La logica del terzo incluso

ISTRUZIONE IN PRESENZA, ISTRUZIONE A DISTANZA: LA LOGICA DEL TERZO INCLUSO

di Maria Grazia Carnazzola

1. Introduzione

Il dibattito sulla “ didattica in presenza o a distanza”- che si riproporrà a settembre e che spesso assume le caratteristiche del pour parler – e sulla riapertura, a settembre, della scuola per tutti in presenza con le dovute misure di sicurezza, rimbalza da un social all’altro in attesa di essere oggetto di comunicazione istituzionale, e si rincorrono espressioni-slogan come “didattica a distanza”, sicurezza, successo formativo… che sembrano diventare un abito di pensiero comune, mentre celano i veri problemi e le vere domande: come sarà possibile mantenere il ruolo formativo ed educativo della scuola in una situazione, come quella che stiamo attraversando? Davvero l’attività scolastica in presenza e a distanza possono produrre gli stessi esiti di istruzione, di formazione e di educazione? Se pensiamo alle circolari riferite alla valutazione degli apprendimenti del maggio scorso, parrebbe di sì. Ma purtroppo non è così. In continuazione viene ripetuto che l’uso delle tecnologie darà una nuova fisionomia alla scuola, sarà fonte di innovazione, ma innovazione non è sempre sinonimo di miglioramento. Senza dubbio l’uso diffuso delle tecnologie, se ben progettato, monitorato e valutato, potrà contribuire allo sviluppo della competenza digitale, una delle otto competenze chiave. Ma la tecnologia, a scuola, deve essere necessariamente accompagnata dall’educazione alla tecnologia e alla media education- intesa come una metadisciplina direbbe N. Postman- attraverso la quale ci si interroga sulle modalità con cui “i significati dell’informazione e dell’istruzione cambiano mentre le nuove tecnologie si introducono nella cultura”. La tecnologia crea nuovi mondi, nuove rappresentazioni, nuove modalità di pensiero che vanno coniugate con la cultura, se la scuola vuole continuare ad essere un luogo formativo per cittadini autonomi, critici e responsabili del loro modo di rapportarsi al mondo. La cultura, lo sappiamo, utilizza la lingua, la riflessione linguistica e metalinguistica per fondare gli ambiti del sapere: potrebbe essere questa l’occasione da cogliere per coltivare la dimensione della ricerca in ogni disciplina scolastica, dando così contenuto e respiro all’espressione “una scuola nuova e innovativa”. La lingua, scritta e orale, è lo strumento principe per la condivisione della conoscenza scientifica e contribuisce veramente a formare persone consapevoli dei propri modi di percepire e di rappresentare la realtà, significando le trasformazioni sociali, economiche, tecnologiche, scientifiche.

2. L’emergenza

Questo è un periodo di emergenza, si ripete, ed è vero.. Ma il termine “emergenza” può avere due significati: uno riferito alla situazione di “pericolosità” che stiamo vivendo, l’altro riferito a ciò che di nuovo può “emergere”. Ovviamente non si vuole minimizzare o sorvolare sulla serietà della situazione sanitaria, ma non confondere i piani della questione è senza dubbio un vantaggio.

In quasi tutti i documenti governativi il termine è utilizzato nella prima accezione, ma bisognerebbe passare alla seconda per non rimanere impastoiati nell’angoscia e nell’incertezza: prendere atto della situazione e da lì partire. Ad esempio, la pandemia da Coronavirus ha messo in evidenza tutte le questioni non risolte della scuola, ma potrebbe essere l’occasione che fa emergere una nuova idea di scuola che ponga al centro fisiologicamente l’apprendimento e i saperi, le discipline, la cultura alta. Gli aspetti organizzativi, gestionali, strumentali, logistici vengono dopo. Quelli fondamentali della sicurezza e della salute sono su un piano diverso, interrelato, ma sono altro. Ho scritto altrove che la scuola dovrebbe insegnare a ragionare in modo rigoroso, “scientifico” perché non si confondano le conseguenze con lo scopo. La crisi, ad esempio, non è il Covid-19, ma sono le risposte che abbiamo dato, non è la malattia, ma sono le decisioni assunte per fronteggiarla.

Un’idea di scuola forte dicevo. Che assolva il suo compito interamente: di istruzione, di formazione, di educazione, prendendo atto che da marzo alla conclusione delle “lezioni”, il solo aspetto considerato, quando è andata bene e in modo molto parziale, è stato quello dell’istruzione. Se non si prende atto di questo, si continuerà a vaneggiare di tecnologie miracolose, di corsi di formazione sul loro utilizzo (magari proposti da chi di scuola poco conosce), lasciando sullo sfondo la domanda cruciale che riguarda il come integrare le tecnologie “nuove” con quelle tradizionali, il come sfruttarle al meglio, tenendo ferma la finalità che non è il loro utilizzo ma l’apprendimento dei ragazzi. A insegnare si impara ed è giusto imparare ad utilizzare al meglio quanto la tecnologia mette a disposizione: questa è professionalità, intesa come competenza didattica ma anche come capacità di prevedere il complesso di condizioni che costituiscono il quadro di riferimento per regolare l’intervento didattico, modificando le variabili che possono essere modificate attraverso verifiche, analisi, decisioni. Questo, direbbe Bruner, permette di tradurre la disciplina oggetto culturale in disciplina da insegnare/ far apprendere, conciliando la didattica generale con le esigenze epistemologiche specifiche, collegando la dimensione logica del cosa insegnare, con quella didattica del come farlo in relazione al chi deve apprendere, che costituisce la dimensione psicologica del processo e rimanda al quando e al perché insegnare.

Insegnare è un compito, un fare intenzionalmente che si esplica nelle diverse funzioni dell’analizzare, del progettare, del proporre e riproporre, dell’interpretare, del verificare per valutare. Le tecnologie possono offrire risorse aggiuntive o essere di ostacolo; in ogni caso incidono sul modo di procedere. E’ necessario individuare i processi cognitivi e le operazioni mentali implicati per sfruttare al meglio ogni contesto interattivo, tenendo sempre presente che il fine della scuola è quello di mantenere alto il livello di coinvolgimento e di impegno per affrontare problemi complessi.

3. Imparare a vedere i problemi e a porsi domande: la prospettiva transdisciplinare e la logica del terzo incluso

Affrontare i problemi che il mondo della complessità comporta, con coraggio che poi si traduce in iniziativa e spirito critico, utilizzando le conoscenze sempre parziali che la cultura ci offre: in altre parole esercitare il diritto/dovere di cittadinanza. Il fine della scuola continua ad essere quello di insegnare ai ragazzi ad orientarsi nella complessità, a valutare e a scegliere da che parte stare, seguendo valori e principi che, pur non essendo i soli ad essere “giusti”, possono costituire un orientamento. Tutti i saperi cognitivi, metacognitivi, sociali, affettivi contribuiscono a costruire per ciascuno il senso dello stare in questo mondo. Ogni insegnamento dovrebbe adottare la realtà come oggetto di studio, da indagare con razionalità e correttezza scientifica, e come spazio di applicazione e di verifica di quanto appreso. La formazione richiede cornici di senso per comprendere i cambiamenti in atto, necessari e inevitabili in ogni epoca, e poter individuare le prospettive da perseguire. Non servono lezioni di morale, serve educare all’etica della comunità per una libertà consapevole “con” e non “contro”, conciliando il pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. La incontrollabilità degli eventi planetari e le dinamiche economiche, sociali e culturali che ne derivano, fanno emergere la necessità di affrontare le questioni in modo multidisciplinare e interdisciplinare. Oggi si è tornati a parlare anche di transdisciplinarità, riprendendo per certi versi la prospettiva piagetiana, ma discutendone come se si trattasse di un’altra metodologia didattica.

La prospettiva transdisciplinare è altro, viene prima: è la posizione, l’abito dell’osservatore che influenza il “come” si individua e si formalizza un problema che a sua volta genera la domanda e indirizza i percorsi di ricerca: gli oggetti, i modi, i tempi, gli strumenti, i risultati attesi, la valutazione degli esiti, la retroazione. E’ un modo di concepire, di pensare, di rappresentare e poi di spiegare. Rimanda ai processi cognitivi, prima, e alle costruzioni culturali poi, prendendo in considerazione tutte le dimensioni dell’essere “umano” e, quindi, attraversando tutte le discipline.

Riconduce da un lato all’apprendimento, al conoscere – Piaget, assimilazione e accomodamento- e dall’altro alla conoscenza e all’insegnamento- E.Morin, J.Bruner, N.Postman, C.Sini, A.Calvani-, accogliendo l’esistenza di diversi livelli di percezione e di rappresentazione della realtà e della loro necessaria correlazione in quella unione tra le due culture, umanistica e scientifica, che C. P. Snow e E. Morin hanno auspicato, e ponendo in evidenza quella che Piaget ha definito “ la genesi temporale delle norme”. La conoscenza non può prescindere da quello che le diverse scienze ci dicono rispetto alla conoscenza stessa, ma al contempo, le norme, i criteri, i metodi e gli strumenti delle conoscenze scientifiche non possono essere definiti atemporalmente. G. Bachelard sosteneva che “Insegnando e spiegando una rivoluzione scientifica, insegniamo una rivoluzione della ragione”. Se, come sostiene Piaget, la conoscenza è strutturalmente legata all’azione che mette in relazione il soggetto con l’oggetto della conoscenza, va da sé che la contrapposizione istruzione in presenza/a distanza è fittizia perché tralascia appunto lo strumento/oggetto della presenza/distanza, strumento che risponde alla logica del terzo incluso. La domanda, allora, deve essere posta nei termini che seguono: l’istruzione in presenza e quella a distanza, in quali condizioni possono ottenere risultati equivalenti? Mettere a fuoco l’incidenza che i diversi strumenti e le diverse metodologie didattiche hanno sull’attenzione, la percezione, la memoria, il linguaggio, sul grado di astrazione che permettono o che richiedono, sulla ricaduta che hanno sulla strutturazione del pensiero critico

Contrapposizione inesistente per la finalità della scuola, ma necessario campo di ricerca per i docenti e ineludibile oggetto di percorsi di formazione/aggiornamento.

BIBLIOGRAFIA

N. Postman, La fine dell’educazione, Ed.Armando, Roma1997, p.9
N. Postman, Technopoly, Bollati Boringhieri, Torino 1993
J. Piaget, L’Epistemologia genetica, Presses Universitaires de France
C. Sini, Il pensiero delle pratiche, Jaca Book SpA, Milano 2014
E. Morin, Science et conscience de la complexité, Librairie de l’Université, Aix-en-Provence 1974
A. Calvani (a cura di), Tecnologia e scuola, Franco Angeli, Milano 2007
B. Nicolescu, Il manifesto della transdisciplinarità, Armando Siciliano Editore, Civitanova Marche, 2014

Netta presa di distanza dal piano del Governo

Uil: netta presa di distanza dal piano del Governo

Turi: un piano che apre alla privatizzazione del sistema nazionale dell’istruzione.
Si scarica sui dirigenti e sulla comunità educante, quella vera, la responsabilità di organizzare la riapertura.

E’ una netta presa di distanza, culturale e politica, quella annunciata oggi pomeriggio dalla Uil Scuola rispetto alle politiche che sottendono il piano per la ripartenza presentato dal ministero.

Il piano si basa su principi di sussidiarietà verticale e orizzontale che indeboliscono la funzione affidata alle scuole statali del paese – ha detto Pino Turi nel suo intervento nel corso della video riunione.

Lo dicessero chiaramente: con questo patto si vuole aprire alla privatizzazione della scuola italiana.

L’idea che, alla cura dei bisogni collettivi e delle attività di interesse generale provvedono direttamente i privati cittadini, attraverso non meglio individuati “patti educativi di comunità” è cosa profondamente diversa dal sistema nazionale di istruzione statale.

Chi, e con quali finalità, dovrebbe stipulare questi patti?  Chi sono i portatori di interessi anche diversificati rispetto a quelli della comunità scolastica propriamente definita?
Chi potrà avere accesso a questi patti? Si parla di personale educativo responsabile di attività integrative o alternative alla didattica, con compiti anche di vigilanza.

Un modo per scaricare sui dirigenti e sulla comunità educante – quella vera, ribadisce Turi – la responsabilità di organizzare la riapertura.

La scelta politica è quella di non investire sulla scuola, che dovrà cavarsela con ciò che ha e su ciò che riesce a recuperare dal volontariato e dagli Enti locali che diventeranno i gestori, di fatto, della scuola.
Mancanza di investimenti e sovrapposizione istituzionale delle competenze genereranno confusione e scarica barile delle responsabilità.

Tutti chiedono la riapertura in presenza. E’ questo l’obiettivo – osserva Turi.
Il piano si basa su una scommessa: che il virus scompaia da solo. Il piano B è la didattica a distanza.
La scuola non potrà ripartire se non ci saranno investimenti finanziari finalizzati a modificare il numero di alunni per classe, all’istituzione di presidi medici per affrontare e gestire eventuali episodi epidemici, ad garantire il numero dei docente e dei collaboratori scolastici che hanno la responsabilità professionale, molto più dei volenterosi di turno, di questa nuova fase.


Cinque motivi per cui questo piano non ci riporterà a scuola a settembre

…e se riuscirà ad essere attuato porterà alla mutazione genetica della scuola costituzionale italiana

  1. AUTONOMIA SCOLASTICA: fate un po’ come vi pare
    Il richiamo letterale all’autonomia delle scuole non può nascondere la mancanza di scelte ed indicazioni da parte del decisore politico. Il Ministero sembra deresponsabilizzarsi, inviando alle scuole – a partire dai dirigenti scolastici – l’obbligo e la responsabilità, anche legale, di individuare strade e soluzioni senza gli opportuni investimenti.
  2. CURRICOLI DI STUDIO: si studia meno, si studia peggio
    Le norme generali sull’istruzione, cosi come i livelli minimi delle prestazioni da offrire a tutti i cittadini, impongono dei limiti alle scelte che possono effettuare i soggetti che vivono e governano il territorio. L’autonomia delle scuole, anche nel rispetto del valore legale di titoli di studio (ad esempio), non può curvare i propri curricoli di studio in misura superiore al 20-25%.
  3. DISABILITA’ E SOSTEGNO: un salto indietro agli anni ’70.
    Appare non corretto parlare di ‘disabilità’: una sorta di passo indietro su ambiti pedagogici che vedono l’Italia nelle primissime posizioni europee e mondiali. I percorsi didattici mirati alla inclusione non possono non tener conto che ogni persona ha proprie abilità diverse.
    Si deve parlare di diversa abilità, non solo per scrupolo lessicale ma perché non tornino in auge didattiche differenziate – “gruppi speciali di livello”. La Scuola italiana ha scelto la strada dell’inclusione, abbandonato strade improntate all’iniquità, fin dagli anni ’70.
  4. FORMAZIONE: tutta competenze senza esperienza professionale
    Le righe sulla formazione sono tutte indirizzate all’utilizzo spinto di dispositivi e procedure.
    In merito all’uso degli strumenti digitali, la tecnica per diventare tecnologia, ha bisogno di un uso consapevole di strumenti e sussidi.
    La formazione, allora, deve avere come base gli studi universitari sulla ‘media education’.
    Una pluralità di strumenti dovrà essere posta al centro dei percorsi formativi: non solo nuove tecnologie, ma anche nuovi e diversi contesti didattici, programmazione di setting educativi diversificati, modelli di didattica interdisciplinare verso la trans-disciplinarità.
  5. DIGITAL DIVIDE: gli ultimi non saranno i primi
    Sui capaci e meritevoli, e sul rischio del ‘digital divide’, la richiesta chiara viene dal compito che la Carta Costituzionale affida alla scuola: capacità di progettare e porre in essere azioni compensatrici delle ineguaglianze.

Piano scuola 2020-2021

La Ministra Azzolina presenta il Piano scuola 2020-2021: le critiche dell’ANP

L’ANP ha partecipato oggi all’incontro in videoconferenza di presentazione del Piano scuola 2020-2021 per l’avvio del prossimo anno scolastico.

La Ministra dell’istruzione ha illustrato il Piano, chiarendo che lo stesso è stato elaborato sulla base dell’interlocuzione con gli enti locali – interlocuzione che, tra l’altro, ha condotto all’elaborazione di uno strumento informatico idoneo a rilevare le criticità in materia di distanziamento sociale – e delle proposte formulate dalle forze sociali e dalle associazioni. Ha, inoltre, ringraziato i dirigenti per l’enorme lavoro svolto finora e ha assicurato che non intende in alcun modo gravarli di ulteriori responsabilità.

Abbiamo sottolineato, in premessa, che il testo del Piano ha cominciato a circolare sui social già da ieri pomeriggio. Tale prassi è inaccettabile: convocare un incontro per discutere di un testo già reso pubblico significa disconoscere il ruolo delle forze sociali nel perseguimento dell’interesse pubblico e, in ultima analisi, sminuire i contributi di idee che queste possono apportare.

Dopo avere ribadito con fermezza che l’ANP, da sempre, crede nell’autonomia scolastica e nel ruolo centrale della dirigenza scolastica, abbiamo evidenziato che il Piano è deludente rispetto alla sua dichiarata finalità: fornire alle scuole indicazioni organizzative per la ripresa, a settembre, della didattica in presenza.

Il documento, infatti, è una sorta di rassegna delle possibilità offerte dalle norme autonomistiche – ben note a tutti i colleghi – ma non è utile per pianificare l’attività. È responsabilità politica dell’Amministrazione centrale, non certo delle singole scuole, definire con chiarezza i livelli essenziali del servizio da erogare – come, ad esempio, la durata minima dell’unità di lezione, o il numero minimo di ore di lezione settimanali – e fornire gli strumenti gestionali necessari.

Sul distanziamento sociale e sulle misure per farlo rispettare ci siamo già espressi nel recente passato. Per estendere il tempo scuola o per ampliare gli spazi della didattica si deve poter contare su organici di personale, docente e non docente, proporzionalmente incrementati. Fare riferimento ai patti educativi di comunità non equivale certo a garantire le necessarie risorse umane. In realtà, gli organici sono stati attribuiti alle scuole tamquam pandemia non esset e questo rende velleitario ogni tentativo di attuare il distanziamento sociale. Le scuole, d’altro canto, non possono essere investite del compito di individuare spazi alternativi e aggiuntivi rispetto a quelli degli edifici scolastici; compito che spetta ad altri soggetti dotati delle necessarie competenze, professionali e tecniche. Non riteniamo utile fare riferimento a teatri, cinema, parchi e giardini pubblici come se fossero spazi sostitutivi di quelli scolastici: a scuola si fa didattica e si apprende; insegnare e apprendere sono azioni specifiche e necessitano di spazi specifici, non di soluzioni occasionali.

Stupisce, in tale contesto, leggere che gli stessi spazi scolastici che dovrebbero essere ampliati per fare fronte alle necessità istituzionali possono poi essere utilizzati da soggetti concessionari purché questi sottoscrivano, con l’ente locale, un accordo per regolare, senza oneri per il personale della scuola, gli obblighi di pulizia e igienizzazione dei locali al termine delle attività, e che da tale accordo sia estromessa la scuola.

Sugli orari differenziati di ingresso e di uscita dagli edifici scolastici e sul necessario coordinamento con i trasporti pubblici riteniamo macchinosa la catena decisionale proposta: tavoli regionali, tavoli territoriali e conferenze di servizio convocate dagli enti locali.

Se il decisore politico vuole veramente valorizzare l’autonomia scolastica, questo è il momento di agire. Riteniamo improcrastinabili i seguenti interventi di sistema: eliminare i freni che sono stati imposti alle scuole autonome sin dalla loro istituzione; mettere mano finalmente, e con coraggio, al testo unico eliminando le sovrapposizioni tra organi, retaggio di una concezione della scuola anacronistica e ormai inadeguata a rispondere alle attuali esigenze degli studenti e delle famiglie; garantire ai dirigenti della scuola gli strumenti necessari a rendere effettivo il loro ruolo e sostenibili le connesse responsabilità; reperire e investire le risorse per un nuovo contratto del personale scolastico che cancelli finalmente l’inaccettabile realtà per cui si retribuisce poco e in egual misura tutti, indipendentemente dall’effettivo impegno e da una valutazione attendibile del servizio prestato.

L’ANP, pertanto, chiede con fermezza di integrare tempestivamente il Piano con le indicazioni che solo l’Amministrazione centrale può – e deve – fornire, prima che si proceda a formulare il protocollo di sicurezza relativo alla ripartenza di settembre.

I dirigenti scolastici sono pronti, come sempre, a fornire il loro contributo – e la pronta attivazione della didattica a distanza ne è un evidente esempio – ma non devono essere investiti di responsabilità improprie.

Scuola: ripartire in sicurezza investendo in Istruzione

Scuola: ripartire in sicurezza investendo in Istruzione
Roma, 24 giugno- “Nell’incontro di oggi con la Ministra Azzolina abbiamo posto una esigenza fondamentale: un piano pluriennale di investimenti che, partendo dall’oggi, cioè dalla necessità di riaprire le scuole in sicurezza e in presenza, guardi al futuro del Paese intero “. A dirlo, a margine del confronto col MI sull’avvio dell’anno scolastico 2020/21 , è Francesco Sinopoli, segretario generale FLC CGIL.

“La grande preoccupazione – ha aggiunto Sinopoli – è che avendo predisposto le Linee guida senza un giusto investimento di risorse, si stia scaricando una grossa responsabilità sulle autonomie scolastiche col risultato di un quadro dell’istruzione legato alle differenze territoriali. Il rischio è che dalla Linea Gotica in giù avremo sempre una maggiore difficoltà ad avvicinarci alle prescrizioni delle Linee guida, approfondendo le disuguaglianze già presenti nel Paese invece che apparire.”

La scuola ha bisogno dell’estensione del tempo pieno, di eliminare le classi pollaio, di estendere l’obbligo scolastico riconoscendo il diritto di tutte le bambine e i bambini a una scuola dell’infanzia pubblica, laica, gratuita. La scuola ha bisogno di un’edilizia rinnovata e di liberarsi dagli adempimenti che non riguardano direttamente la didattica e la riducono a centro amministrativo. Ha bisogno di stipendi di livello europeo ma, soprattutto, di avere tutto il personale al proprio posto dal 1° settembre.

La ripartenza di settembre non può che essere la premessa di tutti questi obiettivi, con risorse e spazi adeguati reperiti dallo Stato e dagli Enti Locali.

“Siamo impegnati perché la scuola riapra a settembre in presenza, ma non intendiamo assecondare strade che non prevedano stanziamenti aggiuntivi. Più scuola, più personale, più investimenti. Questo è quello che chiediamo oggi. E’ il momento di fare una battaglia – conclude Sinopoli – che non è una battaglia contro qualcuno, ma è una battaglia per la scuola dello Stato rinnovata e più forte di prima della pandemia”.


FLC CGIL, domani in piazza con “Priorità alla scuola”: risorse per l’istruzione, riapertura in presenza e in sicurezza per tutte e tutti
Roma, 24 giugno – Settembre è alle porte, ma ancora nulla si è detto sulle problematiche del rientro in sicurezza per alunni e lavoratori della scuola nonché sulle questioni relative alle condizioni di gestione organizzativa e didattica in termini di tempi, orari, organici, spazi e risorse necessari all’avvio dell’anno scolastico. Anzi, tutto quello che trapela è in qualche modo preoccupante. E la FLC CGIL le sue preoccupazioni le aveva già espresse proclamando, insieme alle altre organizzazioni sindacali, lo sciopero dell’8 giugno e  annunciando la propria adesione alla mobilitazione indetta dal Comitato “Priorità alla scuola” che vedrà, domani 25 giugno, lavoratori, studenti, cittadini occupare le piazze di oltre 60 città, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, per chiedere che la ripartenza del sistema pubblico di istruzione sia al centro degli investimenti e delle scelte politiche del governo.

Una necessità ancora più urgente alla luce delle Linee guida per la ripartenza presentate in queste ore dal Ministero dell’Istruzione; un testo che non prevede alcuna risorsa aggiuntiva e che non si fa carico della progettualità politica della ripartenza, decentrando l’affidamento delle responsabilità, ipotizzando la privatizzazione e esternalizzazione di parte dell’orario scolastico, riproponendo la generalizzazione della didattica a distanza. La FLC sosterrà l’iniziativa di “Priorità alla scuola” con la presenza in tutte le piazze d’Italia e sollecita iscritti e simpatizzanti a partecipare per dare il proprio contributo alla riuscita delle manifestazioni.

LINEE GUIDA

LINEE GUIDA, DI MEGLIO: SOLITA  REPUBBLICA DELLE CHIACCHIERE

Inadeguate e pericolose, specchio della solita repubblica delle chiacchiere e delle scartoffie inutili. Così Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, bolla le linee guida sulla ripresa della scuola in presenza a settembre, la cui bozza è stata resa nota ieri e che oggi pomeriggio verrà illustrata ai sindacati dalla ministra Azzolina nel corso di un incontro.

“Il piano elaborato da viale Trastevere – afferma il leader della Gilda – risulta del tutto inadeguato a garantire che il rientro in aula tra due mesi avvenga in sicurezza. Tutte le elucubrazioni sui possibili accorpamenti delle discipline e delle classi e sulla riduzione dell’orario di lezione, come ci insegna la proprietà invariantiva, non cambiano il risultato finale, cioè non evitano l’impoverimento dell’offerta formativa, impedendo, di conseguenza, agli studenti di godere pienamente del diritto all’istruzione. Inoltre, continuando a delegare alle singole scuole le decisioni circa le strategie da adottare, – sottolinea il coordinatore nazionale – si mina gravemente l’unitarietà degli ordinamenti e del sistema scolastico garantita dalla Costituzione e il valore legale del titolo di studio. A tal proposito, sarebbe opportuno smetterla di invocare l’autonomia scolastica per giustificare lo scaricabarile costante che il ministero dell’Istruzione opera ai danni delle istituzioni scolastiche e di cui queste linee guida sono l’ennesima prova”.

Discorso analogo per la tanto decantata innovazione didattica, “che non è funzionale alla didattica, ma semplicemente sopperisce alla mancanza di un quadro generale di riferimento nel quale tutti gli operatori della comunità scolastica possano agire”.

Per Di Meglio, all’inadeguatezza del piano scuola, che si potrebbe superare soltanto individuando e assegnando altri spazi alle attività didattiche e assumendo più insegnanti, si associa un aspetto di pericolosità laddove si parla di aperture ai privati e agli enti del terzo settore ai quali, in ossequio a un principio di sussidiarietà sbandierato a uso e consumo di un’Amministrazione incapace di assolvere ai propri compiti, verrebbero affidate attività integrative alla didattica.

“Queste linee guida dimostrano che tavoli, task-force e comitati vari, ai quali partecipa un’infinità di persone, sono scarsamente utili”, conclude Di Meglio.       

LINEE GUIDA SETTEMBRE STRUMENTO EFFICACE

SCUOLA, VACCA (M5S): LINEE GUIDA SETTEMBRE STRUMENTO EFFICACE. NO A POLEMICHE: LAVORIAMO UNITI

Roma, 24 giugno – “Le linee guida del ministero dell’Istruzione per la ripresa delle attività didattiche in presenza a settembre, le cui bozze sono state riportate dai media, forniscono un ampio ed efficace ventaglio di possibilità operative ai dirigenti scolastici in primis, e insieme al miliardo di euro che il decreto Rilancio stanzia proprio per il rientro in classe e che intendiamo incrementare, consentiranno di individuare le modalità più adeguate per riorganizzare spazi e attività in base alle caratteristiche di ciascuna scuola. Non si comprende dunque la nota polemica che arriva dall’Associazione nazionale presidi rispetto alle risorse e mancata attribuzione di “libertà gestionale”, mentre sono loro stessi a far riferimento alla legge sull’autonomia. Da parte della maggioranza e del Governo c’è la massima disponibilità a mettere a disposizione ulteriori risorse in base al fabbisogno che emergerà dai territori e dai dirigenti scolastici in primis. Il Governo e il ministero dell’Istruzione supporteranno il lavoro dei dirigenti e delle scuole, come ha sempre fatto nella fase di emergenza la ministra Azzolina. Non è il momento delle polemiche: dobbiamo lavorare tutti insieme per gestire al meglio questa fase di riorganizzazione, in modo da ripartire in sicurezza a settembre e cogliere l’opportunità di trasformare una criticità in occasione di innovazione della didattica e garanzia effettiva del diritto all’istruzione a tutti gli studenti e le studentesse”. Lo afferma Gianluca Vacca, capogruppo del MoVimento 5 Stelle in commissione Cultura alla Camera.

Ecco il Piano Scuola, così si tornerà in classe a settembre

da la Repubblica

Frequenza scolastica in turni differenziati, organizzazione della classe in più gruppi di studio, formati anche da alunni di diverse classi ed età. Scuola anche al sabato, dove non già prevista, su delibera degli organi collegiali.

L’attività didattica a distanza resterà, ma solo in misura marginale e solo per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, dove “le opportunità tecnologiche, l’età e le competenze degli studenti lo consentono”. E le mense sono confermate, anche se bisogna capire ancora come organizzarle.

Sono queste alcune delle indicazioni contenute in una bozza del Piano scuola 2020-2021, che indica le linee guida per la ripresa dell’attività scolastica a settembre. Nel testo che la ministra Azzolina ha inviato alle parti sociali, non si parla di mascherine obbligatorie, di strutture in plexiglass e divisori tra alunni. C’è solo un rinvio alle disposizioni di maggio del comitato tecnico che parlavano di un metro di distanza tra le persone e di uso obbligatorio di mascherine dai 6 anni in su. Ma entro giovedi si attendono novità  Le Regioni avevano chiesto di mantenere l’obbligo soltanto negli spazi comuni e non al banco.

Il piano

Sarà dunque una ripresa delle lezioni all’insegna della diversità e della libera scelta, con una grande autonomia da parte dei presidi che decideranno il come pianificare il lavoro e cercare di garantire il ritorno allo studio. Sarà possibile in classe, on line e anche in spazi fuori dalle  scuole. Ci saranno i turni per fare lezione tra i banchi, alcune classi saranno divise in gruppi per materie o ci saranno aggregazioni di studenti di diverse età.

Materne

Niente mascherina per i bambini delle scuole per l’infanzia e per non spaventarli gli educatori non potranno usare protezioni che nascondano il volto, quindi sì alle visiere di plexiglas e agli ingressi scaglionati tra le 7.30 e le 9 anche se non potranno portarsi giocattoli da casa e dovranno mangiare negli stessi locali.

Non solo in classe

Gli enti locali, le associazioni di volontariato che già lavorano con gli studenti potranno, spiega il testo, mettere a disposizione spazi per la scuola e seguire i ragazzi.

Insegnanti e bidelli

Il testo non prevede, almeno in modo esplicito, un aumento del personale docente, pur prevedendo dimezzamenti di classi e quindi una maggior necessità di professori. si parla solo di un miliardo di euro da destinare al personale, sembra però soprattutto bidelli.

Educazione civica

Il Ministero dell’Istruzione ha inviato anche  tutte le scuole le Linee guida per l’insegnamento dell’Educazione civica. A partire dal prossimo anno scolastico, il 2020/2021, questo insegnamento, trasversale alle altre materie, sarà infatti obbligatorio in tutti i gradi dell’istruzione, a partire dalle scuole dell’infanzia.

Le Linee guida rappresentano un documento agile e di facile consultazione, attraverso il quale i dirigenti scolastici e gli insegnanti potranno dare seguito alle regole che entreranno in vigore a settembre.

Secondo quanto previsto dalla legge 92 del 2019, infatti, l’insegnamento di Educazione civica avrà, dal prossimo anno scolastico, un proprio voto, con almeno 33 ore all’anno dedicate. Tre gli assi attorno a cui ruoterà l’Educazione civica: lo studio della Costituzione, lo sviluppo sostenibile, la cittadinanza digitale.

In classe il 14 settembre, ma i dirigenti scolastici avvertono: nel 40% delle aule sarà impossibile rispettare la distanza

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Le lezioni a scuola riprenderanno il 14 settembre, mentre giovedì prossimo arriveranno le linee guida per la riapertura dell’anno scolastico: ministero e Regioni, dopo un lavoro tecnico che va avanti da giorni, hanno messo a punto le Linee guida per il rientro a settembre che dovranno ora passare al vaglio del Comitato tecnico scientifico, poi all’esame, giovedì prossimo, della Conferenza delle Regioni e quindi ottenere l’intesa definitiva in Conferenza Stato-Regioni, nella stessa giornata di giovedì.

Ma intanto arriva l’allarme dei presidi: in almeno il 40% delle aule scolastiche è praticamente impossibile mantenere un distanziamento di un metro tra i banchi. «Cosa facciamo in questi casi? Questa è la domanda principale a cui dovrebbero rispondere le linee guida», dice Antonello Giannelli, che guida l’associazione nazionale presidi.

Quanto alla data di ripresa delle lezioni, il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ha proposto il 14 settembre ed è una data che soddisfa la gran parte dei governatori, anche se qualcuno rimane perplesso. «Le Regioni – spiega Cristina Grieco, che coordina gli assessori regionali all’Istruzione – chiederanno di avere meno disagi possibili nelle scuole, laddove ci saranno elezioni. Sarebbe importante trovare altre sedi per i seggi elettorali, anche per il futuro». Una proposta, questa, che ha visto la condivisione di numerosi esponenti politici a partire dal segretario del Pd Nicola Zingaretti e dalla viceministra dell’Istruzione Anna Ascani.

Per quanto riguarda invece le linee guida per la ripartenza a settembre – il ministero ne discuterà con i sindacati in una riunione che è stata convocata per domani, mercoledì 24 giugno – le ipotesi vanno nella direzione di banchi distanziati di almeno un metro – ma le Regioni propongono una superficie pari a 1,8 metri quadri ad alunno, per evitare criteri soggettivi che rischiano poi di creare problemi ai dirigenti scolastici -, entrate e uscite scaglionate, classi divise in gruppi e l’utilizzo di palestre e aule di laboratorio. C’è anche l’idea secondo la quale, prima di tornare a scuola a settembre, tutto il personale scolastico – docenti, Ata e dirigenti – dovranno sottoporsi ad uno screening sanitario per verificare lo stato della salute.

«Attendiamo di conoscere le linee guida per definire finalmente i contenuti del protocollo sulle misure di sicurezza – afferma Maddalena Gissi, che guida la Cisl Scuola – verificheremo nei prossimi giorni quali sono le modifiche apportate dal Comitato tecnico scientifico; le misure per il distanziamento sono importanti come le regole anticontagio. Gli scienziati devono garantire il benessere nelle scuole e non dovrebbero essere influenzati dall’esiguità delle risorse messe a disposizione per realizzare classi meno affollate».

L’altro tema che continua a porsi è quello del personale. «Il prossimo primo settembre la scuola avrà bisogno di circa 200.000 supplenti, sia per posti comuni che per sostegno. Ci saranno 38.000 cattedre rimaste vacanti e 39.000 saranno i pensionamenti. I docenti di ruolo servono subito, a settembre, e non tra due o più anni», mette in guardia Pino Turi, segretario della Uil Scuola.

Didattica a distanza: pur promossi è un anno perso?

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Più che didattica on line quasi una corsa ad ostacoli fra digital divide, aumento della dispersione scolastica e differenze socio-economiche e delle famiglie. Il nuovo numero della rivista “Italiano a scuola” con un editoriale a firma dei due direttori, Roberta Cella e Matteo Viale, docenti rispettivamente all’Università di Pisa e di Bologna, traccia un primo quadro delle pesanti ricadute dell’emergenza Covid-19 sul sistema educativo italiano.

«Dopo il decreto #IoRestoaCasa del 9 marzo scorso – spiega Roberta Cella – nel giro di pochissimi giorni l’intero sistema formativo italiano si è trovato, in assenza di alcuna direttiva ministeriale e in allegro ordine sparso, nella necessità di surrogare la didattica in presenza con qualsiasi mezzo».

Se gli atenei hanno sostanzialmente retto alla prova, la situazione è stata più critica nelle scuole secondarie e primarie e a macchia di leopardo in alcune zone del Paese più che in altre.

«La didattica on line sincrona o asincrona – spiega la professoressa Cella, che da anni si occupa della didattica dell’Italiano ad ogni livello d’istruzione – può andare bene per gli adulti, mentre i bambini delle elementari ma anche delle medie sono invece troppo piccoli per essere autonomi e quindi hanno comunque bisogno di un adulto da casa che li aiuti: il rischio in questi casi è un approfondirsi delle differenze che già esistono (e che la scuola ha il compito di rimuovere) e un aumento della dispersione scolastica, con il paradosso che sebbene tutti alla fine siano promossi poi è come se avessero comunque perso un anno di scuola».

Secondo i due autori, la quasi totale mancanza di dati, sia a livello del Miur che di uffici scolastici, rende al momento difficile una valutazione globale della situazione: per un quadro più completo l’appuntamento è quindi con il prossimo numero della rivista in uscita nel marzo 2021 che sarà interamente dedicato al tema. Intanto, tra i pochi dati disponibili, come sottolineano Cella e Viale, ci sono quelli forniti dall’Istat sugli spazi in casa e la disponibilità di computer per bambini e ragazzi rilevati nel 2018-2019. Ne risulta che il 12,3% dei ragazzi tra i sei e i diciassette anni (percentuale che sfiora il 20% nel Mezzogiorno) non dispone in casa di un computer o di un tablet. A questo va aggiunto che il 41,9% dei minori vive in condizioni di sovraffollamento abitativo, e dunque ha difficoltà a ricavarsi gli spazi adatti allo studio.

«Una buona percentuale di ragazzi e adolescenti – conclude Roberta Cella – è quindi tagliata fuori a priori dalla didattica a distanza, né la mancanza di strumentazione puo, a tale scopo, essere colmata dalla diffusione capillare dei telefoni cellulari con funzioni smart».

Scuola, idea governo-Cts: «Test sierologici ai docenti e al personale»

da Corriere della sera

Valentina Santarpia

Test sierologici, da parte dello Stato, a tutto il personale docente e amministrativo delle scuole italiane alla ripresa prevista il 14 settembre. Ne avrebbero discusso oggi – apprende l’AGI -, nella sede della Protezione civile, il Comitato tecnico scientifico e il premier Giuseppe Conte. Una proposta che, spiega una fonte del Cts, sarebbe stata considerata favorevolmente dal presidente del Consiglio che – spiegano le stesse fonti – avrebbe spiegato di voler valutare l’idea. Nei prossimi giorni ci sarà un chiarimento sulle linee guida riguardo l’apertura delle scuole. Da qui la riflessione in corso, secondo quanto si apprende, sulla necessità di rendere sicuro il ritorno in classe degli studenti. Applicando di fatto a livello nazionale la campagna della Regione Lazio «Scuola sicura» che con il governatore Zingaretti ha annunciato la proposta che prevede l’indagine sierologica sugli insegnanti e sul personale tecnico-amministrativo «per garantire tranquillità alle famiglie e permettere un avvio sereno del nuovo anno scolastico». Test che a livello nazionale potrebbero essere estesi anche ad altri comparti, come le Forze dell’Ordine e le Forze Armate. Ovvero a quella parte delle istituzioni dello Stato più esposte nelle strutture pubbliche.Il presidente del Consiglio, dopo aver ringraziato i medici e gli infermieri per il lavoro svolto, ha ribadito anche oggi la necessità di rispettare ogni forma di precauzione per evitare che possano esserci nuovi focolai. «Questa mattina sono stato alla Protezione civile. In memoria delle vittime del coronavirus non dobbiamo dimenticare che il virus ancora corre tra noi. Occorre rispettare le regole», l’invito del presidente del Consiglio. L’operazione `Scuole sicure´ a livello nazionale è stata uno degli argomenti di discussione tra il presidente del Consiglio e i membri del Comitato scientifico che terminerà il suo mandato a fine luglio. La proposta dei test sierologici a insegnanti e personale non docente era già stata avanzata venerdì scorso in una risoluzione presentata da venti deputati di vari partiti, che hanno chiesto anche la riapertura delle scuole il 1° settembre. Un’idea che però va in direzione diversa rispetto a quanto ha confermato anche oggi la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, che ha scritto su Facebook:«Le scuole riapriranno in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Per l’avvio del nuovo anno abbiamo già proposto la data del 14 settembre».

Nuovo anno, c’è solo la data

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

A ieri l’unico punto fermo era quello dell’avvio delle lezioni, su cui la decisione ufficiale ci sarà comunque giovedì 25: ministero dell’istruzione e regioni, con l’eccezione di Liguria e Campania, propendono per la data del 14 settembre, analogamente alla ripresa delle lezioni universitarie. Nessuna partenza differenziata dunque, ma una data unica su tutto il territorio. L’avvio dell’anno invece dal primo settembre: due settimane per fare i recuperi degli apprendimenti. Probabile poi che prima delle lezioni ci siano test sierologici per tutto il personale scolastico, richiesta che sarebbe emersa ieri sera dalla riunione del Cts, il Comitato tecnico scientifico.

Incerto il resto. A partire dalle Linee guida del ministero, che dovranno essere aggiornate alle indicazioni del Cts e su cui domani la ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, ha convocato i sindacati a viale Trastevere. Per una illustrazione, più che un confronto, lamentano i sindacati, visto che al massimo il giorno successivo le Linee guida saranno emanate. Del resto siamo a fine giugno e un ulteriore ritardo sarebbe inaccettabile, rischierebbe di compromettere le operazioni di adeguamento delle strutture e la riorganizzazione dei singoli istituti.

I sindacati però un’idea se la sono fatta: e l’orientamento è che le condizioni per una avvio in sicurezza non ci sono.

Per cui il protocollo sul nuovo anno, questo è l’indirizzo prevalente, non sarà firmato. A differenza di quanto avvenuto per lo svolgimento degli esami di stato. «Sulla scuola e la sicurezza di milioni di persone servono regole certe e finanziamenti cospicui. Mancano entrambi», attacca il segretario della Uil Pino Turi, «se restano così le cose, io non firmo protocolli».

Se si volessero rispettare per esempio i parametri sul distanziamento indicate dal Cts (un metro lineare comporta uno spazio di quasi 4 metri quadrati ha calcolato la Cgil, richiamando un documento dell’Inail), servirebbe il raddoppio delle classi: 270 mila nuovi locali. Sempre che le attuali aule rispettino i parametri di sicurezza della vecchia normativa.

In una lettera inviata ieri al ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, il segretario della Flc-Cgil, Francesco Sinopoli, ha chiesto la riconversione dei fondi europei, una riprogrammazione dei fonde Sie 2014/2020, oltre al ricorso ai fondi necessari che dovessero essere presi con gli altri strumenti, dal Mes al Recovery fund, per finanziare la scuola. «Le lezioni devono riprendere e devono riprendere in presenza per tutti e in sicurezza», dice Sinopoli, «servono 13 miliardi, con uno e mezzo non si va da nessuna parte».

Sul fronte dello screening per tutto il personale scolastico, chiesto dal direttore dello Spallanzani Francesco Vaia, il ministero dell’istruzione fa sapere di non essere competente. Ci sono regioni che si sono già avviate in autonomia, come la Campania e altre che stanno per farlo, come il Lazio. La richiesta perché i test siano fatti a livello nazionale e generalizzato è giunta ieri dal Cts: ovviamente su base volontaria.

Nel documento del Cts si chiede la previsione di referenti per le scuole nelle Asl, medici che dovranno gestire il fronte più prettamente sanitario di più istituti. Confermata anche la regola del distanziamento di un metro lineare, con la richiesta di attrezzare nuovi spazi anche esterni alla scuola, per tenere le lezioni.

Resta l’obbligo delle mascherine per i docenti, per i maestri dell’infanzia le visiere. Gli studenti dovranno indossarle dalla primaria in su, sotto i 6 anni no. Ma per la primaria si potrebbe prevedere un allentamento a ridosso dell’avvio delle lezioni se la situazione sanitaria dovesse migliorare.

Educazione civica, a settembre parte la sperimentazione

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Costituzione, sviluppo sostenibile e cittadinanza digitale. Sono questi i tre nuclei tematici fondamentali intorno ai quali i docenti dovranno tessere l’ordito disciplinare dell’educazione civica. L’introduzione della nuova materia, che sarà insegnata per un’ora la settimana (33 annuali) nelle forme previste dalla legge 20 agosto 2019, n. 92, partirà dal prossimo anno. E il ministero dell’istruzione ha predisposto le linee guida e il decreto di attuazione.

I provvedimenti hanno acquisito un sostanziale via libera dal Consiglio superiore della pubblica istruzione il 18 giugno scorso. L’amministrazione, quindi, dovrebbe provvedere a breve alla pubblicazione. Il ministero dell’istruzione aveva previsto, inizialmente, che la nuova materia avrebbe dovuto fare il suo ingresso già da quest’anno nelle aule scolastiche. Ma il Cspi aveva espresso un parere negativo e l’amministrazione, con la nota 1830 del 12 settembre 2019, aveva ritenuto di raccogliere le perplessità avanzate dal parlamentino dell’istruzione e di rimandare il tutto al prossimo anno. Le linee guida e il nuovo decreto prevedono che per il 2020/2021 e il 2021/2022 saranno direttamente le scuole a definire il curriculo indicando traguardi di competenza, i risultati di apprendimento e obiettivi specifici di apprendimento. Dal 2020, invece, ci penserà il ministero.

In buona sostanza, dunque, il prossimo biennio sarà utilizzato per la sperimentazione e poi l’amministrazione farà la sintesi e tutto andrà a regime. In ogni caso la nuova veste dell’educazione civica sarà quella di una disciplina trasversale, che assumerà «la valenza di matrice valoriale trasversale che va coniugata con le discipline di studio». I contenuti dell’educazione civica individuati dal legislatore, a cui dovranno fare riferimento i docenti, sono indicati nell’articolo 3 della legge 92/19 : a) Costituzione, istituzioni dello Stato italiano, dell’Unione europea e degli organismi internazionali; storia della bandiera e dell’inno nazionale; b) Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile; c) educazione alla cittadinanza digitale; d) elementi fondamentali di diritto, con particolare riguardo al diritto del lavoro; e) educazione ambientale; f) educazione alla legalità e al contrasto delle mafie; g) educazione al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni; h) formazione di base in materia di protezione civile. Il dispositivo, dunque, rende cogente e imperativo l’insegnamento di una lunga serie di contenuti e il perseguimento di obiettivi e competenze a cui gli insegnanti dovranno fare riferimento ai fini del relativo processo didattico-apprenditivo. Ma non individua una figura specifica a cui affidare tale nuovo insegnamento, salvo un riferimento espresso al docente di discipline giuridiche, se presente nell’organico dell’istituzione scolastica di riferimento. L’educazione civica, dunque, viene qualificata come insegnamento fungibile, da affidare di volta in volta a docenti diversi. A nulla rilevando la specificità del posto o della cattedra di titolarità dei docenti assegnatari. E viene prevista l’individuazione di un insegnante all’interno della classe cui affidare ruoli di coordinamento, al quale spetterà anche il compito di formulare «la proposta di voto espresso in decimi, acquisendo elementi conoscitivi dai docenti a cui è affidato l’insegnamento dell’educazione civica».

La nuova disciplina, infatti, viene qualificata alla stregua di trasversale. Ma in ogni caso, a tale nuovo insegnamento è destinata un’ora di lezione settimanale e un monte annuale di 33 ore da sottrarre al monte ore delle altre discipline senza prevedere un ampliamento del monte ore complessivo. Nulla è dovuto a titolo di retribuzione ai docenti che insegneranno la nuova disciplina. Mentre, per il solo ruolo di coordinatore, il testo di legge prevede la possibilità di individuare una qualche forma di retribuzione a livello di contrattazione integrativa di istituto, sempre però all’interno della capienza ordinaria del fondo dell’istituzione scolastica. Ed è proprio la mancanza di una qualche forma di retribuzione per i docenti, che dovranno occuparsi della nuova disciplina, uno dei punti deboli della nuova legge.

Se da un lato il legislatore non prevede l’aumento delle ore di insegnamento in senso stretto, dall’altro lato non tiene conto della modifica unilaterale della quantità e della qualità della prestazione derivante dalla necessità, in capo ai docenti a tal fine individuati, di provvedere alla preparazione delle relative lezioni. Conseguentemente, i docenti assegnatari dell’insegnamento dell’educazione civica dovranno necessariamente sottoporsi a un percorso di studio e formazione individuale su una disciplina estranea alla loro materia di insegnamento.

Prof di religione, caccia all’intesa per il concorso

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Partito, venerdì, il tavolo tra ministero dell’istruzione e Conferenza episcopale italiana (Cei) per definire l’intesa sul prossimo concorso per gli insegnati di religione cattolica (Irc), previsto dal Decreto Scuola dello scorso dicembre, che dovrà essere bandito entro fine anno e coprirà i posti vacanti e disponibili nel prossimo triennio, dall’anno scolastico 2020/21 al 2022/23. Un’intesa Mi-Cei che, però, per lo Snadir, il sindacato dei docenti di religione, «non è materia prevista dalla legge 121/1985». «Deve essere chiaro a tutti che», avverte il segretario nazionale Orazio Rustica, «qualsiasi decisione finale dovrà essere a favore dei docenti precari di religione». Tanto più che attendono un nuovo concorso da ben 16 anni. L’ultimo, infatti, fu bandito nel 2004 dall’allora ministra dell’istruzione Letizia Moratti, con la conseguente adozione di graduatorie valide fino al 2007. Non seguirono ulteriori procedure selettive. Fino al nuovo concorso, questo anno, da bandire entro il 31 dicembre con la metà dei posti riservata ai docenti con 3 annualità di servizio da almeno 180 giorni. Mentre proseguirà, come stabilito dallo stesso Decreto Scuola, lo scorrimento delle graduatorie per chi ha superato il concorso del febbraio 2004 ma non è ancora entrato in ruolo.

In Italia, infatti, su 24mila docenti di religione ben 14mila sono precari: 3 Irc su 4. Con oltre l’86% degli studenti che scelgono di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, pur essendo un disciplina scolastica facoltativa. Tuttavia, secondo lo Snadir il concorso porterà all’assunzione di circa 6 mila insegnati, di cui appena 3 mila posti saranno assegnati ai precari storici. Continueranno, quindi, le supplenze per ben 8 mila cattedre. Una situazione che ha portato anche i maggiori sindacati della scuola a intervenire il giorno stesso dell’insediamento del tavolo tra Mi e Cei, presieduto da Lucrezia Stellacci, consigliera della ministra Lucia Azzolina. Insieme allo Snadir, Cisl Scuola, Fcl-Cgil, Uil Scuola e Snals Confsal e Gilda hanno unitariamente chiesto «un incontro urgente al ministero dell’istruzione al fine di individuare soluzioni eque e legittime a favore dei 12/15 mila docenti precari abilitati di religione lasciati, fino ad oggi, privi di tutele e garanzie». Precisando, inoltre, che «occorre predisporre una procedura di assunzione a tempo indeterminato per i precari con oltre 36 mesi di servizio con le medesime modalità previste per i precari di altre discipline».

Esce allo scoperto anche l’opposizione. «Non ci risulta che al tavolo ministero-Cei si sia discusso modalità e tempistica del concorso per docenti di religione, notoriamente poco condiviso dagli interessati nella formula espressa dal decreto Scuola 2019», dichiara il senatore Mario Pittoni, responsabile istruzione della Lega. Mentre la deputata di Fratelli d’Italia Paola Frassinetti ritiene «preferibile la formazione di graduatorie ad hoc, tenuto conto che ci sono insegnanti di religione abilitati che attendono anche da vent’anni l’immissione in ruolo».

Proprio FdI aveva nei giorni scorsi presentato alla Commissione Cultura della Camera un’interrogazione sull’intesa, a cui ha risposto la viceministra all’istruzione Anna Ascani, spiegando che il ministero, «in attesa della sottoscrizione della prevista intesa, ha avviato il 12 maggio scorso uno specifico monitoraggio per il tramite degli uffici scolastici regionali al fine di verificare l’attuale stato delle graduatorie del 2004, in modo da potersi procedere a medio termine, qualora la procedura concorsuale non si svolga e termini per il 2020, con lo scorrimento delle stesse come richiesto dal legislatore». Così da procedere alle graduali immissioni in ruolo dei circa 2 mila docenti Irc risultati idonei all’unico concorso per la disciplina svolto fino a oggi, quello del 2004 appunto.

Riforme epocali in soli due anni

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Nidi per il 60% dei bambini eliminando le differenze territoriali tra Centronord e Mezzogiorno nell’offerta di questi servizi educativi. In 2 anni. A spulciare il piano che la commissione Colao ha messo a punto per il rilancio del paese, più che spunti ci sono riforme epocali. Da fare in tre anni. Si parte dal piano nazionale per l’apertura degli asili nidi che la commissione Colao propone di lanciare per i bimbi tra 0 e 3 anni, organizzando inoltre i servizi per la prima infanzia «con orari flessibili e aperture anche nei giorni festivi in modo da garantire la dovuta flessibilità nell’utilizzo», per migliorare la conciliazione dei tempi di vita e sostenere la genitorialità. Un progetto ambiziosissimo. Forse troppo. Se si pensa al contesto che la stessa Commissione ricorda: una disponibilità di nidi in Italia «ancora bassa al 25% e fortemente sperequata sul territorio», con «pochissimi» bambini del Sud, appena il 10% che hanno l’opportunità di frequentare un nido. All’appello mancherebbe, quindi, ben il 35% di copertura a livello nazionale ed addirittura il 50% nel Mezzogiorno: baratri che gli esperti in materia economica e sociale guidati da Colao pensano di riuscire a colmare in appena 3 anni con chissà quanti e quali investimenti in edilizia scolastica, materiale didattico, personale educativo e non, relativi concorsi, servizi mensa, scuolabus, per fare solo qualche esempio.

La proposta, infatti, si ferma all’annuncio, senza scendere nel dettaglio della realizzazione. Un libro dei sogni più che un concreto e realizzabile piano nidi triennale. Del resto, nel Piano Colao per il rilancio «Italia 2020-2022» i nidi sono trattati dentro il capitolo Individui e Famiglia, non in quello Istruzione, Ricerca e Competenze, sebbene da ormai 5 anni esista in Italia il sistema integrato di educazione e istruzione 0-6 anni.

Gli Its, istituti tecnici superiori post diploma, hanno compiuto 10 anni di vita e per «potenziarne l’offerta», così da «creare un canale di istruzione terziaria professionalizzante di dimensioni finalmente consistenti», insieme alle «lauree professionalizzanti» (curiosamente nel documento scritte tra virgolette quasi a volerne sottolineare il valore ironico o lo scarto rispetto al significato comune) la Commissione proporne di «lanciare un’efficace campagna di comunicazione sugli esiti occupazionali positivi degli Its in modo da attrarre una platea più ampia di studenti».

Peccato che proprio sugli ottimi esiti occupazionali si sia sempre puntato per comunicare l’offerta formativa degli Its e che una nuova campagna comunicativa del Miur sia partita proprio in questi mesi. Ad ampliare il numero di iscritti agli Its occorre molto di più di comunicazione e marketing. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alle risorse insufficienti, alle strutture, a Industria 4.0, alla governance. Eppure, nello stesso paragrafo del documento, si parla di mancanza di «adeguati investimenti e incentivi», ma riferendola solo alle lauree professionalizzanti. Su queste la proposta di incentivarle «fortemente» punta su alcuni atenei che si specializzeranno in questi percorsi in accordo con imprese, ordini professionali, associazioni imprenditoriali e sindacali e sotto la sorveglianza del ministero dell’università e della ricerca, «trasferendo loro la stessa somma pro capite attualmente attribuita agli Its». Risorse che, immaginiamo (il documento non lo spiega), per equità saranno distribuite come per gli its anche con una quota premiale in seguito a un preciso monitoraggio annuale del singolo corsi di laurea di ciascun ateneo.

Inoltre, la commissione propone di abolire i limiti al numero di lauree professionalizzanti attivabili e di assegnare punti organico aggiuntivi agli atenei che si specializzeranno in questi corsi. Oltre a prevederne una «gestione distinta e autonoma da quella dei tradizionali corsi di laurea, con una significativa partecipazione del mondo delle imprese e del lavoro alla definizione del curriculum di studio e alla docenza». In pratica il sistema degli Its riprodotto per le laurea professionalizzanti che, ricordiamolo, guardano per legge, le sole professioni ordinistiche.

Le trasformazioni del sistema socioeconomico spingono, poi, la Commissione Colao a introdurre un programma nazionale di orientamento sostenibile, monitorato nella sua efficacia, che preveda azioni orientative alla scelte professionali precoci fin dalla scuola primaria; azioni di consulenza di carriera e di vita personale alle superiori, organizzate con psicologi dotati di una formazione ad hoc, in collaborazione con docenti formati e genitori; Life Design Lab nelle università per lo sviluppo di soft e smart skill, per acquisire una prospettiva lifelong e per la sperimentazione delle transizioni professionali. Infine, interventi per docenti, famiglie, studenti, mondo del lavoro e policy makers per la co-costruzione di buone visioni del futuro, dell’innovazione e del rapporto con il mercato del lavoro.

Gli esperti, poi, lancerebbero una campagna di volontariato che affianchi le strutture pubbliche nel supporto alla formazione di insegnati, ricerca e scuola, attraverso una campagna di crowdfunding per dotare di infrastrutture digitali e tecnologiche le classi; una programma nazionale coordinato di aggiornamento, riconosciuto dal Miur, sui temi innovati per docenti di medie e liceo durante 20 sabati all’anno con lezioni a distanza o in pesantezza a cura di atenei, enti di ricerca e grandi aziende high tech. Infine, un serie di concorsi tipo hackathon per studenti e scuole superiori.

Mentre un programma didattico sperimentale online per tutti gli istituti di scuola superiore colmerebbe gap di competenze e skill critiche, quali capacità digitali, Stem, problem solving, educazione finanziaria di base.

Per l’università Colao propone anche di creare un Fondo speciale per il Diritto alle Competenze per contrastare il calo atteso delle immatricolazioni negli atenei, dovuto alla crisi sanitaria, e incrementare il tasso di successo formativo e occupazionale degli studenti. Ricorrendo, ad esempio, al sostegno alla residenzialità studentesca con voucher o riconvertendo alcune strutture alberghiere turistiche; facilitando i percorsi di accesso alla risorse; alzando il limite della no tax area fino ai 30 mila euro di Isee.

Inoltre, si pensa alla nascita di Poli di eccellenza scientifica internazionale competitivi, differenziando gli atenei sulla base della pluralità di missioni delle università e del diverso grado di qualità della ricerca delle loro strutture interne.

Ma anche a incentivare la mobilità nazionale e interazione, l’attrazione e il bilanciamento di genere dei ricercatori, tra l’altro, potenziando ed estendendo la legge Tremonti per i ricercatori e sostituendo gli assegni di ricerca con contratti post doc a standard europeo.

Infine, si innoverebbe il dottorato di ricerca creando un percorso di 40 Applied PhD per formare le figure professionali a più elevata specializzazione per il mercato del lavoro e la pubblica amministrazione, portando così il numero di dottorati di ricerca più vicino alla media europea. Nuovi corsi che rappresenterebbero un canale parallelo di formazione alla ricerca, senza aggiungersi a quelli di dottorato già attivati delle singole università. E con procedure di selezione, programmi di studio e di ricerca individuali e criteri di valutazione finali stabiliti, «in deroga alla normativa nazionale sul dottorato di ricerca, mediante accordi tra università, associazioni di rappresentanza imprenditoriale e amministrazioni pubbliche centrali e regionali».

Piano inclusione e il vademecum per la prevenzione abusi sui minori. Un esempio

da Orizzontescuola

di Antonio Fundaro

Un documento che potrebbe essere stilato e allegato al “Protocollo di Accoglienza” potrebbe essere il “Vademecum procedure prevenzione abusi sui minori”. Durante l’infanzia e l’adolescenza, infatti, circa tre bambine su 10 e un bambino su 10 sono confrontati con uno o più episodi di abuso sessuale come si legge nel documento (che si allega) stilato dal Consiglio d’Europa denominato “Campagna One in Five”.

“Che tu sia allenatore, insegnante, monitore o coach (professionista o volontario) il tuo impegno è fondamentale anche nella prevenzione di questo problema che può toccare i giovani di qualsiasi età, sesso, origine e classe sociale, nella famiglia come nelle attività sportive, educative e ricreative” si legge nell’introduzione alla guida denominata “Conoscere, riconoscere, prevenire, reagire”. Si tratta di una “Una guida per gli adulti con compiti educativi nello sport, nelle attività ricreative e associative”. Il documento è stato voluto dal Cantone Ticino, Dipartimento della sanità e della socialità, Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport, Dipartimento delle istituzioni.

La Scuola è in prima linea nel prevenire situazioni di abuso e maltrattamento sui minori, non solo in quanto luogo privilegiato ove percepire segni rivelatori di malessere fisico e psicologico, ma anche in quanto sede opportuna per insegnare ai bambini ad avere consapevolezza di sé e del proprio valore e fiducia negli adulti, attraverso percorsi specifici di educazione all’affettività e alla sessualità. Gli operatori scolastici possono rilevare atti e carenze che turbano gravemente i bambini e le bambine, attentano alla loro integrità corporea, al loro sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di terzi. È necessario imparare a leggere e riconoscere i segnali di malessere e a registrarli con accuratezza (attraverso corsi di formazione specifici), condividere le proprie valutazioni dapprima con il personale in servizio presso la scuola, poi con la rete degli esperti in grado di valutare i singoli casi.

Un importante documento a riguardo è stato stilato dall’Istituto Comprensivo “Don Stefano Casadio” Cotignola diretto dal dirigente scolastico Paolo Taroni.

Riferimenti normativi

La Circolare del 04.10.2000 con la quale il Ministero dell’Interno invitava gli Uffici Territoriali del Governo a promuovere una concreta strategia d’intervento per la prevenzione ed il trattamento dell’abuso sessuale all’infanzia attraverso una stretta collaborazione tra le varie Istituzioni interessate e sottolineava la necessità di attivare presso gli Uffici Territoriali del Governo strategie e risposte diversificate e incisive sia sul piano della repressione che della prevenzione del fenomeno.

Il quadro delle indicazioni contenute nel documento della Commissione Nazionale del settembre 1998, nel piano nazionale del 3 ottobre 2002, nonché in attuazione della DGR 7/20100, art. 2.3.1.

Finalità

  • favorire l’implementazione nelle scuole delle attività d’informazione e formazione;
  • utilizzare una terminologia omogenea;
  • facilitare l’individuazione delle situazioni problematiche: rilevazione, segnalazione, denuncia;
  • ricorrere a procedure standard.

Linee di comportamento per gli insegnanti

L’operatore scolastico (docente o personale ATA) che abbia sospetti di maltrattamenti o di abusi riguardanti un alunno, deve condividere i suoi dubbi con il Dirigente Scolastico.

Rientra tra i compiti professionali del docente la disponibilità all’ascolto attivo. Si inizierà un accurato lavoro di osservazione, prestando attenzione ai segnali di sofferenza, favorendo il dialogo col minore, garantendogli la riservatezza in merito a eventuali confidenze e nel contempo la presa in carico del problema.

Il monitoraggio della situazione deve essere costante.

A meno di segni evidenti di maltrattamento e abuso, che vanno immediatamente denunciati, è opportuno osservare il minore con continuità per poter cogliere i diversi segnali verbali e non verbali che vanno raccolti con oggettività e se possibile registrati in un testo scritto.

È importante trascrivere con la massima fedeltà e tempestività le frasi pronunciate dal minore: trascrivere parola per parola indicando anche il giorno e il luogo in cui il minore si è confidato. Tale registrazione fedele andrà conservata al fine di un’eventuale testimonianza nel Processo Penale (dove si può essere chiamati a raccontare un fatto anche a distanza di anni dalla sua emersione). Occorre conservare anche eventuali materiali elaborati dal minore (disegni, testi scritti).

È importante instaurare con i bambini un clima di fiducia e confidenza e incoraggiarlo a continuare a parlare senza mettere in dubbio la veridicità delle sue affermazioni, né formulare domande che già contengano una risposta.

Occorre mantenere il più assoluto riserbo circa quanto appreso.

In caso di trascuratezza e negligenza i genitori devono essere invitati a modificare i comportamenti nei confronti del minore. Il persistere della situazione comporterà la segnalazione ai servizi sociali.

In caso di sospetto abuso sessuale e/o maltrattamento in ambito famigliare, i genitori del minore NON devono essere informati.

In casi di urgenza occorre rivolgersi alla Questura o ai Carabinieri.

Indicatori fisici e comportamentali di possibile maltrattamento, trascuratezza e abuso sessuale

Maltrattamenti, trascuratezza e abusi sui minori possono essere rilevati mediante un’attenta, prolungata ed accurata osservazione e rilevazione di alcuni segni fisici, emotivi e comportamentali. Si riporta di seguito un elenco di indicatori di possibile maltrattamento, trascuratezza e/o abuso, precisando che i più generici sono riscontrabili anche in altre sindromi che non hanno nulla a che vedere con l’abuso.

A. MALTRATTAMENTO

FISICO

1. Segni fisici

Lesioni cutanee e scheletriche:

– lividi (ecchimosi, ematomi) sulle braccia, sulle gambe, sul viso (intorno alla bocca, con o senza lacerazione del frenulo labiale superiore, o agli occhi), talvolta “figurati” (a stampo con la forma dello strumento usato per colpire: mani, cinghie, lacci, bastoni)

– contusioni, ferite, cicatrici, graffi in parti del corpo difficilmente esposte accidentalmente

– lesioni della mucosa orale da alimentazione forzata o da colpi sulla faccia

– segni di morsi

– segni di bruciature o ustioni sulle gambe, braccia o altri punti del corpo coperti dai vestiti, spesso figurati (bruciature di sigaretta, immersione forzata in liquidi bollenti, contatto con oggetti incandescenti)

– escoriazioni o graffi di forme particolari (segni da legame per la segregazione e la contenzione)

– segni di frustate o cinghiate

– fratture ripetute.

Diffusione ampia e sproporzionata di ferite lievi a diversi stadi di guarigione, non curate adeguatamente e tempestivamente o di pregresse fratture ossee in via di risoluzione spontanea. Presenza di un abbigliamento inadeguato alle condizioni climatiche che lascia intuire il desiderio di nascondere i segni del maltrattamento (maniche lunghe, sciarpe, maglie a collo alto).

2. Segni comportamentali

– Bambini particolarmente ostili all’autorità o estremamente reattivi

– Bambini eccessivamente aggressivi, distruttivi, iperattivi

– Bambini violenti con i compagni, con difficoltà a giocare con gli altri

– Bambini estremamente passivi, “ritirati”, sottomessi, scarsamente presenti, che non piangono mai o mostrano un lamento continuo

– Bambini socialmente isolati (in classe e/o durante i momenti ricreativi)

– Bambini che sembrano sognare ad occhi aperti, “assenti”, mostrano elevata difficoltà di concentrazione e richiedono la costante attenzione dell’adulto

– Bambini che mostrano improvvisi e repentini cambiamenti dell’umore e/o nel rendimento

– scolastico

– Bambini che mostrano sdoppiamento di personalità

– Bambini che mostrano un attaccamento indiscriminato e “adesivo” verso gli estranei, sono riluttanti a tornare a casa ma si sottomettono immediatamente per timore della reazione degli adulti

– Bambini che sembrano dei piccoli adulti e assumono un ruolo “genitoriale” o di pari nei confronti dei propri genitori

– Bambini massicciamente preoccupati per l’ordine e la pulizia, o estremamente dipendenti dal giudizio dei genitori

– Bambini che mostrano consistenti ritardi nello sviluppo psicomotorio, nel controllo sfinterico, nelle capacità logiche e di pensiero

– Bambini che mostrano atteggiamenti autolesivi e distruttivi, che si fanno spesso male incidentalmente e sembrano incapaci di evitare i pericoli

– Bambini che mostrano un comportamento disturbato nei confronti del cibo (anoressia, bulimia, tendenza a non mangiare la merenda portata da casa, a rubare il cibo dal piatto degli altri, a mangiare compulsivamente)

– Bambini assenti regolarmente nei giorni delle visite mediche

– Bambini che si lamentano o che si rifiutano di fare attività fisica perché gli provoca dolore e disagio.

B) TRASCURATEZZA

1. Segni fisici

Carenze di cure igieniche

– bambini vestiti in modo consistentemente inappropriato alla stagione, con vestiti troppo larghi o troppo stretti, inadatti a proteggerli dal freddo o dal caldo

– bambini regolarmente sporchi, che puzzano, che si lavano raramente fino al punto di avere problemi nei rapporti con i compagni

– infiammazioni cutanee da pannolino o mancanza di igiene

– distensione addominale o chiazze di calvizie in bambini piccoli lasciati sempre sdraiati nella stessa posizione.

Assenza o carenza di cure sanitarie

– bambini affetti da pidocchi o altri parassiti che non vengono curati

– bambini con problemi dentali, acustici o visivi che non vengono curati

– bambini che non vengono vaccinati regolarmente o sottoposti ai controlli medici necessari.

Scottature o malattie bronchiali e polmonari dovute a eccessiva esposizione al caldo o al freddo

Disidratazione e/o malnutrizione Incidenti domestici ripetuti

Ripetuti controlli medici e/o ricoveri ospedalieri (Hospital shopping – sindrome di Munchausen per procura).

2. Segni comportamentali

Difficoltà nel condurre una normale vita scolastica

– bambini spesso stanchi o che si addormentano in classe perché vanno a letto molto tardi o non dormono di notte (stanchezza permanente o disattenzione)

– disattenzione, svogliatezza, incapacità o difficoltà nel fare o terminare i compiti

– bambini che distruggono materiale scolastico e rubano ai compagni

– bambini che mostrano di avere sempre fame, che elemosinano cibo o rubano le merendine ad altri bambini

Assenza o carenza di accudimento

– bambini che rimangono a casa per accudire i fratelli e fanno frequenti assenze scolastiche senza reale malattia

– bambini molto piccoli affidati alle cure di fratelli o sorelle maggiori di poco più grandi

– bambini che gironzolano a lungo nei dintorni della scuola anche dopo l’orario di chiusura

– bambini abitualmente in ritardo o che vanno a casa prima lamentando sintomi o disturbi.

Problemi o ritardi nel linguaggio.

Uso precoce di droga o alcool.

Atti di vandalismo e di piccola delinquenza.

Ricerca di affetto e attenzione da estranei, esibizionismo.

Iperautonomia, chiusura, rifiuto di aiuto.

Passività, apatia.

C) ABUSO SESSUALE

(per tale aspetto la lettura dei segni fisici risulta, ovviamente, più di pertinenza degli operatori sanitari)

Segnali comportamentali di possibile abuso

Glossario norme e figure giuridiche di riferimento

Il gruppo lavoro ASVA relativamente alla documentazione protocollo Provincia di Como e altri, ha pubblicato una nota alquanto esplicativa contenente un glossario diretto a fornire agli operatori scolastici le nozioni fondamentali per orientarsi nelle loro mansioni di fronte a casi in cui sorga il sospetto di situazioni penalmente rilevanti.

Le informazioni riguardanti le figure di reato sono perciò limitate a quelle che hanno, o possono avere, più frequente attinenza con la tutela dei minori da possibili forme di abuso.

c.p. = codice penale;

c.p.p. = codice di procedura penale.

Nozioni processuali denuncia

È l’atto con cui un fatto costituente reato perseguibile d’ufficio viene portato a conoscenza dell’Autorità giudiziaria (o di altra che a questa abbia l’obbligo di riferire) da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, o anche da un privato.

È perseguibile d’ufficio il reato la cui punibilità non è subordinata a una sollecitazione in tal senso della persona offesa.

L’obbligo di denuncia ricorre:

  • per i privati, solo in relazione ai particolari reati (“delitti contro la personalità dello Stato” puniti con l’ergastolo) (art. 364 c.p.);
  • per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio, in relazione a qualsiasi reato perseguibile d’ufficio del quale abbiano avuto notizia nell’ambito delle funzioni o del servizio (artt. 361 e 362 c.p.).

Pubblico Ufficiale

È il soggetto appartenente alla pubblica amministrazione (es. insegnante, medico A.S.L., membro delle forze di polizia, etc.) o anche estraneo ad essa (es. medico di base, notaio, etc.) al quale la legge riconosce poteri autoritativi o certificativi disciplinati da norme di diritto pubblico (art. 357 c.p.).

Incaricato di pubblico servizio

È il soggetto appartenente alla pubblica amministrazione (es. dipendente di un’azienda di trasporti pubblica) o anche estraneo ad essa (es. dipendente di un’azienda di trasporti privata) che presti un’attività di interesse pubblico come tale riconosciuta dalla legge, ma priva di poteri autoritativi o certificativi. Sono escluse dalla nozione le prestazioni d’opera meramente materiale (es. usciere; cuoco d’ospedale, etc.) (art. 358 c.p.)

La presentazione della denuncia va fatta (dai pubblici ufficiali e dagli incaricati di pubblico servizio in forma necessariamente scritta; dai privati anche solo in forma orale) al Pubblico Ministero oppure a un ufficiale di Polizia giudiziaria (artt. 331 – 333 c.p.p.).

Il Pubblico Ministero è l’autorità giudiziaria competente a svolgere le indagini sui fatti di reato e, al termine delle indagini, a valutare se debba essere chiesta l’archiviazione del procedimento o, al contrario, debba essere esercitata l’azione penale. Per i reati commessi da maggiorenni, P.M. competente è la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario. Per quelli commessi da soggetti di età fra i 14 e i 18 anni (sotto i 14 anni non si è perseguibili penalmente), è la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.

La Polizia giudiziaria è composta dall’insieme degli organi appartenenti ai vari corpi di polizia (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia Locale, etc.) competenti a raccogliere le notizie di reato e a collaborare, sotto la direzione del P.M., allo svolgimento delle indagini.

Referto – (artt. 365 c.p.; 334 c.p.p.)

È lo specifico tipo di denuncia che sono chiamati ad effettuare, entro 48 ore, gli esercenti professioni sanitarie (medici, psicologi, infermieri) che abbiano prestato la propria assistenza in casi che possono presentare i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio.

L’obbligo di referto, dunque:

  • deve essere assolto immediatamente, nel senso che non compete al professionista nessun approfondimento sulla fondatezza del sospetto;
  • riguarda i soli casi in cui il professionista, anche non pubblico ufficiale, sia intervenuto nella situazione sospetta di reato: non sussiste invece quando il professionista abbia avuto notizia del reato non per avere prestato assistenza, ma in altro modo (p.es. perché informato da un collega): ma in tal caso può residuare il generale obbligo di denuncia se il professionista è anche pubblico ufficiale (p.es. responsabile della struttura in cui è avvenuta la visita).

In ogni caso, il referto non è obbligatorio quando presentarlo esporrebbe la persona assistita a procedimento penale (es. medico che ha visitato l’autore di maltrattamenti che, a sua volta, abbia riportato lesioni in una delle liti col maltrattato).

Querela

È la manifestazione di volontà di punizione del colpevole, rimessa alla persona offesa (o a soggetti che ne abbiano la rappresentanza), alla quale in certi casi di minore gravità sociale o, piuttosto, di peculiare delicatezza dei valori interessati la legge subordina la perseguibilità del reato.

La titolarità del diritto di querela spetta (artt. 120 – 121 c.p.):

  • per gli infraquattordicenni e gli interdetti, ai genitori o a uno solo di essi o al tutore;
  • per i minori ultraquattordicenni e gli inabilitati, a se stessi o — anche contro il loro parere — al genitore o al tutore o curatore.

Se tali rappresentanti manchino o versino in conflitto di interessi col rappresentato (in particolare: se sono essi stessi indagati del delitto commesso in danno di quest’ultimo), è prevista la nomina di un curatore speciale, che può anche costituirsi parte civile nel successivo processo. Alla nomina provvede il Giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero ovvero degli enti che hanno per scopo la cura, l’educazione, la custodia o l’assistenza dei minorenni (art. 338c.p.p.).

L’esercizio del diritto di querela:

  • deve avvenire entro il termine di tre mesi da quando la persona offesa ha avuto sicura notizia del reato (art. 124 c.p.; ma per i delitti di violenza sessuale il termine è di sei mesi: art. 609 septies c.p.)
  • non è più possibile se il titolare vi ha fatto rinuncia in modo esplicito (con dichiarazione rilasciata all’interessato, a un ufficiale di polizia giudiziaria o a un notaio) o implicito (ossia con comportamenti incompatibili con la volontà di querelarsi) (artt. 124 c.p.; 339 c.p.p.).

Le formalità della querela sono le stesse della denuncia (v. sopra), salvo il fatto che non è necessaria la forma scritta, potendo la querela essere formulata oralmente al P.U. ricevente.

La remissione della querela — possibile sino alla sentenza irrevocabile (tranne che nei casi di violenza sessuale) — estingue il reato. È un negozio giuridico bilaterale (non ha effetto se il querelato non dichiara di accettarla), può essere fatta sia nel processo che in sede extraprocessuale e si estende a tutti i concorrenti anche se fatta a favore di uno solo (artt. 152 – 156 c.p.; 340 c.p.p.).

Il tribunale per i minorenni

Oltre che competente a giudicare dei reati commessi da infradiciottenni, è competente anche ad adottare i provvedimenti più opportuni per il minore che sia vittima di condotte pregiudizievoli di uno o di entrambi i genitori, anche non integranti fattispecie di reato (es. incuria, trascuratezza, etc.) o integranti reato nei confronti di persone diverse (es. maltrattamenti di un coniuge verso l’altro alla presenza del figlio). Tali provvedimenti possono avere gravità crescente: dalla presa in carico del nucleo familiare da parte dei servizi sociali, all’allontanamento del minore dalla casa familiare, sino dalla decadenza del genitore responsabile della condotta pregiudizievole dalla potestà sul figlio.

Figure di reato

Delitti di violenza in generale

MINACCIA

È la forma meno grave di attentato all’altrui incolumità, in quanto consiste nella semplice prospettazione di un male ingiusto (di qualunque natura: fisico, psichico, economico, etc.) (art. 612 codice penale). È perseguibile a querela, salvo che l’intimidazione sia commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte, o sia comunque da considerare (con valutazione rimessa alla discrezionalità del giudice) “grave”. Il delitto di cui all’art. 612 c.p. resta assorbito — cioè non è punito in sé — ogni qual volta la “minaccia” costituisce la modalità di commissione di un delitto più grave (es. violenza privata; violenza sessuale; maltrattamenti, etc.).

PERCOSSE

Consistono nella violenza fisica che non comporta lesioni apprezzabili, tali da determinare uno stato di malattia (art. 581 c.p.). è un reato perseguibile a querela. A differenza del delitto di lesioni, e al pari di quello di minaccia, quello di percosse resta assorbito ogni qual volta la “violenza” è indicata anche solo implicitamente come modalità di commissione di un delitto più grave (es. violenza privata; violenza sessuale; maltrattamenti, etc.). Per “armi”, agli effetti penali, si intendono, non solo gli oggetti la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona (armi da sparo, spade, sciabole, manganelli, etc.), ma tutti gli strumenti atti a offendere (es. pietre, bottiglie, coltelli, bastoni, etc.).

LESIONE PERSONALE

Condotte di violenza fisica che danno luogo a lesioni, e si distinguono (artt. 582, 583 e 585 c.p.) in:

a) lievissime, se la malattia che determinano non supera i 20 giorni;

b) lievi, se supera i 20 ma non i 40 giorni;

c) gravi, se supera i 40 giorni o comporta l’indebilimento permanente di un senso o di un organo;

d) gravissime, se producono la perdita di un senso, di un organo o della capacità di procreare, oppure una grave e permanente difficoltà della favella, oppure una deformazione o lo sfregio permanente del viso, o comunque una malattia insanabile.

Le lesioni da “lievi” in poi sono perseguibili d’ufficio. Quelle “lievissime” sono perseguibili a querela, salvo che siano commesse con armi o con sostanze corrosive, o che ricorrano talune aggravanti, tra cui (particolarmente rilevanti in questa sede):

  • l’essere il fatto commesso al fine di eseguire un altro delitto (es. maltrattamenti in famiglia; violenza sessuale; rapina etc.);
  • l’essere commesso contro l’ascendente o il discendente, se per motivi futili o adoperando sevizie o crudeltà. Per la nozione di “armi”, v. alla voce Minaccia.

VIOLENZA PRIVATA

Consiste nel costringere taluno, mediante violenza o minaccia, a “fare, tollerare, od omettere qualche cosa” (art. 610 c.p.). Si persegue d’ufficio.

Accanto a questa figura generale, esistono varie ipotesi speciali di violenza privata, punite più gravemente, come quando lo specifico oggetto della costrizione imposta consiste:

nella commissione di un reato (art. 611 c.p.: es. violenze su un minore perché spacci stupefacenti);

nelle prestazioni sessuali (violenza sessuale, art. 609 bis c.p.);

nel silenzio davanti all’Autorità giudiziaria (art. 377 bis c.p.).

Figura speciale di violenza privata è anche la concussione (art. 314 c.p.), che consiste nell’abuso della qualità di pubblico ufficiale al fine di indurre la vittima a dare o promettere qualsivoglia utilità (vi rientra ad es. il caso del docente che ottenga favori sessuali dall’allievo con la minaccia esplicita o implicita della bocciatura).

SEQUESTRO DI PERSONA

Consiste nel privare taluno della libertà personale (art. 605 c.p.).

È perseguibile d’ufficio. La norma incriminatrice — che richiede una privazione della libertà di locomozione per un tempo apprezzabile, ricadendosi altrimenti nella semplice violenza privata — tutela il diritto di autodeterminazione individuale, e perciò si distingue (concorrendo con esso, quando riguardi minori) dal delitto di sottrazione di persone incapaci, che invece tutela l’esercizio delle prerogative del genitore o di chi abbia la tutela o la vigilanza sul minore, ed è perciò punito solo a querela di costoro, e sia quando l’incapace è consenziente alla sottrazione (art. 573 c.p.), sia quando non lo è(art.574 c.p.) .

Delitti in ambito familiare

INFANTICIDIO

È l’omicidio del neonato durante o immediatamente dopo il parto, per il quale si prevede (art. 578 c.p.) che, se (e solo se) è commesso dalla madre ed è determinato da “condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto”:

  • la madre soggiace a una pena obbligatoriamente ridotta rispetto a quella ordinaria dell’omicidio;
  • gli eventuali correi rispondono normalmente di omicidio, ma possono avere la pena ridotta da 1/3 a 2/3 se hanno agito al solo scopo di favorire la madre. Si persegue d’ufficio.

VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE

Consiste nell’abbandono del domicilio domestico o in qualunque altra condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie che implichi sottrazione ai doveri di assistenza inerenti alla qualità di genitore o a quella di coniuge. La pena è aggravata se il fatto consiste:

1) nel dilapidare i beni del figlio minore o del coniuge;

2) nel privare dei mezzi di sussistenza i figli minori o inabili al lavoro, oppure gli ascendenti o il coniuge (art. 570 c.p.).

Sono perseguibili d’ufficio i casi di cui al n.° 1) e quelli di cui al n.° 2) che riguardino minori; altrimenti si procede a querela.

Va osservato che:

  • l’abbandono del domicilio domestico non integra il reato quando è una situazione solo transitoria in vista della separazione coniugale, e comunque quando sia giustificato dalla necessità di sottrarsi ad altrui condotte lesive (in primis: maltrattamenti);
  • nell’ampia nozione di “contrarietà all’ordine o alla morale familiare” rientrano numerose condotte, la più frequente delle quali è la mancata contribuzione ai bisogni economici dei congiunti (anche in caso di separazione o divorzio, se in essi è stato stabilito il versamento di un assegno periodico per il mantenimento del coniuge o dei figli);
  • la nozione di “mezzi di sussistenza” non coincide con l’assoluta indigenza, ma neppure con la mera trascuratezza finanziaria, e va individuata nell’insieme dei beni necessari per il soddisfacimento delle esigenze di vita primarie (vitto; abitazione; medicinali, etc.).

MALTRATTAMENTI

È il delitto di chi maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni 14, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte (art. 572 c.p.). Se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima o la morte (fatti comunque puniti in sé), anche la pena per i maltrattamenti è via via aumentata. Il delitto è perseguibile d’ufficio. La nozione di maltrattamenti include qualsiasi vessazione di tipo fisico (percosse, lesioni) o psicologico (minacce, ingiurie, comportamenti umilianti o degradanti del tipo più vario: ad es. la segregazione; o l’imposizione della propria ubriachezza molesta, etc.), ma richiede che tali condotte rivestano un carattere abituale ed esprimano una volontaria offesa alla dignità della vittima come persona. Ad es., non costituisce maltrattamento penalmente rilevante (ma darà luogo dolo a responsabilità di tipo civile, sotto il profilo dell’addebito della separazione o della perdita temporanea o definitiva della potestà genitoriale) la mera trascuratezza verso il coniuge o verso la prole.

ABUSO DEI MEZZI DI CORREZIONE O DI DISCIPLINA

È una forma di maltrattamento minore, consistente nell’eccedere volontariamente dal tipo e dal grado di coercizione consentiti a fini pedagogici verso una persona sottoposta all’autorità del soggetto, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte. Il reato sussiste se il fatto comporta per la vittima il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, mentre è aggravato se produce effettivamente una lesione o la morte (art. 571 c.p.). Si procede d’ufficio.

Va osservato che:

  • non è richiesta l’abitualità delle condotte, bastando anche un solo episodio a integrare il reato;
  • deve trattarsi dell’abuso di mezzi pedagogici consentiti (es. “scappellotto”; strattonamento; divieto di ricreazione) e non quindi di uso di mezzi abusivi (es. frustate; lavori forzati; etc.), nel qual caso si avrà violenza privata o maltrattamenti, a seconda che si tratti di fatti episodici o abituali;
  • lo stesso dicasi se, comunque, anziché da fini pedagogici, l’azione è dettata da finalità vessatorie: per tale ragione, se le lesioni o la morte conseguenti alla condotta sono volontarie, ricorre non l’ipotesi aggravata di cui all’art. 571 co. 2° c.p., ma gli ordinari delitti di lesioni o di omicidio.

Delitti contro la libertà sessuale e a sfondo sessuale in genere

VIOLENZA SESSUALE

È in realtà una nozione articolata, che comprende varie ipotesi:

1) violenza sessuale in senso stretto (art. 609 bis c.p.) è quella che consiste:

a) nel costringere taluno a compiere o a subire atti sessuali mediante violenza o minaccia o abuso di autorità;

b) nell’indurre taluno a compiere o a subire atti sessuali abusando delle sue condizioni di inferiorità fisica o psichica, o traendolo in inganno col sostituirsi ad altra persona.

Costituiscono aggravanti della violenza sessuale in senso stretto (art. 609 ter c.p.):

  • l’avere la vittima meno di 14 anni, o di 16 se il colpevole ne è l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza (se la vittima ha meno di 10 anni, la pena è ulteriormente aumentata);
  • l’essere il fatto commesso con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
  • l’avere il colpevole agito travisato o simulando la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;
  • l’essere la violenza commessa su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;
  • la procedibilità (art. 609 septies c.p.) della violenza sessuale in senso stretto è in via di principio a querela, la quale peraltro — in deroga alla regola generale — è proponibile sino a sei mesi dal fatto e non è revocabile.

Si procede tuttavia d’ufficio:

1) se la vittima ha meno di anni 18:

2) se il fatto è commesso dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore, ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, o che ha comunque con lui una relazione di convivenza;

3) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni;

4) se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio (es. atti osceni in luogo pubblico; maltrattamenti in famiglia; concussione, etc.).

2) violenza sessuale presunta (art. 609 quater c.p.) è quella che consiste nel compiere atti sessuali con una persona consenziente, ma di età inferiore a 14 anni, o a 16 anni se l’autore riveste una delle qualità sopra indicate (ma il fatto non è punibile se tra colpevole e vittima vi sia una differenza di età non superiore a 3 anni). Aggravante della violenza sessuale presunta è l’avere la vittima meno di 10 anni. Anche la violenza sessuale presunta è in via di principio perseguibile (art. 609 septies c.p.) a querela, la quale — anche in questo caso — è proponibile sino a sei mesi dal fatto e non è revocabile.

Si procede tuttavia d’ufficio:

1) se la vittima ha meno di anni 10;

2) negli altri casi sopra indicati ai nn. 2), 3) e 4). 3) violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies c.p.) consiste nella partecipazione di più persone riunite ad atti di violenza sessuale (in senso stretto o presunta), non richiedendosi che ciascuno dei partecipanti compia atti propriamente sessuali, ma solo che egli assista consapevolmente al loro compimento rafforzando, con la sua presenza, il proposito degli autori materiali. Si applicano le aggravanti dell’art. 609 ter c.p..

La violenza di gruppo è sempre perseguibile d’ufficio.

La nozione di atti sessuali — lasciata volutamente indeterminata dal Legislatore del 1996, per ovviare agli inconvenienti della precedente distinzione tra “violenza carnale” e “atti di libidine violenti” — comprende qualsiasi atto inerente alla libido, e che sia dettato da un intento erotico (dovendo altrimenti configurarsi il meno grave delitto di ingiuria: art. 594 c.p.), e include quindi anche il semplice toccamento delle zone erogene.

È rimessa all’apprezzamento del giudice la possibilità di ridurre la pena (da 1/3 a 2/3) nei casi di “minore gravità”, valutati in rapporto non solo al tipo di approccio sessuale (es. astensione dalla penetrazione, in qualsiasi sua forma) ma anche e soprattutto alle sue modalità (es. astensione da forme di prevaricazione brutale).

INCESTO

È il fatto di chi compie atti sessuali con un discendente (figlio, nipote) o un ascendente (genitore, nonno) o con un affine in linea retta (suocero/a; genero / nuora), ovvero con una sorella o un fratello, in modo che ne derivi pubblico scandalo. La pena è più grave in caso di relazione incestuosa duratura, e nei confronti del maggioren ne che commetta incesto con persona minore di anni 18 (art. 564 c.p.). Il reato è perseguibile d’ufficio. Si distingue dalla violenza sessuale perché riguarda i casi di atti sessuali tra persone consenzienti e al di fuori dei limiti di età della violenza sessuale “presunta” di cui all’art. 609 ter c.p..

CORRUZIONE DI MINORENNE

Consiste nel compiere atti sessuali in presenza di persona minore di anni 14, al fine di farla assistere (art. 609-quinquies c.p.). È perseguibile d’ufficio. Per la nozione di “atti sessuali”, v. alla voce Violenza sessuale.

Altri reati contro la libertà individuale

RIDUZIONE O MANTENIMENTO IN SCHIAVITÙ O IN SERVITÙ

Consiste nell’esercitare su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà o nel mantenerla in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento (art. 600 c.p.). Il delitto, perseguibile d’ufficio, è aggravato se commesso in danno di minore degli anni diciotto o se è diretto allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi. La norma precisa che la riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona offesa. In difetto di tali connotati, l’impiego di minori nell’accattonaggio integra comunque un reato (art. 671 c.p.), perseguibile d’ufficio.

PROSTITUZIONE MINORILE

Sono contemplate due figure (art. 600-bis c.p.): a) quella di chi induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni 18 ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione; b) quella di chi compie atti sessuali consenzienti (quindi in assenza di violenza sessuale in senso stretto) con un minore di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni (quindi al di fuori dei limiti della violenza sessuale presunta), in cambio di denaro o di altra utilità economica. Solo nell’ipotesi sub b), la pena è ridotta di un terzo se l’autore del fatto è minore degli anni 18. Il reato è perseguibile d’ufficio.

INIZIATIVE TURISTICHE VOLTE ALLO SFRUTTAMENTO DELLA PROSTITUZIONE MINORILE

Consiste nell’organizzare o propagandare viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività (art. 600- quinquies.c.p.). Il reato è perseguibile d’ufficio.

PORNOGRAFIA MINORILE

Sono contemplate varie condotte, via via meno gravi (art. 600- ter c.p.): 1) quella di chi utilizza minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico, o fa commercio del materiale pornografico così realizzato; 2) quella di chi, senza concorrere nella produzione o commercializzazione del materiale pornografico suddetto, lo distribuisce, divulga o pubblicizza con qualsiasi mezzo, oppure distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni 18; 3) quella di chi, fuori dai casi precedenti, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni 18. Tutte le ipotesi sono perseguibili d’ufficio.

DETENZIONE DI MATERIALE PORNOGRAFICO

È il fatto di chi — fuori delle ipotesi di produzione, commercializzazione, divulgazione o cessione a terzi — consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto (art. 600-quater c.p.). Perseguibile d’ufficio.