Formazione delle classi, loro assegnazione ai docenti, funzioni strumentali: problemi, e contrasti, ricorrenti.
Francesco G. Nuzzaci
1. Nell’abbondante manualistica messa a
disposizione dei candidati in occasione delle imminenti prove orali nel
concorso a dirigente scolastico si riscontrano diverse letture dei tre istituti
evidenziati nel titolo – ma anche di altri, come i collaboratori del dirigente
scolastico – a testimonianza dell’irrisolto intreccio tra norme pubblicistiche,
particolarmente figuranti nel Testo unico della scuola (D. Lgs. 297/94) e anche
nella legge 107/15, e norme pattizie susseguenti alla contrattualizzazione del
pubblico impiego, di cui al D. Lgs. 165/01 e successive modifiche e integrazioni,
fondamentalmente ad opera della novella recata dal D. Lgs. 150/09 (c.d. Riforma
Brunetta), con le ulteriori correzioni dei decreti legislativi nn. 74 e 75 del
2017 (c.d. Riforma Madia).
La già risalente disciplina del predetto D. Lgs. 297/94,
originariamente contenuta nei c.d. decreti
delegati del 1974 – specificatamente nel D.P.R. 416, di riordino e
istituzione degli organi collegiali della scuola –, avrebbe necessitato
indubbiamente una sua profonda rivisitazione per allinearla al nuovo assetto
autonomistico delle istituzioni scolastiche, statuito dalla legge 59/97 (legge
Bassanini), seguita dai decreti di attuazione, in contestualità del conferimento
della qualifica dirigenziale ai già presidi, direttori didattici e figure affini,
ed afferenti nuove prerogative: l’esclusiva loro responsabilità degli atti di
micro-organizzazione degli uffici e delle misure relative alla gestione del
rapporto di lavoro, con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatti salvi i vincoli di legge.
Sugli uni – gli atti di organizzazione degli uffici – e sulle
altre – le misure circa la gestione del
rapporto di lavoro – vi è il solo
generale obbligo di informativa ai sindacati, ovvero di corrispondere
alle ulteriori forme di partecipazione se
previste dai contratti, poi nei medesimi compendiate nell’esame congiunto (come nel CCNL 2018 del comparto Istruzione e
Ricerca).
Essendo sin qui mancato un organico intervento di
armonizzazione del legislatore, la compatibilità delle due fonti è, gioco
forza, un problema di interpretazione,
cui ha pure provato a fornire supporto – certamente, non risolutivo – la giurisprudenza, a partire dal Consiglio di
Stato (Sez. II, n. 1021/00, richiamante il proprio
precedente, n. 1603/99 e la pronuncia dell’Adunanza generale n. 9/99); secondo
cui – nella tematica qui in esame – sono attratte alle prerogative della nuova
figura dirigenziale tutte le pregresse disposizioni attributive di potere agli
organi collegiali, e ad altri soggetti istituzionali, ogniqualvolta esse risultino
confliggenti con gli autonomi poteri di direzione, coordinamento, organizzazione
del dirigente scolastico.
Di conseguenza, devono – o
dovrebbero – ritenersi abrogate per implicito tutte le preesistenti disposizioni
di legge, regolamentari e contrattuali attributive di competenze al Collegio
dei docenti che esulino dalla progettazione e attuazione dei processi di
insegnamento-apprendimento (art. 16, comma 3, DPR 275/99), dalla cura della
programmazione dell’azione educativa e consequenziale valutazione della sua
efficacia in rapporto agli obiettivi programmati (art. 7, comma 2, D. Lgs.
297/94), ovvero dall’elaborazione del POF-PTOF per gli aspetti
pedagogico-didattici (comma 14, L. 107/15 e art. 26, comma 3, CCNL Scuola).
E l’abrogazione implicita
vale – dovrebbe valere – per tutte quelle attribuzioni tuttora formalmente
intestate al Consiglio d’istituto (cfr. art. 10, D. Lgs. 297/94 e art. 45, D.I.
129/18, nuovo regolamento di contabilità delle istituzioni scolastiche) non
sussumibili nei (soli) poteri di indirizzo politico: approvazione del POT-PTOF
e degli inerenti strumenti finanziari di attuazione e controllo (il programma
annuale e il conto consuntivo).
Si è volutamente impiegata
la forma condizionale perché – nella perdurante assenza di un intervento
legislativo – la compatibilità delle semisecolari disposizioni, datate al 1974,
con i sopravvenuti poteri dirigenziali resta comunque e sempre un problema di
interpretazione, in quanto tale controvertibile
e dunque intrinsecamente precaria.
Sicché, specialmente nelle
classiche – e sono tante – situazioni di confine, dovrà adottarsi un canone ermeneutico
pacificamente acquisito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, qual è quello
della conservazione dell’ordinamento
giuridico; per cui, prima di espungervi disposizioni ravvisate antinomiche,
occorre dimostrare – con un ragionamento logico-argomentativo ancorato a
specifici riferimenti normativi e infine ai principi generali del diritto – che
non vi è alcun modo di farle comunque coesistere.
2. Se si assume la validità di questa premessa, può senz’altro convenirsi de plano sull’abrogazione implicita dell’articolo
7, comma 2, lettera h del Testo unico
della scuola, perché non può in alcun modo essere compatibile con la
sopravvenuta regolazione della materia da parte dell’articolo 25 del D. Lgs.
165/01, citato, peraltro da intendersi qui assorbito nella più ampia
fattispecie introdotta dall’articolo unico, comma 83 della parimenti menzionata
legge 107/15.
Trattasi, rispettivamente,
della prerogativa del Collegio dei docenti di affiancare al direttore didattico
o al preside, figure direttive appartenenti al personale della scuola, uno o più
collaboratori tra i quali egli, primus
inter pares, sceglie colui che lo sostituisce in toto in caso di sua assenza o impedimento; e del potere del
dirigente scolastico di individuare, tramite apposita delega con oggetto e
tempo definiti, nel limite del 10% dell’organico dell’autonomia, dei docenti
che lo coadiuvano in
attività di supporto organizzativo e didattico dell’istituzione scolastica,
pertanto a lui legati da un rapporto fiduciario e tale da non tollerare
l’interposizione di altri soggetti.
3. Per quanto invece attiene alla formazione delle classi e, ancor più, all’assegnazione
delle stesse ai docenti, è ben vero che esse appaiono riconducibili alla categoria privatistica delle
determinazioni per l’organizzazione degli uffici e gestione dei rapporti di
lavoro assunte dagli organi preposti alla gestione con le capacità e i poteri
del privato datore di lavoro; e che, seppure il provvedimento del dirigente scolastico sia un atto soggettivamente
amministrativo, la sua cognizione del giudice ordinario non subisce alcuna
limitazione (Tribunale diAgrigento,
sentenza 2778/04). Ma non può
condividersi la conseguenza che questa loro riconfigurazione abbia fatto venir
meno le competenze del Consiglio d’istituto e del Collegio dei docenti che si
leggono nel Testo unico della scuola (rispettivamente: art. 10, comma 4 e art.
7, comma 2, lett. b del D. Lgs.
297/94).
Non la si può condividere
perché dai relativi criteri generali e dalle relative proposte il dirigente
scolastico potrà discostarsene nella sua determina (che, se non si ritiene
obbligatoria la motivazione propria degli atti oggettivamente amministrativi, è
pur sempre necessario, o almeno opportuno, che in essa risulti l’iter
logico-argomentativo a sostegno della decisione finale, che il giudice
eventualmente adito dovrà apprezzare).
Non la si può condividere
poiché non è intaccato il potere decisorio del dirigente scolastico. Quindi si
possono e si devono conservare le competenze dei due organi collegiali; che –
l’uno soggetto esponenziale della comunità scolastica, l’altro soggetto
tecnico-professionale – sono chiamati a prestare ausilio a colui che dovrà
assumere la decisione finale, peraltro avendo partecipato pleno iure all’inerente esercizio e, per di più, in posizione
qualificata: membro di diritto con il potere di proposta ovvero presidente
dell’organo, con le più incisive prerogative connesse alla funzione, e ad ogni modo
essendogli preservato il doveroso esercizio della decisione finale, della quale
si assume l’esclusiva responsabilità. E a tacer del suo obbligo di rispetto delle competenze degli organi collegiali (art. 25 del D. Lgs.
165/01, ripreso dall’articolo unico, comma 78 della legge 107/15).
Pertanto la procedura che a
nostro giudizio dovrebbe seguirsi può essere così sintetizzata:
a) ad inizio di anno
scolastico il dirigente predispone una bozza sulla formazione delle classi ed
assegnazione dei relativi docenti, tenendo conto dei preesistenti criteri
deliberati dal Consiglio d’istituto, se egli non ritenga che vadano rivisti;
b) la bozza è oggetto
d’informativa alla RSU d’istituto unitamente ai dirigenti territoriali delle
sigle sindacali firmatarie del CCNL, cui può seguire la richiesta di confronto
e il cui esito può comportare la sua correzione;
c) modificata o meno, la
bozza è portata in Collegio dei docenti per l’acquisizione di eventuali
proposte;
d) il dirigente scolastico
emana quindi la determina che rende ragione dell’iter seguito nella sua
decisione finale e la rende pubblica con le modalità, ai sensi e per gli
effetti dell’articolo 14, comma 7, D.P.R. 275/99 (Regolamento dell’autonomia).
4. Più complesso è il caso delle funzioni strumentali al
piano dell’offerta formativa, compiutamente ed esclusivamente regolate dal
comma 2, art. 33 CCNL Scuola del 29.11.07, tuttora vigente in forza del richiamo
di cui all’articolo 1, comma 10 del nuovo CCNL del 19.04.18.
Esse sono identificate con
delibera del Collegio dei docenti in coerenza con il predetto piano e che ne
definisce criteri di attribuzione, numero e destinatari.
Trattasi di un tipico
provvedimento amministrativo di un organo amministrativo, che il dirigente scolastico
deve eseguire se non vi ravvisa, indicandoli e motivandoli, i canonici vizi di
legittimità (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge), in ordine
al quale l’atto con cui vi dà seguito ha natura dichiarativa.
Sicché la sua qualifica di atto
di gestione non dovrebbe sussistere, con il corollario che è sottratto al
sistema delle relazioni sindacali d’istituto se non per la sola definizione dei
compensi e qui in disparte ogni considerazione in ordine alla sua impugnabilità
davanti al giudice ordinario o – come più pare – davanti al giudice
amministrativo.
Al riguardo una certa
dottrina (L. Paolucci, Il diritto per il
dirigente scolastico, 2012, pp. 185-186) insiste nel mantenimento della
competenza del Collegio dei docenti, perché le aree d’intervento delle Funzioni
strumentali (tradizionalmente: gestione del POF-PTOF, sostegno al lavoro dei
docenti, interventi e servizi per gli studenti, realizzazione di progetti
formativi d’intesa con enti ed istituzioni esterni alla scuola) concernono prestazioni professionali che, pur
non avendo per oggetto l’insegnamento, sono sempre riferite alla dimensione
didattico-educativa-pedagogica, tipica della funzione docente, comunque
prevalente sugli aspetti organizzativo-gestori, che devono pertanto considerarsi
marginali (cfr. L. PAOLUCCI, Il diritto
per il dirigente scolastico, cit., 2012, pp. 185-186).
Il che potrebbe sortire
invero effetti paradossali qualora il Collegio dei docenti, in assoluta
libertà, decidesse di spalmare democraticamente
su tutti i propri componenti queste funzioni strumentali alla definizione e
attuazione della progettualità dell’istituzione scolastica o, non meno democraticamente, di non istituirle
affatto!
Tuttavia, se pur il
dirigente scolastico è privo, in questa evenienza, di strumenti di contrasto
giuridicamente cogenti né tanto meno potendo sostituirsi al Collegio – e se
proprio dovesse riuscirgli complicato l’esercizio delle sue competenze di management e di leadership –, può però ben surrogare, in parte o in tutto, le
carenti – o mancate – funzioni strumentali con i docenti coadiuvanti sino al 10% dell’organico dell’autonomia (ante) avvalendosi del sistema della
delega, qui dovendosi sottolineare che quest’ultima può essere conferita non
solo per le funzioni organizzative e
amministrative, ma anche per le attività di supporto didattico.
Mi piace:
Mi piace Caricamento...