Il Pollo, Trilussa e i Test INVALSI

Il Pollo, Trilussa e i Test INVALSI

di Ivan Cervesato

Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due.
(Trilussa, La statistica, v. 9-14)

Ogni anno, la solita storia: escono i dati dei test Invalsi e subito tutti a rilasciare dichiarazioni preoccupate: ministri, organi di stampa, politici di governo e di opposizione. Per un settore strategico e delicato come l’Istruzione, sempre al centro della preziosa opera riformatrice di ogni Governo, la preoccupazione è rigorosamente bipartisan. [1][2][3][4][5]
Il motivo? Ancora una volta, l’Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi) ha certificato che la popolazione studentesca è fatta per un terzo da irredimibili asini e analfabeti (sottinteso: la scuola, così come è, proprio non va). Fin qui, le notizie di stampa.

Mettiamola così. Immaginate che vi dicano: abbiamo somministrato un test Invalsi a 90 Premi Nobel. Di questi, 30 sono risultati analfabeti.
Forse il primo pensiero non sarebbe: all’Accademia di Svezia siedono incompetenti arruffoni, gente che regala il Nobel agli amici degli amici, a parenti vari, a portaborse di nessuno spessore ma di provata lealtà, a famigli di ogni ordine e grado. Non pensereste, sulle prime, che l’Accademia sia “da riformare”, ma magari vi verrebbe il dubbio che qualcosa, nei famosi test, non vada. Che da qualche parte debba essersi annidato un qualche errore.
La questione si fa dunque interessante: come viene scientificamente certificato l’analfabetismo di quei poveri 30 Nobel?
No, tranquilli: qui non vogliamo certo entrare in dettagli tecnici di tipo matematico-statistico (per i pochi amanti del genere, si tratta del modello di Rasch, la cui validità è da tempo autorevolmente contestata in sede internazionale: chi vuole, ha ampia facoltà di informarsi nel dettaglio [6][7]).

Invece, per far comprendere a tutti nel modo più semplice possibile il meccanismo, ci limitiamo ad una descrizione semplificata ma che conserva – ci pare – l’idea di fondo. All’incirca, dunque, funziona così: i nostri Premi Nobel affrontano il loro test Invalsi e a ciascuno è attribuito un certo punteggio. Sulla base degli esiti, i 90 sono messi in una graduatoria: quelli che occupano gli ultimi 30 posti (un terzo del totale), proprio perché nel “terzo in basso” della classifica, sono per definizione analfabeti. Semplice no?
E se il test fosse proposto a un campione di 90 ipotetici poveri ragazzini di una favela brasiliana, che non hanno mai frequentato un giorno di scuola? Anche qui, 30 analfabeti ma… c’è anche una buona notizia: 60 promossi, anche se non sanno né leggere né scrivere. La statistica fa miracoli, come ben sapeva il grande Trilussa.

L’Invalsi è uno strumento che consente di avere una foto articolata e dettagliata del nostro lavoro, che consente di analizzare eccellenze e criticità del sistema per realizzare azioni puntuali ed efficaci (…) La valorizzazione del sistema nazionale di valutazione, di studenti, scuole, docenti, dirigenti scolastici, è una delle priorità strategiche che ho individuato nell’Atto di Indirizzo politico per il 2019′′ [1] Così il (preoccupato) ministro dell’Istruzione.

Giusto, valutiamo tutto e tutti con lo stesso metodo: scuole, studenti, docenti, dirigenti scolastici (e perché non il personale amministrativo, tecnico e ausiliario? e perché non il personale del ministero, dirigenti apicali inclusi? e perché non le famiglie – genitori, nonni, zii? chi dubita che la famiglia giochi un ruolo decisivo per gli esiti scolastici dei giovani?)
Ma, signor ministro, si rassegni: se per fare “foto articolate e dettagliate” si adotta la celebrata metodologia Invalsi (la stessa usata d’altronde dalle mitologiche procedure PISA-OCSE) non se ne esce, ce lo garantisce la matematica (che non è questione politica): un terzo delle scuole saranno sempre da bocciare. Un terzo degli studenti analfabeti. Un terzo dei docenti paurosamente ignoranti. Un terzo dei collaboratori scolastici vergognosamente incapaci di provvedere a un minimo di pulizia. Un terzo dei dirigenti scolastici tragicamente incompetenti.
E se applicassimo tale scientifica metodologia alla valutazione di 30 ministri e sottosegretari di un qualsiasi ipotetico Governo? Incredibile ma vero: troveremmo per forza 10 analfabeti.

“Ma allora”, dirà qualcuno tra i più avvertiti con un lampo di soddisfazione negli occhi, “ma allora, per quanti sforzi facciamo, con questo sistema un terzo di analfabeti non ce lo leveremo mai di torno!”
Esatto.
Chiamiamola, con poca originalità, la spietata “legge del terzo incomodo”.

Oltre ad alcuni innegabili segnali di preoccupazione, i risultati contengono anche alcune tendenze incoraggianti e spunti di immediato intervento migliorativo” [1] ha aggiunto il ministro commentando le risultanze dei test. Le “tendenze incoraggianti” saranno quei due terzi benignamente catalogati da Invalsi come non-analfabeti? Se così fosse, ci sarebbe sì da preoccuparsi.

Eppure, non mancano gli sforzi: il titolare del dicastero di viale Trastevere rassicura infatti circa l’attuazione di “misure importanti per far fronte al divario territoriale e continueremo in tal senso: abbiamo stanziato 50 milioni per il contrasto alla povertà educativa, oltre 35 milioni nel Piano per la scuola digitale, 100 milioni per nuovi Laboratori all’avanguardia e per biblioteche e 20 milioni per la formazione dei docenti; infine 4 milioni per scuole situate in aree a rischio per contrastare la dispersione”.

Lodevole: 209 milioni di euro non sono bruscolini. Però, anche mettendoci 209 miliardi, per Invalsi un terzo dei valutati resterà sempre crocefisso al proprio immedicabile analfabetismo, alla propria irredimibile ignoranza. Tra un anno, leggeremo le stesse dichiarazioni, naturalmente preoccupate. È un incubo! Maledetta matematica e chi l’ha inventata.
A prima vista, la situazione sembrerebbe tutta da ridere: una barzelletta vera e propria.
E invece, a ben pensarci, è tragica, perché proprio su tali dati (presentati come esiti “scientifici e oggettivi” di inconfutabili “misurazioni”: l’abusata metafora del “termometro”…) la politica di ogni collocazione – spesso con opinione pubblica al seguito – giudica sbrigativamente il complesso sistema dell’Istruzione. Trincia giudizi sommari. Avalla e licenzia riforme (Berlinguer, Moratti, Gelmini-Tremonti, Renzi, ecc.) spacciate come necessarie (magari con la benedizione di soggetti che in generale hanno poco a che fare con la pedagogia, ma molto con l’economia e la finanza: Confindustria, BCE, OCSE, FMI, UE…), generalmente volte a liberalizzare un sistema descritto come perennemente ingessato, ad aprire al privato (per definizione più efficiente) e al libero mercato (per definizione salvifico), a introdurre la concorrenza (per definizione sempre “sana”. Mai una volta che le capiti di ammalarsi, alla concorrenza. Beata lei).

C’è da scommetterci: prossimamente sentiremo ripetere all’infinito che, per recuperare quel famoso “terzo di analfabeti” (ignorantelli sì, ma in fondo tanto preziosi: non si fanno forse per loro, le “riforme”?), la via regia è già bell’e pronta, la soluzione è a portata di mano: se ieri tutti a belare che il toccasana era l’autonomia scolastica (quanti problemi ha infatti risolto!), quello di oggi si chiama regionalizzazione dell’Istruzione. Come diceva la nonna: “povera Italia”. E, fattasi silenziosa, si allontanava scuotendo il capo.

[1] https://www.tecnicadellascuola.it/prove-invalsi-2019-studenti-ignoranti-bussetti-preoccupato-ora- valutiamo-anche-docenti-e-presidi

[2] http://www.oggiscuola.com/web/2019/07/11/simona-malpezzi-pd-i-dati-dei-test-invalsi-sono- preoccupanti-bussetti-smetta-di-nascondere-il-problema/

[3] https://www.repubblica.it/scuola/2019/05/03/news/istat_-225387947/

[4] https://www.corriere.it/scuola/secondaria/cards/studente-tre-esce-medie-senza-sapere-leggere-
scrivere-far-conto/terza-media-solo-due-studenti-tre-sono-sufficienti_principale.shtml

[5] http://www.ilgiornale.it/news/cronache/istat-alunno-terza-media-su-3-esce-scuola-analfabeta- 1688549.html

[6] https://www.roars.it/online/la-valutazione-della-scuola-e-luso-distorto-del-test-invalsi/ [7] https://www.roars.it/online/fondamentalmente-errati-i-dubbi-della-bbc-sui-test-ocse-pisa/

Scuola digitale: arrivano le équipe territoriali

Al via la selezione di 120 docenti esperti in materia di scuola digitale. Una ‘squadra’ di insegnanti che dovrà occuparsi – costituendo un punto di riferimento per le scuole di tutto il territorio – di promuovere la diffusione di nuove metodologie didattiche, la creazione di ambienti di apprendimento innovativi nelle scuole, la formazione degli insegnanti, la rilevazione delle migliori pratiche già presenti nel Paese.

Il bando è stato pubblicato oggi sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Le domande dovranno essere presentate dagli insegnanti interessati dal 17 al 31 luglio prossimi. La selezione sarà completata entro il mese di settembre, a partire dal quale i docenti scelti saranno esonerati per due anni dal loro servizio ed entreranno a far parte di apposite équipe territoriali.

“I docenti che saranno selezionati – spiega il Ministro Marco Bussetti – saranno punto di riferimento nei territori sul tema del digitale. Saranno esperti a disposizione delle scuole e degli altri insegnanti. Grazie all’esonero potranno dedicarsi infatti a tempo pieno a questa attività formando una vera e propria task force che potrà contribuire a rilanciare e portare avanti le azioni sul tema del digitale. Punteremo in particolare sulla formazione, che è fondamentale, dei docenti e sulla progettazione di attività per il potenziamento delle competenze degli studenti”.

I candidati dovranno dimostrare un’adeguata conoscenza delle metodologie didattiche innovative e dei processi di digitalizzazione delle istituzioni scolastiche, nell’ideazione e realizzazione di contenuti digitali per la didattica, nella progettazione e realizzazione di ambienti digitali per la didattica, nella formazione di docenti e studenti alle competenze digitali.

I docenti delle équipe formative territoriali aiuteranno le scuole nello sviluppo e nella diffusione di soluzioni per la creazione di ambienti digitali con metodologie innovative e sostenibili. Promuoveranno l’innovazione metodologico-didattica, lo sviluppo di progetti di didattica digitale, cittadinanza digitale, economia digitale, educazione ai media. Supporteranno la progettazione e realizzazione di percorsi formativi laboratoriali per docentisull’innovazione didattica e digitale. Documenteranno le sperimentazioni in atto nelle istituzioni scolastiche, nel campo delle metodologie didattiche innovative.

http://www.istruzione.it/scuola_digitale/index.shtml

Edilizia scolastica

Scuola, pubblicata graduatoria per la progettazione di interventi sull’edilizia. Online anche il bando da 120 milioni per le aree colpite dal sisma

(Giovedì, 11 luglio 2019) Nuove risorse per l’edilizia scolastica e stanziamenti ad hoc per le aree terremotate. È disponibile da oggi, infatti, sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, la graduatoria dei 323 Enti locali ammessi al finanziamento per la progettazione di interventi di edilizia scolastica. Una delle novità previste dal ‘decreto Genova’, che ha stanziato fondi specifici per la progettazione, da sempre richiesti dai territori. Pubblicato anche l’Avviso per destinare 120 milioni di euro a Comuni e Province nelle Regioni del Centro Italia colpite dal sisma del 2016 e del 2017.

“Altre due promesse mantenute sul fronte dell’edilizia scolastica – dichiara il Ministro Marco Bussetti -. Con la pubblicazione delle graduatorie diamo una risposta concreta ai primi 323 Enti locali che riceveranno subito un contributo per la progettazione finalizzata alla messa in sicurezza delle scuole del proprio territorio. Le tante richieste pervenute dimostrano che finalmente ci stiamo muovendo nella giusta direzione per venire incontro alle esigenze di risorse specifiche più volte manifestate, anche per le attività di progettazione, dove non si era mai investito prima”.

Inoltre, spiega il Ministro, la pubblicazione dell’Avviso per l’assegnazione dei 120 milioni nelle quattro Regioni colpite dal sisma del 2016 e del 2017 “è un ulteriore segnale di impegno concreto verso comunità in cui le scuole costituiscono il vero presidio sul territorio. La loro ricostruzione è tra le priorità per una vera rinascita delle aree più fragili del nostro Paese. Entrambe le azioni dimostrano che sull’edilizia stiamo continuando ad agire con tempestività e con la giusta determinazione per garantire la sicurezza dei nostri studenti e di tutto il personale scolastico”, ha concluso il Ministro.

Gli Enti locali beneficiari del finanziamento della progettazione potranno già chiedere un’anticipazione pari fino al 20% delle risorse. Mentre gli Enti locali che intendono partecipare all’Avviso per le zone interessate dal sisma avranno tempo fino al 10 settembre 2019 per candidarsi e chiedere contributi per i lavori.

I criteri di valutazione delle candidature sono essenzialmente la vetustà degli edifici scolastici, la sismicità della zona in cui sono situati, la mancanza dell’agibilità, eventuali provvedimenti oppure ordinanze di chiusura degli edifici stessi ed eventuali quote di cofinanziamento.

I link alla graduatoria e al bando:

http://www.istruzione.it/edilizia_scolastica/index.shtml

http://www.istruzione.it/edilizia_scolastica/fin-progettazione-interventi-sicurezza.shtml

Un giorno in Senato – XIV edizione

Con la proclamazione delle scuole vincitrici si è conclusa la XIV edizione del concorso “Un giorno in Senato”. Progetto che nasce con lo scopo di far cogliere ai giovani l’importanza delle leggi e del confronto democratico. Quest’anno sono stati 10 i progetti vincitori e 3 quelli meritevoli di menzione speciale proposti da altrettante scuole provenienti da ogni parte d’Italia, che nei disegni di legge presentati hanno sviluppato e approfondito temi più diversi. Gli studenti e i docenti delle scuole selezionate saranno invitati a partecipare a giornate di studio presso il Senato della Repubblica nel corso del prossimo anno scolastico.

Disabilità: Ministro nuovo per sfide note

Disabilità: Ministro nuovo per sfide note

La FISH augura un buon lavoro al neo-ministro Alessandra Locatelli che da ieri ha ricevuto il testimone da Lorenzo Fontana al vertice del dicastero per la disabilità e la famiglia.

Gli impegni, le istanze, le emergenze rimangono le medesime, le stesse sulle quali la Federazione ha attirato l’attenzione negli ultimi anni. Su alcune di queste si è avviato un percorso che ci si augura non verrà interrotto, su altre è necessario riprendere le fila con la favorevole situazione di riavvio dell’Osservatorio nazionale sulla condizione di vita delle persone con disabilità. “È il luogo privilegiato della elaborazione e del confronto fra attori che hanno molto da dire e da proporre sulla disabilità: associazioni, sindacati, enti territoriali, ministeri e altri possono contribuire alla costruzione condivisa delle politiche future. Invitiamo il Ministro a praticare quello spazio, rilanciato anche grazie all’impegno del suo predecessore, a raccoglierne i suggerimenti, a chiederne il supporto. Siamo certi che non mancheranno.”, commenta Vincenzo Falabella, presidente della FISH.

Riteniamo che quel Ministero possa essere davvero un punto di riferimento, di raccordo e di stimolo per le politiche dei diversi dicasteri – prosegue Falabella – e quindi lo strumento per rendere coerenti e rapidi quegli interventi per l’inclusione delle persone con disabilità nella società, nel lavoro, nella scuola e che garantiscano una reale partecipazione in condizioni di pari opportunità.”

In effetti questi temi investono uno spettro di questioni particolarmente ampio: dalla revisione dei criteri per il riconoscimento della disabilità, alla possibilità di realizzare progetti personali di vita indipendente, all’emergenza dell’esclusione lavorativa, passando per il supporto ai caregiver familiari, l’accessibilità, la mobilità, l’abilitazione e la riabilitazione. Vi si aggiunga la volontà del Governo alla definizione di quel Codice sulla disabilità che rappresenta un impegno ambizioso.

Sono sfide imponenti per chiunque – conclude Falabella – ed è impensabile poterle raccogliere senza contare sulla ampia collaborazione e sul responsabile confronto. Lorenzo Fontana, con cui abbiamo avuto positivi confronti e che ringraziamo, l’aveva compreso da subito. Siamo certi che ciò è già chiaro anche ad Alessandra Locatelli alla quale offriamo la nostra doverosa ma anche convinta disponibilità al confronto sul ‘fare’.”

Italia sempre più spaccata in due: aumenta il divario Nord-Sud in italiano, inglese e matematica

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

Ci sono almeno tre campanelli d’allarme sui livelli di apprendimento degli studenti italiani di cui è bene tener conto alla vigilia del percorso di regionalizzazione della scuola italiana che vede impegnato il governo Conte. A suonarli, peraltro contemporaneamente, è il rapporto Invalsi 2019, che è stato presentato ieri alla Camera, alla presenza del ministro (leghista) dell’Istruzione, Marco Bussetti. E che per la prima volta misura le competenze di uscita in italiano, matematica e inglese degli studenti italiani visto che è stato esteso alla quinta superiore.

Il primo allarme a risuonare è che l’Italia tra i banchi è già, e pure profondamente, spaccata in due. Con gli studenti meridionali che, mediamente, arrancano e in larga parte non riescono a raggiungere i livelli di competenza richiesti nelle due materie base, italiano e matematica. A differenza dei “colleghi” del Nord, che vanno meglio.

Il secondo motivo di preoccupazione deriva dal fatto che le insufficienze iniziano dalla seconda primaria e nel corso dei cicli scolastici successivi, vale a dire medie e superiori, invece che ridursi, aumentano.

Il terzo fattore di rischio, conseguenziale ai primi due, è che si arriva alla maturità con competenze spesso inadeguate: poco più di uno studente su tre (il 34,6%) infatti non raggiunge i livelli richiesti in italiano. Si sale al 41,7% in matematica. E la situazione è ancora più grave in inglese. Ebbene, nella prova di lettura (reading) il 51,8% dei ragazzi ha raggiunto il livello B2(il traguardo previsto dalle indicazioni ministeriali alla fine della scuola secondaria di secondo grado in linea con le altre esperienze internazionali). Questo significa, all’opposto, che quasi uno studente su due non ci riesce. Se passiamo alla prova di ascolto (listening) la fotografia è ancora più scura: appena il 35% degli studenti comprende ciò che ascolta.

Sebbene i test Invalsi e la maturità siano stati tenuti ben distanti dal ministro Bussetti che ha “congelato” per un anno la scelta del governo precedente di considerarli requisito d’ammissione all’esame di Stato, una domanda è d’obbligo: come si conciliano questi numeri con quel 99% circa di promossi agli esami di Stato? E qui ci viene in supporto Giorgio Allulli, esperto di sistemi di valutazione: «È vero che la valutazione condotta dall’Invalsi è cosa diversa dalla valutazione condotta dai docenti, operazione certamente più delicata e complessa ma è anche vero – dice – che in questo modo si concede a molti studenti una certificazione finale di raggiungimento di determinati livelli di apprendimento che invece non sono stati raggiunti, e questo a tutto scapito di quegli stessi studenti che ricevono una certificazione che non ha alcun valore».

Avere a che fare con un divario territoriale Nord-Sud sempre più profondo complica il quadro. Alle medie, i ragazzi di terza, che in Italiano mostrano un difficile apprendimento e non raggiungono un livello adeguato di traguardi previsti sono il 30% al Nord Ovest, il 28% nel Nord Est, al Centro il 32%, al Sud e sulle Isole il 46 per cento. In matematica, se possibile, lo scenario peggiora e appare ulteriormente differenziato fra le diverse aree del Paese: la percentuale di alunni che non arriva ad un livello adeguato è del 32% nel Nord Ovest, del 28% nel Nord Est, del 35% nel Centro, del 48% nel Sud e del 56% nel Sud e Isole. In generale in alcune regioni del Mezzogiorno (in particolare Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna) punte del 55-50% di ragazzi di terza media presenta livelli molto bassi soprattutto in matematica e inglese, ben al di sotto dei traguardi stabiliti dalle Indicazioni nazionali.

Lo stesso Bussetti, nel commentare i numeri, ha parlato di «innegabili segnali di preoccupazione». Sforzandosi però di vedere il bicchiere mezzo pieno: «I risultati – ha aggiunto – contengono anche alcune tendenze incoraggianti e spunti di immediato intervento migliorativo». In che direzione lo vedremo nei prossimi mesi quando si rimetterà mano al sistema di valutazione e si concluderà la trattativa sull’autonomia differenziata e sulla regionalizzazione dell’istruzione. Una partita che alla luce dei risultati di ieri si fa ancora più delicata.

Sui risultati della lingua straniera pesano formazione e didattica

da Il Sole 24 Ore

di Laura Virli

La padronanza nell’utilizzo dell’Inglese, la lingua franca della cultura, del lavoro globalizzato e di internet, è sempre più importante. Chi non la possiede rischia di essere tagliato fuori da moltissime opportunità. Per tale motivo, dal 2018, e per la prima volta nel 2019 anche in quinta superiore, le prove Invalsi misurano le competenze acquisite anche in questa materia, in tutti i cicli di studio.

E cosa emerge nel rapporto 2019 appena pubblicato dall’Invalsi? Lanciato l’allarme rosso.
In tutte le parti d’Italia il livello di Inglese è preoccupante.
Quali le cause? Chiaramente sono molteplici i fattori determinanti.
Secondo l’Invalsi emergono le seguenti considerazioni generali: innanzitutto, le competenze nella lingua Inglese degli studenti si discostano sempre di più dagli standard di riferimento nel corso dell’itinerario scolastico, in misura maggiore nella comprensione della lingua parlata rispetto alla comprensione della lingua scritta, il che sembrerebbe denotare una carenza nell’insegnamento, le ragioni della quale andrebbero meglio approfondite.
In effetti, appare chiaro che uno dei punti deboli è proprio la preparazione degli insegnanti della scuola primaria, dove l’Inglese viene insegnato da maestre di matematica o di italiano, “costrette” anni fa, quando fu introdotto lo studio della lingua comunitaria, a frequentare un corso abilitante di poche ore on line (ridotto nel numero di ore per mancanza di fondi). Il risultato è che, tranne rari casi, le stesse maestre hanno scarsa competenza in lingua. Le lingue straniere, cosi come l’attività motoria, non possono essere insegnate da docenti di altre materie che hanno seguito dei banali corsi.
Purtroppo nella scuola primaria, i bambini imparano al massimo qualche canzoncina in inglese e alle medie studiano solo la grammatica, e, quasi mai si esercitano conversando in lingua inglese; cosicché i ragazzi non ne comprendono l’utilità, si disamorano o si lasciano intimorire. Poi c’è un problema di didattica. Spesso la lingua inglese viene insegnata utilizzando metodologie poco efficaci. Il problema però esiste, ed è più serio, alle scuole medie. Eppure le Indicazioni nazionali per il curricolo sono ben scritte, ma spesso ignorate. Non c’è possibilità di crescita se la didattica è meramente trasmissiva e con metodiche che non approfittano dei numerosissimi strumenti digitali che oggi si possono reperire in “rete”, spesso “open source”.
Inoltre, è indubbia la diversità totale della lingua inglese, come grammatica e sintassi, rispetto all’italiano. Ma anche l’esiguo numero di ore di lingua inglese a settimana in tutti i cicli di studio, e, non ultima, la scarsa motivazione di tanti studenti sono fattori da considerare. A volte, anche nelle sezioni di alcuni licei che introducono il percorso “Cambridge”, i docenti devono combattere con la mancanza di motivazione di tanti studenti.
C’è anche da considerare come nei licei, dopo un biennio dove si acquisiscono le competenze base, al triennio si insegna letteratura inglese, si amplia il livello culturale degli studenti, lasciando indietro il potenziamento di alcune abilità linguistiche importanti per il rafforzamento della capacità di ascolto e di conversazione. Pertanto, risulta evidente che gli obiettivi testati dall’Invalsi si dissociano totalmente dalle indicazioni ministeriali. Gli studenti vengono preparati in letteratura utilizzando tre ore a settimana, ma poi le prove sono basate su tutt’altre abilità. Di contro, all’esame di Stato, fino allo scorso anno, l’Inglese era obbligatoriamente nella terza prova con domande di letteratura, e anche nel colloquio, appena riformato, si chiede agli studenti di effettuare i collegamenti interdisciplinari attraverso la letteratura inglese.
Ed è assolutamente necessario riformare i corsi nelle università. I docenti che insegnano nella scuola secondaria di primo e secondo grado sono più laureati in letteratura che in lingua. Fino a pochi anni fa, anche nelle università più prestigiose, gli esami orali si facevano in italiano e i docenti facevano lezione in italiano. I docenti di lingua inglese sono pertanto, in generale, poco preparati nell’insegnamento della lingua inglese perché all’università si insite moltissimo sulla letteratura, un po’ come al liceo.
Finché in Italia si penserà a risparmiare sulla formazione, a diminuire le ore di docenza, a mantenere un disallineamento tra contenuti insegnati e abilità da valutare, rileveremo sempre questa schizofrenia formativa e gli esiti dell’Inglese non miglioreranno.
E, sicuramente, è necessario ripartire con la formazione a tappeto di docenti nella metodologia Clil (Content and language integrated learning) che permette a un docente, ad esempio, di fisica, di insegnare la sua disciplina in lingua inglese. Ancora troppo pochi i docenti certificati per il Clil. Scientificamente provato che tale metodologia, oltre a rafforzare la competenza linguistica, favorisce l’apprendimento di qualunque materia non linguistica.

Il 99% di promossi alla maturità mal si concilia con il 60% di insufficienze in italiano e matematica

da Il Sole 24 Ore

di Giorgio Allulli

Due dati importanti emergono dalla nuova rilevazione Invalsi sugli apprendimenti degli alunni italiani (rilevazione peraltro sempre più inclusiva e strutturata, con l’utilizzo del computer nella scuola secondaria): il primo è noto, e riguarda i dislivelli esistenti negli apprendimenti tra le diverse regioni italiane, ed in particolare tra alcune regioni del Sud (Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna in testa) riguardo al resto del Paese e soprattutto riguardo alle regioni settentrionali. E’ un dislivello che si intravede già nei primi livelli di scolarità e diventa via via più consistente man mano che si sale ai livelli superiori di istruzione, fino alla scuola secondaria di secondo grado, dove il divario tra il Nord e il Sud cresce con una differenza che in seconda secondaria superiore è di 24 punti, ed in quinta classe secondaria superiore sale ancora, attestandosi a 28 punti. Andamento simile si riscontra per la matematica, dove nella scuola secondaria di secondo grado il divario tra le aree geografiche italiane raggiunge i 33 punti fra il risultato del Nord Est e quello del Sud e Isole.

I dubbi sull’autonomia
Di fronte a tale divario di rendimenti, che si ripete puntualmente ogni anno, nonostante i molti interventi effettuati, è d’obbligo chiedersi se la concessione di una forte autonomia alle Regioni in materia d’istruzione sia la soluzione più appropriata, o non corra piuttosto il pericolo di rafforzare le disparità esistenti, come dimostra peraltro la storia della formazione professionale, di competenza regionale, che vede profondissimi divari di efficienza e di efficacia tra i diversi sistemi regionali, divari ben superiori a quelli che si registrano nel sistema scolastico. Opportuno appare invece, per affrontare questo fenomeno, un coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, istituzionali e non, per declinare specifici progetti territoriali, tarati sui fabbisogni locali, come proposto dallo stesso Miur.

La fotografia alla fine delle superiori
Del tutto nuovi appaiono invece i dati riguardanti l’ultimo anno di scuola secondaria superiore. Com’è noto le prove Invalsi dell’ultimo anno erano destinate a far parte del processo degli esami di Stato, da cui sono stati invece espunti, per decisione del ministro Bussetti. Ciononostante la somministrazione di queste prove ha visto un’alta partecipazione di studenti, oltre il 90%, fornendo così importanti informazioni sull’andamento di questo livello di istruzione, completando il quadro conoscitivo dell’intero percorso scolastico. Dalla notevole mole di informazioni che emerge dai risultati di questa nuova prova colpisce particolarmente un dato, messo in evidenza dall’Invalsi: a livello nazionale, gli studenti che ottengono risultati adeguati (rispetto al livello scolastico frequentato) o più elevati sono:
•in Italiano il 65,4%
•in Matematica il 58,3%
•in Inglese (reading): 51,8%
•in Inglese (listening): 35%.
Di fronte a questi risultati la domanda che sorge spontanea è: come è possibile che, nonostante questi rendimenti, negli esami di Stato venga promosso oltre il 99% degli studenti? È vero che la valutazione condotta dall’Invalsi è cosa diversa dalla valutazione condotta dai docenti, operazione certamente più delicata e complessa, ma è anche vero che in questo modo si concede a molti studenti una certificazione finale di raggiungimento di determinati livelli di apprendimento che invece non sono stati raggiunti, e questo a tutto scapito di quegli stessi studenti che ricevono una certificazione che non ha nessun valore. È evidente che questo problema non coinvolge solo lo svolgimento dell’esame di Maturità ma tutto il percorso scolastico. E rischia di apparire schizofrenico all’occhio di un osservatore esterno.

Di fatto si nega il diritto all’istruzione

da la Repubblica

C.Z.

ROMA — Concetta Giannino guida il Liceo Basile D’Aleo di Monreale, Palermo. Ed è fortemente contraria alla scuola regionale, la «scuola del Nord», la definisce. «La regionalizzazione alimenta la competizione tra un’area del Paese e le sue concorrenti», dice, «e per garantire uno standard elevato introdurrà meccanismi competitivi al proprio interno. Si chiama New public management ed è una distorsione che ha già mostrato i suoi effetti in altri settori della gestione pubblica».

Perché non si possono applicare criteri di competizione a scuola e università?

«Sono due settori che non si valutano attraverso asfittici indicatori quantitativi. La regionalizzazione porta all’abolizione del valore legale del titolo di studio e l’autonomia applicata ai contratti collettivi di lavoro, alla mobilità, ai concorsi, ai ruoli e agli stipendi del personale finirà per negare l’universalità del diritto all’istruzione».

Il Veneto e la Lombardia vogliono scuole meno precarie, più ordinate.

«Legare la distribuzione dei fondi statali a fabbisogni standard definiti in base al gettito fiscale di ogni regione, quindi in funzione della ricchezza dei cittadini, è un pericolo rispetto agli organici e al servizio. La mobilità diventerebbe il frutto di accordi tra Regione e Regione, tra Stato e Regione. In alcune aree lo stipendio degli insegnanti dipenderebbe dai contratti di secondo livello, da incentivi e da premi che farebbero lievitare gli oneri fiscali per i contribuenti. Insegnanti dipendenti regionali, altri statali, diverse categorie che fanno lo stesso lavoro. Una grave stortura».

Come pensate di opporvi?

«Chiederemo ai nostri sindacati di contrastare in tutti i modi l’istituzione di un sistema discriminatorio che produrrebbe ulteriori disuguaglianze e renderebbe la scuola pubblica sempre più asservita a logiche produttive. Bisogna fermare questa deriva autoritaria che nega i diritti delle persone e disgrega l’unità nazionale».

È un errore legare la distribuzione dei fondi statali al gettito fiscale delle Regioni, quindi di fatto alla ricchezza dei cittadini

f g

Stipendi più alti al Nord e contratti regionali la scuola a due velocità

da la Repubblica

Corrado Zunino

Quattordici pagine che cambieranno la scuola italiana, così come l’abbiamo conosciuta dal Dopoguerra. Su queste si sta litigando nel governo: sono le “intese” tra Stato e (tre) Regioni, perfezionate lo scorso 15 maggio e tenute nascoste prima delle Europee.

L’autonomia differenziata è andata avanti, dal primo testo di febbraio. Molto avanti. In particolare, il capitolo sulla scuola. Le intese del Veneto di Luca Zaia e della Lombardia di Attilio Fontana con il premier Giuseppe Conte toccano rispettivamente 23 e 20 punti e in entrambi i casi i commi due, tre e nove sono dedicati all’istruzione (e alla formazione professionale, al diritto allo studio universitario e alla ricerca scientifica).

Bene, da pagina 13 a pagina 19 si dettagliano — con un impatto sul resto dell’istruzione italiana esplosivo — le 36 competenze scolastiche che passano dallo Stato alle due Regioni (l’Emilia Romagna chiede autonomia solo sulla formazione professionale). Secondo la nuova intesa, si attribuisce alla Regione interessata «potestà legislativa in materia di norme generali sull’istruzione» (citando l’articolo 117 della Costituzione, architrave dell’accordo). Il Veneto, per esempio, potrà riorganizzare «il sistema educativo regionale» anche in relazione al «contesto sociale ed economico». Potrà intervenire, quindi, sulla valutazione scolastica «introducendo ulteriori indicatori legati al territorio». Potrà nascere una “pagella regionale” con materie ispirate «dal contesto». Nei professionali del Bellunese ci potranno essere, per esempio, discipline legate all’industria dell’occhiale.

Nel nuovo assetto sarà l’ente locale a decidere della formazione dei docenti e delle spese relative. Nelle due Regioni, un naturale rapporto istruzione-lavoro, sarà “il territorio” a definire i percorsi di apprendistato, la qualità dei Centri per l’istruzione degli adulti e il destino degli Istituti tecnici superiori (Its), una realtà che già oggi garantisce piena occupazione. Resta nei poteri dello Stato l’Alternanza scuola lavoro.

Ci sono ancora zone d’ombra sul capitolo più importante: il trasferimento dei dipendenti della scuola. Tutti i lavoratori dell’Ufficio scolastico regionale e degli Uffici d’ambito passano dal ministero alla Regione (se sono d’accordo), così i presidi, «che potranno optare per lo stipendio favorevole». Dovranno restare nel nuovo assetto amministrativo — “dipendenti regionali” — almeno tre anni. Nelle bozze di maggio c’è, invece, una retromarcia su docenti, personale amministrativo ed educatori: «Restano nei ruoli statali, salva diversa volontà espressa». La formula ambigua serve per calmare il sindacato ed è al centro di riunioni accese (l’ultima al Miur, ieri sera).

Per i precari nascono le graduatorie locali. Si applicherà il ruolo regionale anche agli insegnanti non abilitati di Terza fascia (toccati da un recente accordo-sanatoria tra sindacati e ministro). Il trasferimento dei docenti veneti verso altre Regioni «sarà consentito». Sul fronte stipendi lo strumento che garantirà gli aumenti ( 150-200 euro ai docenti che entreranno nel libro paga della Regione) saranno i “contratti integrativi regionali”. Varranno anche per presidi, dirigenti amministrativi e bidelli. E sarà il Veneto — che da sempre lamenta i troppi precari nelle sue scuole e i troppi trasferimenti di insegnanti dal Sud — a definire il «fabbisogno regionale di personale» e a distribuirlo. Sotto l’egida regionale passerebbero anche le scuole paritarie.

Con gli ultimi 5 mesi di lavoro da parte della ministra degli Affari regionali, Erika Stefani, le due Regioni del Nord hanno chiesto potere completo sulle borse di studio universitarie e le residenze per studenti: già in mano alle Regioni, potranno integrarle con incentivi e servizi. Passa all’amministrazione locale la ricerca scientifica e tecnologica «a sostegno dell’innovazione per i settori produttivi». Veneto e Lombardia faranno propria l’edilizia scolastica. Non ci sono novità, per ora, sui concorsi (già su base regionale). Il segretario della Cgil scuola (Flc), Giuseppe Sinopoli: «Il 24 aprile, con il premier, abbiamo firmato altro. Alziamo le barricate».

Concorso dirigenti scolastici, il Consiglio di Stato si pronuncerà domani alle 9 se confermare annullamento Tar

da Orizzontescuola

di redazione

Appena giunta in redazione la notizia che il Consiglio di Stato deciderà domani in udienza collegiale nella Camera di consiglio alle ore 9 se annullare o meno il concorso a dirigente. Ad informarci, l’avvocato UDIR Sergio Galleano.

I motivi dell’annullamento

Secondo quanto contenuto nella sentenza del Tar Lazio, il concorso è stato annullato per incompatibilità e conflitto di interessi di tre commissari che hanno contribuito a preparare e approvare i criteri di valutazione e le domande di inglese.

Nel testo della sentenza vengono dati anche i nomi dei commissari che hanno inficiato le procedure concorsuali. Si tratta di Elisabetta Davoli e Francesca Busceti, entrambe impegnate in corsi di formazione per aspiranti dirigenti e che quindi avrebbero potuto avvantaggiare chi ha seguito i loro corsi. E Angelo Francesco Marcucci, sindaco in Campania, quindi con una carica che risulta incompatibile con la partecipazioni a commissioni per i concorsi pubblici.

La difesa del Ministero

Appena presentata la difesa del Ministero, la nostra redazione è venuta a conoscenza del contenuto. Secondo l’avvocatura dello Stato, l’incompatibilità avanzata dal Tar in realtà non esiste.

Infatti, la Busceti e la Davoli non avrebbero partecipato direttamente a corsi di formazione e il ruolo di sindaco del Marcucci non avrebbe avuto ripercussioni sul corretto andamento del concorso.

Domani responso

Confermato per domani il responso del Consiglio di Stato sulla sentenza del Tar Lazio. Alle ore 09 del mattino sapremo se l’annullamento sarà confermato oppure il concorso sarà fermato.

Regionalizzazione scuola, Di Maio: la faremo non dividendo l’Italia, ora sull’Istruzione è incostituzionale

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

La regionalizzazione “sarà fatta” nell’ottica della tutela di “un’Italia unica”; le misure per il Mezzogiorno, l’Ilva e il salario minimo. A dirlo, in un’intervista al Mattino del 10 luglio, è stato il vicepremier Luigi Di Maio.

No a due livelli di ricchezza

“Ok all’autonomia ma la nostra Repubblica è unica e dev’essere solidale – sottolinea -. Se creiamo due livelli di ricchezza il rischio sarebbe di dividerla, cosa che non permetterò mai”.

L’autonomia differenziata, ha detto il leader politico grillino, “sarà fatta, è nel contratto di governo, ma non verranno penalizzate le regioni del centro-sud, questo l’abbiamo detto chiaramente alla Lega. Noi il centro-sud lo tuteleremo con tutte le nostre forze”.

Le perplessità sulla scuola: concorsi regionali e rischio incostituzionalità

Di Maio si sofferma poi sulla scuola: “abbiamo fatto emergere tutte le nostre perplessità sulla parte dei concorsi regionali” su cui c’è anche un “rischio di incostituzionalità”.

Poi, il vicepremier pentastellato sottolinea che sta lavorando per superare le criticità (per domani 11 luglio è previsto un altro vertice di Governo, ndr) perché “non voglio creare scuole di serie a e di serie b”. Per Di Maio, il fondo perequativo che va ad aiutare le regioni più deboli “mi sembra un buon punto di partenza”. Così si dimostra “che non devono esserci regioni che si arricchiscono ai danni delle altre regioni”.

Rilanciare l’Italia in toto

Poi, Di Maio torna a parlare di quel grande piano per il Sud annunciato alcune settimane fa. Il vicepremier annuncia anche di avere tra le priorità “pianificare un grande piano per rilanciare il sud: nuove infrastrutture, più servizi ai cittadini e valorizzazione del nostro territorio con nuovi strumenti che rilancino il turismo”.

E ancora: l’Italia “va rilanciata in toto”. Di Maio assicura che “lavoriamo tutti i giorni per recuperare il gap di competitività del sud, lo dimostra l’attenzione del Mise su ogni tavolo di crisi e la strategia complessiva del governo che proprio in queste settimane inizia a dare frutti. Basti pensare ai livelli occupazionali da record che abbiamo raggiunto, lavoro creato dalle aziende e non certo per decreto”.

Le crisi industriali “ci sono sempre state nel corso degli anni, il 99% sono state ereditate” ma non possono essere utilizzate “a scopi politici”.

Niente rimpasti

Il vicepremier ha fatto anche un cenno al salario minimo: “vogliamo costruirlo con le parti sociali e datoriali”.

Come misura vuole “evitare che si crei una frattura sociale del Paese”. Infine, rispetto all’ipotesi di un ingresso di Draghi nel governo o di qualche altro ruolo per lui al di fuori, Di Maio risponde laconico: “Il Governo per quanto mi riguarda non cambia”.

Come dire: il progetto di Governo è tracciato, prendere o lasciare.

Invalsi, gap tra Nord e Sud? Servono cure di sistema

da La Tecnica della Scuola

Di Redazione

Riportiamo una riflessione di Mila Spicola, insegnante, pedagogista e presidente associazione Sottosopra, in merito ai dati delle prove invalsi 2019.

Anche quest’anno il dato più visibile restituito dalle prove Invalsi sono i divari regionali nelle abilità rilevate dalle prove. Le isole e il Sud indietro e Il Nord più avanti. Come ogni anno. E’ il dato macroscopico rilevato anche dalle prove Ocse Pisa e dalle prove Pirls, che sono più approfondite sui livelli di competenze.

Ocse Pisa, composto dai maggiori esperti di tutto il mondo, da tempo dà anche le “cure” alla nostra malattia, e sono cure di sistema: i nidi (per agire precocemente nella prevenzione delle fragilità all’uingresso degli studenti di aree svantaggiate quali sono Sud e isole), il recupero degli ultimi oggi appaltato al “fuori della scuola” (lezioni private e terzo settore) e non al sistema nazionale d’istruzione.

Per quella che è una delle più grandi emergenze del Paese, i divari nei rendimenti scolastici nella nostra Scuola, sarebbero indispensabili un tempo scuola maggiore laddove non c’è o un’organizzazione scolastica mirata al recupero degli ultimi con azioni di sistema (compresenze, tempo pieno, diversa flessibilità interna); formazione, selezione specifica dei docenti sulle competenze professionali della scuola (s’era provato a fare ma la riforma è stata eliminata dal nuovo governo per motivi di cassa e di opportunismo elettorale).

Queste cure strutturali sono indicate da chi sicuramente ha più competenza ed esperienza, rispetto a decisori politici di passaggio che agiscono troppo spesso in base a percezioni e opinioni e non a evidenze empiriche e scientifiche, e noi queste cure non le adottiamo.

I divari di offerta formativa e le carenze organizzative delle istituzioni scolastiche, l’assenza di tempo scuola, di nidi, di tempo scolastico ordinamentale disteso e non frenetico, la necessità di organizzare diversamente le attività e le architetture interne alle istituzioni scolastiche mirando a un benessere organizzativo più efficace, passano sempre in secondo piano rispetto alla retorica provinciale sul sistema d’istruzione che vince in Italia e hanno responsabilità diffuse, specie al Sud: tessuto sociale poco sensibilizzato e classe dirigente politica, culturale o amministrativa poco formata sui temi specifici e portata ad assecondare quell’opinione pubblica piuttosto che a indirizzarla.

Ogni anno facciamo finta di stupirci e di lamentarcene scaricando tutto il peso delle mancate azioni di sistema (che riguardano aree emergenziali sotto tanti punti di vista del Paese) sulle istituzioni scolastiche e sul personale della Scuola, soprattutto quello che si trova ad agire in situazioni di trincea e con scarsi mezzi, gravando enormemente su quel personale o dando alibi alla parte decisamente minore di quel personale non adeguata al ruolo. Vi do una notizia: non ce la si fa.

Se non si agisce sul piano delle scelte di sistema, confermato dalle indagini specifiche, questa fotografia che segnala divari di offerta prima che di rendimenti, non cambierà di molto negli anni a venire, anzi, se va in porto il disegno dello smembramento della Scuola come pilastro costituzionale nazionale e non come “servizio a carattere regionale” i divari aumenteranno a scapito del Sud e delle isole”.

Invalsi 2019, Bussetti: dalle prove ‘Innegabili motivi di preoccupazione’

da Tuttoscuola

L’immagine di un’Italia scolastica spaccata in due plasticamente offerta dal Rapporto Invalsi presentato questa mattina alla Camera ha indotto il ministro Marco Bussetti, intervenuto all’evento, a riconoscere che esistono “innegabili motivi di preoccupazione”.

C’era una certa attesa per il giudizio che il ministro avrebbe espresso a proposito del lavoro svolto dall’Invalsi, un ente spesso pesantemente criticato dal Movimento 5 Stelle ma verso il quale la Lega aveva tenuto nel tempo una linea più misurata. Da questo punto di vista Bussetti ha riconosciuto che “l’Invalsi è uno strumento che consente di avere una foto articolata e dettagliata del nostro lavoro, che consente di analizzare eccellenze e criticità del sistema per realizzare azioni puntuali ed efficaci”. “Come ministero– ha proseguito Bussetti – siamo convinti dell’importanza della valutazione standardizzata degli apprendimenti che però si deve integrare e affiancare all’insostituibile ruolo della valutazione dei docenti. Dobbiamo portare avanti la valutazione delle attitudini mettendo al centro gli studenti e le loro potenzialità. La scuola deve formare individui autonomi e liberi, cittadini responsabili e consapevoli”.

Insomma, bene le prove standardizzate, ma solo come indicatori di sistema e strumenti di supporto delle decisioni di politica scolastica, mentre la valutazione resta saldamente ancorata alle prerogative esclusive dei docenti. Anche in questa occasione il ministro Bussetti conferma la sua immagine di leghista moderato, più incline al governo che alla lotta. Nei prossimi giorni avrà modo di dispiegare questa sua attitudine sulla spinosa questione dell’autonomia regionale, che secondo non pochi osservatori rischia di aumentare, in mancanza di strategie perequative, le grandi distanze tra le scuole del Nord e quelle del Sud messe in luce dal rapporto Invalsi.

Prove Invalsi 2019, presentato il rapporto: niente più cheating

da Tuttoscuola

Giunge a compimento il sistema di rilevazione delle competenze ricettive (ascolto e lettura) della lingua Inglese e per la prima volta è stata introdotta una prova standardizzata anche al termine della scuola secondaria di secondo grado, legata all’esame di Stato, ma senza un’incidenza diretta sul voto conclusivo. Le novità che hanno visto protagoniste le prove Invalsi 2019 sono diverse e oggi, 10 luglio, i frutti vengono presentati alla Camera dei Deputati nel Rapporto Nazionale delle Prove Invalsi 2019. Di seguito riportiamo una sintesi dei risultati principali con una piccola anticipazione: il cheating è stato eliminato.

Le piccole (ma importanti) differenze della scuola primaria

I risultati della scuola primaria sono molto simili in tutte le regioni del Paese e difficilmente le differenze sono significative in senso statistico. Tuttavia, emergono già alcune indicazioni che possono lasciare intravedere aspetti problematici che nel ciclo secondario contribuiscono a determinare risultati molto diversi sul territorio nazionale e tra le scuole.

  1. I risultati medi di Italiano al termine della II primaria sono molto simili in tutto il Paese. Per Matematica, invece, si riscontrano valori più bassi della media nazionale in alcune regioni del Mezzogiorno (Campania e Sardegna), tendenza che diviene più evidente nei gradi scolastici successivi.
  2. In V primaria aumentano le differenze dei risultati medi con una polarizzazione degli esiti tra le regioni centro-settentrionali e quelle del Mezzogiorno. In alcune regioni del Sud (in particolare Campania, Calabria, Sicilia) si osserva un numero elevato di allievi con livelli di risultati molto bassi, soprattutto in Matematica.
  3. Buoni i risultati d’Inglese degli allievi della scuola primaria italiana. L’88,3% degli allievi della V primaria raggiunge il prescritto livello A1 del QCER nella prova di lettura (reading) e l’84,0% di allievi il prescritto livello A1 del QCER nella prova di ascolto (listening). Al Nord e al Centro gli allievi che raggiungono il livello A1 di reading sono circa il 90%, mentre al Sud circa l’85%. Per il listening, invece, gli allievi che si collocano al livello A1 sono circa l’87% al Nord e al Centro, mentre circa il 78% al Sud.
  4. Rispetto al 2018 si riscontra un apprezzabile miglioramento soprattutto nella prova di ascolto (listening) della V primaria, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Probabilmente l’introduzione delle prove d’Inglese al termine del ciclo primario ha favorito una maggiore attenzione verso l’ascolto (listening) rispetto a quanto avveniva nel passato.
  5. Già a partire dal ciclo primario, in Italiano, in Inglese e ancora di più in Matematica si riscontra una differenza dei risultati tra scuole e tra classi nelle regioni meridionali. Ciò significa che la scuola primaria nel Mezzogiorno fatica maggiormente a garantire uguali opportunità a tutti, con evidenti effetti negativi sui gradi scolastici successivi.

La prova CBT per la III secondaria di primo grado (grado 8) consente di fornire gli esiti mediante livelli crescenti di risultato (da 1 a 5 per l’Italiano e la Matematica e da pre-A1 ad A2 per l’Inglese). Si può ritenere adeguato ai traguardi delle Indicazioni nazionali il livello 3 per Italiano e Matematica. Per l’Inglese il livello A2 è esplicitamente previsto dalle Indicazioni nazionali per la scuola secondaria di primo grado. A livello nazionale gli studenti che ottengono risultati adeguati o più elevati sono:

  1. Italiano: 65,60% (+0,03% rispetto al 2018)
  2. Matematica: 61,33% (+1,42% rispetto al 2018)
  3. Inglese-reading (A2): 77,58% (+3,68% rispetto al 2018)
  4. Inglese-listening (A2): 59,94% (+3,67% rispetto al 2018)

Rispetto al 2018 si riscontra un leggero miglioramento degli esiti complessivi. L’aspetto però più importante, e positivo, è che esso si manifesta soprattutto nel Mezzogiorno e a vantaggio degli studenti più deboli.

In alcune regioni del Mezzogiorno (in particolare Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna) si riscontra un maggior numero di allievi con livelli di risultati molto bassi, soprattutto in Matematica e Inglese, con punte anche del 55-60% della popolazione scolastica del grado 8 al di sotto dei traguardi stabiliti dalle Indicazioni nazionali.

Emergono forti evidenze di disuguaglianza educativa nelle regioni del Mezzogiorno sia in termini di diversa capacità della scuola di attenuare l’effetto delle differenze socio-economico-culturali sia in termini di differenze tra scuole e tra classi.

Si conferma anche per il 2019 il sostanziale azzeramento del cheating. Ciò è importante non solo perché garantisce dati e informazioni di maggiore qualità, ma perché si traduce in un’occasione di esplicito rispetto delle regole, aspetto molto importante e di grande valore educativo.

I risultati della scuola secondaria di secondo grado

Anche le prove INVALSI per la seconda secondaria di secondo grado sono computer based (CBT). Le materie testate sono l’Italiano e la Matematica per la II classe (grado 10) e Italiano, Matematica e Inglese (ascolto e lettura) per l’ultimo anno (grado 13). La II secondaria di secondaria grado (grado 10):

  • La partecipazione degli allievi del grado 10 è stata leggermente superiore a quella del 2018 (+0,2%), consolidandosi quindi il miglioramento riscontrato con il passaggio alle prove CBT, avvenuto nel 2018.
  • Le considerevoli differenze tra le regioni e tra gli indirizzi di studio confermano quanto si osserva nel grado 8 e anticipano quello che si vede ancora di più nel grado 13. L’ultimo anno della scuola secondaria di secondaria grado (grado 13):
  • Le prove sono costruite per fornire risultati su una scala unica per Italiano, Matematica e Inglese in funzione dei traguardi previsti dalle Indicazioni nazionali/Linee Guida al termine del secondo ciclo di istruzione. Indipendentemente dal percorso di studi frequentato, le prove sono costruite in modo tale da fornire a ciascun allievo la possibilità di raggiungere i risultati più alti.

A livello nazionale gli studenti che ottengono risultati adeguati o più elevati sono:

  • Italiano: 65,4%
  • Matematica: 58,3%
  • Inglese-reading (B2): 51,8%
  • Inglese-listening (B2): 35,0%
  • In alcune regioni del Mezzogiorno (in particolare Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna) si osserva un maggior numero di allievi con livelli di risultati molto bassi, soprattutto in Matematica e Inglese.
  •  A livello nazionale, gli allievi che raggiungono risultati molto bassi in Italiano sono circa il 13% del totale, ma tale quota supera il 20% in Campania, Basilicata e Sicilia, per arrivare al 25% in Calabria.
  • Nella prova di lettura (reading) il 51,8% degli studenti delle scuole italiane raggiunge il B2. Invece, il 10,6% non raggiunge il B1, ossia si posiziona a un livello di competenza molto basso dopo 13 anni di scuola. In Calabria, Sicilia e Sardegna la percentuale degli allievi che raggiungono il B2 scende, rispettivamente, al 31,0%, al 34,8% e al 34,1%. Ancora più forte il divario rispetto al dato nazionale nella percentuale di allievi con risultati molto bassi. Infatti le percentuali di allievi che non raggiungono il B1 sono: Calabria 21,7%, Sicilia 18,2% e Sardegna 20,0%.
  • Nella prova di ascolto (listening) solo il 35,0% degli studenti delle scuole italiane raggiunge il B2 (traguardo previsto alla fine della scuola secondaria di secondo grado). Invece, il 25,2%, cioè uno studente ogni quattro, non raggiunge il B1, ossia si posiziona a un livello di competenza basso dopo 13 anni di scuola. In Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna la percentuale degli allievi che raggiungono il B2 scende, rispettivamente, al 19,9%, al 14,6%, al 14,8% e al 20,7%, a fronte del 49,3% del Veneto. Ancora più forte il divario rispetto al dato nazionale della percentuale di allievi con risultati molto bassi (non raggiunge il B1). Infatti le percentuali di allievi che non raggiungono il B1 sono: Campania 41,7%, Calabria 47,7%, Sicilia 46,7% e Sardegna 40,8%, a fronte del 10,9% del Veneto.
  • Si osserva una considerevole differenza tra gli esiti della prova di lettura (reading) e quelli della prova di ascolto (listening). Tali esiti fanno pensare alla prevalenza di una didattica maggiormente legata alla frequentazione dei testi scritti. Con l’eccezione delle province autonome e del Friuli-Venezia Giulia, la percentuale di studenti al livello B1 del QCER non si differenzia molto nelle diverse aree del Paese. Grandi differenze si osservano invece nelle percentuali degli allievi che non raggiungono il B1 o di quelli che raggiungono il B2 (traguardo previsto per tutti gli indirizzi di studio dalle Indicazioni nazionali/Linee Guida).