti posti per A046 Discipline giuridico – economiche.

2019/20: no mobilità e no immissioni in ruolo

Il dubbio è sorto in seguito al nostro articolo Classi di concorso in esubero nazionale: quali sono. No mobilità e no immissioni in ruolo

in cui abbiamo chiarito che sulle classi di concorso in esubero nazionale (tra cui, appunto, la A046 Discipline giuridico – economiche) non è stato possibile richiedere passaggio di ruolo e/o di cattedra entro il 5 aprile e di conseguenza non sarà possibile effettuare immissioni in ruolo (a meno di riassorbimento dell’esubero).

Questo perché l’articolo 8/10 CCNI 2019/22 afferma che i trasferimenti dei docenti in esubero nazionale  si effettua sul 100% delle disponibilità determinate al termine della mobilità provinciale (e non al 40% come per le altre classi di concorso).

Questa la situazione, ad oggi, per i docenti di ruolo e per i precari in attesa di essere immessi in ruolo nell’a.s. 2019/20.

Concorso scuola secondaria: tempistica

Questa la tempistica annunciata più volte dal Ministro per il concorso scuola secondaria

  • bando estate 2019
  • prove a partire dall’autunno
  • assunzioni da settembre 2020

La particolarità del concorso dovrebbe essere quella di bandire posti effettivamente disponibili nel periodo di validità della graduatoria (due anni).

Pertanto, per capire se il concorso potrà essere bandito per una classe di concorso e per una regione specifica, bisognerà guardare

  • numero di aspiranti ancora presenti in GaE e graduatorie concorso 2016 e 2018

Su queste basi il Ministero deciderà se nei due anni di vigenza della graduatoria i docenti vincitori del concorso potranno avere effettivamente opportunità di assunzione e sulla base di questo decidere se per quella regione e per quella classe di concorso bandire il concorso.

Potrà infatti verificarsi che alcune classi di concorso saranno bandite solo in alcune regioni e in altre no. Ognuno potrà scegliere in quale regione svolgere il concorso consapevole del vincolo di 5 anni post assunzione.

La situazione della classe di concorso A046 Discipline Giuridico – economiche è sì aggravata dall’esubero nazionale, ma ad oggi non ci sono proiezioni e monitoraggi che possano portare alla sua esclusione dal bando in  qualsiasi regione.

Concorso scuola secondaria: posti disponibili

I posti richiesti sono numerosi:  un totale di 48.536 posti, di cui 8.491 sul sostegno.

Corso di preparazione al concorso secondaria di I e II grado

Concorso scuola secondaria: requisiti

Per accedere ai posti comuni (le classi di concorso a cui dà accesso la propria laurea) bisogna essere in possesso di uno dei seguenti titoli:

  • abilitazione specifica sulla classe di concorso oppure
  • laurea (magistrale o a ciclo unico, oppure diploma di II livello dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso) e 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche. Controlla classi di concorso a cui puoi accedere con la tua laurea  oppure
  • abilitazione per altra classe di concorso o per altro grado di istruzione, fermo restando il possesso del titolo di accesso alla classe di concorso ai sensi della normativa vigente oppure
  • laurea più tre annualità di servizio (anche non continuativo, su posto comune o di sostegno, nel corso degli otto anni scolastici precedenti, entro il termine di presentazione delle istanze di partecipazione. Tale requisito è previsto soltanto in prima applicazione; gli aspiranti che ne sono in possesso potranno partecipare al concorso per una delle classi per le quali hanno un anno di servizio).

Per i posti di insegnante tecnico-pratico (ITP) il requisito richiesto sino al 2024/25 è:

  • il diploma di accesso alla classe della scuola secondaria superiore (tabella B del DPR 19/2016 modificato dal Decreto n. 259/2017).

Per i posti di sostegno: 

Requisiti già indicati per i posti comuni oppure quelli per i posti di ITP più il titolo di specializzazione su sostegno.

N.B. Tali indicazioni dovranno trovare l’equilibrio con i nuovi percorsi selettivi abilitanti per i precari con 36 mesi di servizio, di cui all’intesa del 23 aprile (ad es. la suddivisione dei posti).

Bussetti: tema storia scelto da 1,1% studenti, ora trasversale. Docenti organico potenziato per approfondirla

da Orizzontescuola

di redazione

Non sarebbe vero che l’abolizione della traccia di storia dall’esame di maturità sia uno svilimento dell’insegnamento della materia.

A ribadire l’importanza di questa materia è il ministro Bussetti, secondo il quale la storia è fondamentale.

Bussetti rassicura che la storia starà nel percorso di studi in un articolo pubblicato sul sito di AdnKronos. Come ha più volte assicurato, anche in occasione delle simulazioni degli esami di maturità, la traccia di storia è trasversale nelle altre proposte.

“Nessuno – ha ribadito il Ministro – ha intenzione di penalizzare una disciplina come la Storia che è fondamentale per la crescita di cittadini responsabili e consapevoli. E infatti sarà presente sia nel percorso di studi dei ragazzi, sia alla maturità. Anche più che in passato. Per quanto riguarda l’Esame di Stato, la storia sarà proposta, in modo trasversale, non in una sola tipologia di prova, come accadeva prima, ma in più tracce. Gli studenti – ha ricordato – hanno avuto modo di verificarlo grazie alle simulazioni nazionali della prima prova che abbiamo sottoposto loro nei mesi scorsi. I temi proposti in quell’occasione sono stati molto apprezzati dai maturandi che hanno potuto affrontare questioni storiche più che negli anni scorsi. Occorre poi ricordare una cosa – ha aggiunto – la prima prova dell’Esame è una prova di lingua italiana, il cui obiettivo è l’accertamento delle competenze linguistiche e argomentative. Non è una prova ‘disciplinare’. E la storia è una materia fondamentale. Come la filosofia, l’arte, l’economia, il diritto. Cosa direbbero gli studiosi di questi ambiti se dovessimo inserire storia e basta? La prova di italiano si articolerà in sette tracce e una sarà di certo di argomento storico. La storia è una disciplina trasversale. È fortemente correlata alla letteratura, al diritto, alla geografia. Gli studenti – ha evidenziato – la incontrano in maniera diversa anche in ore dedicate ad altre materie”.

Per quanto riguarda l’insegnamento della materia a cui dedicare maggiore attenzione, Bussetti ricorda che ciò è possibile anche grazie all’autonomia scolastica che lascia libertà di impostazione grazie al potenziamento dell’organico.

“Certamente – ha detto Bussetti – si può incrementare lo spazio dedicato a questa disciplina, nessuno vieta alle scuole, nell’ambito della loro autonomia, di adoperare i docenti dell’organico potenziato per approfondire questioni storiche. Gli addetti ai lavori – docenti, sindacalisti, studiosi – queste cose le sanno benissimo. Non ridurrei tutto a un ‘conteggio’ di tempi, non è così che riconosciamo il valore della Storia nella formazione dei nostri giovani”.

Poi, ripercorrendo l’origine di tale provvedimento, Bussetti ha sottolineato che si tratta di una riforma voluta da chi lo ha preceduto. “Devo dire in tutta sincerità – ha affermato il Ministro – che sono stupito dalle polemiche suscitate da questa nuova maturità. Un esame che, mi preme ricordarlo, è stato riformato dal governo Gentiloni sostenuto dal Pd. Noi – è stata la sua affermazione – oggi infatti stiamo attuando una legge del 2017. E abbiamo cercato in questi mesi di farlo al meglio, con importanti correttivi, accompagnando le scuole a questo traguardo. E soprattutto nell’interesse degli studenti. Mi pare – evidenzia – che le contestazioni di questi giorni siano quantomeno tardive. Parliamo di una norma di due anni fa. Viene da chiedersi perché tanto clamore solo adesso? Perché quello che andava bene ieri oggi non va più? Anche nel merito è difficile comprendere questa ‘mobilitazione’”.

Bussetti ha messo anche in evidenza il fatto che in passato la traccia storica sia stata scelta solo dall’1,1% dei maturandi e “questo dato bassissimo dovrebbe far riflettere tutti, in particolare gli storici, a partire dai tanti che hanno firmato l’appello. E penso anche che dovremmo chiederci cosa serve veramente ai ragazzi: un’etichetta su una prova o un ventaglio di proposte che possano dare loro la possibilità di misurarsi sulle conoscenze – anche storiche – apprese e maturate nel corso degli studi? Credo che dovremmo guardare più alla sostanza che alla forma. E al massimo – ha chiosato – interrogarci sul perché negli anni passati il tema storico sia stato scelto da così pochi giovani. È questo che gli studiosi dovrebbero chiedersi e aiutarci a capire. L’obiettivo formativo ed educativo dei nostri ragazzi è comune. Dovrebbe vederci insieme, non su fronti contrapposti”.