Un metro tra gli alunni, banchi singoli e ingressi scaglionati per riaprire in sicurezza a settembre

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

Nuove misure di sicurezza in vista della riapertura delle scuole a settembre. Nel rispondere a un quesito dell’Istruzione, il Comitato tecnico-scientifico del ministero della Salute aggiorna il suo documento di fine maggio. Individuando nel distanziamento di un metro tra gli alunni (e 2 dall’insegnante), nel ricorso ai banchi singoli o a un nuovo layout delle classi e negli ingressi scaglionati alle superiori gli accorgimenti più opportuni da adottare nell’ambito dei tavoli territoriali previsti dalle linee guida ministeriali attese oggi sul tavolo della Conferenza unificata. Dove si cercherà di scrivere una parola definitiva sul ritorno in classe dopo l’estate. Solo allora si deciderà se allentare l’obbligo di mascherina alle elemenatri. Ammeso che il contagio sia ancora sotto controllo.

Il nuovo documento del Cts
Il Comitato tecnico-scientifico riparte da dove eravamo rimasti. E ricorda che le misure necessarie per consentire a tutti di rientrare in classe sono: il lavaggio frequente delle mani , il divieto di accedere ai locali scolastici con 37,5 febbre (che va misurata a casa) , il non essere stati in quarantena o a contatto con soggetti positivi al Sars Cov-2. Immaginando tassi di contagio invariati il Cts insiste poi con il distanziamento fisico. Tra un alunno e l’altro deve esserci almeno un metro (2 dalla cattedra). Ed è proprio questo il parametro decisivo nell’organizzazione delle classi che i dirigenti scolastici devono considerare. Se possibile passando ai banchi monoposto.

Orari di ingresso scaglionati
Anche il documento dei tecnici della Salute, così come le linee guida della ministra Lujcia Azzolina, sottolinea l’importanza di procedere a ingressi scaglionati delle classi. Soprattutto alle superiori. E spiega anche perché: bisogna evitare il sovraffolamento su bus e metro negli orari di punta.

Accordo Stato-Regioni sui test sierologici
Per il Cts uno screening di massa della popolazione studentesca e della classe docente sarebbe utile. Così come l’avvio di test sierologici a campione. Ma serve una decisione nazionale e un’intesa con le diverse realtà territoriali.

Solo a settembre una parola definitiva sulle mascherine
Per il momento il nuovo documento ripete quando consigliato a fine maggio. I dispositivi di protezione sono obbligatori dai 6 anni in su. Ma si riserva di valutare, nell’imminenza della ripresa e quindi a settembre, se almeno alla primaria si può evitare di indossarla in classe per tutta la durata delle lezioni. Ammesso che ci sia il rispetto della distanza di sicurezza.

Presidi in rivolta contro il ministero: le indicazioni sulla riapertura a settembre sono inadeguate

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

« La scuola non può partire così, ci deve essere un patto a priori. Altrimenti non la apro, sono pronto anche a manifestare davanti al ministero». Stefano Sacandi, preside del liceo scientifico Primo Levi di Roma, è categorico. «Quello che gira fin qui non è un piano definito, ma una somma di idee e suggerimenti. Non è un’indicazione operativa di lavoro come avvenuto per l’esame di maturità. Per ora è materiale di discussione – dice -. Nel mio istituto a settembre ci saranno 900 alunni, ma ho un 10% spazi in più rispetto al massimo della capienza. Come farò? Ad oggi con le indicazioni di flessibilità, che non sono male dal punto di vista dell’autonomia, non è un problema organizzare qualcosa riducendo il tempo a scuola».

Quel che preoccupa il dirigente è anche la possibile responsabilità dei contagi. «Non ci deve essere questa spada di Damocle – aggiunge – altrimenti sono disposto a non aprirla. Noi non possiamo garantire che non ci sia contagio, farò di tutto perché non avvenga ma la scuola non è un ospedale. Se equiparano un contagio all’errore non va bene».

«Sicuramente la situazione è particolarmente difficile da definire, ma avremmo preferito dei chiarimenti più decisi e degli strumenti per realizzare le soluzioni – spiega Ivana Uras, dirigente del liceo Immanuel Kant nel quartiere romano Centocelle – Capiamo le difficoltà, ma le linee guida sono generali e mancano gli strumenti come più docenti e l’eliminazione delle “classi pollaio”. Se ci fossero più spazi e un aumento di personale le soluzioni si potrebbero trovare. E’ facile richiamare l’autonomia delle scuole. Senza strumenti è come dire arrangiatevi». Il liceo classico e linguistico Kant è frequentato da circa 1200 ragazzi.

«Gli spazi all’aperto li abbiamo sempre avuti ma d’inverno con la pioggia come si fa? – aggiunge la preside Uras – Se una classe è composta da 28/30 alunni come facciamo a dimezzarla? La situazione è complessa da definire, però bisogna trovare delle soluzioni e assumersi responsabilità delle scelte. Capiamo la difficoltà ma ci aspettiamo un po’ di più. Non si può scaricare così nell’incertezza. Abbiamo bisogno di strumenti».

Mentre il presidente dell’Associazione nazionale presidi del Lazio, Mario Rusconi, sottolinea: «Siamo veramente perplessi perché se le linee guida diventeranno operative si attribuisce quasi completamente alle scuole la ricerca degli spazi esterni e la rimodulazione degli orari senza riconoscere ulteriore personale e modificare il numero di alunni per classe».

Linee guida per il rientro a scuola. Presidi e sindacati: così non si può fare

da Corriere della sera

Non sono piaciute le linee guida per settembre. Troppo generiche, caotiche, inutili e tardive, le definiscono le opposizioni, dalla Lega a Più Europa. Spaventano i presidi che temono lo «scaricabarile». Scontentano persino un partito di maggioranza come Italia Viva e persino un sindacato, la Cisl che in questi ultimi mesi ha cercato mediazioni e accordi per far riuscire a gestire l’emergenza. « Non c’è ancora un’idea definita e mancano gli obiettivi: si riapre la scuola per garantire la sicurezza e l’attività formativa o rischiamo di dover rivedere dopo pochi giorni tutti gli assetti organizzativi e didattici ?», si chiede Maddalena Gissi, segretaria generale della Cisl-scuola. Più dura la Uil che, per bocca del suo segretario Pino Turi, paventa il rischio di una «privatizzazione dell’istruzione pubblica» attraverso il cavallo di troia dei «patti di comunità» fra scuola e realtà varie (pubbliche ma anche private, appunto) del territorio. Le critiche arrivano un po’ da tutti e così la ministra Lucia Azzolina è costretta a twittare una prima replica: aspettate, il senso, vedo in giro interpretazioni che non sono corrette. Ma intanto il comitato «Priorità alla scuola» ha indetto per domani, giovedì 25 giugno, una giornata di mobilitazione in 60 piazze italiane per chiedere la riapertura delle scuole in presenza e in sicurezza di tutte le scuole, dai nidi alle università, a tempo pieno. All’iniziativa aderisce anche la FLC-Cgil che, del piano del governo, contesta «la totale mancanza non solo di risorse – nota il segretario Francesco Sinopoli – ma anche di prospettiva».

I presidi: il sabato non è la soluzione

Si riferisce al fatto che quella che circola è una bozza, sicuramente. Ma anche ai timori dei presidi. Che nell’impostazione del documento del Miur diventano i veri protagonisti dei prossimi mesi:ognuno di loro dovrà ridisegnare spazi e orari della propria scuola. «Ci aspettavamo delle indicazioni specifiche ad esempio su livello minimo di servizio, si demanda tutto a dei tavoli regionali composti da tantissime persone che avranno difficoltà a dar risposte concrete e operative – spiega Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi – Il Piano prevede che a settembre le lezioni si estendano alla giornata del sabato ma, fa notare Giannelli, il sabato «ci sono già scuole che lo fanno, non è né un problema né una soluzione, quello che conta è il numero di ore di lezione effettivamente erogate. Su questo mancano indicazioni, dal documento non riesco a capire se è possibile apportare uno sconto al numero di ore complessive purché garantite a tutti oppure no, non cambia nulla farlo in cinque o sei giorni». A proposito dell’autonomia Giannelli specifica che «non è mai decollata per mancanza di risorse e di libertà di gestione dei dirigenti scolastici del personale delle risorse economiche e logistiche, in modo più chiaro di come è stato fatto negli ultimi vent’anni, su questi due punti purtroppo non ci siamo». Per dirla con il suo collega dell’Associazione presidi di Roma Mario Rusconi: qui si gioca allo scaricabarile, altro che autonomia.

«Decida la politica»

Tra i più critici c’è il partito di Matteo Renzi: «Il ministero dell’Istruzione non decide e lascia che le regole sulla riapertura delle scuole le decida il Comitato tecnico scientifico. Chi conosce le scuole sa che così o raddoppiamo spazi, docenti, e quindi risorse economiche, oppure si dividono le classi e si fa lezione a turni o in didattica a distanza, oppure, ed è un rischio vero, non si riapre». . A dirlo sono Gabriele Toccafondi, Daniela Sbrollini e Michele Anzaldi, componenti di Italia Viva in commissione Cultura a Camera e Senato. «La politica ha il diritto e il dovere di decidere, ascoltando tutti gli esperti, Cts compreso ma poi la scelta spetta al governo». Sarà un caos chiosa dall’opposizione l’ex ministra Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera.

Ingressi a turno, lezioni brevi Ecco come si tornerà a scuola

da Corriere della sera

Gianna Fregonara

Turni giornalieri o settimanali, riorganizzazione delle classi dividendole in più parti, lezioni per gruppi di studenti di classi diverse (e anche di anni diversi), riunificazione di materie simili per spiegazioni comuni. E poi possibilità di ridurre la durata delle lezioni a 45-50 minuti, frequenza anche il sabato e per le sole scuole superiori didattica mista, un po’ in classe, un po’ online, durante tutto l’anno. Si andrà a scuola così da settembre: ogni classe, ogni istituto a modo proprio, sfruttando anche gli spazi esterni «come parchi, teatri, biblioteche, cinema, musei», anche in orari pomeridiani. Ingressi scaglionati — per gli studenti delle superiori fino alle 10 —, file ordinate e distanziate per l’ingresso e attenzione all’uso dei mezzi pubblici fuori dagli orari di punta.Lo prevede la bozza delle linee guida del ministero dell’Istruzione concordata con le Regioni. «È ispirata ai principi di autonomia, flessibilità e semplificazione», spiega soddisfatto il capo della task force del Miur, Patrizio Bianchi. Sarà ora sottoposta ai sindacati, corredata dal nuovo protocollo del Cts, il comitato tecnico scientifico, e inviata ai presidi: toccherà a loro organizzare «le attività scolastiche che riprenderanno in presenza in tutta Italia». In presenza sì, ma rispettando le misure di sicurezza imposte dal Cts alle quali si «fa esclusivo rinvio»: per ora si tratta di mascherine (dai sei anni in su) e distanziamento di un metro, quindi soltanto banchi singoli.

Le Regioni hanno chiesto che se gli studenti sono al banco seduti e distanziati, possano togliere la mascherina. Il Cts è orientato a consentirlo, come del resto è stato per la maturità: durante il colloquio gli studenti possono toglierla. Ma al ministero sperano che da qui a settembre, se la situazione migliora, si possa anche immaginare un ulteriore allentamento delle misure, che semplificherebbe la vita a tutti. Basterebbe anche un chiarimento sul metro di distanza: Pd e Regioni premono perché si declini la regola nella possibilità di mettere uno studente (e un banco) ogni due metri quadrati. L’ipotesi di sottoporre a test sierologici i prof, discussa con il premier Conte, è ancora aperta, anche per il costo.

Nelle linee guida si prevede che le scuole garantiscano il servizio mensa, in quanto importante dal punto di vista educativo: se non basteranno i turni le scuole potranno far predisporre lunch box da consumare in classe.

Una novità su cui il documento del ministero punta particolarmente sono i «patti educativi di comunità», cioè la messa a disposizione da parte degli enti locali di spazi per la scuola (più o meno gratuitamente) e, da parte delle associazioni di volontariato che già operano nelle scuole, di personale per «attività integrative» e/o «alternative alla didattica».

Si tratta di associazioni che a vario titolo di solito già collaborano per attività come musica, sport o teatro, ma finora hanno sempre svolto il loro lavoro assieme o almeno in presenza degli insegnanti. Grazie a questi patti potranno essere coinvolti anche per «attività di sorveglianza e vigilanza degli alunni», cioè per tenere gli alunni da soli, in sostituzione dei docenti.

A pranzo

È previsto il ripristino del servizio mensa, anche per il suo valore educativo

Che cosa si farà invece sul fronte del personale, che i sindacati e i partiti di maggioranza come il Pd e Leu chiedono di aumentare? Potrebbero arrivare degli insegnanti aggiuntivi in alcune scuole o, come scrive il ministero, «in specifiche situazioni», ma si deciderà più avanti quando saranno chiare le disponibilità di spazi e le criticità. C’è un miliardo da destinare al personale, anche perché con più spazi da gestire e più pulizie da fare, serviranno assistenti e bidelli.

Regole particolari sono previste per le scuole dell’infanzia, per le quali il documento scende nel dettaglio: «È previsto che i bambini non portino la mascherina e che gli educatori usino protezioni che non li rendano irriconoscibili», dunque le visiere trasparenti ed eventualmente i guanti.

Gli ingressi nelle materne potranno essere scaglionati tra le 7.30 e le 9. I bambini resteranno sempre con lo stesso gruppo, non potranno portare giocattoli da casa e dovranno anche mangiare nei locali a loro adibiti, se la mensa non avesse i requisiti necessari ad accoglierli.

Se dovesse ritornare la necessità di rinchiudersi in casa, si ricorrerà alla didattica a distanza, ma le chiusure delle scuole potranno essere selettive e la didattica sarà organizzata in base a nuove disposizioni che sono in via di preparazione assieme a una piattaforma per i contenuti didattici. Potranno comunque andare in classe, anche in caso di lockdown, gli alunni con disabilità e i figli di personale sanitario le cui prestazioni siano ritenute indispensabili. Il ministero predisporrà anche convenzioni con i gestori della telefonia mobile per far avere sconti agli alunni e al personale scolastico.

Come se non bastasse, da settembre presidi e professori avranno una nuova materia con la quale cimentarsi: l’educazione civica. I dirigenti avevano chiesto di soprassedere viste le difficoltà a trovare spazi e docenti per far tutto.

Distanziamento a scuola? No, classi accorpate anche da 30 alunni

da Corriere della sera

Gianna Fregonara e Orsola Riva

Si scrive distanziamento ma si legge affollamento. Può sembrare incredibile, ma mentre governo e regioni discutono sulla giusta distanza da tenere in classe (un metro lineare fra un banco e l’altro o due metri quadri per alunno?) e non si sa ancora quando si tornerà a scuola (anche se la data del 14 settembre sembra condivisa da tutti), i presidi degli oltre 8.000 istituti scolastici italiani già da diverse settimane sono alle prese con la formazione delle classi «come se» l’emergenza coronavirus non ci fosse mai stata. Già il 10 aprile, al culmine dell’epidemia, i dirigenti hanno ricevuto dal Miur una nota con cui da un lato si annunciava urbi et orbi la lieta novella che gli organici scolastici sarebbero rimasti invariati nonostante il calo demografico, che fa prevedere per l’anno prossimo 50 mila studenti in meno. Dall’altro però, poiché l’esecutivo non ha voluto mettere mano alla normativa vigente, quella stessa nota ministeriale legava mani e piedi ai dirigenti, soprattutto delle scuole superiori, ribadendo che le prime classi devono avere almeno 27 alunni e che, nel passaggio dal primo al secondo biennio, se una sezione ha meno di 22 alunni, va smembrata punto e basta smistando i ragazzi in altre classi.

Le classi pollaio

Spiega Nadia Buraglio, vice preside del liceo scientifico Frisi di Monza: «Il criterio nella formazione delle terze superiori è sempre lo stesso: il divisore fra numero totale degli studenti e classi deve fare 27. Se sono di meno si procede agli accorpamenti». Ma smistare gli studenti alla fine della seconda vuol dire fare apposta a formare delle classi da quasi trenta alunni. Il tutto proprio mentre il governo ha dato ordine alle direzioni regionali di provvedere a una mappatura dei territori per capire di quali spazi dispongano le singole scuole e quante potrebbero già così, con qualche piccolo aggiustamento, garantire la giusta distanza fra gli alunni e per quante altre invece debbano essere individuati dei locali aggiuntivi.

Lo spazio vitale

La senatrice grillina Laura Granato ha annunciato ieri che per il M5S si potrebbe abbandonare l’indicazione della Protezione civile di un metro lineare fra i banchi . E’ una misura che anche le regioni considerano inapplicabile. Lo dice anche il capo del sindacato dei presidi Antonello Giannelli: «Renderebbe inservibile il 40 per cento delle aule in tutto il Paese». Il suggerimento che viene sia dalle regioni che da una parte della maggioranza è un assai più flessibile rapporto alunno-superficie di poco meno di 2 metri quadri (per la precisione 1,80 – equivalente a un quadrato di lato 1,34 – nelle scuole materne, elementari, medie e 1,96 – in pratica un quadrato di lato 1,40 – nelle scuole superiori).

Test sierologici per tutti?

Del resto, a quanto par di capire, il governo si starebbe orientando per assumere soprattutto più collaboratori scolastici (indispensabili per tutte le operazioni connesse alla sanificazione e alla sicurezza degli istituti) e più educatori e maestre per le materne e le elementari (dove la didattica in presenza è assolutamente indispensabile), mentre alle medie e alle superiori punterebbe ad accorciare la durata delle lezioni (da 60 a 40-50 minuti, è lasciato all’autonomia scolastica decidere). E’ da capire se avrà seguito la proposta che circola in queste ore di chiedere ai docenti di lavorare fino a 24 ore alla settimana in classe anziché le 18 di base (pagando la differenza, naturalmente): questo consentirebbe di recuperare forze per le lezioni in caso le classi dovessero essere divise poi a metà per mantenere il distanziamento. Intanto si fa largo nel dibattito – oltre all’uso della mascherina limitato agli spazi comuni e non in classe – l’idea di sottoporre gli insegnanti e il personale scolastico al test sierologico all’inizio dell’anno: lo vorrebbero fare la Campania e il Lazio, ma lo stanno valutando anche altri governatori.

Non si cambia la legge

Da Milano a Roma sono decine i licei e gli istituti tecnici e professionali che si sono visti in queste settimane recapitare provvedimenti di taglio delle classi nel passaggio dal biennio al triennio. Spiega Roberta Fantinato, preside dello storico liceo classico Minghetti di Bologna: «Gli uffici scolastici territoriali ci hanno assegnato gli organici come se non ci fosse stata l’emergenza Covid. Con l’ulteriore paradosso che quest’anno – proprio per via della chiusura delle scuole durante l’epidemia – nessuno è stato bocciato. E di conseguenza, senza la consueta tosatura delle classi alla fine del primo biennio, le terze sono molto più affollate del solito».

I  casi più eclatanti

Ci sono regioni come le Marche in cui alcune scuole hanno per tutto il percorso delle superiori più di trenta alunni per classe con punte fino a 42. Trentuno prof del liceo classico Tasso di Roma hanno scritto al provveditore per chiedere un ripensamento: ci sono 11 seconde con 21 studenti in media, che il prossimo anno avrebbero dovuto diventare delle terze con lo stesso numero di alunni, visto che non ci sono stati bocciati. Sono state previste, però, solo 9 terze con 27 studenti. A Milano sono otto gli istituti superiori coinvolti dagli accorpamenti. A Varese, è andata anche peggio agli studenti del liceo Manzoni: hanno protestato contro la scelta della preside di dividere una seconda di 19 alunni. Il preside ha spiegato che è già andata bene così perché è stata «tagliata» una sola classe quest’anno e in cambio la scuola ha ottenuto di avere una prima in più, per dividere i ragazzi e le ragazze che arrivano e che spesso si trovano in classi molto numerose. A Urbino, al Liceo Scientifico Statale Luciano Laurana di Urbino, si vuole passare da 6 a 5 terze, con una classe con ben 32 studenti. A Bagno di Ripoli, alle porte di Firenze, i rappresentati dei genitori delle classi seconde dello scientifico e del linguistico Gobetti hanno scritto al direttore regionale del Miur per denunciare in nome e per conto di tutti i genitori il disaccordo con la scelta effettuata di accorpare le tre seconde scientifico in due terze e le attuali cinque del linguistico in quattro terze. A Tolentino nelle Marche è intervenuto addirittura il sindaco per salvare dall’accorpamento le classi quarte del Liceo Classico «Filelfo», con una delibera della giunta: l’amministrazione è pronta ad agire anche per vie legali.

Famiglie, presidi e docenti sul piede di guerra: “Se continua così a settembre dovremo occuparle le scuole”

da la Repubblica

ROMA. “Classi spezzettate in piccoli gruppi con alunni dalle età diverse. Lezioni di quaranta minuti anziché sessanta. Insegnamenti trasversali per accorpare materie e risparmiare un po’ di ore. Didattica mista, metà in presenza e metà a distanza, per gli studenti delle superiori. Non è questa la scuola che vogliamo”. A poche ore dalla diffusione della bozza del Piano scuola 2020-2021, che indica le linee guida per il rientro sui banchi a settembre, i commenti di genitori, presidi e insegnanti sono impietosi. Nessuno, almeno a una prima lettura delle tracce ministeriali, sembra essere soddisfatto. “Il documento dice l’esatto contrario di quello che chiediamo – attacca Costanza Margiotta, portavoce del comitato di genitori ‘Priorità alla Scuola’ che, domani, protesterà in 60 piazze d’Italia -. In questo modo il governo punta a scrollarsi di dosso ogni responsabilità facendo ricadere tutto sui presidi, ma non si rende conto che farà un danno enorme ai nostri ragazzi. Imponendo turni, riducendo la didattica, prevedendo l’esternalizzazione di alcuni servizi e mettendo nello stesso gruppo alunni di prima e quinta elementare si perde ogni continuità nella programmazione didattica”. Il prezzo più grande sarà pagato dai ragazzi: “Gli studenti si ritroveranno con grosse lacune e le diseguaglianze aumenteranno – aggiunge Margiotta e provoca -. Per non parlare del fatto che non è specificata alcuna indicazione sui protocolli sanitari da rispettare. La nostra diventerà una manifestazione contro le linee guida e, se le cose non cambieranno, a settembre non porteremo i ragazzi nelle scuole, finirà che dovremo occuparle». Preoccupati anche i dirigenti scolastici, sulle cui teste peserà ogni decisione da prendere. “Ognuno di noi dovrà cimentarsi in un gioco degli incastri ridisegnando spazi, composizione delle classi, turnazione dei ragazzi e degli insegnanti – afferma Alessandro Artini dell’Associazione nazionale presidi -. I nostri istituti non sono adeguati ad affrontare da soli questa situazione, mancano gli spazi e mancano i docenti. Nella bozza delle linee guida si parla di un miliardo destinato al personale, ma più che ai docenti si fa riferimento agli Ata. Certo si tratta di un aiuto indispensabile, ma certo non si può pretendere che un custode passi un’ora intera a sorvegliare una classe in attesa che arrivi l’insegnante impegnato in un’altra lezione. Questa è follia”.

Critici i sindacati che, nel pomeriggio, saranno convocati proprio per discutere la bozza. “La prima impressione è che manca del tutto la premessa più importante, che è quella degli investimenti – osserva Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil -. I soldi ci sarebbero, dai fondi strutturali senza vincoli già da adesso, alle risorse del Recovery fund a quelle del Mes. Il punto è che è questo il momento di decidere dove dirottarle e la scuola non può essere dimenticata. Per far ripartire a pieno ritmo gli istituti tra personale, interventi di edilizia e dispositivi di sicurezza, occorrerebbero almeno 2,9 miliardi di euro in più”.

Nell’incontro verrà chiesto un cambio di marcia: “Non solo non sono previsti docenti in più, ma con lo slittamento del concorso e quindi delle assunzioni a ottobre i ragazzi si ritroveranno il primo giorno di scuola con 200 mila supplenti – aggiunge Sinopoli -. Per di più scaricare la responsabilità sulle scuole avrà un effetto pericolosissimo per cui assisteremo all’aumento delle differenze tra i territori più attrezzati in grado di organizzarsi e quelli più poveri e periferici destinati a essere ancor più in difficoltà. Infine, occorrerà avviare un confronto sui protocolli di sicurezza: la nostra proposta è stabilire un presidio sanitario in tutte le scuole”.

Scuola: in piazza per protestare contro doppi turni e lezioni di 40 minuti

da la Repubblica

Valeria Strambi

Migliaia di genitori, insegnanti e studenti arrabbiati si preparano a scendere in piazza. Da Torino a Palermo, passando per Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma e Napoli: in sessanta città d’Italia, giovedì 25 giugno alle 18, il mondo della scuola si ribella. Pronto a chiedere un rientro sui banchi a settembre in completa sicurezza, senza la didattica a distanza, senza i turni tra gli studenti costretti a stare metà in classe e metà a casa per mancanza di spazi, senza le ore di lezione ridotte a 40 minuti.

A chiamare a raccolta le famiglie di tutta Italia è il comitato “Priorità alla scuola” che, in pochi mesi, è riuscito a raccogliere migliaia di adesioni. Tutto è partito ad aprile da Firenze, quando la mamma e docente universitaria Costanza Margiotta scrisse un’accorata lettera alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, invitandola a pensare al più presto a delle soluzioni concrete per far tornare gli alunni in classe. Da allora nessuna risposta, neppure dopo la manifestazione del 23 maggio che coinvolse migliaia di persone in 19 piazze d’Italia.

“Mentre il governo è ancora indeciso sulle linee guida per il rientro a settembre, noi torniamo a farci sentire al grido di ‘Ora o mai più: spazio per la scuola, spazio alla scuola’ – annuncia Margiotta -. Non ci hanno voluto ascoltare, non ci hanno voluto coinvolgere e per questo siamo in clamoroso ritardo. La maggior parte degli istituti è impreparato ad accogliere tutti i ragazzi, gli spazi sono insufficienti, le risorse per interventi strutturali non si sa se e quando arriveranno e gli insegnanti non bastano a coprire gli eventuali gruppi di studenti che verranno divisi”.

Il comitato, che vedrà al suo fianco in piazza 48 organizzazioni nazionali e decine di associazioni tra cui Cobas Scuola, Flc Cgil, collettivi studenteschi, docenti precari, Non Una di Meno e universitari, chiede lo stanziamento di fondi extra, un numero adeguato di insegnanti e personale Ata, più spazi per gli istituti, investimenti strutturali per l’edilizia e protocolli di prevenzione sanitaria. Ma non solo, ribadisce un sonoro “no” alla riduzione del tempo scuola, alle lezioni da 40 minuti anziché 60, alla prosecuzione della didattica a distanza e all’esternalizzazione di servizi educativi per completare il tempo scuola.

“Se quanto delineato dal ministero porterà a una scuola classista, dove aumenteranno le diseguaglianze e dove andranno avanti solo i figli di chi potrà permettersi insegnanti privati a casa per le lezioni di recupero, noi combatteremo ancora di più” conclude Margiotta, che promette nuove manifestazioni nel caso in cui non vengano trovate soluzioni eque in ogni angolo del Paese e nel caso in cui a settembre non sia garantito il diritto allo studio per tutti.

Ecco le sessanta città nelle quali i genitori andranno in piazza: Firenze, Roma, Milano, Faenza, Trento, Ravenna, Genova, Reggio Emilia, Pisa, Livorno, Pontedera, Perugia, Cremona, Lucca, Ancona – Civitanova Marche, Parma, Vicenza, Arezzo, Pistoia, Torino, Padova, Ferrara, Napoli, Collegno (Torino), Vercelli, Brescia, Verona, Prato, Matera, Taranto, Aosta, Bologna, Forlì, Sassari, Sanremo, Potenza, Torre Pellice (Torino), Imola, Palermo, Terni, Cuneo, Cesena, Cosenza, Mantova, Caserta (in piazza venerdì), Benevento, Massa Carrara, Modena, Mondoví (Cuneo), Aci Castello (Catania), Pescara, Catania, Siracusa, Sacile (Pordenone), Salerno, Varese, Pavia, La Spezia.

Scuola, Azzolina decide di non decidere “Scelgano i presidi come ripartire”

da la Repubblica

Michele Bocci

Restano le mascherine, almeno per ora, le classi non saranno spacchettate ma gli alunni che le compongono potrebbero fare attività diverse nelle stesse ore. Inoltre forse si andrà a scuola ovunque, si entrerà e si uscirà a orari scaglionati, e anche il sabato. Sono tutti suggerimenti, tranne quello che riguarda i dispositivi di protezione, perché il ministero dell’Istruzione nella bozza delle linee guida per la ripresa della scuola il 14 settembre presentata a sindacati e Regioni, fa continui rimandi ad altri documenti e proposte già presentati.

Intanto si citano le conclusioni di fine maggio del Comitato tecnico scientifico. Poi, demandando di fatto gran parte delle decisioni alle amministrazioni locali, agli uffici scolastici regionali e ai presidi, si chiama in causa l’autonomia. Questa è definita «strumento privilegiato per elaborare una strategia di riavvio dell’anno scolastico che risponda quanto più possibile alle esigenze dei territori di riferimento nel rispetto delle indicazioni sanitarie». Il ministero parla di «esempi», dà indicazioni apparentemente non vincolanti. Si parla di «riconfigurazione del gruppo classe in più gruppi di apprendimento ». Quindi, si propone di far lavorare gli alunni della stessa classe in ambienti diversi (in aula e in un laboratorio, ad esempio). Allo stesso tempo potrà esserci una «articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi da diversi anni di corso». Si potranno cioè creare gruppi di studio eterogenei anche per età. Poi c’è la possibilità di fare turni di frequenza differenziati. E per le scuole superiori si suggerisce «una fruizione per gli studenti di attività didattica in presenza e didattica digitale integrata », cioè a distanza. E poi si dà la possibilità di estendere il tempo scuola, dove non previsto, anche al sabato. Detto questo, si torna sull’autonomia: «Le istituzioni scolastiche avranno cura di garantire, a ciascun alunno, la medesima offerta formativa, ferma restando l’opportunità di adottare soluzioni organizzative differenti, per realizzare attività educative o formative parallele o alternative alla didattica tradizionale». Di fatto la responsabilità su come organizzare la didattica viene lasciata al livello locale.

Il ministero punta anche sui patti di comunità, con enti locali e associazioni che potrebbero mettono a disposizione spazi — come teatri e biblioteche — per le scuole. A livello regionale si chiarirà anche di quante assunzioni c’è bisogno, a seconda delle esigenze nate dalla nuova organizzazione. C’è un miliardo di euro a disposizione per l’operazione e per scuole dell’infanzia ed elementari si parla già di 10-20 mila persone in più che entrerebbero.

Riguardo alle mascherine dai 6 anni in su, si è chiesto al Cts di non farle indossare mentre si seguono le lezioni al banco ma solo negli spostamenti nella scuola. Il comitato però non è d’accordo e ha proposto di aspettare la fine dell’estate. Dire già oggi che l’utilizzo delle mascherine a scuola può essere ridotto significherebbe dare un segnale di eccessivo ottimismo a tutta la popolazione. Forse invece si deciderà subito di ammorbidire le regole sulla distanza, passando da un metro tra un banco e l’altro a 1 metro tra ogni alunno. E se dovesse tornare il lockdown, con la didattica online, continueranno ad andare a scuola gli alunni disabili e i figli di chi lavora in sanità. Da settembre in tutte le scuole esordirà l’educazione civica, materia che avrà un voto in pagella.

Ecco il Piano Scuola, così si tornerà in classe a settembre

da la Repubblica

Frequenza scolastica in turni differenziati, organizzazione della classe in più gruppi di studio, formati anche da alunni di diverse classi ed età. Scuola anche al sabato, dove non già prevista, su delibera degli organi collegiali.

L’attività didattica a distanza resterà, ma solo in misura marginale e solo per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, dove “le opportunità tecnologiche, l’età e le competenze degli studenti lo consentono”. E le mense sono confermate, anche se bisogna capire ancora come organizzarle.

Sono queste alcune delle indicazioni contenute in una bozza del Piano scuola 2020-2021, che indica le linee guida per la ripresa dell’attività scolastica a settembre. Nel testo che la ministra Azzolina ha inviato alle parti sociali, non si parla di mascherine obbligatorie, di strutture in plexiglass e divisori tra alunni. C’è solo un rinvio alle disposizioni di maggio del comitato tecnico che parlavano di un metro di distanza tra le persone e di uso obbligatorio di mascherine dai 6 anni in su. Ma entro giovedi si attendono novità  Le Regioni avevano chiesto di mantenere l’obbligo soltanto negli spazi comuni e non al banco.

Il piano

Sarà dunque una ripresa delle lezioni all’insegna della diversità e della libera scelta, con una grande autonomia da parte dei presidi che decideranno il come pianificare il lavoro e cercare di garantire il ritorno allo studio. Sarà possibile in classe, on line e anche in spazi fuori dalle  scuole. Ci saranno i turni per fare lezione tra i banchi, alcune classi saranno divise in gruppi per materie o ci saranno aggregazioni di studenti di diverse età.

Materne

Niente mascherina per i bambini delle scuole per l’infanzia e per non spaventarli gli educatori non potranno usare protezioni che nascondano il volto, quindi sì alle visiere di plexiglas e agli ingressi scaglionati tra le 7.30 e le 9 anche se non potranno portarsi giocattoli da casa e dovranno mangiare negli stessi locali.

Non solo in classe

Gli enti locali, le associazioni di volontariato che già lavorano con gli studenti potranno, spiega il testo, mettere a disposizione spazi per la scuola e seguire i ragazzi.

Insegnanti e bidelli

Il testo non prevede, almeno in modo esplicito, un aumento del personale docente, pur prevedendo dimezzamenti di classi e quindi una maggior necessità di professori. si parla solo di un miliardo di euro da destinare al personale, sembra però soprattutto bidelli.

Educazione civica

Il Ministero dell’Istruzione ha inviato anche  tutte le scuole le Linee guida per l’insegnamento dell’Educazione civica. A partire dal prossimo anno scolastico, il 2020/2021, questo insegnamento, trasversale alle altre materie, sarà infatti obbligatorio in tutti i gradi dell’istruzione, a partire dalle scuole dell’infanzia.

Le Linee guida rappresentano un documento agile e di facile consultazione, attraverso il quale i dirigenti scolastici e gli insegnanti potranno dare seguito alle regole che entreranno in vigore a settembre.

Secondo quanto previsto dalla legge 92 del 2019, infatti, l’insegnamento di Educazione civica avrà, dal prossimo anno scolastico, un proprio voto, con almeno 33 ore all’anno dedicate. Tre gli assi attorno a cui ruoterà l’Educazione civica: lo studio della Costituzione, lo sviluppo sostenibile, la cittadinanza digitale.

Riapertura settembre, ecco su cosa si dovranno formare i docenti. BOZZA LINEE GUIDA

da Orizzontescuola

di redazione

Pubblicata in anteprima dalla nostra redazione la bozza contenente le linee guida che il Ministero si sta prestando ad inviare alle scuole contenente le modalità di rientro a settembre. All’interno troviamo una serie di indicazioni che vanno dall’organizzazione didattica alla formazione del personale.

Per quanto riguarda la formazione del personale docente, la bozza invita le istituzioni scolastiche ad organizzare, singolarmente o in rete, attività di formazione specifica in materia di utilizzo delle nuove tecnologie “al fine di non disperdere e potenziare ulteriormente le competenze acquisite nel corso del periodo di sospensione delle attività didattiche”.

A titolo esemplificativo e non esaustivo, la  bozza indica alcune areee tematiche sulle attività formative da avviare per il 2020/21:

  • metodologie innovative di insegnamento e di apprendimento
  • metodologie innovative per l’inclusione scolastica
  • modelli di didattica interdisciplinare
  • modalità e strumenti per la valutazione, anche alla luce di metodologie innovative di insegnamento e di apprendimento realizzate, ad esempio, attraverso le tecnologie multimediali

Scarica bozza linee guida

Licei classici e scientifici, avviso MI percorso Biologia con curvatura biomedica: domande entro 20 luglio

da Orizzontescuola

di redazione

Avviso n. 10403 del 24 giugno 2020 del Ministero dell’istruzione per l’individuazione di licei classici e scientifici in cui attuare il percorso di potenziamento orientamento “Biologia con curvatura biomedica”.

Il fine è quello di favorire l’acquisizione di competenze in campo biologico, grazie anche all’adozione di pratiche didattiche attente alla dimensione laboratoriale, e di orientare le studentesse e gli studenti che nutrono un particolare interesse per la prosecuzione degli studi in ambito chimico-biologico e sanitario.

Il percorso sarà di durata triennale (con un totale di 150 ore) a partire dal terzo anno del corso di studi; il monte ore annuale sarà di 50 ore di cui 40 presso i laboratori degli Istituti coinvolti, con la formula dell’impresa formativa simulata, e 10 ore presso le strutture sanitarie individuate dagli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri Provinciali, in modalità di alternanza scuola-lavoro.

Chi può candidarsi

Possono candidarsi tutti i licei classici e scientifici statali e paritari, i licei scientifici statali e paritari con opzione “Scienze applicate” e i licei scientifici statali e paritari con sezione ad indirizzo sportivo.

Domande

Le domande di partecipazione dovranno essere inoltrate a partire dal giorno 30 giugno 2020 e non oltre le ore 23:59 del giorno 20 luglio 2020.

avviso MI

Rientro a settembre, ecco su cosa si dovrà formare il personale ATA

da Orizzontescuola

di redazione

Ieri pubblicate in anteprima la bozza contenente le linee guida per il rientro a settembre. All’interno indicazioni alle scuole sull’organizzazione didattica e sulla formazione del personale.

Per quanto riguarda il personale ATA, la bozza richiede alle scuole l’organizzazione di attività formative in materia di utilizzo delle nuove tecnologie in un’ottica di smart working, in base alle diverse mansioni.

In particolare, per il personale ATA, gli ambiti indicati sono:

  • organizzazione del lavoro, collaborazione e realizzazione di modelli di lavoro in team (tutto il personale ATA)
  • principi di base dell’architettura digitale della scuola (tutto il personale ATA)
  • digitalizzazione delle procedure amministrative anche in relazione alla modalità di lavoro agile (Assistenti amministrativi e tecnici)

Scarica bozza linee guida

Linee Guida rientro, riunione notturna Governo-Regioni per arrivare all’approvazione. Azzolina: lavoriamo h24

da La Tecnica della Scuola

Il ritorno in classe a settembre è diventato una questione di Governo: nella tarda serata di mercoledì 24 giugno è stata allestita una riunione dell’esecutivo Conte con i rappresentanti delle varie Regioni, al fine di accelerare la chiusura delle Linee Guida per la riapertura delle scuole.

All’incontro, svolto in videoconferenza, si sono presentati i ministri Lucia Azzolina, Francesco Boccia, Roberto Speranza, con il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini, alcuni governatori tra cui Toma, Fedriga, Fontana, e assessori regionali all’istruzione.

Sull’esito della riunione ha speso parole di ottimismo la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina.

“Lavoriamo anche stanotte con i tecnici per chiudere le linee guida e proviamo a portarle domani in Conferenza Unificata” con le Regioni, Province e Comuni, avrebbe detto, a quanto si apprende da fonti presenti all’incontro, la responsabile del dicastero di Viale Trastevere.

Soddisfatto il ministro Boccia

Non è chiaro se l’incontro abbia effettivamente spianato la strada in vista del confronto decisivo previsto tra i vari governatori per giovedì 25 giugno.

Secondo il ministro per gli Affari Regioni Francesco Boccia “il documento della scuola è ben fatto” e suggerisce lo stesso metodo utilizzato “per le mille intese durante l’emergenza Covid-19”: quello di raccogliere tutte le istanze. E rivolto alle Regioni, Boccia ha sostenuto: “diamo un bel segnale al Paese se su un tema così importante riusciamo a trovare subito un’intesa”.

Per i presidi non ci siamo

Rimane il problema della mancanza di adeguati finanziamenti per assicurare la ripartenza e il fatto che troppe responsabilità ricadrebbero sui dirigenti scolastici, senza nemmeno fornire loro strumenti necessari per operare.

“Non si può chiedere ai dirigenti scolastici e al personale di rispondere in solitudine alle esigenze delle famiglie e alla necessità di garantire il servizio a organico e risorse invariate”, ha detto polemicamente Paola Serafin, Cisl Scuola, responsabile dei dirigenti scolastici del sindacato.

Oltre 300mila docenti italiani hanno più di 54 anni. Ecco tutti i numeri per età e scuola

da La Tecnica della Scuola

Quanti sono i docenti italiani? Secondo gli ultimi dati disponibili, all’anno scolastico 2017-2018, sono oltre 730mila i professori di titolari. Oltre 30mila docenti ha più di 54 anni.

Ecco la suddivisione per classe di età e ordine di scuola

Fino a 34 anni

Infanzia 3,6% (3.120)
Primaria 4,4% (10.746)
Scuola media 2,8% (4.461)
Scuola superiore 1,8% (4.520)

35-44 anni

Infanzia 21% (18.422)
Primaria 22,2% (54.732)
Scuola media 21,8% (34.216)
Scuola superiore 16,1% (39.467)

45-54 anni

Infanzia 37,4% (32.857)
Primaria 38,2% (94.139)
Scuola media 34,6% (54.345)
Scuola superiore 34,6% (86.136)

Oltre 54 anni

Infanzia 38,0% (33,349)
Primaria 35,2% (86.820)
Scuola media 40.8% (64.231)
Scuola superiore 47.5% (116.682)

Riapertura scuole: le linee guida, l’autonomia e un sistema scolastico più equo

da La Tecnica della Scuola

Nella bozza contenente le Linee guida del Ministero dell’Istruzione per il ritorno in aula a settembre, si legge che occorre valorizzare l’autonomia delle sedi scolastiche anche attraverso la realizzazione dei cosiddetti Patti di comunità.

Valorizzazione dell’autonomia e patti di comunità: proposte realmente interessanti.
Puntare sull’autonomia delle scuole è fondamentale e prepara al pieno compimento della legge sull’autonomia, l’eterna incompiuta.

L’organizzazione pratica della ripresa delle attività sarà infatti coordinata da Tavoli regionali e affidata ai Dirigenti scolastici che, in una logica sussidiaria, potranno «avvalersi di ulteriori forme di flessibilità sulla base degli spazi a disposizione e delle esigenze delle famiglie e del territorio», come si legge nella bozza.

La seconda proposta è quella dei Patti di comunità.

Essi nascono dalla necessità di recuperare ulteriori spazi per la didattica, con il coinvolgimento degli Enti locali, dei privati, delle associazioni di volontariato e del terzo settore, con l’obiettivo di «favorire la messa a disposizione di parchi, teatri, biblioteche, cinema, musei al fine di potervi svolgere ulteriori attività didattiche o alternative a quelle tradizionali comunque volte a finalità educative». Patti che permettono ai 7 Mln di studenti della scuola statale e ai 900 Mila allievi della scuola paritaria di ritornare in classe in tutta sicurezza nei 40 Mila istituti scolastici statali e 12 mila scuole paritarie. In sostanza 8 Mln di studenti nei 52 Mila istituti scolastici potranno fare ritorno a scuola in sicurezza con un piano di redistribuzione che fa appello all’autonomia.

Ripeto: proposte interessanti nelle quali si può intravedere la chiave di volta per rilanciare tutto il sistema scolastico pubblico italiano, statale e paritario. Riconosco nella bozza del documento che sarà oggetto di discussione davvero un reale contributo per il bene dei cittadini, in un’ottica di responsabilità e di alto senso civico. Tutte le scuole faranno la loro parte. Tutte: pubbliche statali e pubbliche paritarie. Autonomia e costruzione di alleanze sul territorio sono intuizioni che, se attuate, consentiranno alla scuola pubblica di riemergere dal pantano nel quale si trova e nel quale rischia di rimanere affossata.

Paradossalmente il covid-19 può divenire, mi sia consentito dirlo nel totale rispetto dei malati e delle loro famiglie, come di tutto il personale sanitario, una opportunità per sanare definitivamente l’iniquità di fondo del sistema scolastico italiano. Realizzare l’autonomia significa, per onestà intellettuale, porre le basi per un sistema scolastico che dia alle famiglie la possibilità di scegliere. Altrimenti non potremmo parlare di autonomia. O meglio, come sempre, di scuole più autonome delle altre, così come adesso ci sono scuole più pubbliche delle altre.

Ormai è chiaro, infatti, che la garanzia del diritto dei genitori a scegliere dove educare i figli, fra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria, a costo zero, avendo – i genitori –  già pagato le tasse –  perché si possa parlare di un sistema scolastico pubblico e autonomo trova la realizzazione concreta nell’introduzione dei costi standard di sostenibilità per allievo. La famiglia sceglie, la scuola paritaria è libera, la scuola statale, come la scuola paritaria, autonoma, entrambe sotto lo sguardo garante dello Stato, con pubblicità dei bilanci e docenti selezionati da albi pubblici (si possono predisporre due albi uno per la statale e uno per la paritaria come nel modello francese). Tutto questo contribuirà a far sì che la legittima riserva del clientelismo e di scuole che sono nei fatti   dei diplomifici non abbia più ragione di esistere.

A pensarci bene, sono venti anni che si parla di libertà di scelta educativa; Luigi Berlinguer credo abbia pagato la Legge 62/2000 con la stroncatura della sua carriera politica e l’esilio in Europa.

Non è possibile liquidare la cosa dando tutta la colpa alla politica prima ideologica, poi incompetente ma sempre pronta a bleffare, come non è possibile attribuire la colpa solo alla divisione del mondo della scuola o agli interessi dei singoli. Qualcosa non ha funzionato e questo qualcosa spero che sarà cancellato dal Covid 19.

Non è un caso che solo quando la scuola paritaria ha trovato la lucidità – e forse ci voleva l’emergenza covid-19 per parlare dei fondamentali senza fronzoli – di dichiarare che non chiede soldi per sè, questo ha prodotto un’ampia concentrazione sulla famiglia e la scuola ha ritrovato la sua giusta dimensione, avvicinando parti che per ragioni lontane erano restie a confrontarsi sul tema. Conseguentemente, lungo questi mesi,  le Famiglie sono scese in campo, virtualmente, certo, ma in modo massiccio; la loro voce ha raggiunto tutta la Penisola, comprese le aule parlamentari. Numerosi politici di tutti gli schieramenti hanno presentato emendamenti.

Certamente l’approccio al tema “scuola” dei Cinque Stelle è molto diverso rispetto al mio: riconosco e apprezzo la loro volontà di eliminare in modo definitivo il fenomeno dei diplomifici. Il problema però è che con esso non si può identificare tutta la scuola pubblica paritaria. Mi chiedo come mai alcuni esponenti del Movimento abbiano scelto la scuola paritaria per i loro figli. Riflettiamo, non andiamo avanti per slogan, proviamo a risolvere in modo definitivo la questione.

In queste ore il Premier Giuseppe Conte con il Governo e le Opposizioni, hanno l’occasione di diventare gli artefici di quella che rappresenta la soluzione vitale per la scuola pubblica e per la famiglia, possono scrivere la 4^ fase della scuola italiana di cui si leggerà nei libri di storia dei prossimi decenni.

La mancata realizzazione dell’autonomia e il diritto negato alla libertà di scelta educativa sono problemi certamente non imputabili a questo governo che, però, e questo fa la differenza, ha solo l’opportunità ora di risolverli per sempre, a 360^.

La conversione del Dl Rilancio in legge è l’occasione perché lo Stato resti accanto ai genitori e non li abbandoni.  Presa questa misura nata dall’emergenza, successivamente si introducano i costi standard di sostenibilità e si superino le attuali discriminazioni economiche che rendono il nostro sistema scolastico sempre più iniquo, classista e regionalista. Come?

  1. Votando e approvando i 7 emendamenti e, in particolare, l’emendamento relativo alla detraibilità integrale del costo delle rette versate alle scuole pubbliche paritarie dalle famiglie nei mesi di sospensione della didattica, tetto massimo 5.500 (che poi è il costo standard di sostenibilità per allievo). Reputo questo emendamento tanto rivoluzionario quanto necessario perché, oltre ad aiutare la famiglia e a salvare la scuola pubblica, sana anni di discriminazione subita dai genitori, dai bambini e ragazzi, dai docenti, quelli più poveri. Non è un favore ai ricchi: tutt’altro. I numeri parlano con la loro schiacciante evidenza. Il passaggio successivo sarà introdurre i costi standard, la pubblicità dei bilanci delle scuole paritarie e statali, in modo tale che entrambe lavorino in autonomia ma sotto lo sguardo garante e controllore dello stato, ivi compresi i docenti assunti da albi pubblici (due albi uno per la statale e uno per la paritaria)
  2. Aiutando i genitori a ritornare sereni al lavoro: con quali misure? Eccole: 1) Fondo straordinario alle scuole paritarie per scontare la retta ai genitori pagata in tempi di covid 19; 2) Esonero dal pagamento dei tributi locali per il 2020 causa emergenza covid 19.
  3. Siglando patti di comunità con le scuole paritarie. Per far ripartire la Nazione dobbiamo fa ripartire la scuola: utilizziamo le 40.749 sedi scolastiche statali e le 12.564 sedi paritarie per consentire agli 8.466.064 studenti di ritornare in classe in sicurezza.

Tutto questo consente di realizzare perfettamente l’autonomia delle scuole e i patti di comunità previsti dalle Linee guida. Ma prima occorre creare un sistema scolastico che dia effettivamente alla famiglia la possibilità di scegliere. Senza tale diritto non esistono né autonomia né patti di comunità.