Tragedia di Milano, dolore e commozione dei Sindacati scuola

Roma, 22 ottobre – Non ce l’ha fatta il bambino di 6 anni caduto nella tromba delle scale della scuola primaria Pirelli di Milano. La notizia ha generato profondo sgomento in tutti gli operatori scolastici dell’istituto. Le Organizzazioni Sindacali si uniscono al loro dolore e tutte insieme in un abbraccio ai genitori del piccolo alunno.

Attendiamo con rispetto il responso delle indagini che dovranno accertare le cause del drammatico incidente, ma vogliamo anche rivolgere a tutto il Paese l’appello a considerare con la dovuta attenzione le condizioni di sofferenza in cui versano le nostre scuole da Nord a Sud. Spesso inadeguati gli edifici scolastici, carenti gli organici del personale docente e ATA, insufficiente la vigilanza, assenti i controlli sull’idoneità degli ambienti vissuti quotidianamente da bambini e ragazzi dai 3 ai 19 anni.

Non è questo il momento per denunciare le colpe di una politica spesso distratta sulle sofferenze della scuola, lo abbiamo fatto innumerevoli volte: vogliamo invece interrogarci su quanto lavoro dobbiamo ancora fare come Sindacati della scuola e come lavoratori, per ogni ruolo ricoperto come docenti, dirigenti, personale ATA, organi collegiali, per fare un vero esame dei rischi che quotidianamente si vivono nella scuola. Non è più sufficiente fare continue segnalazioni alle autorità locali, quasi sempre con risposte tardive o inesistenti; né possiamo pensare di limitarci a delegare la sicurezza agli “esperti”, ben consapevoli delle responsabilità che comunque attengono al nostro lavoro e che non possono essere certo delegabili.

La morte del piccolo alunno di Milano richiama una necessità che comunque investe l’intera comunità scolastica, quella di assumere con ancor più consapevolezza, nel progettare e nell’agire, la centralità dei temi riguardanti la sicurezza a scuola.

FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola RUA, SNALS Confsal e GILDA Unams invitano RSU e delegati di tutti gli istituti d’Italia a riunirsi per un’ora di assemblea sindacale, in ogni scuola, il prossimo 31 ottobre, per assumere l’impegno a richiamare la massima attenzione di tutti sui rischi di chi studia e lavora in edifici inadeguati, con organici precari e insufficienti, questioni che esigono un interesse costante da parte della politica e soprattutto una concreta capacità di intervento attraverso scelte mirate e coerenti di investimento a supporto della sicurezza di strutture e impianti e di efficaci strategie di prevenzione.

Presentata in Puglia una proposta di legge sui disturbi dello spettro autistico

Redattore Sociale del 22.10.2019

Presentata in Puglia una proposta di legge sui disturbi dello spettro autistico 

Una proposta di legge che promuove la piena integrazione sociale, scolastica e lavorativa delle persone con disturbi dello spettro autistico. A presentarla il presidente della commissione consiliare sanità della Puglia. 

BARI. “La disabilità nasce quando non vi è una buona interazione fra la condizione di salute e l’ambiente. I disturbi dello spettro autistico indicano un gruppo di complessi disordini del neuro-sviluppo a genesi multifattoriale, caratterizzati dall’esordio in genere nei primi tre anni di vita e dalla presenza di sintomi che coinvolgono la comunicazione e l’interazione sociale associati a modelli comportamentali caratteristici”. Lo ha detto il presidente della commissione consiliare sanità della Puglia, Pino Romano, presentando, assieme al vicepresidente di giunta Antonio Nunziante e al consigliere regionale Giuseppe Turco, la proposta di legge che promuove la piena integrazione sociale, scolastica e lavorativa delle persone con disturbi dello spettro autistico.
Il consigliere Turco ha sottolineato che “nonostante questa sia la realtà che caratterizza la gran parte delle persone con autismo che avanzano con l’età, si fa ancora molta fatica ad uscire dalla dimensione dell’infantile, per sviluppare quella del progetto di vita. Per questa ragione nasce la necessità, da parte della Regione e della stessa società, di organizzare ambienti favorevoli all’inserimento sociale e lavorativo della persona disabile”.
“Con questa proposta di legge – ha spiegato Nunziante – la Regione promuove programmi di screening, con campagne di sensibilizzazione a livello regionale, adotta i metodi e gli interventi diagnostici, terapeutici, educativi, ri/abilitativi validati dall’Istituto Superiore della sanità e accoglie le evidenze scientifiche validate a livello nazionale ed internazionale comunque ricollegabili ai disturbi dello spettro autistico”. La pdl prevede anche l’istituzione di un “Centro Territoriale Autismo” come struttura autonoma a valenza dipartimentale titolare della presa in carico del paziente, di diagnosi e di prescrizione trattamentale nelle more di una dotazione di personale specializzato nella somministrazione del trattamento specifico e individualizzato in collaborazione con i centri e le strutture terapeutico-ri/abilitative. (DIRE)

Nuovo decreto terremoto: stato di emergenza fino al 2020 e priorità alle scuole

da Il Sole 24 Ore

di Marzio Bartoloni

L’allungamento dello stato di emergenza al 31 dicembre 2020, la promessa di iter più veloci e semplici per la ricostruzione degli immobili, un nuovo intervento per l’annoso capitolo rimozione macerie e l’estensione ai Comuni del Cratere degli incentivi di «Resto al Sud»: lo strumento che prevede forti incentivi (35% a fondo perduto, 65% prestito bancario agevolato) per gli under 46 che vogliono aprire un’impresa.

Il governo tenta di rimettere sui binari della vivibilità Lazio, Umbria, Abruzzo e Marche – colpite dal sisma nell’ormai lontano 2016. Lo fa con un nuovo decreto legge all’esame del consiglio dei ministri che fissa paletti precisi per il rilancio della ricostruzione, in special modo per gli immobili dei privati, e per il malmesso tessuto imprenditoriale. L’architrave del provvedimento prevede l’estensione dello stato di emergenza al 31 dicembre 2020 e fissa contestualmente l’erogazione di 380 milioni per il 2019, da attingere dal Fondo per le emergenze nazionali previsto nell’ambito del codice della Protezione Civile, e di altri 345 milioni per il 2020 provenienti dalla contabilità speciale intestata al Commissario straordinario.

Nel computo degli interventi che il Commissario Straordinario del governo è chiamato a organizzare la priorità viene data alla ricostruzione degli edifici scolastici (articolo 2), i quali dovranno essere ripristinati o riedificati nello stesso luogo nel caso in cui fossero ubicati nei centri storici, premettendo che in ogni caso «la destinazione urbanistica delle aree a ciò destinate non può essere mutata». Come anticipato, il decreto punta a migliorare le procedure per la ricostruzione degli immobili privati grazie a un iter più semplice e veloce (articolo 3). Il tutto vale anche gli interventi di riparazione, ripristino e ricostruzione grazie all’intervento diretto dell’«Ufficio Speciale per la ricostruzione» che ha facoltà di convocare la Conferenza regionale per far acquisire pareri ambientali, paesaggistici e di tutela dei beni culturali. Gli stessi «Uffici speciali per la ricostruzione» si occuperanno anche delle richieste di contributo per strutture abitative in cui siano compresi immobili destinati ad abitazione principale o per attività produttive.

Il testo rimette mano, per l’ennesima volta, al capitolo rimozione macerie. In questo senso l’articolo 5 del dl fissa entro il 31 dicembre 2019 l’obbligo per le Regioni di aggiornare i siti di stoccaggio temporaneo e, in mancanza di una intesa, autorizza il Commissario straordinario «ad aggiornare comunque il piano». È prevista poi l’estensione ai comuni del Cratere delle misure a favore dei giovani imprenditori del Sud under 46, denominata «Resto al Sud» (articolo 6) le cui risorse vengono aumentate di 20 milioni rispetto a quelle già assegnate dal Cipe. Vengono poi prorogati i termini per il pagamento delle rate dei mutui concessi da Cdp ai Comuni, già previsti per gli anni 2016 e 2017 e ora estesi dal 2018 al 2020. Attenzione anche alle imprese agricole del cratere, per le quali vengono destinati 2 milioni per il 2019 e altrettanti per il 2020 (risorse che, precisa il decreto, potranno essere attinte dal Fondo per lo sviluppo e coesione).

In riferimento al decreto il governatore del Lazio Nicola Zingaretti parla apertamente di “svolta” e ha proposto Parlando da Norcia di far diventare tutta l’area del cratere una Zes (zona economicamente speciale), «così chi verrà a investire in queste terre lo potrà fare in modo più conveniente e si tenterà di bloccare lo spopolamento». Scettico il deputato marchigiano Francesco Acquaroli (FdI), che parla di «una scatola vuota che, alla prova dei fatti, tolta qualche miglioria, non saprà imprimere una svolta tanto attesa alla ricostruzione e non risolverà alcun problema». Più ottimista Marina Sereni, (Pd), vice ministra degli esteri, per la quale il decreto sisma «può essere una svolta perché raccoglie le esigenze di chi ha concretamente sperimentato in questi anni difficili le fatiche e la pesantezza delle procedure per la ricostruzione»


Sindacati pronti alla carica

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

L’appuntamento di oggi è ufficialmente sul disegno di legge per le nuove abilitazioni. Ma non si parlerà solo di reclutamento. Tema spinoso, questo, per sindacati e ministro viste le implicazioni che ha sulla disciplina dell’accesso alla professione docente e, in questa fase, soprattutto per la definizione di vie di uscite dal precariato per circa 55 mila docenti che lavorano nella scuola senza essere abilitati e per quanti di questi dovrebbero restare fuori dal concorso riservato che interesserà solo 24 mila posti. Oggi Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda al tavolo chiederanno conto soprattutto della Manovra e dei fondi per il rinnovo del contratto. Pronti, nel caso di risposte negative, a procedere con la mobilitazione.

In attesa di un testo definitivo della legge di bilancio, le anticipazioni del governo non sono affatto buone: in legge sarebbero pronti, tra i vecchi stanziamenti e il miliardo e 400 milioni del nuovo esecutivo, circa 3,2 miliardi di euro a regime, e dunque per il 2022, per rinnovare i contratti del comparto scuola, università, ricerca e statali. Dai fondi vanno detratti 210 milioni per il salario accessorio delle forze di polizia e circa 250 milioni per il capitolo perequazione. A conti fatti, l’aumento medio mensile per i docenti (si vedano le anticipazioni di ItaliaOggi di martedì scorso) sarebbe di 80 euro. Meno degli 85 del precedente triennio. Molto meno dei 100 euro promessi dal ministro dell’istruzione, università e ricerca Lorenzo Fioramonti.

Che ha posto al tavolo di palazzo Chigi la richiesta di 3 miliardi solo per scuola, università e ricerca. Due miliardi per la valorizzazione del personale docente e Ata. Ma anche se dovesse passare la sugar tax, cara al Movimento5stelle, le maggiori risorse provenienti da questo capitolo non andranno alla scuola, ha fatto sapere il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri. Almeno questa era la posizione a ieri, prima che iniziassero gli incontri bilaterali tra il premier Giuseppe Conte e i singoli partiti della maggioranza per tentare di trovare la quadra sulla legge di Bilancio.

«Con gli 80 euro di cui si parla, per di più spalmati nel triennio contrattuale, siamo ben lontani dalle affermazioni ripetutamente rilasciate dal ministro Fioramonti, e soprattutto dagli impegni assunti esplicitamente in intese che lo stesso presidente del Consiglio ha direttamente firmato», dicono in corso i segretari confederali di Flc-Cgil, Cisl scuola e Uil scuola, rispettivamente Francesco Sinopoli, Maddalena Gissi e Pino Turi.

«L’obiettivo di una complessiva e significativa rivalutazione degli stipendi del personale della scuola, dell’università e della ricerca è stato più volte ribadito come priorità, per noi resta tale», dice Sinopoli. «Non possiamo pensare che la valorizzazione del personale della scuola passi in secondo piano, accrescendo il gap ad oggi esistente non solo con gli altri dipendenti pubblici ma con i colleghi europei», incalza Turi. I sindacati chiederanno oggi che sul contratto e in genere Manovra si apra un tavolo urgente presso il Miur. Pronti, se sarà necessario, «ad assumere le opportune iniziative di mobilitazione», concludono i sindacati.

Scioperi nella scuola con preavviso Ecco la riforma che vuole il Garante

da ItaliaOggi

Carlo Forte e Alessandra Ricciardi

Più vincoli all’esercizio del diritto di sciopero nella scuola. Li ha chiesti la Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali con una nota, che ItaliaOggi ha letto, inviata all’Aran, l’agenzia governativa per la contrattazione nel pubblico impiego, e ai sindacati (12306/scl). Il confronto all’Aran con le organizzazioni sindacali ha avuto inizio martedì scorso. E la prossima riunione è stata fissata per il 5 novembre prossimo.

La materia da regolare riguarda le norme di garanzia dei servizi pubblici essenziali e sulle procedure di raffreddamento e conciliazione in caso di sciopero. Allo stato attuale la discussione è incentrata sulla proposta dell’Aran di introdurre una clausola negoziale per imporre ai docenti di manifestare in anticipo la propria volontà di aderire o non aderire allo sciopero o di non esprimersi affatto. Così da dare la possibilità ai dirigenti scolastici di avvertire i genitori degli alunni della impossibilità di assicurare il servizio nelle classi in cui gli insegnanti non sarebbero presenti il giorno previsto per le agitazioni. La proposta sarebbe finalizzata a recepire l’avviso della commissione di garanzia presieduta da Giuseppe Santoro Passarelli. Che ha chiesto, tra le altre cose, di procedere al rafforzamento degli obblighi di informazione all’utenza che fanno capo ai dirigenti scolastici. E di definirne i profili di responsabilità. Nella nota informativa, peraltro, i dirigenti scolastici dovrebbero avere anche l’obbligo di indicare agli utenti le organizzazioni sindacali che abbiano proclamato l’azione di sciopero, le motivazioni poste a base della vertenza e ai dati relativi alle adesione registrate nel corso delle ultime agitazioni proclamate dalla medesime sigle.

La necessità di rivedere l’accordo è scaturita, come evidenzia la nota del Garante inviata all’Agenzia per la contrattazione presieduta da Antonio Naddeo, dalla frequenza con la quale i sindacati a basso tasso di rappresentatività proclamano gli scioperi. Che mettono in allarme i genitori e, talvolta, li inducono a non mandare i figli a scuola. Salvo poi constatare che le adesioni allo sciopero siano state assolutamente trascurabili e che, quindi, le lezioni si sarebbero tenute regolarmente. È questa la ratio della richiesta di indicare nell’informazione alle famiglie la serie storica delle adesioni. In modo tale da consentire ai genitori di valutare l’esiguità del rischio.

La prassi delle grandi sigle sindacali, infatti, da qualche anno a questa parte, è quella di limitare al minimo indispensabile la proclamazione di scioperi. E soprattutto di procedere unitariamente. È solo in queste occasioni, infatti, che si verifica una riduzione sensibile del servizio. Con percentuali di adesione che superano anche il 50% degli addetti. Negli altri casi, infatti, la percentuale di adesione rimane sempre su livelli assolutamente trascurabili.

Resta il fatto, però, che la materia dei servizi essenziali in caso di sciopero non è più stata fatta oggetto di regolazione al tavolo negoziale da circa vent’anni. Il ritardo è dovuto in parte anche al fatto che le parti si erano accordate per provvedere in occasione dell’ultima tornata negoziale. Che ha portato alla sottoscrizione del contratto di comparto il 19 aprile 2018, concentrato prevalentemente sugli aspetti economici. Tant’è che la parte normativa è rimasta praticamente intatta, salvo alcune modifiche. E non è stata incorporata nell’atto se non per il termine di un mero rinvio contenuto nell’articolo 1, comma 10, del nuovo contratto. Il quale si limita a stabilire che: «Per quanto non espressamente previsto dal presente Ccnl», recita la clausola negoziale, «continuano a trovare applicazione le disposizioni contrattuali dei Ccnl dei precedenti comparti di contrattazione e le specifiche norme di settore, in quanto compatibili con le suddette disposizioni e con le norme legislative, nei limiti del dlgs n. 165/2001».

Ciò ha indotto la commissione di garanzia a sollecitare l’avvio delle trattative su questa materia, minacciando di provvedere autonomamente alla regolazione del diritto di sciopero, così come previsto dall’articolo 13, lettera a) della legge 146 del 1990: «In caso di mancato raggiungimento di un accordo che assicuri il giusto contemperamento tra diritto di sciopero e diritti degli utenti costituzionalmente tutelati in tempi ragionevolmente brevi, e comunque entro il 31 dicembre 2019». Sempre secondo l’avviso della commissione, il nuovo contratto dovrà estendere alla scuola le parti comuni della preintesa del 2001. E per quanto concerne la scuola, dovrà prevedere l’ampliamento delle prestazioni indispensabili per determinate figure professionali.

La previsione è generale ed astratta, ma il riferimento, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, è al personale docente. In più dovrà prevedere l’introduzione di periodi d franchigia coincidenti con i giorni di immediata ripresa delle attività didattiche (inizio anno scolastico, vacanze natalizie e pasquali). Infine l’accordo dovrà prevedere il rafforzamento degli obblighi di informazione all’utenza che fanno capo ai dirigenti scolastici, i relativi profili di responsabilità, e l’eventuale previsione di un obbligo per lo stesso di indicare la serie storica delle adesioni agli scioperi precedenti della sigla che abbia indetto lo sciopero.

Maestri diplomati prorogati

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

I diplomati magistrali che perderanno le cause in corso rimarranno in cattedra fino al 30 giugno. E agli aventi titolo sarà comunque riconosciuto il servizio che avrebbero dovuto prestare al posto loro, ma solo ai fini giuridici. Lo prevede un’intesa sottoscritta il 18 ottobre scorso dal ministero dell’istruzione e i rappresentanti dei sindacati firmatari del contratto di lavoro: Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams. In particolare, l’amministrazione si è impegnata ad individuare, in tempi brevi, l’idoneo veicolo normativo per consentire l’estensione al corrente anno scolastico del regime di salvaguardia dei rapporti di lavoro in corso con i diplomati magistrali: potrebbe essere un nuovo articolo al dl salvaprecari oppure un decreto ad hoc. Ciò avverrà analogamente a quanto previsto l’anno scorso per effetto dell’articolo 4, comma 1 bis, del decreto-legge 87/2018. Ma quest’anno verranno garantiti anche i diritti degli aspiranti docenti che sono stati scavalcati in graduatoria dai diplomati magistrali. Ai quali sarà attribuito il punteggio che avrebbero maturato se ai diplomati magistrali non fosse stato riconosciuto l’inserimento in graduatoria. Ciò vale per le graduatorie a esaurimento, dove il cumulo dei punteggi di servizio consente di avanzare in graduatoria e diventare più competitivi sia per le immissioni in ruolo che per le supplenze annuali. E vale anche per le assunzioni da concorso. In quest’ultimo caso, però, il riconoscimento del servizio ai fini giuridici avrà valore ai fini della ricostruzione di carriera e della mobilità.

Il tutto per il riconoscimento come servizio di ruolo dell’anno o degli anni non prestati per effetto dello scavalcamento in graduatoria da parte dei diplomati magistrali. Riconoscimento che concorre all’attribuzione degli incrementi retributivi collegati all’anzianità di servizio in riferimento alla ricostruzione di carriera. E che consente di migliorare la competitività del docente interessato sia a rimanere nella sede di titolarità, in caso di contrazione dell’organico, sia ai fini della mobilità a domanda. In quest’ultimo caso, però, il riconoscimento assume rilievo solo qualora l’interessato non abbia prestato servizio in qualità di supplente per gli anni di riferimento.

Perché se il servizio sarà stato comunque prestato, anche a tempo determinato, le disposizioni sulla mobilità prevedono l’attribuzione del medesimo punteggio (6 punti per ogni anno) sia che sta svolto da supplente che da docente di ruolo. Resta il fatto, però, che il danno economico determinato dalla preclusione dell’assunzione, dovuta allo scavalcamento in graduatoria da parte dei diplomati magistrali, potrebbe comunque essere risarcibile tremiate l’esperimento dell’azione giudiziale da parte dei docenti pretermessi in graduatoria. Gli interessati, infatti, potrebbero pretendere l’intero pagamento delle retribuzioni in caso di disoccupazione nel periodo di riferimento oppure della differenza tra quello che avrebbero avuto diritto di percepire e quello che abbiano realmente percepito (cosiddetta detrazione dell’aliunde perceptum).

Quanto alle disposizioni in itinere, considerato che il governo intende fare riferimento a quelle utilizzate nel decorso anno scolastico, l’amministrazione dovrebbe attenersi alla seguente procedura. Una volta acquisita la notifica della sentenza sfavorevole del giudice amministrativo, gli uffici dovranno revocare la nomina dei docenti di ruolo abilitati magistrali con conseguente risoluzione, entro e non oltre il termine prescritto di 120 giorni, dei contratti a tempo indeterminato a suo tempo stipulati a seguito di pronunce non definitive. E subito dopo dovranno procedere alla stipula a favore dei medesimi docenti di un contratto di supplenza al 30 giugno 2020. Per quanto riguarda i supplenti annuali fino al 31 agosto, gli uffici dovranno procedere alla conversione del contratto a tempo determinato di durata annuale (fino al 31 agosto 2020) in contratto a tempo determinato con termine finale al 30 giugno 2020.

Il ministero confermerà, invece, fino alla loro scadenza naturale, le supplenze conferite fino al termine delle attività didattiche (30 giugno) ai docenti diplomati magistrali inseriti nelle graduatorie a esaurimento nelle graduatorie di istituto di II fascia a seguito di sentenza non definitiva. In quest’ultimo caso, infatti, non vi sarebbero i presupposti di fatto per l’avveramento della cosiddetta clausola risolutiva.

I contratti individuali di lavoro con i quali vengono assunti i docenti, infatti, prevedono che il licenziamento possa avvenire in questi casi solo previo annullamento della procedura di reclutamento. E siccome l’oggetto sul quale i giudici sono stati richiesti di pronunciarsi è la validità del diploma magistrale conseguito entro il 2001/2002 ai fini delle graduatorie a esaurimento e dei concorsi, gli effetti delle pronunce non comprenderanno le graduatorie di istituto di II fascia. Elenchi nei quali i diplomati magistrali hanno pienamente titolo ad essere inclusi e che rimangono indenni e al di fuori dell’ambito di applicazione di tali sentenze.

Nuovo valzer a viale Trastevere

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Cambiano i ministri e mutano anche i direttori generali. Il passaggio dal governo Conte 1 all’esecutivo Conte 2, con il passaggio del testimone tra l’ex ministro dell’istruzione Marco Bussetti (Lega) e il nuovo titolare del dicastero di viale Trastevere, Lorenzo Fioramonti (M5S), sta avendo effetti anche sulle nomine dei direttori generali degli uffici scolastici regionali e centrali effettuate dall’ex ministro. Non hanno neppure preso servizio la direttrice generale dell’ufficio scolastico regionale per la Liguria, Luciana Volta, e il titolare dell’ufficio scolastico per il Lazio Jacopo Greco. Entrambi nominati da Bussetti in zona Cesarini prima di cedere il testimone a Fioramonti, e finite nel tritacarne della mancata registrazione da parte della Corte di conti che aveva dubbi su alcuni incarichi del pacchetto complessivo. E poi ci sono altri uffici regionali che ancora attendono di essere coperti da un titolare, come per esempio, la Sicilia. Anche tale ufficio, peraltro, era stato fatto oggetto di una nomina da parte dell’ex ministro Bussetti, ma un contenzioso interno ha determinato il ritiro della nomina inizialmente adottata nei confronti di Raffaele Zarbo. E poi c’è l’ufficio scolastico regionale per la Lombardia, la cui poltrona di direttore generale si renderà disponibile tra circa un mese, perché l’attuale titolare, Delia Campanelli, dovrebbe andare in pensione. La dislocazione dei direttori generali potrebbe, infine, subire delle ulteriori modifiche per effetto di eventuali spostamenti a domanda da parte dei diretti interessati. Tra cui quella del direttore generale dell’ufficio scolastico per il Piemonte, che, secondo quanto risulta a Italia Oggi, potrebbe essere interessato a una direzione più romana.

Nel frattempo il ministro Fioramonti ha varato la bozza del nuovo regolamento recante l’organizzazione del ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che farà da preludio alle nuove nomine. Dpcm che sarà ratificato a breve dal consiglio dei ministri e che entrerà subito in vigore senza la previa acquisizione del Consiglio di stato e fermo restando il previo parare della Corte dei conti. Il ministro, infatti, intende avvalersi delle disposizioni contenute nel decreto-legge 104/2019, che fa riferimento a questa facoltà tramite il rinvio alle corrispondenti disposizioni contenute nel decreto-legge 86/2018. Ciò determinerà un’accelerazione dei tempi di esecuzione che, di solito, variano da alcuni mesi ad un anno.

La nuova organizzazione prevede la consueta articolazione piramidale del dicastero con all’apice il ministro al quale faranno riferimento tre capi dipartimento. I tre dipartimenti saranno articolati in: a) dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione; b) dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca; c) dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali. All’interno dei singoli dipartimenti saranno individuate le relative direzioni generali.

Il dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione avrà quattro direzioni generali: una per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione; un’altra per il personale scolastico; una per lo studente, l’inclusione e l’orientamento scolastico e, infine, una direzione generale per i fondi strutturali per l’istruzione, l’edilizia scolastica e la scuola digitale.

Il dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca si articolerà in tre direzioni generali: la direzione generale per la formazione universitaria, l’inclusione e il diritto allo studio; la direzione generale per l’alta formazione artistica, musicale e coreutica; e, infine, la direzione generale per il coordinamento e la valorizzazione della ricerca e dei suoi risultati.

Il Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali potrà disporre di tre direzioni. La prima avrà competenza in materia di risorse umane, finanziarie e contratti; la seconda si occuperà dei sistemi informativi e della statistica e la terza sarà finalizzata alla progettazione organizzativa, l’innovazione dei processi dell’amministrazione e la comunicazione.

Fin qui il livello centrale. A livello periferico l’amministrazione sarà suddivisa in uffici scolastici di livello dirigenziale generale o, in relazione alla popolazione studentesca della relativa regione, di livello non generale. Gli uffici scolastici eserciteranno la loro competenza su tutto il territorio regionale di riferimento.

Il numero complessivo degli uffici scolastici regionali sarà fissato 18 unità, di cui 15 di livello dirigenziale generale.

I rimanenti tre uffici, Basilicata, Molise e Umbria, a causa delle piccole dimensioni del territorio e della popolazione esigua, saranno retti da un dirigente di II fascia. Ad ogni ufficio scolastico sarà preposto un numero variabile di dirigenti di seconda fascia ai quali sarà assegnata la competenza territoriale a livello provinciale, fatti salvi ulteriori posti dirigenziali in altri uffici collocati sempre a livello periferico.

Bambini senza libri, poco sport e scuole pericolanti: quando la povertà comincia dall’educazione

da la Repubblica

Valeria Strambi

Edifici poco sicuri, investimenti in istruzione che vanno a singhiozzo e abbandono scolastico alle stelle. Se in Italia quasi la metà degli studenti under 18 non legge neppure un libro che non sia stato “imposto” dalla professoressa, sono in costante crescita i numeri di chi è sempre connesso alla rete, in classe e fuori: solo il 5,3% dei minori non usa Internet quotidianamente. Molti giovani (almeno uno su sette) si perdono lungo il percorso e finiscono per lasciare gli studi, mentre chi continua ad andare a scuola è spesso costretto a farlo in strutture inadeguate (settemila sono da considerarsi “vetuste” e più di 21mila non hanno il certificato di agibilità).  È la fotografia che emerge da ll tempo dei bambini, il decimo “Atlante dell’infanzia a rischio” di Save the Children, l’organizzazione internazionale che da cento anni lotta per salvare i più piccoli e garantire loro un futuro: qui l’edizione 2018. Il report, a cura di Giulio Cederna, è suddiviso in più sezioni e traccia un bilancio della condizione dI bambini e adolescenti in Italia negli ultimi dieci anni.

Tra i bambini italiani 1,2 milioni di poveri
La cifra dei minori che vivono in povertà assoluta, cioè senza i beni indispensabili per condurre una vita accettabile, è più che triplicata, passando dal 3,7% del 2008 al 12,5% del 2018 e arrivando a toccare quota 1,2 milioni. Difficili sono anche le condizioni abitative: in un Paese in cui circa due milioni di appartamenti rimangono sfitti, negli anni della crisi (2011-2014) il 14% dei minori ha patito condizioni di grave disagio.

Spesa sociale, resta il gap Nord-Sud
L’Italia, secondo l’Atlante, continua inoltre a non avere un piano strategico per l’infanzia e l’adolescenza. Le risorse investite nel sociale sono insufficienti, con divari enormi tra le Regioni nell’accesso ai servizi per i bambini e le loro famiglie. Basti pensare che, a fronte di una spesa sociale media annua per l’area famiglia e minori di 172 euro pro capite da parte dei Comuni, la Calabria si attesta sui 26 euro mentre l’Emilia Romagna arriva a 316.

Istruzione, Italia fanalino di coda
Secondo i dati dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’Italia spende per l’istruzione e l’università circa il 3,6% del Pil, quasi un punto e mezzo in meno rispetto alla media degli altri Paesi, pari al 5%. Ccon la riforma del 2008, in tre anni, sono stati tolti ben 8 miliardi. La spesa per l’istruzione è così crollata dal 4,6% del Pil del 2009 al 4,1% del 2011 fino al minimo storico del 3,6% del 2016.

Il fantasma dell’abbandono
La povertà economica si riflette sulla povertà educativa. Sebbene nell’ultimo decennio si siano fatti passi in avanti sul tema della dispersione scolastica, abbattendo del 5,1% la media nazionale dei cosiddetti early school leavers, le differenze tra Nord e Sud sono drammatiche. A fronte di Regioni che hanno già centrato l’obiettivo europeo (Trento, Umbria, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia), ce ne sono altre dove il tasso di dispersione supera il del 20% (Calabria, Sicilia e Sardegna). Il dato complessivo nel 2018 si attesta al 14,5%, ma si registra per il secondo anno consecutivo un pericoloso trend di ripresa.

I libri, questi sconosciuti
Ma c’è di più. A preoccupare è anche il ritratto di coloro che, invece, le scuole continuano a frequentarle. Quasi un minore su due non legge un libro oltre a quelli scolastici durante l’anno, con picchi in Campania (64,1%), Calabria (65,9%) e Sicilia (68,7%). Se nel 2008 i “non lettori” erano il 44,7%, questa percentuale è salita dopo dieci anni al 47,3%. Anche lo sport resta per molti un privilegio: in Italia circa un minore su 5 (tra i 6 e i 17 anni) non lo pratica e il 15% svolge solo qualche attività fisica. Alcuni passi in avanti si sono però visti: se nel 2008 il 21,8% dei minori era sedentario, nel 2018 il dato scende a 17,9%.

Solo una scuola su 5 è antisismica
Scenario tutt’altro che incoraggiante quello sulle strutture scolastiche: nell’Italia dei terremoti e del dissesto idrogeologico le scuole sicure sembrano un miraggio e la gran parte degli edifici è inadeguata a possibili emergenze. Su un totale di 40.151 edifici censiti dall’anagrafe scolastica, ben settemila sono classificati come “vetusti”, circa 22 mila sono stati costruiti prima degli anni Settanta, cioè prima dell’entrata in vigore delle norme che hanno introdotto l’obbligo di collaudo statico (15.550 infatti ne sono privi). Sono 21.662 gli istituti che non hanno un certificato di agibilità e 24mila quelli senza certificato di prevenzione incendi. Nelle aree a pericolosità sismica alta e medio-alta, sono ben 13.714 le strutture che non sono state progettate per resistere a un terremoto ed è antisismica appena una scuola su cinque.

La campagna
“Siamo di fronte a un paese ‘vietato ai minori’ che negli ultimi dieci anni ha perso di vista il suo patrimonio più importante: i bambini – commenta Valerio Neri, direttore generale di Save the Children – Impoveriti, fuori dall’interesse delle politiche pubbliche, costretti a studiare in scuole non sicure e lontani dalle possibilità degli altri coetanei europei. Ma che non si arrendono, che hanno trovato il coraggio di chiedere a gran voce che vengano rispettati i loro diritti, che gli adulti lascino loro un pianeta pulito e un ambiente di vita dove poter crescere ed esprimersi”. In concomitanza con la pubblicazione del nuovo Atlante parte anche la campagna “Illuminiamo il futuro” per il contrasto alla povertà educativa. Firmando la petizione online http://www.illuminiamoilfuturo.it si chiede il recupero di 16 spazi pubblici oggi abbandonati da destinare ad attività extrascolastiche gratuite per i bambini. La mobilitazione è accompagnata sui social dall’hashtag #italiavietatAiminori.

Ma alla famiglia servono anche i nidi

da la Repubblica

di Chiara Saraceno e Giorgio Tamburlini

Un’importante novità della manovra finanziaria è l’istituzione del Fondo famiglia. Vi confluiranno i diversi bonus che in questi anni sono stati introdotti a sostegno di chi ha un bimbo piccolo – dal bonus bebè al bonus nido – cui vengono aggiunti 600 milioni di euro.

Servirà a finanziare un assegno per sostenere il costo del ricorso a servizi di cura. Viene rimandato, invece, il riordino degli altri, più strutturali, trasferimenti legati alla presenza di figli a carico – assegno al nucleo famigliare, assegno per il terzo figlio, detrazioni fiscali – per arrivare ad un assegno unico destinato a compensare parte del costo di mantenimento dei figli fino alla maggiore età.

Sostenere l’accesso a servizi per l’infanzia è importante, non solo per favorire l’occupazione femminile e la conciliazione famiglia-lavoro, ma anche per lo sviluppo dei bambini. Per questo occorre porre molta attenzione a non mettere sullo stesso piano – come invece sembra suggerire la norma del Def ed è esplicito nella proposta di legge Delrio ed altri cui è ispirata – servizi educativi certificati quali i nidi e le scuole dell’infanzia e servizi con prevalenti o esclusive funzioni di custodia, quali baby parking o baby sitter e simili. Una cospicua e crescente mole di studi, effettuati sia in campo internazionale che in Italia, documenta i benefici, per tutti e in particolare per bambini di famiglie di medio-basso livello socio-economico e culturale, della frequenza di nidi di qualità. L’accesso a questi servizi – che nella loro grande maggioranza si fondano su solide basi pedagogiche, con modelli che costituiscono riferimento di eccellenza in tutto il mondo – consente infatti ai bambini di usufruire di opportunità di sviluppo sul piano cognitivo, socio-relazionale e dell’autonomia che non sempre le famiglie sono in grado di offrire. Offre anche ai genitori la possibilità di confrontarsi con educatrici esperte e con altri genitori sui normali problemi che incontrano nel crescere i loro bambini. Inoltre, quando i genitori sono coinvolti, anche per breve tempo, nelle attività educative (lettura, gioco, musica e movimento, piccoli lavori manuali), possono coglierne l’importanza, e la fattibilità anche a casa, osservare il piacere che i bambini ne ricavano, e motivarsi quindi a utilizzare il tempo a disposizione con i propri figli in attività affettivamente ricche e costruttive per lo sviluppo.

La frequenza del nido va quindi fortemente sostenuta sia abbassando la soglia di accessibilità economica, sia e soprattutto aumentando l’offerta, che con qualche buona eccezione in Italia è ancora del tutto insufficiente. A questo proposito si nota la mancanza, nel Def e nel Piano famiglie che si viene delineando, di un investimento significativo in questa direzione. Occorre anche creare la consapevolezza nelle famiglie e nelle comunità che inviare i propri bimbi al nido, a prescindere dal fatto che la mamma sia occupata o meno, rappresenta un grande investimento per il loro futuro, sia immediato che a lungo termine, a differenza del ricorso a forme di custodia senza contenuti educativi. Una recentissima indagine effettuata da “Save the Children” su un campione di bimbi di età compresa tra 42 e 54 mesi ha dimostrato che a questa età i bambini hanno competenze (cognitive, motorie, sociali) che sono già diverse non solo in rapporto al background dei genitori, ma alla eventuale frequenza al nido negli anni precedenti e alle attività svolte in famiglia. Coniugare il sostegno economico alle famiglie che ne hanno bisogno alla maggior fruizione di servizi e proposte educative di qualità è una scommessa che si può vincere solo creando le condizioni necessarie e dando i segnali giusti.

Giorgio Tamburlini, pediatra, ha fondato e presiede il Centro per la salute del bambino Onlus, ed è consulente di diverse organizzazioni internazionali sui temi della salute e dello sviluppo precoce del bambino.

Usura psicofisica degli insegnanti in continuo aumento: come uscirne?

da Orizzontescuola

di Vittorio Lodolo D’Oria

L’usura psicofisica determinata dalla professione docente non risparmia nessuno e può manifestarsi a differenti età a seconda della propria anamnesi familiare, dei cosiddetti “life event” (separazioni, malattie, lutti, dispiaceri, circostanze particolari etc), delle situazioni fisiologiche contingenti (es. post-partum, menopausa), della propria resilienza, delle abitudini di vita (hobbies, dieta sana, attività fisica o fumo, caffè, alcool) e della strategia di adattamento per contrastare lo stress quali, su tutte, la condivisione del disagio con colleghi e amici.

Di seguito analizziamo i casi di due docenti relativamente giovani (la più grande ha 50 anni) che sono già stremate e manifestano le classiche somatizzazioni oltre a un forte senso di inadeguatezza nei confronti degli stessi alunni. Chiedono al sottoscritto come fare per uscire dal circuito e se può essere d’aiuto coinvolgere il dirigente nel processo. È del tutto evidente che, come la totalità del corpo docente, le maestre in questione sono totalmente all’oscuro delle malattie professionali (prevenzione inclusa) e degli strumenti messi a disposizione dal legislatore per farvi fronte (procedure nonché diritti e doveri dell’accertamento medico d’ufficio e a richiesta del lavoratore). Può essere utile ricordare che il dirigente scolastico ha, a tal proposito, un debito formativo nei confronti dei suoi insegnanti ai sensi degli artt. 28, 36 e 37.

Domanda: Gentile dottore, sono una insegnante di scuola primaria di 50 anni che non riesce più a svolgere il proprio lavoro con serenità. Quando penso che lo stato mi vuole a scuola fino a 67 anni mi sento morire! Come si può pensare di fare questo mestiere fino a quella età? Io vorrei arrivarci viva e non voglio ammalarmi a causa di tutto lo stress e le mortificazioni che subisco quasi ogni giorno. Vorrei sapere se esiste una via di fuga da questa situazione e che cosa prevede la legge in caso di inabilità all’insegnamento? Io ormai sono arrivata ad un livello tale di stress che quando guardo i bambini sento un “odio” o “risentimento” per quello che mi fanno provare. Non lavoro più con gioia ed entusiasmo, le motivazioni sono molteplici e Lei le ha ben esposte (rapporti con famiglie, bambini con DSA e BES senza sostegno, situazioni che avrebbero bisogno di un maggiore supporto che non c’è…). Cosa mi consiglia? Devo parlarne con la mia dirigente? Io non so come muovermi. La ringrazio molto per il tempo che vorrà dedicarmi.

Risposta: L’unica via possibile consiste nel richiedere l’accertamento medico in CMV presentando alla visita documentazione specialistica psichiatrica attestante il suo malessere. Tale certificazione deve essere prodotta in struttura pubblica. Credo che al massimo potrà ottenere l’inidoneità all’insegnamento poiché solo a casi gravi è riservata l’inabilità al servizio con relativa dispensa. In caso di inidoneità all’insegnamento verrà collocata ad altre mansioni cioè in biblioteca o in segreteria e dovrà timbrare le 36 ore poiché perderebbe la flessibilità oraria degli insegnanti. Se la dirigente è persona comprensiva può parlare con lui, sapendo che l’accertamento medico d’ufficio è valutato con più attenzione dalla CMV rispetto a quello richiesto dal lavoratore. Cari saluti.

Domanda: Gentile dottore, mi ha parlato di lei una collega e ho pensato di scriverle. Sono docente nella primaria.  Nel 2007 mi chiamarono a novembre come supplente, era la prima volta che insegnavo. Mi toccò una classe V di 22 alunni, il più della classe erano ragazzi maleducati, altri molto irrequieti. Alcune mamme saranno state un 3 o 4, mi fecero del mobbing vero e proprio. Il preside conosceva classe e genitori e comprese la mia situazione, mi supportò e mi tutelò. I ragazzi erano ingestibili, sicuramente anche stuzzicati dalle mamme. Gli alunni saltavano sui banchi, mentre ero intenta a spiegare, uscivano dalle classi, mi mandavano a quel paese per aver loro proibito l’uso del cellulare in classe. Un ragazzo poi venne con la malizia nel mostrarmi l’icona della “Style” che evoca una posizione sessuale. Una classe orrenda insomma e se aggiungiamo la mia inesperienza, fu un anno scolastico devastante. Un collega di ruolo nel plesso mi confidò che toccava a lei quella V ma la rifiutò perché conosceva la situazione: aveva preferito la classe prima più faticosa didatticamente piuttosto che la V toccata a me. Iniziai a soffrire d’ansia e avere stati di derealizzazione, mal di testa, vomito. All’inizio non ho capito cosa mi capitasse, sapevo solo di star male. Con il tempo l’ansia è andata degenerando e nel 2016 una flebo di Plasil somministratami in ospedale mi scatenò attacchi di panico che persistono. L’anno scorso ho subito un vero mobbing da parte della dirigente. Quest’ anno sono in un altro istituto.  La dirigente, su mia richiesta, mi ha dato materie antropologiche e 10 ore di potenziamento.  Io, però, non reggo più il rumore, da marzo di quest’anno sono peggiorata. In classe inizio subito ad accusare stanchezza mentale, forti mal di testa, nausea, a momenti provo le sensazioni degli attacchi di panico, dolore al petto come se mi esplodesse il cuore, in più provo come una sorta di euforia negativa (il medico la chiamò disforia). A tutto ciò si aggiunge la disfonia, tanto che devo usare un microfono. I dottori dicono che la mia è una depressione nascosta, ma io non mi sento depressa e provo un’ansia terribile che mi induce tristezza. Un qualunque stress mi fa crollare subito. Non tollero di dover gridare contro i bambini, mi sento di far loro un danno. Io amo i bambini ma non sono più capace di sopportare il vociare continuo, la gestione della classe, stare sempre a richiamare ora uno ora l’altro. Ho esaurito le energie mentali. Cosa posso fare dottore? Ho preso gli antidepressivi ma non mi hanno portato alcun beneficio, anzi! Avevo pensato di chiedere alla dirigente di istruire una pratica per visita collegiale medica all’asl ma temo la reazione della dirigente. In questi giorni sto usando il cotone nelle orecchie per attenuare il rumore. Mi dia un consiglio. Vorrei essere esonerata dall’insegnamento, ma voglio lavorare perché calata in un contesto tranquillo io sto bene, mi distraggo e sto bene psicologicamente. Il mio malessere è reattivo iniziato con la scuola, poi altre situazioni di vita hanno contribuito a esasperarmi la sofferenza mentale. Io la nascondo tanto che una mia collega mi ha detto che, a vedermi, non avrebbe mai immaginato che stessi male. Eppure, dentro, soffro. Un’altra collega mi ha confidato del malessere che vive in classe, perché parlarne tra docenti è tabù vista la saccenza di molti colleghi. Mi dia un consiglio.

Risposta: Innanzitutto le consiglio di documentarsi su ciò che sta attraversando. Le farà bene sapere che il suo è un sentire piuttosto diffuso. Legga il mio ultimo libro “Insegnanti, salute negata e verità nascoste”. Poi, per avere l’inidoneità all’insegnamento occorre passare in CMV producendo certificati medici di struttura pubblica aggiornati riguardanti la sua condizione psichiatrica innanzi tutto. Presentare domanda di accertamento medico in CMV è un suo diritto e non capisco quale sia il problema per il dirigente. Un ultimo consiglio, poiché ha poche energie, eviti conflitti con colleghi, preside, genitori etc. Cari saluti.

Considerazioni: dal 1992 al 2012 sono intervenute quattro riforme previdenziali “al buio”, cioè senza valutare la salute della categoria professionale dei docenti. All’alba del terzo millennio non sono ancora riconosciute le malattie professionali degli insegnanti, non è finanziata la prevenzione e si usano terminologie che non hanno rilevanza medica ai fini della cura e dell’indennizzo (burnout, stress lavoro, correlato, rischi psicosociali). Nel giro di 20 anni siamo perciò passati dall’insostenibile situazione delle baby-pensioni ai 67 anni per andare in quiescenza. Stiamo perciò assistendo ai frutti degenerati di un sistema perverso.

www.facebook.com/vittoriolodolo

Concorso straordinario secondaria: esclusi anni di servizio come insegnante di religione cattolica

da Orizzontescuola

di redazione

Concorso straordinario secondaria: i requisiti di servizio sono abbastanza stringenti, le annualità previste devono infatti essere riferite a classe di concorso o posto di sostegno.

Un nostro lettore chiede

Spett. Redazione, in merito al concorso straordinario previsto dal decreto “salva precari”, l’art. 5 recita: “La partecipazione alla procedura è riservata ai soggetti, anche di ruolo, che, congiuntamente:

a) tra l’anno scolastico 2011/2012 e l’anno scolastico 2018/2019, hanno svolto, su posto comune o di sostegno, almeno tre annualità di servizio […]”; l’art. 6 precisa poi che “Il predetto servizio è considerato se prestato come insegnante di sostegno oppure in una classe di concorso compresa tra quelle di cui all’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 2016, n. 19, e successive modificazioni”
Alla luce di quanto sopra, ponendo il caso di un docente con tre anni di servizio nella scuola secondaria di cui due di IRC e uno per la classe A022 che voglia partecipare al concorso straordinario per quest’ultima, è corretto affermare che egli non possa concorrere perché l’IRC è un insegnamento privo di una propria classe di concorso? Se così fosse, mi sembra che ciò costituirebbe un’ingiusta esclusione.
 Ringraziando, cordiali saluti.
Ecco cosa hanno detto i sindacalisti ai nostri microfoni:
Marcello Pacifico Anief “Ovviamente rimane il problema degli insegnanti di Religione cattolica che sono fuori da questo programma”
Elvira Serafini, Snals “Quanto alle materie contenute nell’intesa del 1 ottobre scorso, va ricordato che il disegno di legge recante disposizioni in materia di abilitazione sarà presentato come collegato alla manovra di Bilancio. Lo Snals chiede “un percorso più celere e una chiara definizione di coloro che potranno parteciparvi. Ciò serve a dare risposta a tutti coloro per i quali si è creata l’aspettativa di conseguire un’abilitazione e che ha prestato tre annualità di servizio in tutti gli ordini e gradi scuola, a tempo determinato e indeterminato, abilitati con CFU, dottori di ricerca, insegnamento di Religione cattolica. Potrebbero passare in seconda fascia di istituto, partecipare ai concorsi ordinari o alla mobilità professionale, coprire posti vacanti e disponibili, visto che tanti posti del contingente di immissione in ruolo ogni anno restano vacanti per mancanza di personale”.
Da queste indicazioni si evince che il servizio prestato in qualità di IRC non potrà essere considerato valido ai fini del raggiungimento delle tre annualità di servizio richieste come requisito minimo per l’accesso al concorso straordinario.
Ricordiamo che il decreto approvato dal Consiglio dei Ministri potrà ancora essere modificato nei 60 giorni di tempo utili prima della trasformazione in legge.

Concorso DSGA, sedi prove scritte 5 e 6 novembre. Completo

da Orizzontescuola

di redazione

Concorso DSGA, il 5 e 6 novembre si svolgeranno le due prove scritte. Avvisi USR per l’individuazione della sede.

I candidati si dovranno presentare nelle rispettive sedi d’esame
muniti di un documento di riconoscimento in corso di validita’ e del
proprio codice fiscale.

La durata di ciascuna prova e’ pari a 180 minuti.

Le prove scritte

I candidati dovranno svolgere due prove scritte:

  • una prova costituita da sei domande a risposta aperta, volta a verificare la preparazione dei candidati sugli argomenti di cui all’Allegato B del DM 863/2018;
  • una prova teorico-pratica, consistente nella risoluzione di un caso concreto attraverso la redazione di un atto su un argomento di cui all’Allegato B del DM 863/2018.

Qui le griglie di valutazione dall’USR Campania

Sedi prove scritte

USR Abruzzo

USR Basilicata

USR Calabria

USR Campania

USR Emilia Romagna

USR Friuli Venezia Giulia

USR Lazio  

USR Liguria

USR Lombardia

USR Marche

USR Molise  

USR Piemonte 

USR Puglia

USR Sardegna

USR Sicilia

USR Toscana

USR Umbria

USR Veneto

N.B. L’elenco non ha carattere di ufficialità, qualsiasi modifica va controllata sul sito dell’USR di riferimento.

Analisi UE sui docenti italiani: carriera e stipendi inadeguati

da Tuttoscuola

Oltre ai dati sugli obiettivi attesi per il 2020, “Education and Training – Monitor 2019” ha svolto anche alcune sintetiche analisi sui principali indicatori del sistema d’istruzione.

Nel capitolo dedicato al personale scolastico, dopo avere constatato che i nostri docenti – come si sa – sono mediamente i più anziani d’Europa e detengono anche il primato del più alto tasso di femminilizzazione, vengono analizzate e commentate le principali situazioni riguardanti i nostri docenti, tra cui la carriera, la retribuzione, la mobilità.

“Le limitate prospettive di carriera, unite a stipendi relativamente bassi rispetto a quelli di altre professioni altamente qualificate, rendono difficile attrarre i laureati più qualificati.

Il sistema delle carriere dei docenti offre un unico percorso di carriera con incrementi salariali fissi basati esclusivamente sull’anzianità.

In assenza di incentivi legati ai risultati, la mobilità scolastica rimane l’unica possibilità di migliorare le condizioni di lavoro.  Di conseguenza, le scuole delle zone svantaggiate tendono a essere private dei migliori insegnanti e ad esse vengono destinati insegnanti giovani e inesperti con contratti a tempo determinato.

Gli stipendi degli insegnanti stabiliti per legge sono inferiori alla media OCSE in tutte le fasi della carriera. Il sistema di carriera basato sull’anzianità significa che gli insegnanti possono raggiungere lo stipendio massimo solo dopo 35 anni di servizio; la media OCSE è di 25 anni.

Inoltre, gli stipendi degli insegnanti sono inferiori a quelli di altri lavoratori con un’istruzione terziaria. Il blocco degli scatti stipendiali dei dipendenti del settore pubblico, ancora in vigore dal 2010, continua ad avere un impatto negativo sul potere d’acquisto degli insegnanti.

Gli stipendi degli insegnanti che hanno iniziato la professione nel 2016/2017, in termini reali, erano pari a circa il 94 % degli stipendi del 2009/2010 (Commissione europea/EACEA/Eurydice 2018b)”.  

Protocollo d’intesa Camera-MIUR-Giustizia

Scuola, firmato Protocollo d’intesa Camera-MIUR-Giustizia: incontri sulla legalità e la Costituzione negli istituti penali minorili

Una serie di incontri con gli studenti negli istituti penitenziari minorili, per promuovere i valori e i principi della democrazia e della Costituzione. Questo l’obiettivo del Protocollo d’intesa sottoscritto oggi, presso l’Istituto Penale per i Minorenni “Nicola Fornelli” di Bari, dal Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico, dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Lorenzo Fioramonti e dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

Il Protocollo rinnova l’intesa siglata lo scorso anno. Camera dei Deputati, MIUR e Ministero della Giustizia promuoveranno l’educazione alla legalità, il contrasto della devianza e il reinserimento sociale, tramite incontri e iniziative negli istituti minorili e nelle scuole, dedicati all’approfondimento e allo studio della nostra Carta Costituzionale.

“È dall’istruzione che cominciamo a ricostruire questo Paese e dobbiamo iniziare soprattutto dai luoghi dove si vivono le maggiori difficoltà, dove incontriamo coloro che devono avere una seconda possibilità – ha dichiarato il Ministro Lorenzo Fioramonti-. Partire da chi ha commesso degli errori, da chi si è trovato a vivere in realtà più svantaggiate rispetto agli altri, ha un valore simbolico per il resto del Paese. Abbiamo il dovere di portare qui la presenza della Stato e degli operatori della scuola”.

“Dobbiamo sostenere i ragazzi che hanno fatto uno sbaglio, che hanno commesso dei crimini – ha proseguito il Ministro -. Soltanto se forniamo le condizioni e gli strumenti per il riscatto dei nostri giovani, senza esclusioni, soltanto se, attraverso la scuola, aiutiamo a colmare i divari insostenibili e inaccettabili di una società profondamente ingiusta, rispettiamo gli elementi principali della nostra Costituzione e della democrazia partecipativa. L’istruzione è un grande volano di sviluppo e questo accordo serve a fare in modo che non sia più dimenticato il suo ruolo rivoluzionario e radicalmente emancipatorio”.

Le attività dell’intesa saranno pianificate e coordinate, nel rispetto dell’autonomia scolastica, da un comitato paritetico composto da due rappresentanti della Camera dei Deputati e due di entrambi i Ministeri.

Educazione&Scuola©