Curricolo di storia. Curricolo della memoria

Curricolo di storia. Curricolo della memoria

di Stefano Stefanel

In questi ultimi tempi c’è stata un’accelerazione imprevista di comportamenti e segnali molto preoccupanti per chi ritiene che alcune verità storiche non possano più essere revisionate, ma debbano soltanto essere insegnate dentro un sistema naturale di civiltà. Molto spesso, poi, accade che dal mondo accademico o scolastico si chieda di smetterla con competenze e curricoli e si torni a conoscenze e programmi. E così i segnali peggiori vengono ignorati e abbandonati al loro destino senza avere il coraggio di andare a vedere da che cosa nasce tutta questa confusione revisionistica su un passato piuttosto recente e incontrovertibile (Shoah, leggi razziali, alleanza tra Hitler e Mussolini, antisemitismo). Il vecchio mantra di destra “ma Mussolini ha fatto anche cose buone” si è evoluto, purtroppo, in un incredibile crescendo di follie interpretative.

​Assemblo alcuni fatti a cui ci stiamo assuefacendo e che sono il sintomo di un mutamento drammaticamente duraturo: l’insegnante che in classe denigra Liliana Segre dicendo che cerca solo visibilità; il Comune che attribuisce la cittadinanza onoraria alla Segre, deportata in quanto ebrea, e poi dedica una via ad Almirante che aveva firmato il “Manifesto della razza” che ha dato origine alle leggi razziali che hanno fatto deportare la Segre;un aumento di italiani (qualcuno ha detto che sono il 15%) che nega la Shoah; il saluto fascista ridiventato segno di distinzione; le scritte antisemite sulle porte delle case degli ebrei e sui muti delle città; il richiamo al comunismo ogni volta che si nomina il nazismo; il negazionismo su quanto avvenuto nei campi di sterminio. Questo museo degli orrori è sì un museo “storico” degli orrori, ma questo uso distorto della storia sta entrando nelle coscienze civiche, alterando il concetto stesso di civismo che non può svilupparsi dentro queste atroci falsità.

​La prima banalità che balza agli occhi è che tutte queste persone hanno frequentato le scuole pubbliche italiane in cui si insegna, ormai da più di 70, anni in forma antifascista e antirazzista la storia del Novecento. La scuola esecra, ma non si interroga sul perché ciò sia potuto accadere. La scuola italiana ritiene che la storia si possa insegnare solo in forma storicistica, cioè seguendo nella linea del tempo l’evolversi degli avvenimenti, dei motivi e delle cause. E così la storia del Novecento si affronta in terza media (secondaria di primo grado) e in quinta superiore (secondaria di secondo grado), cioè senza alcuna connessione temporale e verticale (a 14 anni si studia la storia del Novecento e a 15 quella dei greci e dei romani: e tutto questo viene ancora definito logico!), per poi ritornare a studiare il Novecento a 18-19 anni. La battaglia sul compito di italiano con una traccia di tipo storico continua a pretendere questa partizione di tipo storico. E la drammatica assenza di verticalità tra i due ciclo oltre a produrre dispersione, ora mi pare produca anche revisionismo.

​Tutto questo cozza contro la banale considerazione che l’evoluzione mentale dei ragazzi si evolve più velocemente di un tempo, anche perché messi a contatto con un mare di nozioni e notizie rinvenibili senza sforzo critico sul web. Così può accadere (ed è accaduto) che uno studente faccia un approfondito studio sul passato di suo bisnonno, internato nei campi di concentramento dai nazisti durante la seconda guerra mondiale e contemporaneamente sia segretario provinciale di Casa Pound. Non comprendo perché a nessuno venga in mente che l’insegnamento storicistico della storia (parto dall’uomo di Neanderthal e arrivo fino a Donald Trump se ci arrivo) sia un elemento cardine della trasformazione del sapere storico in un semplice film del passato dove tutto si confonde (la Resistenza come Lepanto, la Prima Guerra Mondiale come la Guerra dei Trent’anni). E tutto questo avvenga mentre cresce e si sviluppa il pensiero dello studente e le ideologie si sedimentano e non sono più scalfibili. Così accade che se un ragazzo tra i 15 e i 18 anni diventa fascista poi quando in quinta superiore studia la storia non la collega con la propria ideologia e può al tempo stesso studiare la Shoah e negarla. Cosa avvenga poi dopo la fine degli studi è sotto gli occhi di tutti. Quando un’ideologia si è formata – qualunque essa sia – è difficile da scalfire: e a 18 anni è quasi sempre già formata.

​A me pare evidente che la storia del Novecento si dovrebbe studiare in prima superiore legandosi strettamente a quanto si è studiato in terza media, prima cioè che la corsa verso l’ideologia (sia di destra sia di sinistra, sia antifascista sia revisionista) inizi la sua “fuga” irreversibile. Ma poiché questa evidenza appare solo a me e l’Università, gli intellettuali, il Miur, gli studiosi si battono per la Storia del Novecento in terza media e in quinta superiore assistendo, attoniti, al drammatico fatto per cui tutti quelli che hanno studiato nelle scuole pubbliche italiane (statali e private) possano acquisire quanto appreso o negarlo senza poterci fare nulla. Credo che allora l’unica cosa da fare sia quella di separare il Curricolo di Storia (che continuerà nel suo incedere storicista, per cui se prima non si è studiata la Seconda Guerra d’Indipendenza non si può studiare la Seconda Guerra Mondiale) dal Curricolo della Memoria. Erodoto non la pensava così e neppure Tito Livio, ma allora la Storia raccontava i vincitori e non aveva altre pretese. Noi invece abbiamo attuato una pedagogia scolastica dell’antifascismo per sentirci poi dire da troppi che Fascismo e Antifascismo sono solo due modi di pensare e tutti e due leciti. 

​Potrebbe allora accadere che il Curricolo di Storia produca le amate conoscenze dentro i sempre applauditi Programmi, il Curricolo della Memoria, invece, sviluppi dentro un suo percorso, slegato da rigide partiture annuali, le Competenze Civiche e di Cittadinanza dove i valori del sapere e quelli del civismo coincidono. Prima che sia troppo tardi spero nello sdoppiamento, così che il Curricolo della Memoria aiuti dai dieci ai vent’anni lo studente a crescere culturalmente su quanto si deve ricordare mentre sviluppa la sua ideologia, fermando così alcune derive revisioniste, antisemite e naziste che si annidano nella mente dei giovani mentre sono spinti a studiare il Medioevo e il Rinascimento.

​Il passato non è ordinato e il suo ordine dentro in manuali è spesso spaventoso, con la storia della Cina ridotta a  qualche paragrafo e quella dell’Islam messa qua e là. Ma questo Novecento messo alla fine dei due cicli, senza neppure farsi sfiorare dal dubbio che il passaggio dallo studio della Seconda Guerra Mondiale (terza media) allo studio di Pericle (prima superiore) non sia così logico come sembra in uno sviluppo armonico e organico dell’apprendimento. 

​Quello che stupisce è, allora, che ci si stupisca che il passaggio dal Curricolo di Storia al Curricolo della Memoria non sempre avvenga e che l’incedere idealista dello “svolgimento della storia che cade nel tempo” non sia poi il modo migliore perché tutti imparino cosa è accaduto realmente nel passato, perché è accaduto e – soprattutto – cosa sarebbe meglio non accadesse più.

S. Lamanna, Il rimpianto perfetto

“Il rimpianto perfetto”, un romanzo di Stefania Lamanna, Gilmesh Edizioni, 2019

di Mario Coviello

Appuntamento culturale significativo quello di sabato primo febbraio alle 18,00 nella sala consiliare del Comune di Bella. Angela Carlucci, vicesindaca e assessora alla cultura, ha accolto l’invito della professoressa Silvana Criscuoli e con il sindaco Leonardo Sabato, la prof. Enza Cianciotta, l’assessora all’ambiente Giulia Cristiano ha curato la presentazione del libro di Stefania Lamanna, edito da Gilmesh “Il rimpianto perfetto”.

Lavinia, medico anestesista, moglie e madre,decide di andare in ospedale di domenica mattina “per qualche ora, anche se avrei potuto restare a casa, oggi, perché non sono di turno”.

E qui nella sua seconda casa, “ un luogo dove la mia presenza si incastona perfettamente con persone e cose, dove non mi sento mai fuori posto…” davanti alla “macchinetta del caffè” incontra per caso Marzia, una giovane ragazza disperata per le condizioni del padre Maurizio che le chiede aiuto. E Lavinia accorre, controlla il padre in corsia e la rassicura. E la sua vita che disperatamente ha cercato di tenere sotto controllo per tutti questi anni viene sconvolta.

La storia di Lavinia viene raccontata a Bella attraverso la lettura attenta e meditata della professoressa Cianciotta di pagine del romanzo, le domande all’autrice della professoressa Criscuoli, le riflessioni sulla condizione della donna oggi dell’autrice e del pubblico. I presenti , donne e uomini, ascoltano, partecipano, si interrogano e si confrontano con la storia Lavinia, il racconto di Stefania Lamanna,le riflessioni di Silvana, Enza, Angela.

E si appassionano alla storia di Lavinia, ragazza che diventa donna e ripercorre gli anni dell’infanzia a Genzano di Lucania con le “tate” e i loro scialli che raccontano storie. E si rivede “ragazzina che porta a spasso il suo cane, si somigliano, entrambi baldanzosi e audaci, entrambi sorridenti e con la stessa andatura..” Si ricorda al liceo , quando era “uno dei tasselli del mosaico, che si scomponeva al rassicurante rumore delle sedie, a ricreazione, e si ricomponeva nell’inquieto silenzio dei compiti in classe”.

Lavinia ritorna nella “grande casa in cui è cresciuta, a tre piani..con il terrazzo illuminato d’estate da un sole arrogante..”e alla “ piccola borghesia- a cui appartiene- che appiattiva le menti, incasellandoti in un quadratino di società compiaciuta e impettita..”. E poi velocemente l’università…” quando diventi quella che deve partire…e ti guardano in modo diverso…mentre pensi a cosa porterai con te..”

L’università è molto impegnativa per Lavinia la assorbe completamente anche perchè il padre severo comincia a star male e la figlia modello non può dargli dispiaceri.E il grande amore, bevuto fino all’ultima goccia, e la necessità di una scelta dolorosa. “E rincorri il tempo, o è lui che rincorre te, ti preoccupi sempre meno di te stessa..” Lavinia diventa una dottoressa affidabile, seria, dai modi spicci.” Imparai il mio mestiere e infagottai il mio corpo, perché non mi vedessero. Per incutere rispetto eliminai trucchi e profumi…Portai a spasso la mia solitudine…”

E poi..” altri attimi sfuggirono al mio eterno presente, ed ebbi ancora piccole dita incerte da guidare e tranquilli respiri da contare…” Lavinia e’ moglie e madre… “ accettai di vivere il loro futuro, e per quelle vite divenni madre mio malgrado, mi rifugiai nello splendore e mi sganciai dal rimpianto…”.

Dimenticando di essere stata “ Lalli, quella che “ ha vissuto il suo tempo arginando ogni consapevolezza di sé, utilizzando chiunque le offrisse la possibilità di costruirsi un’identità nuova, che convincesse prima se stessa…

Piegata dalla vita Lavinia incontra Marzia e deve fare i conti con se stessa e il suo passato.

Stefania Lamanna è Lavinia e racconta in prima persona con una scrittura diretta, immediata, che ti prende . Il padre, il nonno, la madre e i suoi fratelli, e anche il marito e i figli fanno da sfondo ad una vita in bilico che deve fare i conti con un’amore ingannevole che ha inondato di sgomento per sempre ogni sua giornata.

La serata a Bella carica di pathos si conclude con le dediche dell’autrice alle copie del romanzo che molti acquistano e un rinfresco di dolci e rustici genuini, quasi tutti fatti in casa.

Stefania Lamanna è nata a Potenza nel 1962. Ha vissuto i primi anni della sua vita a Genzano di Lucania e la sua adolescenza a Lavello. Laureata in medicina e chirurgia, specializzata in pediatria, esercita la professione di Pediatra di Libera Scelta a Rionero in Vulture. Ha un marito e tre figli. “Il rimpianto perfetto” è il suo primo romanzo disponibile su Amazon. Da non perdere.

Soggiorni primaverili 2020 Case del Maestro

Soggiorni primaverili 2020 Case del Maestro: pubblicato il bando

È stato pubblicato il bando di concorso per i soggiorni primaverili 2020 presso le Case del Maestro, rivolto agli iscritti alla Gestione Assistenza Magistrale in servizio o in pensione e loro parenti entro il secondo grado. Possono beneficiare dei soggiorni anche i vedovi e gli orfani di iscritti e pensionati, minorenni alla data di scadenza del bando, insieme all’altro genitore o al tutore.

La domanda deve essere trasmessa dalle 12 del 3 febbraio alle 12 del 17 febbraio 2020.

La durata del soggiorno è di sei giorni (cinque notti) e si svolgerà nella struttura scelta dal 9 aprile al 14 aprile 2020

https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=53363

Coronavirus, via libera a tornare a scuola per chi è stato in Cina di recente

da la Repubblica

ROMA. Gli studenti che hanno soggiornato in Cina nelle ultime due settimane possono comunque frequentare normalmente le scuole, chiamate però a monitorare l’insorgenza di eventuali sintomi da coronavirus. Lo stabilisce la circolare predisposta dal ministero della Salute con le “Indicazioni per la gestione degli studenti e dei docenti di ritorno o in partenza verso aree affette della Cina”, diramata dal ministero dell’Istruzione agli Uffici Scolastici Regionali e alle scuole.

La circolare prescrive che per gli studenti che sono rientrati dalla Cina nelle ultime 2 settimane occorre “monitorare la eventuale insorgenza di sintomi come tosse, febbre, difficoltà respiratorie”, e in caso di insorgenza di sintomi “chiamare il 1500 o i centri regionali di riferimento; proteggere le vie aeree con mascherina; evitare contatti stretti fino alla definizione della situazione sanitaria da parte del personale sanitario”. Quanto a eventuali studenti “ai quali è stato comunicato dall’autorità sanitaria, o che sono venuti in altro modo a conoscenza, di aver effettuato un viaggio insieme ad un paziente nCoV – con qualsiasi tipo di trasporto – e/o di aver coabitato con un paziente nCoV, entro un periodo di 14 giorni”, occorre “telefonare tempestivamente al 1500 o ai centri di riferimento delle regioni, per le misure di sorveglianza, ove non siano state già adottate dall’autorità sanitaria”.

Queste indicazioni valgono sia per gli studenti universitari che per quelli delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie, rispetto ai quali però si suggerisce anche “che gli adulti facenti parte del personale scolastico prestino particolare attenzione a favorire l’adozione di comportamenti atti a ridurre la possibilità di contaminazione con secrezioni delle vie aeree, anche attraverso oggetti (giocattoli, matite, etc.)”.

Quanto ai viaggi verso le aree colpite, che gli studenti delle scuole secondarie e gli universitari avessero intenzione di compiere, la circolare ribadisce che “tali viaggi sono sconsigliati per ridurre il rischio generale di infezioni respiratorie acute alla luce della situazione epidemiologica globale relativa all’infezione da 2019-nCoV”.

Coronavirus, il team italiano che studia il virus: “Così è passato dal pipistrello all’uomo”

Nel caso in cui i viaggi nelle aree colpite siano già iniziati – aggiunge – gli interessati devono attenersi alle seguenti indicazioni: evitare di visitare i mercati di prodotti alimentari freschi di origine animale e di animali vivi; evitare il contatto con persone che hanno sintomi respiratori; lavare frequentemente le mani; per qualsiasi necessità contattare l’ambasciata o il consolato; qualora una persona sviluppi sintomi respiratori (tosse, mal di gola, difficoltà respiratorie) mentre si trova nelle aree a rischio, dovrebbe rivolgersi immediatamente a un medico. Tutte queste indicazioni sono da ritenersi valide, spiega la circolare, anche per docenti, ricercatori e personale universitario.

Consigli di classe, la fuga dei genitori “Preferiscono dire la loro sui social”

da la Repubblica

Genitori in fuga dalla scuola ma sempre più presenti sui social. Ma solo quando c’è da votare per i loro stessi rappresentanti negli organismi collegiali: Consiglio d’istituto e Consigli di classe. Perché, quando c’è da mettere in discussione le decisioni di maestre e professori, i tribunali sono presi d’assalto dai ricorsi di mamme e papà che obiettano su tutto: rimandi e bocciature, valutazioni dei compiti e delle interrogazioni, fino al voto sulla condotta. Riguardo invece alla partecipazione negli ultimi 30 anni, l’atteggiamento dei genitori nei confronti della scuola è cambiato. Lo dicono i dati dell’affluenza alle urne per il rinnovo dei rappresentanti negli organismi scolastici. Gli ultimi dati forniti dal ministero dell’Istruzione (quelli che compaiono nei Rav, Rapporti di autovalutazione degli istituti relativi al triennio 2019/2022) mostrano una partecipazione alla vita democratica delle scuole al minimo storico: meno di un genitore su dieci al voto nei licei, negli istituti tecnici e nei professionali; poco più di uno su 5 nel primo ciclo, scuole elementari e medie. Vent’anni fa, tra elementari e medie si recava al voto un genitore su tre, più di 13 su cento al superiore. E un decennio prima, nel 1989/1990, erano quasi 4 su dieci nel primo ciclo e 16 su cento alla secondaria. Quando madri e padri non avevano voce in capitolo, prima del 1974, gli alunni avevano sempre torto e gli insegnanti sempre ragione. Poi, arrivò la svolta. 45 anni fa, le porte delle scuole vennero aperte a genitori e studenti che poterono esprimere le proprie opinioni su quanto si decideva in un luogo che fino a quel momento era stato regno incontrastato degli insegnanti. Adesso la scarsa partecipazione dei genitori mette in crisi lo stesso concetto di rappresentatività. Per Antonello Giannelli, a capo dell’Associazione nazionale presidi, i dati denunciano il profondo stato di crisi degli organi collegiali della scuola. «Tuttavia – aggiunge – la contraddizione tra la scarsa partecipazione alle elezioni e l’elevata “pressione” comunicativa esercitata sulle scuole, con conseguente incremento di contenzioso e di comportamenti opportunistici, è solo apparente». Giannelli legge questa crisi come un aspetto «della più generale crisi degli organi intermedi di aggregazione e rappresentanza sociale». E un ruolo importantissimo è svolto «dai social media e dalla tendenza alla partecipazione immediata – a volte collaborativa ma più spesso oppositiva – tipica della società globalizzata». Una situazione, denuncia il rappresentante dei presidi, che «ha ormai assunto dimensioni patologiche ed alla quale bisogna porre rimedio al più presto ». E, questa è la cosa più paradossale. se la loro partecipazione è bassa i genitori non si sentono sufficientemente rappresentati a scuola. «I decreti delegati – spiega Angela Nava, del Coordinamento genitori democratici – risalgono al 1974. Da allora la scuola ha conosciuto l’autonomia, la dirigenza scolastica, una nuova organizzazione. Ma non è stata mai nemmeno calendarizzata una riforma degli organi collegiali. E mi chiedo: vogliamo una gestione democratica della scuola o quello dei genitori è solo un consenso utile al funzionamento d’istituto?».

Concorsi, un appello ai sindacati: pensate alla scuola della Costituzione

da La Tecnica della Scuola

Tra le richieste dei sindacati al Miur nella trattativa relativa al concorso lasciano molto sconcertati alcuni punti che sembrano voler facilitare l’accesso al ruolo, riducendo però la qualità e le caratteristiche di professionalità dei futuri insegnanti: l’ipotesi di eliminare la prova preselettiva, la forte incidenza nel punteggio degli anni di insegnamento realizzati come precari, ma soprattutto la possibilità di accedere al concorso per il sostegno senza avere il titolo di specializzazione avendo tre anni di docenza come precari.

Se le prime proposte preludono alla rilevanza dell’esperienza come assolutamente prioritaria rispetto alla selezione operata dal concorso, l’ultima va in violazione della legge 104/1992 che stabilisce il diritto degli allievi con disabilità ad avere insegnanti specializzati e risulta essere decisamente offensiva, oltre che una violazione di diritti, per tutti coloro che con grande sacrificio hanno frequentato i corsi di specializzazione, comprensivi di 300 ore di tirocinio, per acquisire una formazione adeguata a questo delicatissimo compito.

Se i sindacati fossero davvero consapevoli delle condizioni disastrose in cui versa la scuola italiana, tranne alcune situazioni di particolare eccellenza, non dedicherebbero le loro energie a ridurre la formazione degli insegnanti ma piuttosto, al contrario, a fare in modo che si tornasse ad avere dei corsi abilitanti comprensivi di una fase di tirocinio per tutti, in modo tale da non avere, come quasi sempre succede, insegnanti che hanno imparato questo mestiere così difficile commettendo errori sulla propria pelle e su quella dei loro allievi, con effetti disastrosi in termini sia di burnout per gli insegnanti che di efficacia dell’azione di insegnamento.

Quella che dovrebbe essere la scuola di tutti, la scuola che la Costituzione vuole garantire e la scuola che Calamandrei definiva un organo costituzionale, non funziona.

Ne sono testimonianza il 15% di persone convinte che l’olocausto non sia mai esistito e le tante persone disposte a credere a qualunque sciocchezza che venga diffusa sui social network, anche a fini elettorali.
Forse possiamo trovare una correlazione con quel 23% di persone NEET, che non sono né in formazione, né a scuola, né occupati, che sicuramente costituiscono una base elettorale consistente per tutti coloro che, attraverso false notizie o manipolazione delle stesse, riescono a raccogliere facili consensi verso politiche potenzialmente molto pericolose anche per i sindacati stessi, visto che in una tale concezione del mondo potrebbe tranquillamente trovare spazio l’idea di sindacato unico, che qualcuno aveva già prospettato di recente.

Abbiamo bisogno di insegnanti preparati dal punto di vista psicopedagogico, metodologico-didattico e relazionale, oltre che nella conoscenza delle loro materie di insegnamento, altrimenti, continuando a condurre lezioni frontali trasmissive, uguali a quelle che venivano utilizzate nella scuola d’elite riservata alle classi sociali superiori, riusciremo ad agganciare solo pochissimi dei ragazzi provenienti dai ceti sociali meno abbienti.
La maggior parte di questi considera la scuola come nemica o tuttalpiù irrilevante, non riuscendo così a sviluppare quelle forme di pensiero critico che permettono di raccogliere le informazioni necessarie e una capacità di comprensione dei fenomeni ambientali e sociali nei quali sono immersi.

Tra i danni prodotti dalle riforme non tralascerei inoltre la malsana idea di condurre l’insegnamento della storia con una linearità tra il terzo anno di scuola primaria e il terzo anno di scuola media, senza adottare più il principio della ricorsività dei processi di apprendimento. Questo ha fatto sì che quasi nessuno dei bambini del quinto anno della scuola primaria venga a conoscenza dei fatti della Seconda Guerra Mondiale e siccome molti dei ragazzi provenienti da strati sociali deprivati culturalmente nella scuola media hanno un atteggiamento di ostilità o di disinteresse, non studieranno mai questi temi importantissimi neanche in terza media.
Non escluderei che questa strutturazione dei programmi di storia, secondo i quali nella scuola primaria si studia dall’epoca primitiva fino all’Impero Romano e poi nella scuola media dal Medioevo ai tempi recenti, possa essere una delle cause dell’ignoranza rispetto all’olocausto.

Il resto del danno è prodotto dalla difficoltà di molti insegnanti che non hanno avuto una formazione e un tirocinio adeguati a favorire l’apprendimento di tutti gli allievi e non solo di quelli già predisposti allo studio da parte delle famiglie.
Penso quindi che l’azione dei sindacati non dovrebbe essere rivolta a rendere i concorsi più facili per accedere con più facilità all’insegnamento, ma, al contrario, dovrebbe puntare ad una formazione più efficace, in modo tale che gli insegnanti siano in grado di gestire anche classi difficili e di insegnare anche ad allievi provenienti da un retroterra socio-culturale debole. E questo può avvenire solo con un adeguato tirocinio.
Darebbero così un contributo positivo alla realizzazione della scuola per tutti, prevista dalla nostra Costituzione, e alla loro stessa esistenza.

Coronavirus, paura tra i genitori: mio figlio può andare a scuola? I medici: pericolo basso

da La Tecnica della Scuola

Ci sono anche docenti e lavoratori della scuola, ma soprattutto tanti genitori di alunni, tra le 600-700 persone che chiamano ogni giorno i medici del ministero della Salute, attraverso il numero di pubblica utilità 1500, per essere rassicurati sul nuovo Coronavirus che in Cina avrebbe prodotto ben oltre 250 vittime e 12 mila contagi nel mondo (anche se altre fonti forniscono numeri molto più alti).

Il contagio è difficile da realizzare

La scuola, come tutte le comunità, è del resto un ambiente frequentato da tante persone. Quindi, in teoria, le possibilità di contagio di un virus sono più alte rispetto ad altri contesti.

Va poi ricordato che anche se la presenza di alunni cinesi è abbastanza alta, oltre 53 mila iscritti, su 842.000 alunni complessivi con cittadinanza non italiana, e che in un solo decennio sono raddoppiati, ben l’82% sono nati in Italia: pertanto, si presume che sia davvero residuale il numero di allievi che nell’ultimo periodo si possano essere recati in Cina.

Tra le famiglie, però, si insinua l’ansa, che a volte diventa paura e psicosi, come riferito da Il Giornale qualche giorno fa.

Intanto, gli operatori del ministero della Sanità cercano anche di far capire a chi chiama (spesso dopo una discreta attesa, con una voce registrata che invita quando c’è un eccesso di telefonate da gestire a richiamare) che il contagio non è affatto facile dal compiersi.

Ci si può confondere con l’influenza stagionale

“Il Coronavirus, il contagio si ha solo se si sta a stretto e a lungo contatto con persone che potrebbero avere il virus. Perché sono le goccioline (di saliva ndr) che entrano a contatto dalla persona infetta a quella ricevente, ma deve trattarsi di un contatto stretto e lungo“, dicono dal ministero a chi chiama preoccupato.

“È ovvio – aggiungono gli operatori che danno informazioni 24 ore su 24 – che essendo anche il periodo dell’influenza, ci si sente tutti gli acciacchi tipici proprio di questo malanno di stagione. Si ha paura perché si collegano magari i sintomi influenzali con il coronavirus, ma non è così”.

In pratica, spiegano sempre dal dicastero della Salute, per chi non si è recato nelle zone endemiche, quindi in Cina, e non si é di ritorno da quei luoghi non c’è alcun problema o rischio.

I consigli per i bambini: a scuola sì

Quando si chiedono consigli per evitare il contagio tra i bambini, li operatori danno, ovviamente, gli stessi consigli dei pediatri: occorre procedere con una corretta igiene delle mani ed evitare il contatto ravvicinato con persone con sintomi influenzali o respiratori. Inoltre, ricordano che non esiste un vaccino per prevenire l’infezione, anche se alcune aziende ci stanno già lavorando.

“Si tratta di regole come lavarsi le mani, starnutire ma non farlo senza mettere la manina davanti – ha confermato un’operatrice del numero di pubblica utilità 1500, intervistata dall’Ansa – insomma, il ‘lavaggio di cervello’ che noi mamme facciamo indipendente dal coronavirus”. E si può mandarli i piccoli a scuola senza timore? La risposta è stato un deciso “certamente”.

E le mascherine?

Agli operatori del ministero, infine, si chiedono informazioni anche sulle mascherine. “Quella tipica che usano dalle donne delle pulizie o che si utilizza in metro – rispondono al telefono -, non è una particolare mascherina. Non ha senso neanche utilizzarla, a meno che non si vada in luoghi chiusi ma per una sicurezza psicologica propria ma non perché ci sua la necessità o la raccomandazione da parte del Ministero. Assolutamente. Più che altro se si va in aeroporto e si staziona può essere una misura”.

Chi chiama il numero 1500, alla fine della telefonata si sente molto probabilmente più tranquillo. Almeno, fino alla prossima notizia allarmistica.

Coronavirus, le indicazioni per la gestione di studenti e docenti di ritorno o in partenza verso aree affette della Cina

da Tuttoscuola

Il 31 dicembre 2019 la Cina ha segnalato all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un cluster di casi di polmonite ad eziologia ignota, poi identificata come un nuovo coronavirus, nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. I casi si sono verificati nella larghissima maggioranza nella Repubblica popolare cinese. Pochi casi sono stati segnalati in altri paesi, inclusa l’Italia, in gran parte in soggetti provenienti negli ultimi 14 giorni dalle zone colpite. Dopo le richieste di norme chiare per gli alunni provenienti dalla Cina arrivate nei giorni scorsi anche dai presidi, il Ministero della Salute pubblica una circolare.

Clicca qui per scaricare la circolare

In questa circolare avente per oggetto “Indicazioni per la gestione degli studenti e dei docenti di ritorno o in partenza verso aree affette della Cina” si legge che:

“La via di trasmissione del coronavirus più frequentemente riportata è quella a seguito di contatti stretti e prolungati da persona a persona. Ulteriori studi sono in corso”.

Coronavirus, i sintomi

“I sintomi più comuni – leggiamo ancora nella circolare del Ministero della Salute – sono febbre, tosse secca, mal di gola, difficoltà respiratorie. Le informazioni attualmente disponibili suggeriscono che il coronavirus possa causare sia una forma lieve, simil-influenzale, che una forma più grave di malattia. Come riportato dal Centro Europeo per il Controllo delle Malattie, la probabilità di osservare casi a seguito di trasmissione interumana all’interno dell’Unione Europea è stimata da molto bassa a bassa, se i casi vengono identificati tempestivamente e gestiti in maniera appropriata. La probabilità di osservare casi in soggetti di qualsiasi nazionalità provenienti dalla Provincia Cinese di Hubei è stimata alta, mentre è moderata per le altre province cinesi. In Italia, il Ministero della Salute, in accordo con le Regioni, ha in atto tutte le procedure per l’identificazione tempestiva e la gestione appropriata, con procedure omogenee su tutto il territorio nazionale. Ulteriori informazioni operative possono essere ottenute attraverso le autorità Sanitarie Regionali o il numero verde del Ministero della salute, 1500. Si raccomanda di utilizzare solo informazioni disponibili presso i siti WHO (www.who.int), ECDC (www.ecdc.eu), Ministero Salute (www.salute.gov.it), ISS (www.iss.it). Presso il Ministero della salute è attivo un tavolo permanente con le Regioni per il monitoraggio continuo della situazione.

Al fine di uniformare la gestione nell’ambito degli istituti di istruzione di ogni ordine e grado, vengono di seguito riportate indicazioni di comportamenti caratteristici nelle diverse fasce di età.

Studenti universitari o di corsi equivalenti

A

Per studenti che non rientrino nelle condizioni di cui ai successivi punti B e C, non sono previste misure specifiche se non quelle mirate a prevenire le comuni infezioni delle vie respiratorie:

– Lavarsi le mani;
– Coprire le vie aeree quando si tossisce e starnutisce;
– In caso di utilizzo di fazzolettini di carta, una volta utilizzati, vanno gettati;
– Porre particolare attenzione all’igiene delle superfici;
– Evitare contatti stretti con persone con sintomi simil influenzali.

B

Studenti che sono rientrati dalla Cina nelle ultime 2 settimane: Oltre alle misure precedenti;

– Monitorare la eventuale insorgenza di sintomi come tosse, febbre, difficoltà respiratorie;
– In caso di insorgenza di sintomi:
– Chiamare il 1500 o i centri regionali di riferimento;
– Proteggere le vie aeree con mascherina;
– Evitare contatti stretti fino alla definizione della situazione sanitaria da parte del personale sanitario.

C

Studenti ai quali è stato comunicato dall’autorità sanitaria, o che sono venuti in altro modo a conoscenza, di aver effettuato un viaggio insieme ad un paziente nCoV – con qualsiasi tipo di trasporto – e/o di aver coabitato con un paziente nCoV, entro un periodo di 14 giorni:

– telefonare tempestivamente al 1500 o ai centri di riferimento delle regioni, per le misure di sorveglianza, ove non siano state già adottate dall’autorità sanitaria;

Studenti e bambini che frequentano i servizi educativi per l’infanzia, le scuole primarie e secondarie

Oltre a confermare le indicazioni sopra fornite per studenti universitari o di corsi equivalenti, per questa fascia d’età si suggerisce che gli adulti facenti parte del personale scolastico (docente e non) prestino particolare attenzione a favorire l’adozione di comportamenti atti a ridurre la possibilità di contaminazione con secrezioni delle vie aeree, anche attraverso oggetti (giocattoli, matite, etc.).

Viaggi di studenti verso le aree colpite

Per ridurre il rischio generale di infezioni respiratorie acute, gli studenti delle scuole secondarie e gli universitari che abbiano intenzione di viaggiare verso le aree colpite, alla luce della situazione epidemiologica globale relativa all’infezione da 2019-nCoV, si ribadisce che tali viaggi sono sconsigliati. Nel caso in cui i viaggi nelle aree colpite siano già iniziati, gli interessati devono attenersi alle seguenti indicazioni:

– evitare di visitare i mercati di prodotti alimentari freschi di origine animale e di animali vivi;
– evitare il contatto con persone che hanno sintomi respiratori;
– lavare frequentemente le mani;
– per qualsiasi necessità contattare l’Ambasciata o il Consolato;
– qualora una persona sviluppi sintomi respiratori (tosse, mal di gola, difficoltà respiratorie) mentre si trova nelle aree a rischio, dovrebbe rivolgersi immediatamente a un medico.

Tali indicazioni sono da ritenersi valide anche per docenti, ricercatori e personale universitario. Le presenti indicazioni potranno essere modificate al variare della situazione epidemiologica”.