La mia scuola perfetta

da la Repubblica

di Eraldo Affinati

Il Piano triennale di Offerta Formativa (Ptof) è la carta d’identità di ogni scuola.

Questo documento, redatto dai docenti secondo apposite direttive ministeriali, che dettano i criteri da seguire per fotografare la situazione esistente le azioni da svolgere al fine di migliorare le eventuali criticità, deve essere approvato dal consiglio d’istituto.

Quando i genitori iscrivono i figli a scuola lo dovrebbero avere ben presente: è in quelle pagine che viene descritto il contesto sociale dell’istituto nel suo rapporto con il territorio, le materie che si insegnano, i titoli di studio rilasciati, gli obiettivi e le scelte strategiche, le attività praticate, i criteri adottati per la valutazione degli apprendimenti, i piani di formazione e le azioni da mettere in campo per favorire l’inclusione.

Questo testo è la presentazione che ogni scuola fa di se stessa per attrarre maggiori iscrizioni: chi lo considerasse un volantino pubblicitario certo semplificherebbe, tuttavia non sarebbe lontano dalla verità. Ma qual è la scuola migliore? Qui cominciano i problemi: per alcuni, inutile negarlo, è quella che seleziona gli alunni, dividendo i bravi dai somari, i capaci dai negligenti, i promossi dai bocciati, gli italiani dagli immigrati, i bianchi dai neri, i ricchi dai poveri, i forti dai deboli. Chi, come me, ha insegnato per oltre trent’anni italiano e storia negli istituti professionali, negli istituti tecnici, nei licei e nelle università, sa bene che non è così; anzi è vero il contrario.

Solo nella mescolanza, culturale, antropologica, anagrafica, linguistica, caratteriale, fisica, di genere, chi più ne ha più ne metta, si cresce davvero. Eppure certi pregiudizi sono duri a morire.

Resto convinto che una classe di soli ripetenti sarebbe tristissima, così come una composta di soli secchioni: tutta la mia esperienza didattica mi spinge a crederlo, ci ho scritto sopra anche qualche libro, ma devo ammettere che molti genitori, compresi alcuni che in teoria si dichiarano d’accordo con me, nel momento in cui sono chiamati a decidere sul futuro dei loro figli, cedono all’istinto e, scansando infastiditi gli edifici statali a volte fatiscenti, con classi composte spesso da tanti extracomunitari e da qualche borgataro, s’orientano verso quelli che io definisco gli “acquari fioriti”: ambienti protetti, arredati in stile finlandese, passi se devono pagare una cospicua retta, senza peraltro calcolare il rischio nascosto in tutte le isole nuove che, come scrisse il grande Rodolfo Wilcock, “da lontano sembrano così verdi / per quanto, immagino, saranno piene di vipere.”

A questa categoria di persone fanno l’occhiolino, diciamola tutta, certi Ptof, abilmente mascherati dietro le “direttive ministeriali” che in verità, viste le ricorrenti grancasse mediatiche d’inizio anno (a fine gennaio scadono i termini entro cui presentare le domande d’iscrizione), potrebbero essere aggiornate o modificate ponendo al primo posto, al di là della descrizione dei contesti in cui opera la scuola (che non dovrebbe implicare la divulgazione dei mestieri dei genitori degli alunni), l’obiettivo numero uno da realizzare a livello nazionale: integrazione di tutte le differenze e promozione sociale in ottemperanza al dettato costituzionale. A costo di allontanare qualche famiglia schizzinosa e suscitare il sofisticato sconcerto dei soliti spiriti arguti pronti a rimarcare l’effetto controproducente del “politicamente corretto”.

Post scriptum. Il giorno in cui sono divampate le polemiche sull’istituto romano che aveva evidenziato nel suo sito la differente composizione sociale dei propri plessi scolastici, io stavo insegnando italiano agli immigrati a Casal Bertone, quartiere periferico capitolino.

Insieme a me, seduti uno accanto all’altro, c’erano settantacinque scolari e settantasei volontari, più sette all’accoglienza. Fra i docenti dei giovani africani e asiatici figuravano diciassette liceali italiani.

“La scuola italiana non è classista ma non attiva più l’ascensore sociale”

da la Repubblica

Maria Novella De Luca

Intervista ad Ajello, presidente Invalsi

«La scuola non è più un ascensore sociale perché non riesce più a raggiungere i ragazzi svantaggiati. Troppe differenze, troppe origini diverse, troppa società disgregata intorno. E i prof alzano bandiera bianca». Anna Maria Ajello, presidente dell’Invalsi, non ha paura di guardare in faccia la realtà. E di raccontare, dati alla mano, quella che sembra, almeno in parte, la cronaca di una disfatta. Scuole che separano i ricchi dai poveri, istituti che segnalano sulla propria “carta d’identità” la presenza di disabili, immigrati o «figli di colf e badanti», o viceversa i plessi «alto borghesi». Ma soprattutto un divario, drammatico, di competenze, figlie di quella stessa distanza socioeconomica.

Professoressa Ajello, la scuola sta abbandonando i più fragili? I dati Ocse-Pisa 2018 dicono che sulle capacità di lettura, ad esempio, gli studenti “avvantaggiati” hanno 5 volte più probabilità di avere buoni voti rispetto ai compagni più poveri o meno seguiti.

«Questo è il quadro e non è confortante. Per la scuola pubblica italiana, che per tutto il ‘900 è stata un ascensore sociale formidabile, è una sconfitta. Ma dobbiamo tenere conto di due elementi. Il primo è che l’ascensore sociale si è fermato in tutto il Paese, perché il lavoro non c’è, o è sempre più precario. Il secondo è il numero di studenti svantaggiati che oggi sono entrati nella scuola. Con una complessità di situazioni che il nostro sistema d’istruzione, troppo uguale a se stesso, non riesce proprio a gestire».

Nel senso che fino a qualche decennio fa si iscrivevano alle scuole superiori, in particolare al liceo, pochi studenti svantaggiati?

«Sì, i numeri sono cresciuti, ma soprattutto sono aumentate le situazioni di disagio e di povertà educativa che si presentano in una classe. E la scuola, socialmente, ha perso autorevolezza. Con il risultato che a volte, per portare avanti tutti, si abbassa il livello generale, con danni che poi si vedono all’università. Però attenzione: l’incertezza del futuro, il senso di precarietà che anche noi adulti comunichiamo ai ragazzi, contribuisce al senso di demotivazione collettiva».

Come se studiare non fosse così fondamentale per crearsi un futuro.

«Sappiamo che non è così, anzi la guerra sulle competenze è ormai feroce, il mondo del lavoro richiede specializzazioni sempre più alte. Ma il messaggio che passa è quello».

Più studenti svantaggiati al liceo, e prof in panne. Questo porta famiglie e dirigenti a creare classi differenziate per ceto? Una scuola segregazionista?

«Francamente la scuola italiana è ancora una delle meno classiste in assoluto. E il ministero ha emanato circolari molto ferme contro le classi ghetto, fatte solo, ad esempio, di ragazzi di origine straniera. O al contrario, contro classi formate soltanto da figli di famiglie abbienti».

E allora perché accade? L’istituto di via Trionfale a Roma è un esempio.

«Perché le famiglie fanno pressione e i presidi si fanno condizionare».

Ma la differenza di competenze non deriva anche dal fatto che le scuole frequentate da un’utenza più “bassa” hanno meno fondi, meno opportunità?

«No, non è una questione di fondi. Il Sud negli anni ha avuto moltissimi finanziamenti, eppure, a parte alcuni casi, il Nord è più avanti nei risultati scolastici».

«Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati». Lo scriveva don Milani nel 1967. Stiamo respingendo i più deboli?

«Il rischio c’è se non si restituisce all’istruzione il posto che merita nella società. Con risorse, stipendi adeguati per i professori, autorevolezza, smettendola di fare riforme ogni sei mesi. Ritrovando, anche, il senso di missione sociale della scuola».

Liceo Classico, dagli indirizzi tradizionali a quello Biomedico e linguistico: presidio culturale insostituibile

da Orizzontescuola

di redazione

Si è svolta ieri sera la Notte del Liceo Classico, giunta alla VI edizione, alla quale hanno partecipato 436 scuole in tutta Italia con manifestazioni, eventi, rappresentazioni in cui protagonisti sono stati gli studenti.

L’iniziativa, nata da un’idea del prof. Rocco Schembra, docente di Latino e Greco presso il Liceo Classico Gulli e Pennisi di Acireale (CT), mira a dimostrare la vitalità del Liceo Classico e la motivazione degli studenti che lo frequentano.

La notte del Liceo Classico è anche un’occasione, per famiglie e studenti di visitare la scuola, conoscere l’offerta formativa, avere informazioni sulla tipologia di studi affrontati.

Gallo: licei classici formano cittadini consapevoli ma anche lavoratori del futuro

“I licei sono presidi culturali fondamentali soprattutto quando, attraverso indirizzi come quello biomedico e linguistico, dimostrano di guardare sapientemente al futuro dei nostri ragazzi, rinnovandosi ma mantenendo forte la loro impronta umanistica”. È quanto afferma il deputato del MoVimento 5 Stelle Luigi Gallo, presidente della commissione Cultura, Scienza e Istruzione, in occasione della Notte nazionale dei licei classici, rivolgendo i propri auguri all’Istituto De Bottis di Torre del Greco, che celebra in contemporanea i suoi 90 anni di storia.
“Come afferma la nostra ricerca Cultura 2030, realizzata con il sociologo Domenico De Masi con esperti come Piergiorgio Oddifredi e Nuccio Ordine, i licei di questo tipo come il De Bottis svolgono un importante doppio ruolo: formare cittadini consapevoli, ma anche lavoratori del futuro”, prosegue Gallo.
“In tal senso, l’indirizzo biomedico oggi è una grande nuova possibilità per gli studenti e i dati lo confermano: in due anni gli istituti che hanno attivato tale percorso sono raddoppiati, con una frequenza di circa 12 mila studenti, che hanno fin dall’istruzione secondaria la possibilità di partecipare a laboratori con medici e biologi e visite in ambulatori, ospedali e centri di ricerca e magari si preparano ad entrare nelle facoltà di medicina dove siamo riusciti quest’anno ad aumentare i numeri di accesso del 20% ed abbiamo finanziato 8000 borse mediche, 1000 in più in questa legge di bilancio. Crediamo fortemente nel rilancio dell’accesso alla conoscenza e per questo abbiamo cancellato quest’anno l’odiosa categoria degli studenti idonei senza borsa di studio all’università con lo stanziamento di 31 milioni. Ed è solo l’inizio del piano di rilancio che abbiamo in mente che continuerà con la nostra proposta di legge sulla riforma del numero chiuso all’università ”, conclude il portavoce del MoVimento 5 Stelle.

Azzolina: leggere i filosofi classici e comprendere la modernità del pensiero

“Dobbiamo essere fieri della nostra scuola – afferma la Ministra Azzolina ospite di una scuola di Biella –  E di iniziative come questa, che ha coinvolto 436 Licei Classici in tutta Italia, con migliaia di giovani impegnati a promuovere insieme la cultura classica e umanistica.

Quando da studentessa leggevo i classici, come Platone o Aristotele, mi apparivano davvero molto attuali nel loro pensiero. È così anche oggi. E in questa Notte del Liceo Classico abbiamo riscoperto tutti insieme la modernità del loro pensiero

Casa (M5S): Liceo Classico vivo e vitale

“Celebrare la cultura classica – afferma l’On. Vittoria Casa – equivale a celebrare un’unicità del sistema scolastico italiano che, malgrado le tante difficoltà, continua a essere viva e vitale.

Risorse Miur, Azzolina: utilizzeremo fino all’ultimo euro. Centrale l’innovazione didattica

da Orizzontescuola

di redazione

“In questi giorni stiamo lavorando per fare una ricognizione di tutte le risorse a disposizione del nostro Ministero, vogliamo utilizzare fino all’ultimo euro.

Soprattutto vogliamo investire sull’innovazione didattica, che è fondamentale per il rilancio del nostro sistema di istruzione”. Così la Ministra Lucia Azzolina presenta lo sblocco di 640.000 euro per la realizzazione di ambienti didattici innovativi in 32 istituzioni scolastiche della Sardegna.

Innovazione didattica è una delle priorità indicate dalla Ministra nel suo programma di insediamento 

“Attiverò nei prossimi giorni un tavolo sull’innovazione didattica con dentro docenti e dirigenti esperti: partiremo dalle belle esperienze che già esistono nelle scuole e le porteremo a sistema.”

E l’innovazione didattica è stata sempre, fin dai mesi scorsi, uno dei punti cardine della visione di scuola dell’on. Azzolina

Così l’allora sottosegretario Azzolina ai nostri microfoni “Per innovazione non si intende solo quella tecnologia o le lim o il tablet. Innovazione è tanto altro, a partire dalle best practice, che possono essere trasferiti agli altri colleghi da chi ne è protagonista.”

Sindacati: stop al dimensionamento della rete scolastica in Sicilia

da La Tecnica della Scuola

I segretari regionali di Flc Cgil, Adriano Rizza, Cisl Scuola, Francesca Bellia, e Uil Scuola, Claudio Parasporo, con una nota inviata all’Assessore Regionale dell’Istruzione, al Miur, all’Usr Sicilia, prof. Roberto Lagalla, all’USR Sicilia e al presidente dell’Anci Sicilia, Leoluca Orlando chiedono, con una iniziativa unitaria, “di non creare ulteriori disagi agli studenti e al personale. Allo stesso tempo è necessario avviare, sin da ora, un confronto al fine di trovare le soluzioni alle criticità più volte sollevate e costruire, in sinergia, un percorso costruttivo nell’interesse di tutta la comunità scolastica siciliana”.

Impossibile interloquire con l’Usr

“Non si può affrontare un tema così importante – spiegano – in queste condizioni e in così poco tempo, ovvero il 31 gennaio, termine ultimo per l’adozione del decreto assessoriale. Da mesi, infatti, non riusciamo ad interloquire con l’Ufficio scolastico regionale a causa della mancata nomina del suo direttore generale. Lo stesso dicasi per tutti gli Uffici territoriali, ad esclusione di Palermo e Catania”.

Sconvolgimento del personale della scuola

“Inoltre – aggiungono Rizza, Bellia e Parasporo – in alcuni territori non sono stati coinvolti gli organi collegiali e le parti sociali nella formulazione delle proposte di dimensionamento, poiché l’organismo preposto del consiglio scolastico provinciale non è più esistente in quanto decaduto. Mentre le proposte pervenute dalle conferenze provinciali in vigore non sono state pubblicizzate né rese note agli attori principali del mondo della scuola (personale docente, Ata e famiglie). Proposte che se attuate causerebbero uno sconvolgimento per il personale della scuola a livello lavorativo e per le famiglie l’iscrizione del proprio figlio ad una scuola che in origine non era stata richiesta”.

Intesa Stato-Regioni

I segretari regionali auspicano, altresì, che venga raggiunta l’intesa fra Stato e Regioni in ordine ai criteri con cui procedere al dimensionamento delle istituzioni scolastiche (Legge 8 novembre 2013, n. 128– art. 12) che avrebbe posto fine -finalmente- all’annuale rito delle “incursioni” nel delicato assetto delle istituzioni scolastiche di ciascuna regione in quanto, come più volte evidenziato ai vari tavoli regionali, i parametri in illo tempore individuati dalla citata norma statale avrebbero dovuto trovare applicazione -esclusivamente- «Negli anni scolastici 2012-2013 e 2013-2014»;

Impossibile orientare i giovani

“Ad aggravare la situazione – concludono – l’impossibilità da parte delle scuole di offrire debita informativa/orientamento alle famiglie e agli alunni dei percorsi formativi legati ai nuovi indirizzi richiesti, peraltro non presenti sul sistema online di iscrizione del Miur”.

Testimonianza di Liliana Segre: Azzolina invita le scuole a seguire l’evento del 20 gennaio

da La Tecnica della Scuola

In occasione delle iniziative e delle cerimonie in programma per il Giorno della Memoria, volte
a onorare il ricordo di tutte delle vittime della Shoah e delle persecuzioni razziali, si comunica che il 20 gennaio 2020, alle ore 10:30, si terrà presso il Teatro degli Arcimboldi di Milano un incontro con la Senatrice Liliana Segre.

Al fine di condividere con gli studenti la testimonianza della Senatrice Segre, l’incontro potrà essere seguito in diretta sul sito del Corriere della Sera (www.corriere.it), partner dell’iniziativa, e sul sito del Ministero dell’Istruzione (www.miur.gov.it).

In un momento storico in cui la voce dei sopravvissuti si va inevitabilmente affievolendo,– scrive in una lettera la Ministra Lucia Azzolina – dobbiamo lavorare tutti insieme per non disperdere la memoria di ciò che è stato. E alimentarla con una profonda conoscenza storica“.

Vi scrivo come Ministra, ma anche come docente di Storia e Filosofia: attraverso lo studio dobbiamo comprendere le ragioni profonde che portarono allo sterminio nei campi di concentramento. Dobbiamo farlo per evitare che tutto ciò si ripeta“.

Da qui l’invito del Miur a organizzare e favorire la visione dell’incontro da parte tutti gli studenti.

Normativa antincendio, quasi 100 milioni per l’adeguamento delle scuole

da La Tecnica della Scuola

Sul sito del Ministero dell’Istruzione è stato pubblicato il bando che stanzia 98 milioni di euro per l’adeguamento delle scuole alla normativa antincendio.

“Quelle stanziate sono risorse importanti per la sicurezza dei ragazzi e del personale – sottolinea la Ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, nel dare l’annuncio dello stanziamento -. Dobbiamo proseguire a stanziare rapidamente tutte le risorse che abbiamo a disposizione”.

“Avevamo promesso che avremmo liberato queste risorse in tempi rapidi, – dichiara la Vice Ministra Anna Ascani – così è stato. Grazie a questi fondi, siamo impegnati, insieme agli enti locali proprietari degli edifici scolastici, a rendere sicure le nostre scuole. In questi mesi stiamo lavorando su più piani di finanziamento, ci stiamo occupando di adeguamento sismico, efficientamento energetico, verifiche preventive per evitare crolli di solai e controsoffitti. Non vogliamo tralasciare nessun aspetto. Vogliamo assicurare a ogni studente la migliore formazione possibile. E garantire edifici sicuri a giovani, famiglie e comunità scolastiche”.

Gli enti locali potranno presentare le proprie candidature fino alle 15.00 del 27 febbraio 2020. I Comuni potranno avere, per le scuole del primo ciclo, un contributo massimo di 70.000 euro, mentre le Province e le Città metropolitane, per gli istituti del secondo ciclo, potranno ottenere un contributo fino a 100.000 euro.

La selezione delle candidature avverrà sulla base di criteri precisi: vetustà degli edifici; numero di studenti presenti nell’edificio scolastico; livello previsto di adeguamento alla normativa antincendio che si intende conseguire con il contributo richiesto; eventuale quota di cofinanziamento.

Tasse scolastiche, si possono pagare con F24: i codici tributo da utilizzare

da La Tecnica della Scuola

L’articolo 4-quater, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito
con modificazioni dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, ha introdotto, per il pagamento delle
tasse scolastiche, la possibilità di effettuare il versamento unitario e la compensazione tramite
il modello F24.

In proposito, con Risoluzione n. 106/E del 17/12/2019 l’Agenzia delle Entrate ha istituito i codici tributo riguardanti le quattro tipologie di tasse (iscrizione, frequenza, esame, diploma).

I codici in questione sono:

  • “TSC1” denominato “Tasse scolastiche – iscrizione”;
  • “TSC2” denominato “Tasse scolastiche – frequenza”;
  • “TSC3” denominato “Tasse scolastiche – esame”;
  • “TSC4” denominato “Tasse scolastiche – diploma”.

Compilando il modello F24, i codici tributo devono essere esposti nella sezione “Erario”, esclusivamente in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati” con l’indicazione, quale “anno di riferimento”, dell’anno cui si riferisce il versamento, nel formato “AAAA”. Nel caso in cui sia necessario indicare l’anno scolastico, bisogna riportare in tale campo l’anno iniziale (es.: per indicare l’anno scolastico 2019-2020, riportare nel suddetto campo il valore 2019).

Nella sezione “Contribuente” del modello F24 devono essere invece indicati:

  • nel campo “Codice fiscale”, il codice fiscale dello studente cui si riferisce il versamento delle tasse scolastiche;
  • nel campo “Codice fiscale del coobbligato, erede, genitore, tutore o curatore fallimentare”, l’eventuale codice fiscale del genitore/tutore/amministratore di sostegno che effettua il versamento, unitamente al codice “02” da riportare nel campo “Codice identificativo”.

Relativamente agli importi dovuti e ai casi di esonero, è necessario afre riferimento alle indicazioni già fomite con la nota 13053 del 14 giugno 2019 (vai all’articolo).

Vertice Governo-sindacati: gli 80 euro di Renzi diventano 100. I dettagli e le cifre

da La Tecnica della Scuola

A Palazzo Chigi si è tenuto l’incontro tra governo e sindacati sul taglio del cuneo fiscale. Presenti il premier Giuseppe Conte, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e la viceministra Laura Castelli, la ministra del lavoro Nunzia Catalfo, ed i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.

Gli 80 euro del bonus Renzi diventano 100, quota che va a calare per gli altri redditi fino a 40mila euro. Lo schema, che partirebbe da luglio, prevederebbe 100 euro per i redditi fino ai 28 mila euro lordi, 80 euro fino ai 35 mila e 40 euro dai 35 mila ai 40 mila.

La proposta del governo ai sindacati

La nuova platea di beneficiari del taglio del cuneo fiscale sarà di 4,3 milioni di lavoratori. I percettori dell’attuale bonus 80 euro sono 11,7 milioni (per loro il bonus salirà a 100 euro).

I nuovi beneficiari dal primo luglio 2020 sono 4,3 milioni di lavoratori, di cui: 750 mila con i redditi più bassi, da 26.600 euro a 28 mila; 2,6 milioni con redditi tra 28 mila euro e 35 mila; 950 mila con redditi tra 35 mila euro annui e 40 mila euro. Nel totale, dunque, si tratta di 16 milioni di lavoratori che riceveranno benefici dalla riduzione del cuneo fiscale.

Il beneficio arriva a 1.200 euro l’anno per un livello di reddito da 8.200 euro fino a 28 mila; da 29 mila euro è di 1.166 euro l’anno; da 30 mila 1.131 euro l’anno; da 31 mila euro di reddito 1.097 euro l’anno; da 32 mila è di 1.063 euro l’anno; da 33 mila euro di reddito è di 1.029 euro; da 34 mila euro è di 994 euro annui; da 35 mila euro è di 960 euro; per 36 mila euro di reddito è di 768 euro annui; 37 mila euro di reddito è di 576 euro annui; per 38 mila euro di reddito è di 384 euro annui; per 39 mila euro di reddito è di 192 euro e infine per 40 mila euro di reddito il beneficio è pari a zero.

Le reazioni dei sindacati

Sindacati soddisfatti dopo l’incontro con il Governo tenutosi a Palazzo Chigi.

Per il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini “è una giornata importante perché dopo tanti anni c’è un provvedimento che aumenta il salario netto di una parte dei lavoratori dipendenti. Stiamo parlando di 15-16 milioni di persone che vedranno aumentare il netto in busta paga. E’ un primo risultato – ha precisato – perché naturalmente nessuno diventa ricco per effetto di questa situazione”.

Anche per la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan concorda che sul taglio del cuneo è stato fatto “un primo passo importante”, ma resta comunque da sciogliere il nodo degli incapienti. “Non è una risposta che potrà soddisfare tutti – ha detto Furlan – ma è un primo passo importante, abbiamo portato milioni di uomini e donne del lavoro sulle piazze per arrivare a questo”.

Buon risultato anche per Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil. Siamo partiti con il piede giusto: si allarga la platea, si mantiene il bonus, si introduce il ragionamento sulle detrazioni”. L’incontro di oggi “per noi rappresenta il primo step di una riforma fiscale complessiva. Serve ora ridurre le tasse anche ai pensionati e rendere il prelievo fiscale coerente con il principio costituzionale della progressività”.

Un genitore su tre bada al reddito per iscrivere i figli

da La Tecnica della Scuola

Skuola.net, per capire se l’indignazione di molti osservatori relativamente all’ambiente socio-economico quando si tratta di scegliere una scuola dove mandare i propri figli, abbia un fondo di realtà o sia dettata da ipocrito parere, ha effettuato un sondaggio, condotto su un campione di 500 genitori
di ragazzi frequentanti la scuola dell’obbligo, e la sorpresa non è mancata.

Composizione demografica

Infatti più 1 genitore su 3, nel momento di formalizzare l’iscrizione, sembra aver badato alla composizione demografica disegnata dai singoli istituti.

Il 35% dei genitori intervistati ad ammettere di essersi lasciato in larga parte condizionare dai dati forniti dalla scuola sul reddito delle famiglie degli alunni
frequentanti; percentuale che sale ulteriormente se ci si sofferma sui genitori che dicono di avere una condizione economica molto agiata.

Nessuna influenza il reddito degli altri

A questi si aggiunge un 22% che si è fatto influenzare solo in parte da questo dettaglio. Solo il 43% del campione, invece, sostiene che nella scelta della scuola la condizione economica delle altre famiglie non abbia influito per niente nella decisione finale sull’istituto giusto.
Ma la selezione della scuola perfetta non è legata solo allo status economico e sociale, perché le stesse percentuali si sono ripetute anche quando alle mamme e ai papà è stato chiesto se la presenza, o meglio l’assenza, di ragazzi stranieri abbia avuto un ruolo nella scelta: ebbene, circa il 30% circa ha risposto in modo affermativo.

Anche nei confronti dei disabili

Ma la discriminazione, secondo sempre il sondaggio, si estenderebbe anche nei confronti di studenti con disabilità o con semplici difficoltà nell’apprendimento, visto che il 25% degli intervistati, prima di inviare l’iscrizione ha dato un’occhiata alla percentuale di questo tipo di alunni nella futura scuola del figlio.

Esamintao il Rav per capire

Da qui, fa rilevare il sito,  il 39% dei genitori intervistati avrebbe  esaminato il cosiddetto Rav, il rapporto di autovalutazione che ogni istituto
deve compilare e nel quale tutte le scuole hanno il dovere di segnalare la composizione della propria popolazione studentesca. Ecco perché il 31% afferma sia giusto esporre all’interno del Rav moltissime informazioni personali sulle famiglie e sugli alunni frequentanti.

Arriva il Dantedì: il giorno per celebrare Dante sarà il 25 marzo

da La Tecnica della Scuola

Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per i Beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini, ha approvato la direttiva che istituisce per il 25 marzo la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri.

“Ogni anno, il 25 marzo, data che gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia, si celebrerà il Dantedì. Una giornata per ricordare in tutta Italia e nel mondo il genio di Dante con moltissime iniziative che vedranno un forte coinvolgimento delle scuole, degli studenti e delle istituzioni culturali”

“A un anno dalle celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante – ha aggiunto Franceschini – sono già tanti i progetti al vaglio del Comitato per le celebrazioni presieduto dal prof. Carlo Ossola. Dante – ha concluso Franceschini – ricorda molte cose che ci tengono insieme: Dante è l’unità del Paese, Dante è la lingua italiana, Dante è l’idea stessa di Italia”.

La proposta della giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri, oltre a essere oggetto di diversi atti parlamentari, aveva raccolto l’adesione di intellettuali e studiosi e di prestigiose istituzioni culturali dall’Accademia della Crusca, alla Società Dantesca, alla Società Dante Alighieri, all’Associazione degli Italianisti alla Società italiana per lo studio del pensiero medievale.

L’idea di una giornata è stata lanciata dalle pagine del Corriere della Sera da Paolo Di Stefano lo scorso aprile è stata accolta in modo positivo non solo in Italia, ma anche in Europa.

Diversi istituti di cultura, università, istituzioni, associazioni ed enti che si occupano di promozione della lingua italiana sostengono questa iniziativa anche in vista dei 700 anni della morte di Dante che ricorrono nel 2021.

Poeta, letterato, politico, studioso di filosofia e teologia, Dante Alighieri (Firenze 1265 – Ravenna 1321) rappresenta un’intera cultura, vale a dire quella che si era andata formando a partire dal XII secolo quando, sulla scorta dei nuovi saperi provenienti dal mondo greco-bizantino e arabo, l’Occidente latino acquisì, non senza originali rielaborazioni, un sapere fino ad allora sconosciuto.

La sua Divina Commedia, tradotta in molteplici lingue straniere, resta uno dei testi poetico-letterari più letti, studiati e commentati al mondo.

Ascani e De Cristofaro sottosegretari all’Istruzione

da Tuttoscuola

Nella seduta odierna il Consiglio dei Ministri ha provveduto alla nomina di due sottosegretari che affiancheranno il ministro dell’istruzione, on. Lucia Azzolina.

Questo il comunicato al termine dei lavori del CdM: “Il Consiglio dei Ministri è stato sentito in merito all’intenzione del Presidente Conte di proporre al Presidente della Repubblica la nomina dell’on. dott.ssa Anna Ascani e del dott. Giuseppe De Cristofaro a Sottosegretari di Stato per l’istruzione”.

Si tratta sostanzialmente di una conferma, perché i due erano già in quell’incarico con il ministro Lorenzo Fioramonti.

L’unica differenza riguarda l’Ascani (PD) che prima era anche vice-ministro.

Si attendeva anche la nomina dei due Capidipartimento al ministero dell’Istruzione, ma nel comunicato stampa di Palazzo Chigi non se ne parla, anche se voci ben informate riportano i nomi di Max Bruschi e di Giovanna Boda in pole position.

Iscrizioni scuola 2020: nella scelta dell’istituto 1 genitore su 3 bada al profilo dei compagni di classe dei figli

da Tuttoscuola

Sulla scia delle polemiche che hanno riguardato una scuola di Roma tacciata di classismo, Skuola.net ha voluto indagare quanto effettivamente conti per le famiglie l’ambiente socio-economico quando si tratta di scegliere dove mandare i propri figli. E, nonostante l’opinione pubblica si sia indignata compatta davanti alla distinzione – basata sul reddito – fatta dall’istituto nella sua presentazione online (testo poi cancellato dal sito web della scuola), da quanto emerge da un sondaggio condotto in queste ore da Skuola.net, su un campione di 500 genitori di ragazzi frequentanti la scuola dell’obbligo, più 1 su 3, nel momento di formalizzare l’iscrizione, sembra aver badato in modo tutt’altro che superficiale alla composizione demografica disegnata dai singoli istituti.

E’ infatti il 35% dei genitori intervistati ad ammettere di essersi lasciato in larga parte condizionare dai dati forniti dalla scuola sul reddito delle famiglie degli alunni frequentanti; percentuale che sale ulteriormente se ci si sofferma sui genitori che dicono di avere una condizione economica molto agiata. A questi si aggiunge un 22% che si è fatto influenzare solo in parte da questo dettaglio. Solo il 43% del campione, invece, sostiene che nella scelta della scuola la condizione economica delle altre famiglie non abbia influito per niente nella decisione finale sull’istituto giusto.

Ma la selezione della scuola perfetta non è legata solo allo status economico e sociale, perché le stesse percentuali si sono ripetute anche quando alle mamme e ai papà è stato chiesto se la presenza, o meglio l’assenza, di ragazzi stranieri abbia avuto un ruolo nella scelta: ebbene, circa il 30% circa ha risposto in modo affermativo.

Alla deriva discriminatoria delle famiglie non sfuggono neanche gli studenti con disabilità o con semplici difficoltà nell’apprendimento, visto che il 25% degli intervistati, prima di inviare l’iscrizione ha dato un’occhiata alla percentuale di questo tipo di alunni nella futura scuola del figlio.

A fronte di queste risposte non stupisce, quindi, che il 39% dei genitori intervistati abbia passato al setaccio il cosiddetto RAV, il rapporto di autovalutazione che ogni istituto deve compilare e nel quale tutte le scuole hanno il dovere di segnalare la composizione della propria popolazione studentesca. Ecco perché il 31% afferma sia giusto esporre all’interno del RAV moltissime informazioni personali sulle famiglie e sugli alunni frequentanti.

La scuola che sogniamo: o è anche digitale o non è

da Tuttoscuola

Di Daniela Di Donato

Se dovessimo scegliere quale sia la caratteristica più importante, che dovrebbe avere la scuola, quale sceglieremmo? Forse dovremmo prima rispondere a questa domanda: a che cosa serve la scuola? La pongo spesso ai colleghi negli incontri di formazione, come attività rompighiaccio, prima di lavorare e confrontarci sulla didattica, la relazione educativa, la valutazione, l’uso delle tecnologie in classe. Nell’ultimo anno, l’ho chiesto a più di 1200 insegnanti, in tutta Italia: da Asiago a Corleone, da Rovereto a San Marco Dei Cavoti, passando per Roma, Prato e tante altre scuole del territorio. Mi stupisce sempre che, anche in contesti che mi aspetterei più legati alla tradizione pedagogica della lezione frontale o ad una didattica molto disciplinare, quando chiedo di scegliere tre parole per descrivere a che cosa serva la scuola, i termini non sono mai collegati esclusivamente ad una disciplina. Naturalmente per raccogliere le parole uso una app digitale (Mentimeter), che mi consente poi di guardare i dati con occhio critico e confrontarli tra loro. Nessuno ha mai scritto “imparare la matematica” o “comunicare in italiano”. In ordine di frequenza, le parole più scelte sono: rispetto, autonomia, collaborazione e pensiero critico. Anche io, probabilmente, inserirei le stesse.

La prima volta che ho sfidato i colleghi sul tema della scuola che vorrei, mi è venuto spontaneo proseguire l’indagine e chiedere: se questi sono gli obiettivi della scuola che pensate, che cosa state facendo per raggiungerli? Come si costruisce una scuola in cui si impari (e si insegni) rispetto, autonomia, collaborazione e pensiero critico?

Nella scuola italiana, ancora molto disciplinare e regolata da norme che scandiscono il tempo (orari delle lezioni, orario d’ingresso e d’uscita), abilitano gli spazi (l’aula, i corridoi, la biblioteca, la palestra…), organizzano i saperi (matematica, scienze, filosofia, italiano, storia…) dove e come si insegnano rispetto e autonomia?

Se il digitale ha provato a modificare qualcosa, è proprio l’organizzazione della scuola: l’aula non è più solo quella delle quattro pareti e della cattedra e il tempo non si limita al ritmo delle ore scandito dal suono della campanella. Gli ambienti di apprendimento si sono moltiplicati, il tempo si è dilatato superando l’orario di uscita o di entrata in classe, le discipline si sono trovate ad intrecciarsi tra loro, un po’ come era auspicato dal Consiglio d’Europa quando nel 2018, rinnovando il contenuto e le denominazioni delle Competenze chiave per l’apprendimento permanente, ha inserito accanto a leggere e scrivere anche il digitale, come una delle tre competenze di base. Le didattiche che hanno incluso felicemente il digitale come un nuovo spazio di apprendimento e una sfida metodologica, ci hanno liberato dal considerarlo solo uno strumento, al pari del libro o della lavagna. Le tecnologie, che ci consentono di accedere alla rete e al mondo globale, liquido e complesso del web, sono veri e propri dispositivi culturali, e tutti se ne servono quotidianamente per molte loro attività, dovunque e a qualsiasi ora, tranne che a scuola. La scuola digitale non c’è ancora perché non abbiamo ancora accettato l’idea che il digitale nella scuola sia entrato lo stesso, nonostante le resistenze dei docenti. Si trova nelle tasche dei nostri studenti di ogni età, sulle nostre scrivanie affollate di libri e compiti da correggere, nelle nostre borse insieme a libri, penne e carte varie, talvolta ai nostri polsi.

Abbiamo parlato della scuola digitale nell’inserto de La scuola che sogniamo pubblicato nel numero di gennaio di Tuttoscuola

La scuola digitale è il modello che abbiamo presentato nel mese di gennaio all’interno del nostro progetto “La scuola che sogniamo”.

Nell’inserto pubblicato all’interno del numero 598 gennaio di Tuttoscuola, oltre a questo articolo di Italo Fiorin troverai i seguenti approfondimenti sulla scuola digitale:

– La scuola o è anche digitale o non è, di Daniela Di Donato
– Una didattica che si schianta e i docenti … col vinile!, di Maria Emilia Cremonesi
– Vademecum cercasi
– Come nasce una scuola differente, di Giovanna Griffini
– Il segreto? La motivazione, intervista alla DS, Stefania Strignano
– Va integrata la didattica, di Francesca Testa
– Ma ci vuole tanta passione

Perché scegliere il liceo classico: se scomparisse ci faremmo solo del male

da Tuttoscuola

L’ex ministro dell’Istruzione, Luigi Berlinguer, reputava il classico un liceo nozionistico, da svecchiare e alleggerire. Per non parlare di Andrea Ichino che lo accusava, nell’ambito del processo messo in scena nel 2014, di essere figlio “della riforma Gentile, la più fascista delle riforme” che voleva creare una scuola di élite bloccando l’ingresso alle classi svantaggiate. Secondo lui occorreva pensare a un riequilibrio. L’economista, in particolare, proponeva una liceo “alla carte”, che avrebbe dato agli studenti la possibilità di scegliere un po’ alla volta quali corsi frequentare.

Il rilancio del liceo classico – Molti sostenitori ne apprezzano, invece, metodo e organizzazione: “allena capacità di concentrazione e di astrazione, padronanza della lingua. Mentre quel meccanismo di logica e rigore che è la traduzione – sostiene Massimo Cazzulo, grecista e docente al classico Tito Livio di Milano – costituisce un esercizio mentale e cognitivo unico. E questo spiega perché gli studenti che escono dal classico ottengono risultati eccellenti anche in materie molto lontane dalla classicità”.  Secondo Ivano Dionigi poi, presidente di Almalaurea, le critiche al classico nascono esclusivamente dall’esterno: secondo i dati di Almadiploma, chi lo ha scelto nel 74% dei casi lo rifarebbe. “Con un’adeguata e necessaria iniezione di matematica e discipline scientifiche nel classico – continua Dionigi – i segni più della nostra indagine si estenderebbero e affermerebbero in tutti gli indicatori”. E continueremmo ad avere la miglior scuola d’Europa e d’Oltreoceano.

Attualizziamo il liceo classico – “Il liceo classico rappresenta un patrimonio culturale e pedagogico che il mondo ci invidia – afferma a Tuttoscuola la preside del liceo Virgilio di Roma, Irene Baldriga – Le grandi università angloamericane valorizzano i ragazzi che si sono formati nel liceo classico italiano, ne apprezzano la profondità, la capacità di interpretare i linguaggi, la particolare inclinazione a leggere e penetrare le strutture della complessità. E’ giusto preservare questa tradizione, anche se ritengo necessario operare qualche adattamento: attualizzare il liceo classico significa tutelarne l’identità senza timore di aprirsi maggiormente al mondo, alle grandi questioni del presente. L’impegno della traduzione costituisce uno sforzo esportabile e niente affatto blindato: esso offre un approccio alla dimensione del tempo e della comunicazione che può convergere nelle digital humanities, nel coding, in una ben più estesa riflessione sui linguaggi, a tutti livelli“. “La scuola dell’autonomia oggi consente di declinare l’offerta del liceo classico – continua ancora la preside – accompagnando i giovani con metodologie laboratoriali e strumenti didattici accattivanti, proponendo strategie di confronto tra discipline, incontri con il territorio e rendendo più concreto e significativo l’apprendimento, andando incontro cioè alle aspettative e ai bisogni di studenti che chiedono una partecipazione costante“.

Salvate il liceo classico, ecco come Per un rilancio credibile del liceo classico bisogna agire su due fronti complementari: quello della domanda e quello dell’offerta. E’ tempo di pensare alle iscrizioni, occorre far sapere ai ragazzi di terza media e ai loro genitori che vale la pena accettare la sfida di una scelta che richiede molto impegno ma che lo restituisce sotto forma di successo personale. I risultati di Almalaurea ne sono la prova. E poi non semplificare e sostituire, ma potenziare e aggiungere, come suggerisce pure Dionigi. L’offerta del liceo classico deve mantenere i fondamentali, aprirsi alla matematica e alle discipline scientifiche, ampliando il tempo del servizio.

Sergio Govi e Serena Rosticci