Bonus docenti

“Bonus docenti”: avviato il confronto al Ministero dell’Istruzione

Il 3 febbraio si è svolto l’incontro con il Ministero dell’Istruzione per discutere le conseguenze applicative di una norma approvata in legge di bilancio 2020. La nuova norma ha disposto che le risorse già destinate al “bonus docenti” a partire dal 1° gennaio di quest’anno siano utilizzate dalla contrattazione integrativa in favore del personale scolastico senza più il precedente vincolo di destinazione previsto dalla legge 107/15.
sindacati hanno ribadito che:

  • sono pienamente ripristinate le prerogative sindacali sulle risorse del “bonus” a partire dal 1° gennaio 2020 (data di entrata in vigore della norma);
  • le risorse non sono più destinate a riconoscere la “premialità” dei docenti;
  • il comitato di valutazione, di fatto, non ha più alcuna funzione in materia di “bonus”;
  • le risorse sono destinate a tutto il personale scolastico, di ruolo e non di ruolo;
  • spetta alle contrattazioni d’istituto definire i criteri di attribuzione delle risorse al personale scolastico.

I sindacati hanno anche espresso l’esigenza che, poiché la nuova norma è intervenuta ad anno scolastico avviato, occorre dare indicazioni univoche e condivise alle istituzioni scolastiche per una corretta gestione delle risorse dell’ex “bonus” in sede di contrattazione d’istituto.

L’Amministrazione, nel replicare alle organizzazioni sindacali, ha condiviso:

  • che la norma approvata in legge di bilancio abbia effetto a partire dal 1° gennaio 2020;
  • che il mutato quadro normativo, avvenuto in corso d’anno, ponga l’esigenza di fornire alle scuole indicazioni omogenee per gestire la novità nella fase transitoria.

La FLC CGIL è fortemente determinata ed impegnata perché alle scuole siano fornite quanto prima indicazioni chiare e precise al fine di dare piena attuazione alla norma che ha abolito il “bonus docente”, un meccanismo premiale molto divisivo ed osteggiato dai docenti.

Un nuovo incontro per proseguire il confronto è stato fissato per lunedì 10 febbraio alle ore 15.30.

Un altro modo di leggere le elezioni regionali

Un altro modo di leggere le elezioni regionali

di Gian Carlo Sacchi

Le recenti elezioni regionali hanno creato nell’opinione pubblica una grande tensione, come mai in passato era capitato per competizioni analoghe. Anche questa volta la contrapposizione politica si è spesa in uno spettacolo perlopiù mediatico ordito su ciò che accade la sera prima e che porta la dimensione nazionale a confondere quella locale in modo da dare quest’ultima in pasto al fanatismo delle contrapposte tifoserie.

Ciò che è accaduto in Emilia Romagna però ha posto gli elettori di fronte ad una diversa prospettiva di ricerca del consenso e cioè quella di misurarsi con la verifica di un’azione amministrativa, per poterla confermare o smentire, e anche se non è stato possibile depurare tale impostazione dalle incrostazioni ideologiche, si èriportato in auge il ruolo della regione per la quale continua a non esserci molta considerazione. Degli enti intermedi infatti a “tutti” i nostri politici interessa poco: si veda la sopravvivenza delle Province, scampate malamente all’abrogazionismo del referendum renziano  e per quanto riguarda le Regioni c’è chi ancora le considera un inciampo all’occupazione del potere statale, come rivela il fallimento della riforma del titolo quinto della Costituzione pur approvato dagli italiani. 

Si dirà che in questa occasione l’alta partecipazione al voto è dovuta alla congiuntura politica, ma non si può negare la maggiore responsabilizzazione dei sindaci e una campagna elettorale fondata sui servizi, sugli indicatori economici e sociali, su un modello di società competitiva ma anche solidaristica, elementi sui quali si è misurato il precedente governo regionale. 

E’ stata interrotta quella dinamica che ha fatto dell’appartenenza ai partiti il richiamo al voto nelle diverse “repubbliche”, dai consigli di quartiere fino al parlamento nazionale, e la richiesta che oggi viene dal popolo non è verso un nuovo “salvatore”, ma alla buona amministrazione dei territori. Questo è centrato sulle persone, sulle relazioni sociali, sulla vicinanza tra i rappresentanti e i rappresentati, sulla valorizzazione delle reti di enti che ai diversi livelli  territoriali garantiscono stabilità ed efficienza.

Una novità che può essere di buon auspicio per le prossime elezioni regionali e valorizza degnamente la celebrazione del cinquantesimo anniversario della nascita delle regioni stesse. Una data che potrà passare inosservata, ma che segnala un rafforzamento della democrazia nel nostro Paese e del dibattito sul regionalismo, ripreso timidamente dall’attuale governo. Quello che è accaduto in Emilia Romagna ha dato un’ulteriore spinta al riconoscimento di una maggiore autonomia, così come la stessa ha da tempo richiesto e come altre regioni che si sono incamminate sulla stessa strada, senza che questo diventi un’occasione di scontro ideologico. 

Il consenso può essere indirizzato a diverse formazioni politiche che in un dato momento possono dimostrare maggiore affidabilità, ma può cambiare sulla base della verifica di quanto realizzato per il benessere dei cittadini. Le regioni pur con maggioranze politiche diverse possono poi ritrovarsi in organismi collegiali per condividere gli interventi più capaci di andare incontro alle esigenze dei territori senza perdere di vista il bene comune di tutto il Paese. 

Ciò che si può dedurre dai risultati “sociali” dell’Emilia Romagna è che il regionalismo non è da temere ma finalmente da realizzare,riportando nella giusta prospettiva anche altre regioni tentate di farne oggetto di contesa politica o di tramontate formule secessionistiche, e magari cambiando anche il sistema parlamentare.

Se quindi si sta abbandonando lo strapotere dei partiti per andare direttamente verso la società civile allora sorge evidente un problema che in passato era risolto dalle appartenenze ideologicheed è così ancora solo nella mentalità di alcuni “leader”, ma per questioni più che altro di proselitismo, quello della formazione dei cittadini, in senso lato per aumentare la qualità e non solo i numeri della partecipazione ed in senso stretto per la selezione della classe politica. 

C’è stato un momento, verso la fine del secolo scorso, che anche nelle scuole e nelle università si voleva diffondere l’educazione alla politica, mentre in tempi più recenti basta la parola in detti ambienti per fomentare lo scontro tra opposte fazioni. Si può parlare di diffidenza tra le diverse formazioni organizzate che temono l’educazione come imposizione di opinioni preconfezionate di parte anziché la ricerca critica sulla realtàanziché il ricorso ai valori che aiutano lo sviluppo delle persone, oppure davvero si vuole recidere il legame tra ciò che il mondo è attraverso le scienze e le tecnologie, o come dovrebbe essere, attraverso l’etica, il diritto e quindi la politica. E’ questa la ragione della nostra crisi, come la descrive Vito Mancuso, che non è tanto economica, ma di civiltà e che riguarda i fondamenti dello stare insieme degli esseri umani, non più in grado di sentirsi soci e quindi di costruire società.

Oggi si vuole rilanciare l’educazione civica, che dovrebbe entrare in vigore nella nuova formulazione il prossimo anno e che così com’è stata elaborata ha un forte richiamo all’insegnamento della storia, soprattutto recente, con il compito di far comprendere ai giovani le radici della nostra convivenza e della Costituzione. E’ per comprendere ed applicare la nostra carta fondamentale che fu  introdotta una disciplina, che oggi rischia di essere caricata di tante emergenze sociali, senza pensare che si potrà formare il cittadino solo riempiendo il vuoto di educazione politica per la maturazione di personalità gelose delle libertà personali e consapevoli del pluralismo democratico e delle libertà altrui.  Non si tratta pertanto di aggiungere contenuti e nozioni a quelle già fornite, ma di educare ad un modo di essere condiviso e di agire nella vita sociale.

E’ importante che fin da giovani si apprenda com’è organizzato il nostro sistema istituzionale che il cittadino dovrà sempre più frequentare da solo, con l’aiuto tutt’al più di strumenti informativi, venendo meno le intermediazioni che agivano sulla maturazione personale quanto a idee ed esperienze. Occorre valorizzare ad esempio i consigli comunali dei ragazzi o altri strumenti di partecipazione che si vanno sviluppando su tematiche ambientali o più semplicemente relative alla comunicazione politica, o riferirsia quelle esperienze di conduzione del processo legislativo europeo fatto frequentare ad istituti superiori dell’Unione. Che non siano però semplici simulazioni per sfociare soltanto in una ricostruzione teorica degli eventi, ma un vero “apprendistato politico”, dove ci sia la possibilità guardando al passato dicostruire il futuro e mettere in relazione direttamente la conoscenza con la vita, lo sviluppo del sé e delle relazioni con gli altri.

Tutti dovrebbero vivere la quotidianità nel segno della consapevolezza politica, perché “l’agire politicamente” non può essere delegato ai mestieranti o limitato al momento del voto, ma comporta l’esserci in prima persona, per evitare la disaffezione manifestata da tanti cittadini soprattutto giovani dai luoghi della politica, ma questo richiede un impegno diffuso nella scuola come nelle università ad educare alla capacità critica. Mentre solo qualche decennio fa era la partecipazione democratica l’elemento cardine della costruzione sociale e della cittadinanza, oggi è necessario guardarsi dall’appiattimento informativo dovuto ai social che favorendo l’esplosione delle idee finisce per far prevalere quelle più balorde. 

L’ultimo rapporto OCSE-PISA dice infatti che solo un quindicenne su venti sa distinguere fatti e opinioni quando legge un testo a lui non familiare. Educare al pensiero critico deve emergere dunque tra gli obiettivi principali di un percorso formativo, come faceva quella docente di Palermo travolta dal dogmatismo sovranistico.

E’ il momento per ripensare ai rapporti tra politica ed educazione, tra i due campi di esperienza sussiste un’indubbia correlazione, in  quanto al centro c’è la formazione dell’uomo e del cittadino. La prima ha finito per utilizzare l’altra come strumento di potere; la pedagogia ha finito per accontentarsi di produrre teorie del tutto prive di qualsiasi mordente operativo o dal semplice e deludente respiro moralistico. La crisi dell’una corrisponde alla crisi dell’altra, in quanto anche la politica ha rinunciato alla propria autonomia accettando di essere subordinata ad altri contesti e si riduce a vivere alla giornata in attesa delle indicazioni che le vengono date dall’esterno e non è in grado di costruire e poi di realizzare una progettualità propria capace di proiettarsi nel futuro in modo significativo (Bertolini 2003).

L’educazione politica non può essere affidata ad un solo ente educativo e non può essere limitata ad un periodo dell’età giovanile, deve diventare una dimensione dell’educazione permanente; ciascuna forma di partecipazione politica degli adulti, nelle varie sedi democratiche, non vada disgiunta da momenti formativi e sia essa medesima vissuta come momento di continua maturazione all’esercizio della sovranità popolare.

La ragazza che non può tornare a scuola

La ragazza che non può tornare a scuola

di Gabriele Boselli

Mila, una liceale francese, da qualche tempo è perseguitata da minacce di stupro, nonché tortura e morte: “brûlée à l’acide, enterrée vivante”. Ha dovuto lasciare la scuola ed è sotto protezione della polizia. Motivo? Sotto stalching da parte di un ragazzo di religione islamica, ha mandato a quel paese (la dizione originale era più cruda) lui e con lui il suo dio.

Violenta, per ora solo verbalmente, la reazione prima dell’interessato e dei suoi amici, poi via social di migliaia di giovani islamici irritati dal fatto che una ragazza -secondo loro lesbica- abbia offeso il giovanotto e Allah insieme.

Fin qui -almeno nella un tempo laicissima Francia- niente di straordinario. In quelle contrade si può bestemmiare il Dio dei cristiani ma Allah guai chi lo tocca. Singolare e a mio avviso assai grave la reazione della magistratura e del ministero della giustizia: la prima ha aperto un procedimento contro la ragazza per “provocation à la haine”, l’altro l’ha accusata di aver nientemeno offeso la libertà di coscienza. Il ministro dell’istruzione ha poi alzato le braccia senza reagire al fatto che la ragazza non puòtornare nel suo liceo e in nessun altro senza mettere a repentaglio la propria vita.

Questo episodio, insieme probabilmente a tanti altri che non arrivano a onor di cronaca, indica un tipo di terrorismo che non colpisce fisicamente ma altera gravemente il vissuto delle persone e la sensibilità e la capacità di reagire delle istituzioni. Si spera che questo tipo di fenomeni di criminalità politica non attecchisca anche in Italia, dove la compatibilità etnico-religiosa è per fortuna numericamente meno alterata e, ove avvenisse, le autorità sappiano imporsi con efficacia.

Fonte: Le figaro 05 02 20

SANZIONI DISCIPLINARI

SANZIONI DISCIPLINARI: DOPO CASSAZIONE CIRCOLARE TOSCANA SIA APRIPISTA

“La circolare diramata dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale della Toscana in materia di sanzioni disciplinari faccia da apripista per tutte le altre amministrazioni periferiche”. Così Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, commenta il provvedimento con cui il numero uno dell’Usr toscano, in seguito a due ordinanze emesse dalla Corte di Cassazione (n. 28111/2019 del 31 ottobre 2019 e n. 30226/2019 del 20 novembre 2019), ammonisce i dirigenti scolastici dal sospendere i docenti dal servizio sottolineando che, come stabilito dalla Corte Suprema, la competenza di questo tipo di sanzione disciplinare spetta agli uffici preposti di ciascun ambito territoriale e non alla dirigenza scolastica.
“La circolare diramata dall’Usr Toscana rappresenta una vittoria importante per la nostra categoria – spiega con soddisfazione Di Meglio – e conferma il principio, da sempre sostenuto dalla Gilda, secondo cui la sospensione dall’insegnamento, diversamente da quanto previsto dai decreti Brunetta e Madia, compete soltanto all’Ufficio scolastico regionale”. 
“Con le ordinanze della Cassazione e la conseguente circolare del direttore dell’Usr della Toscana – incalza il coordinatore nazionale della Gilda – viene riaffermato il diritto degli insegnanti a venire giudicati da un organo terzo e indipendente che, per ovvie ragioni, non può essere lo stesso dirigente scolastico che riveste anche il ruolo di inquirente e denunciante. Adesso – conclude Di Meglio – ci auguriamo che intervenga il ministero dell’Istruzione per uniformare i comportamenti di tutti gli Uffici scolastici regionali”.     

Coronavirus, Il Miur: prosegue la proficua collaborazione con il ministero della Salute

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

A seguito della circolare inviata alle scuole, lo scorso 1° febbraio, il ministero dell’Istruzione fa sapere che prosegue la proficua collaborazione con il ministero della Salute in merito al controllo della diffusione delle infezioni da Coronavirus.

Grazie anche al quotidiano aggiornamento con la rete degli Uffici scolastici regionali dislocati sul territorio nazionale.

Come ricordato ieri anche dall’Istituto Superiore di Sanità “al momento l’Italia è tra i Paesi che hanno adottato le misure più ampie ed articolate per il controllo della diffusione dell’infezione nell’intera popolazione”.

I presidi: il nostro impegno è totale, le polemiche sono strumentali

«I dirigenti scolastici delle scuole pubbliche italiane sono impegnati quotidianamente a dare il loro fondamentale contributo alla gestione delle problematiche attuali, attenendosi scrupolosamente alle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie nazionali, evitando allarmismi ingiustificati e continuando ad affermare nelle loro scuole modalità di relazioni corrette e solidali». Lo affermano i presidi aderenti a Cgil, Cisl, Uil e Snals.

«Le polemiche in atto sull’efficacia delle misure sanitarie adottate – spiegano Roberta Fanfarillo per i dirigenti Flc Cgil, Paola Serafin per i presidi della Cisl, Rosa Cirillo per la Uil
Scuola e Giovanni De Rosa per lo Snals – oltre a essere inutili, strumentali e inopportune, producono effetti negativi sulle relazioni fra le persone e sulla coesione sociale».

«Le scuole – proseguono i dirigenti scolastici – sono il principale luogo di vita di milioni di giovani cittadini italiani. A scuola essi imparano a condividere valori e comportamenti sociali, a fondare i propri comportamenti sulla realtà e sulla razionalità, misurarsi anche con le emergenze, come quella attuale, che hanno un impatto forte sulle relazioni fra le persone».

«In questa difficile situazione i dirigenti scolastici, che hanno il compito e la responsabilità di assicurare il corretto ed efficace funzionamento della comunità educante, sono impegnati
in prima linea a garantire il rispetto del valore costituzionale inderogabile della solidarietà sociale, assicurando a tutte le bambine e i bambini, le studentesse e gli studenti la serenità
necessaria alla loro esperienza scolastica», concludono le sigle sindacali unitariamente.

Sindacati: «Il 17 marzo si parte con lo sciopero di tutto il personale precario»

da Il Sole 24 Ore

Riparte la mobilitazione di tutto il personale della scuola, con un primo step di iniziative a sostegno del personale precario della scuola e dei facenti funzioni di Dsga.

E’ quanto hanno deciso ieri i sindacati scuola nella riunione delle segreterie unitarie.
Sarà una conferenza stampa nei prossimi giorni a illustrare nel dettaglio le ragioni che hanno portato le cinque sigle sindacali a proclamare lo sciopero dei precari della scuola per il prossimo 17 marzo, primo atto di un’iniziativa che si sviluppa su un arco di tempo più lungo e su problematiche più vaste.

Le misure in via di definizione per i concorsi, su cui si è consumata nei giorni scorsi la rottura fra sindacati e ministero dell’Istruzione, giungono al termine di un confronto durato mesi e rappresentano solo uno dei temi presenti nelle intese siglate più volte con il Governo, che riguardano anche il rinnovo del contratto, la mobilità e la definizione di un sistema strutturale di abilitazione.

«Sono venute a cadere le ragioni per cui sono state a suo tempo sospese le iniziative di mobilitazione – spiegano i segretari generali di Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda – Il confronto dei giorni scorsi al Ministero ha evidenziato una sostanziale indisponibilità al negoziato di questa amministrazione, che ha respinto in larga parte le proposte avanzate dai sindacati sui provvedimenti relativi alle procedure concorsuali».

«Il tema della precarietà – aggiungono Sinopoli, Gissi, Turi, Serafini e Di Meglio – va superato con una politica attenta e con misure che siano il risultato di un confronto corretto. Migliaia di persone attendono risposte concrete e rispettose del loro lavoro».

Concorsi, tira aria di sciopero

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi e Claudio Nobilio

È scontro aperto tra sindacati e ministero dell’istruzione sulle procedure di reclutamento del personale docente. L’incontro che si è tenuto a viale Trastevere, tra i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil, Snals, Gilda-Unams e i vertici del dicastero guidato da Lucia Azzolina, si è concluso con l’abbandono del tavolo di trattativa da parte delle organizzazioni sindacali. Scontro che potrebbe salire di tono con la proclamazione di uno sciopero dei precari. Nulla è ancora deciso, i segretari di Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda si incontreranno oggi per definire le azioni di protesta. Ma a ieri sera l’ipotesi principale in campo parlava di un’astensione dal lavoro per i circa 60 mila precari che hanno un contratto di supplenza sull’organico di diritto e che sono tra i principali interessati al concorso straordinario che dovrebbe essere bandito entro febbraio. Più in generale, i precari a vario titolo a lavoro nelle scuole arriverebbero a 180 mila. L’astensione potrebbe riguardare anche i facenti funzione dei Dsga: amministrativi che svolgono i compiti di direzione delle segreterie per i quali non vi è stata l’apertura a nessuna procedura straordinaria di reclutamento. E che potrebbero con la loro protesta bloccare di fatto l’amministrazione delle scuole.

A segnare un clima non positivo tra sindacati e nuovi vertici ministeriali anche la riunione di ieri sull’utilizzo dei fondi per il merito: viale Trastevere avrebbe risposto picche alla richiesta dei sindacati di focalizzare le risorse sui docenti affidando la decisione sull’utilizzo delle stesse alla contrattazione di istituto e senza prevedere forme di valutazione. Il ministero ha ribadito la valutazione non solo per i docenti ma anche per il personale ausiliario, tecnico e amministrativo. La partita finanziaria vale 200 milioni di euro, circa 24 mila euro a istituzione scolastica.

La rottura tra sindacati e ministero sul reclutamento è dovuta all’atteggiamento «di totale chiusura rispetto alle proposte dei sindacati» si legge in un comunicato congiunto diramato dalle sigle sindacali «assunto dall’amministrazione a conclusione del confronto sui provvedimenti attuativi del decreto su reclutamento e abilitazioni». Comunicato che cita un verbale che avrebbe dovuto documentare le opposte posizioni per esplicitare i termini del confronto. E che però non sarebbe stato consegnato alle organizzazioni sindacali. Sindacati e amministrazione, però, avevano preparato due note che recano, rispettivamente, le richieste e le risposte dell’amministrazione. ItaliaOggi le ha lette ed è in grado fare una sintesi delle questioni più importanti viste dai due fronti opposti.

Il punto nevralgico della discussione è stato toccato in riferimento alla questione della valutabilità de servizio prestato sul sostegno ai fini dell’accesso al concorso straordinario. I sindacati avevano chiesto che tale servizio fosse da considerarsi valido per accedere non solo alle selezioni per il sostegno, ma anche a quelle della classe di concorso della graduatoria da dove gli interessati fossero stati tratti per le supplenze.

Il sostegno, infatti, non ha una propria classe di concorso e i docenti da assumere vengono individuati da un elenco nel quale si accede con il punteggio maturati nella graduatoria del posto comune dalla quale si proviene. L’amministrazione, però, ha rigettato la proposta. Citando l’articolo 1, comma 5, lett. a) del decreto legge 126/2019, il ministero ha fatto presente che il requisito di almeno un anno di servizio sulla classe di concorso fosse da considerarsi quale requisito indefettibile. E che il fatto che questa possibilità sarebbe prevista dalla normativa ai fini delle graduatorie a esaurimento non potrebbe comunque trovare applicazione ai fini dei concorsi, proprio per effetto del vincolo contenuto nel decreto legge 126. Idem per quanto riguarda la possibilità, per gli specializzati, di partecipare a selezioni di ordine di scuola diverso da quello per il quale avessero il titolo. Anche perché l’intenzione del legislatore, che si evince tra l’altro dagli atti parlamentari preparatori, andrebbe nel senso di escludere questa possibilità. Idem per quanto riguarda il servizio svolto su materie alternative alla religione cattolica. I sindacati, inoltre, avevano chiesto che venisse previsto l’esonero dal servizio per i membri delle commissioni dei concorsi per agevolarne il reperimento e per consentire loro di lavorare più speditamente e prevenire ritardi. Anche in questo caso viale Trastevere ha respinto la proposta facendo presente che « i relativi costi, come stimati dagli uffici competenti, non sarebbero attualmente sostenibili».

Alta tensione si è avuta sulla pubblicazione delle batterie di test sia del concorso ordinario che di quello straordinario, chiesta dai sindacati per consentire ai candidati di orientarsi nella preparazione delle prove.

L’amministrazione, però, ha accolto solo la proposta relativa al concorso ordinario mentre, per lo straordinario, ha rigettato la proposta facendo presente che, trattandosi di una «prova scritta selettiva volta ad accertare il possesso, da parte dei candidati, di specifiche competenze», ciò determinerebbe «l’impossibilità, sia logica che giuridica, di utilizzare meccanismi tipici di una prova preselettiva, essendone totalmente differente la ratio».

È stata respinta anche la proposta di dare più tempo ai candidati per rispondere ai test (la durata prevista è di un minuto per ogni quesito) e di fissare un punteggio minimo ai fini del superamento della prova preselettiva del concorso ordinario. Il ministero ha motivato il proprio niet argomentando che aumentando il tempo per rispondere ai quesiti aumenterebbero le possibilità di errore e che la selezione va fatta fissando il numero massimo di candidati ammessi. Altrimenti vi sarebbe il rischio di avere troppi candidati da esaminare, con insormontabili problemi organizzativi per l’amministrazione.

Anche se ciò rischia di determinare forti disparità di trattamento tra diverse zone del paese a seconda del maggiore o minore numero di candidati al concorso. È stata respinta la proposta dei sindacati di valorizzare il servizio prestato rispetto alle prove. L’amministrazione ha ritenuto, infatti, che «la scelta di assegnare alla prova selettiva l’80% del punteggio disponibile» deriverebbe «in assenza di disposizioni speciali specifiche, da una interpretazione conforme all’articolo 400, comma 9, del dlgs n. 297/1994».

Maturità, l’orale scelto dai prof

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Via le buste dall’orale della maturità, ma il lavoro per la commissione d’esame non cambierà e gli studenti non conosceranno, prima del giorno della propria prova orale, i materiali predisposti dai commissari. Prende forma con la pubblicazione del decreto ministeriale del 30 gennaio la maturità 2020 made in Azzolina. Di fatto, l’esame di Stato ridisegnato dalla Buona Scuola, prima, e dalla mini riforma Bussetti, dopo, con il meccanismo del sorteggio tra tre buste delle buste all’inizio del colloquio sostituito dalla scelta dello spunto per l’orale di ciascun maturando direttamente dai commissari d’esame la mattina stessa della prova. «La vostra commissione», spiega la ministra dell’istruzione Lucia Azzolina in video sul canale Instagram del Miur, «predisporrà il materiale da cui far partire il vostro orale che valorizzerà al massimo il vostro percorso di studi». Il colloquio, infatti, sarà pluridisciplinare. «Si svolgerà», si spiega nel decreto, «a partire dall’analisi, da parte del candidato, del materiale scelto dalla commissione, attinente alle Indicazioni nazionali per i Licei e alle Linee guida per gli istituti tecnici e professionali». Come lo scorso anno. «Un testo, un documento, un’esperienza, un progetto, un problema» «predisposto dalla commissione» durante un’apposita sezione dedicata alla preparazione del colloquio, in coerenza con il Documento del 15 maggio di ciascun consiglio di classe. Materiali che saranno predisposti in numero pari ai maturandi maggiorato del 30% con eventuale arrotondamento all’unità superiore.

Non cambierà, quindi, nulla per le commissioni d’esame, a cui continuerà ad essere richiesta una sessione aggiuntiva di lavoro proprio per preparare i materiale dell’orale, così come aveva stabilito l’allora ministro dell’istruzione Marco Bussetti a partire dall’esame 2019. La novità, già prevista all’ex titolare del Miur, Lorenzo Fioramonti e confermata ora dalla nuova ministra Azzolina, sarà l’eliminazione del sorteggio tra le buste di bussettiana memoria, tanto criticata dagli stessi docenti appena annunciata e che fece tremare di paura gli studenti alla vigila degli orali. Anche se la metà dei maturandi, secondo i dati di Skuola.net, ha avuto da parte dei proprio docenti informazioni precise e puntuali sul funzionamento delle buste e il 38% ha ricevuto anteprime sul loro contenuto e addirittura il 10% ha avuto l’intero elenco dei contenuti, ripetendo così la stessa dinamica che, fino all’anno precedente, avveniva con la terza prova scritta, il quizzone.

Nonostante l’idea delle buste nascesse per dichiarazione dell’allora ministro Bussetti, «da un principio fondamentale di equità». «Negli anni scorsi succedeva che», spiegò, «anche nella stessa scuola, con commissioni diverse, c’erano delle valutazioni con differenze anche marcate». La nuova formula stabilita adesso da Azzolina prevede che «la commissione, per ogni giornata dedicata ai colloqui, provvede, prima dell’inizio degli stessi, ad assegnare a ciascun candidato il materiale per l’avvio del colloquio tra quanto approntato (…) nel corso della sessione dedicata» alla preparazione dell’orale. Che il suo sistema sia più equo, meno a rischio soffiate dei prof e crei meno ansia nei maturandi sarà verificabile solo al suo debutto con il prossimo esame di Stato.

L’esperienza delle passate maturità sembrerebbe, però, non dare garanzie. Il decreto Azzolina sulla maturità 2020, poi, conferma, per l’orale, sia la breve relazione o il lavoro multimediale sulle esperienze svolte nei percorsi di alternanza scuola-lavoro, i Pcto, sia la verifica delle competenze di Cittadinanza e Costituzione previste dalle attività indicate nel Documento del 15 maggio e, per gli scritti, la seconda prova mista sulle materie appena pubblicate dal Miur insieme alle discipline affidate ai commissari esterni.

Sul sito del Miur è possibile utilizzare un apposito motore di ricerca delle materie d’esame diviso per indirizzi, licei, istituti tecnici e istituti professionali (https://visualizzamaterieesame.static.istruzione.it/ricerca.html).

Professionali in lenta agonia. I licei restano la prima scelta

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Inarrestabile il tracollo degli istituti professionali, che perdono ancora iscritti, raccogliendo appena il 12,9% delle preferenze degli studenti che a settembre inizieranno le superiori. Un crollo di ben l’8,7% negli ultimi otto anni, costante e senza sosta. Nell’anno scolastico 2012/13, infatti, i professionali erano scelti dal 21,6% degli alunni, per scendere fino al 14% nel 2018/19. Una lenta agonia certificata dai primissimi dati elaborati dal Miur sulle iscrizioni al prossimo anno scolastico 2020/21, appena concluse (www.miur.gov.it).

Non sembra convincere studenti e famiglie neppure la riforma dell’istruzione professionale voluta dalla Buona Scuola. Né il fatto che siano il percorso di studi che garantisce maggiore occupazione dopo il diploma con ben il 60% che ha un posto di lavoro a due anni dal titolo di studio. La percentuale più alta di iscritti ai professionali si registra in Emilia-Romagna e Basilicata, rispettivamente al 15,5% e al 15% di iscritti, seguite da Toscana e Campania, a pari merito con il 14,5%. Quasi quanto Puglia (14,6%) e Veneto (14%). Quest’ultima, unica regione del Nord a superare la media nazionale.

Le altre regioni che raccolgono più iscritti a questi percorsi, infatti, sono Marche (13,8%) e Calabria (13%). Il Veneto si conferma, inoltre, la regione con il più alto tasso di interesse per gli istituti tecnici, scelti dal 38,7% degli studenti, seguita da Emilia-Romagna (37,2%) e Friuli-Venezia Giulia (37%). Nel complesso uno studente su 3 in Italia ha scelto un istituto tecnico, il 30,8%, rispetto al 31% del 2019/20: dato in linea con il trend degli anni scolastici precedenti.

Mentre prosegue la crescita dai licei che, dal 2014/15 vengono scelti da oltre uno alunno su 2, toccando il 56,3% di iscritti in prima superiore al prossimo anno scolastico. Stabile il dato del classico (6,7%). Continua a crescere l’interesse per gli indirizzi del liceo scientifico, dal 25,5 al 26,2%.

Diminuiscono le iscrizioni al linguistico: 8,8% rispetto al 9,3% del 2019/20. Aumentano quelle all’artistico, dal 4 al 4,4%, e al liceo delle scienze umane, dall’8,3 all’8,7%. Percorsi liceali che si confermano al primo posto nel Lazio con il 68,9% di domande di iscrizione, seguiti da Abruzzo (62%), Campania (61%), Umbria (60,4%), Molise e Sardegna (60%). Alla primaria cresce la domanda di tempo pieno. Vi ha optato quasi la metà delle famiglie, il 45,8%, rispetto al 44,4% di un anno fa. Con un +6,5% rispetto a 4 anni fa.

Nel 2016/17, infatti, il tempo pieno da 40 ore settimanali era scelto dal 39,3% delle famiglie. La regione con la più alta percentuale è il Lazio che con il 64,3%, supera di quasi il 20% la media nazionale. Seguono Piemonte (62,3%), Toscana (60,3%) e Liguria (60,1%).

La percentuale più bassa si registra al Sud, distanti fino a oltre il 30% dalla media nazionale. Con il Molise al 13,6%, Sicilia al 15,6%, Puglia al 21,1% e Campania 27,7%. Tutte regioni che tuttavia vedono aumentare la richiesta di tempo pieno rispetto a 8 anni fa. Con la Sicilia che fa un balzo avanti di ben 5,6%: era infatti il fanalino di coda con appena il 9,7% nel 2016/17.

Erasmus +, al via il bando 2020. Domande dal 5 febbraio al 10 ottobre 2020

da Orizzontescuola

di redazione

Dal 5 febbraio al via le candidature per Erasmus+ , rivolte a qualsiasi organismo, pubblico o privato, attivo nei settori dell’istruzione, della formazione, della gioventù e dello sport.

Inoltre, possono fare domanda anche gruppi di giovani non formalmente istituiti come organizzazioni giovanili. Insieme all’Invito, oggi la Commissione ha anche pubblicato la Guida al programma Erasmus+ in tutte le lingue ufficiali dell’UE. La Guida fornisce ai candidati dettagli su tutte le opportunità nell’istruzione superiore, istruzione e formazione professionale, istruzione scolastica e istruzione degli adulti, gioventù e sport.

Per presentare un progetto Erasmus+ i richiedenti devono seguire quattro fasi:

  • registrazione di ciascuna organizzazione coinvolta nella domanda;
  • verifica della conformità ai criteri del Programma per l’azione/l’ambito pertinente;
  • verifica delle condizioni finanziarie;
  • compilazione e invio del modulo di candidatura.Negli ultimi due anni hanno partecipato più di 15.000 scuole. Nel 2020, altre 9000 scuole avranno l’opportunità di partecipare.

Nell’istruzione e formazione professionale, gli investimenti si concentrano su ErasmusPro – opportunità per studenti e apprendisti di trascorrere tra tre mesi e un anno all’estero, sviluppando le loro competenze professionali e linguistiche.

Documenti

Invito a presentare proposte 2020

Guida al Programma Erasmus+

Comunicato stampa Commissione europea del 5/11/2019

Per approfondire

Brexit 2020

Infoday Erasmus+ in programma

Nuove modalità di registrazione

Assunzione lavoratori pulizie, le graduatorie. Reclamo entro cinque giorni

da Orizzontescuola

di redazione

Internalizzazione dei lavoratori delle pulizie: è Torino il primo Ufficio Scolastico a pubblicare le graduatorie provvisorie. Altri uffici hanno invece nominato da poco le relative commissioni.

PIEMONTE

Alessandria: presenti 34 candidati

Torino: presenti 429 candidati

Reclamo

Si tratta di una graduatoria provvisoria: i candidati potranno visionarla ed eventualmente presentare reclamo entro 5 giorni, qualora riscontrino errori nei punteggi attribuiti.

Esclusione dalla procedura

N.B. Gli aspiranti sono inclusi nella graduatoria provvisoria con riserva di accertamento del possesso dei requisiti di ammissione.

In caso di carenza degli stessi l’Ufficio dispone in qualsiasi momento, anche successivamente all’eventuale stipula del contratto individuale di lavoro, l’esclusione dalla procedura selettiva, con conseguente decadenza da ogni diritto conseguente alla partecipazione alla procedura;

è ugualmente disposta la decadenza dei candidati di cui risulti non veritiera una delle dichiarazioni previste nella domanda di partecipazione alla selezione o delle dichiarazioni rese ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000.

La Commissione si riserva di effettuare ulteriori controlli sui titoli culturali, sui titoli di servizio, sulle dichiarazioni rilasciate dall’aspirante e sui requisiti generali di accesso.

Privacy

Per effetto della Legge sulla privacy le graduatorie non contengono alcun dato personale e sensibile. Gli elenchi alfabetici comprensivi dei dati personali, delle preferenze, riserve e precedenze riconosciute consultabili presso l’ufficio Scolastico stesso, a disposizione dei diretti interessati per il controllo dei dati inseriti.

Graduatorie provinciali

Dalle graduatorie provinciali si individuano i lavoratori che hanno diritto al contratto full time.

Assunzioni lavoratori pulizie, 7.000 contratti full time. Graduatorie provinciali, supplenze brevi su posti eccedenti

Assunzioni come collaboratori scolastici

L’assunzione avverrà nel profilo dei collaboratori scolastici

Stipendio, mansioni e orario di lavoro previsti dal CCNL.

Coronavirus, Azzolina: nessuna emergenza per le scuole

da Orizzontescuola

di redazione

La diffusione del Coronavirus preoccupa i cittadini. La ministra dell’istruzione Lucia Azzolina al Sermig di Torino rassicura le scuole.

Non abbiamo un’emergenza per le scuole. C’è una circolare del ministero della Salute che ha spiegato tutti i casi punto per punto, io mi sento di tranquillizzare gli studenti e le famiglie: la scuola resta un luogo di inclusione per cui, se non ci sono situazioni come quelle che qualcuno ha descritto, a scuola si va” ha spiegato Azzolina.

Nei giorni scorsi è stata diffusa la circolare per le scuole. Coronavirus, Ministero dà indicazioni per studenti e docenti di ritorno o in partenza per la Cina

La sottosegretaria Anna Ascani su Facebook rassicura riguardo le condizioni di salute dello studente italiano per il quale si era pensato a un contagio dal virus: “Questa sì che è una buona notizia! Non è stato contagiato dal virus del coronavirus lo studente italiano, in Cina per il programma «Intercultura», che non è potuto partire da Wuhan con il volo speciale perché aveva la febbre. Dopo le analisi è stato escluso il contagio: si tratterebbe semplicemente di febbre da raffreddore. Tiriamo tutti un sospiro di sollievo. La Farnesina è già al lavoro per riportarlo a casa!”.

L’intervento del sottosegretario De Cristofaro

L’Italia sta reagendo prontamente ed efficacemente per prevenire possibili contagi da Corona virus e in particolare per il sistema scolastico si sono prese e si stanno prendendo tutte le misure per tutelare la salute delle nostre studentesse, dei nostri studenti e di tutto il personale. Siamo tutti consapevoli della delicatezza e gravità della situazione e il governo, a partire dal ministro Speranza, sta operando in maniera seria, attenta e tempestiva“. Lo afferma il sottosegretario all’istruzione Peppe De Cristofaro.

E’ però necessario ribadire in modo chiaro – prosegue il sottosegretario di Leu – che, al momento, in nessun modo l’Italia sta vivendo una condizione di emergenza ed è irresponsabile oggi alimentare e rafforzare, anche attraverso false notizie, il naturale senso di insicurezza e timore di tanti nostri concittadini.”

Sono avvilenti e raccapriccianti le parole e le prese di posizione di alcuni rappresentati politici – insiste De Cristofaro – che in questi giorni, invece di supportare l’impegno delle istituzioni per far fronte a un’emergenza mondiale, sfruttano meschinamente la situazione per diffondere messaggi pericolosamente venati di razzismo e alimentano ingiustificati sentimenti di paura e odio nella popolazione.

Queste parole indegne, anche per i pericoli a cui rischiano di esporre le tante donne e uomini cinesi e italiani di origine cinese presenti nel nostro Paese, sono il primo passo per riaprire pagine terribili della storia, di caccia alle streghe che hanno preceduto conflitti ed orrori”.

In questo momento, a maggior ragione da parte di rappresentanti del popolo e di esponenti delle istituzioni è necessario attendersi parole e comportamenti seri e quantomeno decenti – conclude il sottosegretario De Cristofaro – dal punto di vista etico. Anche pensando che le nostre giovani e i nostri giovani, bambine e bambini, ragazze e ragazzi ci guardano e ci ascoltano ed imparano da noi ad amare o odiare il mondo”.

Il bullismo? Imitazione degli adulti

da La Tecnica della Scuola

Il bullismo non nasce a scuola, ma è direttamente generato dagli adulti; appare allora urgente che l’intera società se ne occupi: in primis lo Stato investendo in operatori sociali che invece sono agli sgoccioli.

Domenico Barillà

A dirlo Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore di numerosi fortunati volumi, molti tradotti all’estero. 
Occorre infatti, secondo l’esperto,  ribaltare la prospettiva culturale con cui finora è stato trattato l’argomento, spostando lo sguardo dai ragazzi al mondo degli adulti che processano i “bulli” senza fare i conti con il sistema educativo e culturale da cui tali comportamenti violenti si generano.

“Siamo immersi in un brodo di bullismo. Perché una società violenta vuole processare i ragazzi? Prima converrebbe approfondire come stanno davvero le cose”.

Aggressività e famiglia

Rispondendo all’ANSA lo specialista, ha detto: “Il mondo è diventato bullo, la sopraffazione dilaga in primis fra gli adulti. L’aggressività si annida nelle famiglie, è sfruttata a tutti i livelli e anche da quei personaggi pubblici che al contrario dovrebbero agire per il bene comune, come i rappresentati del mondo della politica che urlano nei talk show, prevaricando gli altri mostrandosi vincenti. I comportamenti violenti sono sempre più frequenti, dentro e fuori le case, come si può pensare che i bambini non ne acquisiscano i comportamenti?”.

Anche il bullo è uno sconfitto


“Gli atti di prepotenza sono dannosi non solo per la vittima, lo sono anche per lo stesso bullo che in realtà nasconde grandi fragilità che derivano da carenze familiari, dal sentirsi incapace, un fallito. – spiega Barrilà. – “Il bullo però conosce la strada della sopraffazione e la mette in opera. “Piuttosto che cadere io faccio cadere gli altri” è il suo pensiero nei confronti del gruppo dei pari. E’ franato il ‘sentimento sociale’ che equivale ad avere un genuino interesse verso il prossimo. Il bullismo è un allarme sull’intera struttura sociale, anche in chiave evoluzionistica perché vengono meno la collaborazione e la solidarietà e non preoccuparsene provoca danni gravi a tutti”.

Allargare lo sguardo oltre il singolo caso


Il fulcro della questione non è perciò concentrasi sui singoli casi di bullismo ma allargare lo sguardo: i prevaricatori hanno perso il senso naturale ed ‘evoluzionistico’ della cooperazione umana, qualità che ha permesso alla nostra specie di evolversi e prevalere. Perso il ‘sentimento sociale’ di supporto e di generosità fra simili l’equilibrio si è spezzato. “Se non ne prendiamo atto di questo aspetto, della perdita del valore del sentimento sociale di supporto, sarà sempre peggio” precisa l’autore che boccia anche gli interventi coercitivi nei confronti dei ‘carnefici’ perché ripeteranno le violenze. “Ogni caso di sopraffazione cela una storia unica di sofferenza. Quel comportamento andrebbe prima compreso e poi educato. Il bullo è frutto di errori pedagogici reiterati, trattandolo in modo ‘poliziesco’ lo rovineremo”.

Le radici della prevaricazione


La prevaricazione ha anche una altra radice, relativamente nuova e profondamente legata alla società contemporanea orientata ad esaltare i vincenti e rinnegare i fallimenti. “Educare i propri figli a vincere non tollerando i loro insuccessi grava sulle loro spalle provocando distorsioni e grande senso di frustrazione, – sottolinea Barrilà. “Quante volte ci si sente dire di vivere ‘alla grande’, come un ‘top player’ distorcendo la realtà perché è veramente coraggioso chi acquisisce la capacità di tollerare l’insuccesso, che è parte integrante della nostra vita e molto più presente di quanto non lo sia il successo”.

Come affrontare e risolvere il problema


Come si affronta e risolve il problema? Risponde l’esperto: “Le iniziative di qualche professore o istituto scolastico volenterosi non bastano. E’ il ‘sentimento sociale’ che va ricostruito in primis dalle istituzioni. Il Ministero del welfare è ancora settato su una cinquantina di anni fa’ ma la società è profondamente cambiata. Abbiamo un numero di operatori sociali insufficienti, invece dovrebbero dare adeguato supporto alle famiglie sempre più franate ed in difficoltà. Affiancare le persone, non lasciarle sole, ed affiancare anche i professori con educatori formati ed in grado di avviare un processo di recupero dei soggetti fragili, bulli e vittime. Lo Stato è uno Stato se si prende cura della intera società”.

I contenziosi? Ecco i numeri della scuola

da La Tecnica della Scuola

Complessivamente sono 143 i procedimenti avviati da falsa attestazione della presenza in servizio accertata in flagranza, conclusi con 70 licenziamenti,  42 sospensioni dal servizio, 24 sospesi per procedimento penale, 4 ancora in corso e 3 archiviati. Da segnalare, infine, che su 1.782 fascicoli aperti, ben 1697 derivano da segnalazioni dei cittadini o istanze di cittadinanza.

Il report, diffuso dall’Ispettorato per la funzione pubblica del DFP, è stato ripreso dall’ A.N.D.

I contenziosi nella scuola

Per quanto riguarda la scuola, i procedimenti avviati sono 3.079 (73% conclusi, 20% in corso).  Gli oltre 2000 procedimenti conclusi hanno determinato il 48% sanzioni lievi, il 27% proscioglimento, il 20% sospensione dal servizio, il 5% licenziamento.

Alla luce del contenzioso che interessa la scuola -specifica l’And- è facile dedurre come negli ultimi vent’anni i procedimenti disciplinari siano cresciuti in modo abnorme in conseguenza dell’anomalia che interessa la scuola. Il procedimento disciplinare qui è stato privato di quelle garanzie giuridiche elementari, tra cui la terzietà dell’organo “giudicante”, rispetto a quello che sostiene l’accusa.

Il contenzioso educativo

Per cui, i procedimenti disciplinari, per l’esito già prefissato dallo stesso soggetto che accusa e giudica, hanno superato di gran lunga le forme di cortesia del saluto e del confronto che prima erano la cifra del contesto educativo che assicurava serenità e collaborazione nel mondo della scuola.

Carta docente 500 euro l’anno, se va nello stipendio si tramuta forse in 10 euro al mese: ecco perché

da La Tecnica della Scuola

Non si arrestano le voci che vorrebbero assorbire nello stipendio la Carta docente, il cosiddetto bonus per l’aggiornamento professionale, introdotta con la Legge 107 del 2015.

I prof prediligono i tablet?

Fonti, anche attendibili, vorrebbero che al Miur starebbero valutando se mettere mano ai 500 euro annui, anche alla luce di alcuni dati nazionali secondo i quali tre docenti di ruolo su quatto hanno dimostrato di usufruire di quei soldi per acquistare tablet, pc fissi o portatili, piuttosto che corsi di formazione (accreditati Miur) utili anche a completare le ore fissate dal proprio Collegio dei docenti proprio per quell’aggiornamento che con la Buona Scuola è diventato permanente e obbligatorio.

Tasse, aliquote e previdenza riducono il bonus

Non vogliamo entrare nel merito delle osservazioni. Quello che preme ricordare è che pensare di smantellare la carta docente per raggranellare un po’ di risorse da stanziare per il rinnovo contrattuale, comporta delle conseguenze forse sottovalutate.

La prima è la tassazione della quota, che mediamente supera il 40% della somma complessiva: qualora la somma confluisse nella basta paga, infatti, si applicherebbe la percentuale di tasse, rapportata al proprio scaglione fiscale, oltre che la serie classica di aliquote varie e di oneri previdenziali.

La “spalmatura” dei fondi

La seconda considerazione è che l’approdo del bonus nello stipendio potrebbe comportare un allargamento della platea di fruitori, oggi limitata ai docenti di ruolo: è plausibile, infatti, che i 370 milioni di euro annui possano essere divisi anche con i precari e il personale Ata, quindi con circa altri 400 mila altri lavoratori. Ai quali, è bene sottolinearlo, andrebbero assegnate somme aggiuntive ad hoc e non quelle già destinate ad altri colleghi.

Se, invece, si dovesse alla fine procedere alla “spalmatura” dei fondi nel cedolino dello stipendio su tutto il personale, considerando anche la tredicesima mensilità, si arriverebbe ad accreditare per ogni lavoratore della scuola una cifra non molto superiore ai 10 euro netti al mese.

Ma l’aggiornamento rimane

L’ultima osservazione riguarda il fatto che la possibile sparizione della carta annuale da 500 euro dell’aggiornamento, collocata ogni inizio d’anno scolastico nel “borsellino elettronico” personale, non comporterà di certo la fine dell’aggiornamento dei docenti.

La stessa ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, all’atto del suo insediamento a capo del dicastero bianco ha definito “prioritario” il tema della formazione dei docenti (da svolgere anche in corso di carriera), alla pari di quella dei dirigenti scolastici e del personale Ata: un punto ineludibile, del resto, si si punta a valorizzare il personale della scuola.

La domanda, quindi, da porre è la seguente: venendo meno i finanziamenti pubblici per aggiornarsi, chi pagherà i corsi di formazione dei docenti?

A questo punto, ognuno può fare le sue valutazioni.