Le linee guida che portano fuori strada

Le linee guida che portano fuori strada

di Giovanni Fioravanti

Tanto tuonò che piovve, pare abbia detto imperturbato Socrate dopo che sua moglie Santippe gli rovesciò sul capo una brocca d’acqua.

Con altrettanta imperturbabilità accogliamo le linee guida che la ministra Azzolina ha licenziato per l’avvio del prossimo anno scolastico con tavoli e Conferenze a livello regionale e locale.

I tempi non sono stati rapidi, ma dopo comitati tecnico scientifici e task force il ministero dell’istruzione il 26 giugno ha deliberato che  tavoli e conferenze andavano convocati.

Di più, la Ministra con la sua lettera a tutta la comunità scolastica assicura che: “La scuola di settembre sarà responsabile, flessibile, aperta, rinnovata, rafforzata.”

Sì, avete letto bene, cinque aggettivi qualificativi, uno dietro all’altro di fila: responsabile, flessibile, aperta, rinnovata, rafforzata.

Incredibile, dopo mesi di lockdown, di didattica a distanza, nel giro dei mesi estivi, a settembre il paese su tutto il suo territorio avrà una scuola che non ha mai conosciuto prima. O questi hanno lavorato duro per tutti i mesi di chiusura forzata delle scuole o al ministero di viale Trastevere sono dei veri Mandrake a partire dalla loro ministra.

Di colpo scomparsi i ritardi cronici del nostro sistema formativo, anni di tagli e assenze di risorse, differenze tra nord e sud. 

Poi a leggere di seguito capite subito che non poteva essere. Perché la ministra per “responsabile” intende misure di sicurezza, locali puliti e igienizzati, “flessibile” per via degli orari, delle classi, degli ingressi e delle uscite, “aperta” significa alla ricerca di nuovi spazi, per “rinnovata” si riferisce ai locali e agli arredi scolastici, “rafforzata” attraverso il potenziamento dell’organico scolastico.

Allora perché sprecare aggettivi così impegnativi che si prestano ad essere usati più per il contenuto dell’apprendimento e le sue modalità che per il suo contenitore. È come un abito che ha bisogno di essere rovesciato, di aggiustamenti e abbellimenti per poter continuare ad essere portato, ma per chi lo indossa nulla cambia, il tessuto è sempre quello di prima.

È la solita strategia a cui ci stanno assuefacendo, mancano i soldi, le idee e le competenze, ma non le parole roboanti con cui coprire il vuoto. Ha ragione Antonio Scurati che, sulle pagine del Corriere della Sera del 30 giugno, osserva come la pubblicazione delle linee guida, per il rientro in aula il 14 settembre , “ha raggiunto il colmo di una sequenza di incompetenze e incapacità”.

Non solo, c’è di peggio. Ad un occhio attento che non si lasci offuscare dal fumo delle parole non può sfuggire che con quelle linee guida si compie un cambio di prospettiva. Nel loro esordio, infatti, non si rivolgono al paese ma a “…un’intera comunità educante, intesa come insieme di portatori di interesse della scuola e del territorio…”

Alla “comunità educante” e ai “portatori di interesse”, gli stakeholder, direbbero inglesi e americani. Viene da chiedersi cosa sono e dove sono le comunità educanti e i portatori d’interesse. O è il cedimento ad un lessico ormai abusato, con faciloneria e senza pesare il senso delle parole o la “comunità educante e i suoi portatori di interesse”, che per forza di cose variano da realtà a realtà, rappresenta una curvatura pensata e studiata verso l’autonomia differenziata, verso lo spezzatino della scuola della Repubblica e della Costituzione.

Un paese che rinuncia ad avere un suo sistema formativo valido per tutto il territorio per delegare l’istruzione a tante comunità educanti, e, mentre si cita a difesa delle proprie argomentazioni l’art. 3 della Costituzione, non ci si rende conto di compiere passi destinati a vanificarlo.

Quella comunità educante nasconde una preoccupante angustia di prospettiva, un’autarchia da fai da te dell’apprendimento, vanifica il respiro europeo che da decenni  istruzione e formazione dovrebbero avere assunto nel nostro paese.

Ci si è dimenticati, se mai è stato letto, del Libro Bianco che la Commissione europea pubblicò 25 anni fa, giusto nel 1995, in cui si affermava un concetto  nuovo di formazione, in particolare alla funzione di “educazione” si sostituiva quella di “apprendimento continuo”, non comunità educanti ma “società della conoscenza”, fondate sull’apprendimento permanente come impianto dei loro sistemi formativi a partire dalle scuole, dai loro curricoli e dalla loro organizzazione.

Scrive Scurati che per la scuola dei nostri figli pretendiamo il meglio. Certo, è il paese che innanzitutto dovrebbe pretenderlo, ma la questione del sistema formativo pare del tutto scomparsa dal nostro orizzonte concettuale e politico. 

La scuola delle linee guida non vede oltre il prossimo anno scolastico come se la questione riguardasse la sola contingenza del Corona virus. 

Il paese pare ancora sotto l’anestesia del lungo lockdown, con un letargo del pensiero e della politica, quando ci scuoteremo comprenderemo che se vogliamo recuperare venticinque anni di ritardi anche il nostro sistema formativo, vecchio di secoli nel suo impianto, ha necessità del suo Mes o comunque di una cifra almeno equivalente del Recovery fund. 

Ma perché questo possa accadere bisognerebbe realizzare il sogno che Scurati, sulle pagine del Corriere della Sera, dice di aver fatto: “Il sogno che a governare la disastrata scuola italiana ci sia una persona seria, competente, capace, una guida sicura, brillante, eccellente, una persona cui tutti noi affideremmo volentieri il futuro dei nostri figli con piena fiducia, giusta ammirazione, motivata speranza”.

Già questo potrebbe costituire il segnale di una inversione di tendenza, un promettente inizio e ci eviterebbe di finire fuori strada.

Avvio dell’anno scolastico

Avvio dell’anno scolastico: non si perda altro tempo e si facciano le scelte necessarie per riaprire in sicurezza le scuole

Roma, 1 luglio 2020 – La scuola, nella riapertura di settembre, si troverà a dover fare i conti con degli ostacoli che potevano essere rimossi se la Ministra dell’Istruzione avesse fatto alcune scelte immediate e giuste come la FLC CGIL, anche in accordo con altre sigle sindacali, ha chiesto ripetutamente in ogni sede.

Una scelta sbagliata, di carattere ideologico ma mascherata e fatta passare per scelta meritocratica, è stata quella di non assumere da subito i docenti con all’attivo tre anni di servizio (gli anni indicati dalla Corte europea come limite oltre il quale scatta l’obbligo di assumere) ha impedito di immettere immediatamente in ruolo circa 55.000 docenti su circa 87.000 posti che risultano vacanti al 1° settembre 2020.

Lo stesso dicasi della pervicace ostinazione nel non voler bandire un concorso riservato agli Assistenti Amministrativi Facenti Funzione di Direttore dei servizi generali e amministrativi che da almeno da tre anni ricoprono il relativo incarico. Con il risultato di avere a settembre circa 3500 unità scolastiche senza Direttore dei servizi.

Il rinnovo triennale delle graduatorie dei supplenti, scelta da sempre richiesta dalla nostra organizzazione, rischia di non produrre gli effetti voluti perché adottata con molto ritardo.

In questo contesto, si rischia di iniziare il già difficilissimo anno scolastico 2020/21 con oltre 210 mila posti vuoti tra cattedre di posto comune e sostegno (87.000 organico di diritto, 92 mila organico di fatto di cui circa 80 mila sul sostegno) e personale ATA (3500 DSGA, 30 mila altri profili).

Riteniamo che ancora ci siano spazi per rimediare a questi errori: nella legge sulle semplificazioni dove opportunamente si parla di assunzioni per la pubblica amministrazione possono trovare posto proprio queste istanze a torto abbandonate, immettendo in ruolo i docenti che hanno almeno tre anni di servizio e procedendo alla selezione in corso d’anno (dunque, attraverso un concorso selettivo ma a percorso allineato con le esigenze della scuole) e bando del concorso riservato per DSGA.

Il processo decisionale però è in gravissimo ritardo e ci sono domande che attendono risposte tempestive: qual è la consistenza vera delle risorse stanziate e su cui le scuole potranno contare per assumere supplenti? Con quali criteri saranno distribuite tra le scuole tali dotazione di personale?
Su tutto questo chiediamo un confronto immediato perché il tempo è assai scarso e settembre è domani.


Protocollo sulla sicurezza, sindacati convocati per il 2 luglio. Sinopoli: nella scuola un primo presidio sanitario

Roma, 1 luglio 2020 – Le organizzazioni sindacali sono convocate domani 2 luglio al MI per aprire il confronto con il Comitato tecnico scientifico sul protocollo per il rientro a scuola in sicurezza. Francesco Sinopoli, segretario generale della FLC CGIL, lo annunciato ieri durante il suo intervento in un’iniziativa promossa dalla FLC CGIL Nazionale e di Firenze, Proteo Fare Sapere e Camera del Lavoro di Firenze, proprio sul tema della ripartenza in classe a settembre e sull’adozione di comportamenti per il contenimento del contagio.

La discussione, che ha visto la partecipazione, assieme a tante figure della comunità educante, anche di pediatri e psicologi, ha evidenziato quanto sia stato troppo lungo lo stop della didattica in presenza e ha ragionato sulla necessità di una riapertura in sicurezza che solo investimenti adeguati e una politica sinergica tra scuola e sanità possono produrre, attraverso l’adozione di una cultura della prevenzione nelle scuole, pur tenendo conto di ricerche e casistiche che evidenziano bassi numeri di vittime e contagi tra i bambini.

“Molti elementi delle linee guida approvate per il rientro devono essere chiariti come premessa alla definizione di protocolli di sicurezza adeguati – ha affermato Sinopoli nel suo intervento- lasceremo ai tecnici il compito di definire il quadro sanitario, ma se il distanziamento interpersonale è uno strumento, deve essere definito con chiarezza come e quando si mette in atto”.

“Occorrono maggiori risorse per dotare gli istituti di tutti gli strumenti necessari – ha aggiunto il dirigente sindacale- la scuola deve essere un primo presidio sanitario dove, attraverso la collaborazione tra ASL e comunità scolastica, si realizzi una politica della prevenzione e si effettui quella sorveglianza sanitaria alla base di qualsiasi progetto di riapertura. Per fare tutto questo bisogna cambiare la scuola, con investimenti sul personale, riformando i cicli, estendendone il tempo, adeguando i nostri edifici alle normative sulla sicurezza e trasformandoli in luoghi belli dove passare un pezzo importante della propria vita. Su questo la FLC si impegnerà e con queste premesse affronteremo la discussione sulla stesura del protocollo per la riapertura”, ha concluso Sinopoli.

Richiesta di incontro

Prot. 63

Oggetto: Richiesta di incontro

Roma 01 luglio 2020

Al Ministro Lucia Azzolina
Al Capo di Gabinetto Cons. Fiorentino

Visto l’esito dell’informativa resa in data 30/06/2020 dal Direttore Generale per le risorse umane e finanziarie, dott. Jacopo Greco, sulla costituzione del FUN 2018/2019, considerato che la retribuzione dei dirigenti scolastici ha già subito un’importante decurtazione nell’a.s. 2017/2018 e che nei due anni successivi il taglio retributivo assumerà grande rilevanza, costringendo i dirigenti alla restituzione degli emolumenti sin qui percepiti a causa della ultrattività dei Contratti integrativi regionali, le scriventi Organizzazioni sindacali chiedono con urgenza un incontro per affrontare le problematiche retributive dei dirigenti scolastici, peraltro già ripetutamente segnalate da molto tempo.

Cordiali saluti

Flc CGIL Francesco Sinopoli

CISL Scuola Maddalena Gissi

UIL Scuola Rua Giuseppe Turi

SNALS Confsal Elvira Serafini

GRADUATORIE PROVINCIALI

GRADUATORIE PROVINCIALI, FRETTA CATTIVA CONSIGLIERA

“I tempi troppo ristretti non hanno consentito un confronto disteso e un’analisi approfondita del testo, soprattutto per quanto riguarda le tabelle di valutazione che modificano i punteggi. E la fretta, si sa, è una cattiva consigliera. Senza considerare, inoltre, che si rischiano contraddizioni rispetto al regolamento attualmente vigente sulle supplenze”. Così Maria Di Patre, vice coordinatrice nazionale della Gilda degli Insegnanti, commenta l’ordinanza sulle graduatorie provinciali e di istituto che è stata oggetto di una trattativa serrata con il ministero dell’Istruzione e per il cui esame i sindacati hanno avuto pochissimo tempo a disposizione.

Molte le ombre che caratterizzano il provvedimento, tra cui il mancato riconoscimento dei titoli artistici, il lasso di tempo esiguo, appena 15 giorni, per compilare le domande di aggiornamento, che con l’informatizzazione del sistema richiedono la presentazione ex novo, per l’ennesima volta, di tutta la documentazione relativa ai servizi svolti, e soprattutto l’impossibilità, sempre a causa della mancanza di tempo, di regolarizzare le domande in caso di errori da parte dell’Amministrazione o dei docenti. “L’eventualità di incappare in sbagli nella compilazione è sempre presente – afferma Di Patre – e non poterli correggere comporta danni per tutti ed espone al rischio di ricorsi”.

“Una nota, pur se parzialmente, positiva rispetto alla bozza che ci era stata presentata ieri –  spiega la vice coordinatrice – riguarda il riconoscimento del servizio svolto aspecifico che si può far valere anche per una classe di concorso, e anche per un ordine o un grado, diversi da quelli in cui si è abilitati”.

Infine, nelle Graduatorie provinciali per le supplenze, le nuove Gps, potranno iscriversi anche i diplomati magistrali ante 2002 immessi in ruolo e inseriti nelle Gae con riserva, per i quali potrebbero arrivare le sentenze definitive e che così, in caso di licenziamento e cancellazione dalle Graduatorie a esaurimento, avranno almeno la possibilità di un paracadute.  

L. Slimani, Il diavolo è nei dettagli

Leïla Slimani, la scrittrice impegnata

di Antonio Stanca

Al 2016 risale il breve volume Il diavolo è nei dettagli, che quest’anno è stato ristampato da Rizzoli con la traduzione di Elena Cappellini. Lo ha scritto LeïlaSlimani, giornalista e scrittrice francese di origine marocchina. Nell’opera ha raccolto sei dei suoi tanti interventi sul settimanale francese “Le 1”, impegnato inquestioni di attualità, di politica, di società.

La Slimani è nata a Rabat, Marocco, nel 1981. Di famiglia colta, ha frequentato scuole francesi e a Parigi, dove si è trasferita nel 1999, ha studiato Scienze politiche e giornalismo. Ha iniziato a lavorare come giornalista e poi si è dedicata pure alla scrittura narrativa. Col suo secondo romanzo Ninna Nanna del 2016 ha vinto il Premio Goncourt. Altri premi ha vinto e molto tradotte sono le sue opere. Nel 2017 è stata nominata dal presidente francese Macron ambasciatrice internazionale per la francofonia. Anche racconti e saggi ha scritto nei quali, come nei romanzi, muove sempre da quanto accade, dalla realtà, da problemi di caratteresociale, da questioni morali, civili, religiose ancora irrisolte specie in paesi come il suo d’origine o altri dialtre aree sottosviluppate dove tanti sono ancora i vincoli, i limiti imposti al pensiero, all’azione dei cittadini. Per una vita nuova, diversa, liberata da imposizioni religiose, da divieti sociali, la Slimani era andata dal Marocco ed aveva fatto di Parigi la sua nuova residenza. Qui si era sentita rinnovata, rinata ma nonaveva smesso di dire, di scrivere dei problemi africani. Naturalmente anche di altri problemi, di altra attualità si sarebbe interessata come giornalista e come scrittrice dal momento che dalla realtà, vicina o lontana, privata opubblica, si è detto che trae origine la sua opera qualunque sia il genere.

La sua è una delle coscienze critiche del nostro tempo, una delle figure più impegnate nell’osservazione, nella valutazione di fenomeni, avvenimenti, problemi contemporanei, nelle riflessioni, nelle considerazioni che da essi provengono, nelle conclusioni, nelle indicazioni che si ricavano. Così succede pure in Il diavolo è nei dettagli, nei sei scritti che contiene e che fanno parte del giornalismo della Slimani. Vi scrive di sé e di altri, di Rabat e di Parigi, del Marocco e della Francia, dice che pericolosi sono i sistemi politici improntati a rendere ipopoli sudditi, a comandare, ad isolare, e utili quelli che perseguono la libertà, la collaborazione, la solidarietà. Si sofferma a segnalare il ruolo che la letteratura deve assumersi, il compito che deve svolgere. L’intellettuale, l’artista, per la Slimani, non deve rimanere estraneo a quanto succede nella vita, nel mondo, nella storia ma deve impegnarsi, intervenire. La sua voce, la sua parola, la sua scrittura, la sua opera deve contribuire alla soluzione dei problemi, a modificare il modo di pensare, di fare, a migliorare la vita. Nel libro si dice pure dei pericoli, dei danni che i moderni sistemi di vita comportano per quei principi, quei valori che per tanto tempo sono stati fondamentali. Nonostante tutto la maniera della Slimani rimane quella della fiducia, del coraggio non della rinuncia al confronto: non bisogna accettare l’idea che la volgarità dei costumi o il fanatismo religioso vinca sulla civiltà.

   Tanti sono i problemi che la modernità ha comportato, tanti gli aspetti che hanno assunto e tante volte è intervenuta la Slimani a chiarire, spiegare, cercare di risolvere. Esempi di tale suo costante impegno contiene questo libro. 

Un documento, un insegnamento, un invito, un consiglio può essere considerato!

Ministra in Abruzzo al Tavolo regionale per la ripresa

La Ministra dell’Istruzione si è recata l’1 luglio in Abruzzo per partecipare al Tavolo regionale che lavora alla ripresa di settembre. “Ci tenevo a iniziare proprio da L’Aquila – ha detto -, dobbiamo ripartire lavorando tutti insieme, grazie alla collaborazione anche con gli Enti locali”.

Prima dell’incontro presso l’Ufficio Scolastico Regionale, organizzato per fare il punto sulla situazione dei plessi scolastici del territorio, la Ministra si è recata in località Collesapone, alla stele posata in ricordo del personale scolastico, degli studenti e delle studentesse deceduti nel sisma del 2009.

La Ministra ha poi visitato il cantiere della nuova scuola “Mariele Ventre”. “Il nostro compito è riportare tutti in classe a settembre. Abbiamo stanziato le risorse, garantiremo più personale, stiamo lavorando sugli spazi – ha concluso Azzolina –. Lavoreremo nei tavoli regionali. Li girerò per coordinarci, monitorare e garantire la ripresa”.

Esami di idoneità e integrativi, ecco date e regole

da Il Sole 24 Ore 

di Laura Virli

Pubblicata l’ordinanza ministeriale n. 41 del 27 giugno 2020, che regola lo svolgimento degli esami di idoneità, degli esami integrativi, nonché degli esami preliminari e della sessione straordinaria dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione per l’anno scolastico 2019/2020.

Esami di idoneità e integrativi
Per il primo ciclo gli esami d’idoneità si svolgeranno in presenza entro e non oltre il 1 settembre 2020. Per il secondo ciclo si svolgeranno in presenza entro e non oltre il 9 settembre 2020.
I candidati sosterranno gli esami di idoneità su tutte le discipline previste dal piano di studi dell’anno o degli anni per i quali non siano in possesso della promozione.
Nel caso di cambio di indirizzo, i candidati sosterranno gli esami integrativi sulle discipline o parti di discipline non coincidenti con quelle del corso del percorso di provenienza.
L’esame viene superato con la sufficienza in tutte le prove.

Esami preliminari per l’ammissione alla sessione straordinaria degli esami di Stato secondo ciclo
I candidati esterni saranno ammessi alla sessione straordinaria previo il superamento degli esami preliminari che si svolgeranno dal 10 luglio 2020.
Potranno, nel frattempo, partecipare con riserva alle prove di ammissione previste dalle università per l’anno accademico 2020/2021, nonché a procedure concorsuali pubbliche per le quali sia richiesto il diploma di scuola secondaria di secondo grado.
Il Dirigente scolastico, sentito il collegio dei docenti, stabilirà il calendario di svolgimento delle prove scritte e orali dell’esame preliminare, che sarà preventivamente comunicato al competente ufficio scolastico regionale e reso noto ai candidati in tempo utile.
L’esame preliminare verterà sulle discipline previste dal piano di studi dell’anno o degli anni per i quali non siano in possesso della promozione o dell’idoneità alla classe successiva, nonché su quelle previste dal piano di studi dell’ultimo anno.
L’esame sarà sostenuto davanti al consiglio della classe dell’istituto, statale o paritario, collegata alla commissione alla quale il candidato è stato assegnato. Il consiglio di classe potrà svolgere l’esame preliminare operando per sottocommissioni, composte da almeno tre componenti, compreso quello che la presiede.
Il candidato è ammesso all’esame di Stato se consegue la sufficienza in tutte le prove.

L’esame nella sessione straordinaria
L’avvio dei colloqui avrà inizio il giorno 9 settembre 2020.
Il 7 settembre 2020 si insedierà la commissione nella stessa composizione della sessione ordinaria. Eventuali sostituzioni di commissari saranno effettuate dal dirigente scolastico; il presidente sarà sostituito dall’ufficio scolastico regionale.
La commissione sarà retribuita con una quota del compenso forfettario riferito alla funzione e una quota dell’eventuale compenso forfettario riferito ai tempi di percorrenza dalla sede di servizio o di residenza a quella di esami.
Il colloquio si svolgerà come per la sessione ordinaria (art. 17 Om n. 10 del 16 maggio 2020) in cinque fasi (discussione dell’elaborato, del breve testo di italiano, del materiale “spunto”, del Pcto e di Cittadinanza e costituzione) con alcune differenze.
L’argomento dell’elaborato sarà assegnato ai candidati esterni al termine degli esami preliminari e sarà depositato in un plico chiuso, la cui segretezza e integrità sarà garantita dal capo d’istituto.
L’argomento sarà comunicato successivamente a ciascun candidato esterno, dal 21 al 24 agosto 2020.
Il candidato trasmetterà l’elaborato al docente della disciplina di indirizzo, per posta elettronica, entro il 4 settembre 2020.
La commissione sceglierà il breve testo di italiano da discutere con il candidato facendo riferimento al documento del consiglio della classe di assegnazione.
Le fasi di colloquio relative al Pcto e “Cittadinanza e Costituzione” saranno effettuate solo se il candidato ha svolto tali esperienze e attività nel proprio percorso di studi.

Fuga dalle scuole paritarie: un quarto degli studenti a rischio «esodo» verso le statali

da Il Sole 24 Ore 

di Claudio Tucci

Tra probabili chiusure e difficoltà economiche delle famiglie circa 200mila studenti rischiano l’esodo forzato verso le scuole pubbliche. Pd e Iv in pressing: subito nuovi fondi

Tra probabili chiusure di istituti paritari e difficoltà economiche delle famiglie, già da aprile in ritardo con il pagamento delle rette, molti studenti in età d’obbligo scolastico rischiano un esodo “forzato” verso le scuole pubbliche. Le primissime stime hanno fatto accendere una spia rossa all’interno del governo, in primis nel Pd: un ragazzo su quattro, vale a dire circa 200mila studenti, non potendo più frequentare una scuola paritaria, si potrebbero riversare sul sistema pubblico. Non solo. Ci sarebbero poi migliaia di lavoratori che perderebbero il posto.

A rischio il sistema 0-6
Per quanto riguarda la fascia 0/6, la situazione, addirittura, rischia di essere esplosiva, ha evidenziato, nei giorni scorsi, la responsabile scuola dei Dem, Camilla Sgambato, perché più del 50% dei servizi sono offerti da scuole paritarie, private o gestite dal terzo settore. «Vogliamo far collassare il sistema integrato da 0 a 6 anni?», si chiedono in molti, anche all’esterno del partito democratico.

I numeri
Il tema è estremamente delicato, ed è bene partire dai numeri per rendersene conto. Le scuole paritarie in Italia, secondo gli ultimi dati del ministero dell’Istruzione, sono 12.564 (contro le 40mila statali) e accolgono 866.805 studenti (a fronte dei 7,5 milioni iscritti al pubblico): la fetta principale, 524.031, sono, come detto, nel segmento della scuola dell’infanzia (compresi asili e materne). Il settore impiega circa 160mila unità di personale alle dipendenze, tra docenti (90mila) e tecnici-amministrativi (70mila) e tutto sommato ha retto al grande “esodo” di insegnanti che hanno colto al volo le varie tornate di stabilizzazioni iniziate nel 2015/2016, optando per il posto fisso negli istituti statali.

I fondi
Il finanziamento al mondo delle paritarie negli anni è salito, per effetto degli interventi spinti dall’ex sottosegretario, oggi deputato Iv, Gabriele Toccafondi. Il contributo pubblico ora ammonta a 512,7 milioni annui; a cui si aggiungono i 35,9 milioni previsti per inserire gli studenti con disabilità (gli ultimi dati indicano circa 12mila alunni). Le rette a carico delle famiglie oscillano dai 2mila ai 4-5mila euro, suddivise in 10 mensilità, a seconda del grado di istruzione; ma è prevista una detrazione, al pari delle scuole statali, del 19% fino a 800 euro di spese. Dopo una sostanziale dimenticanza nel decreto Marzo, nel dl Rilancio è stato previsto un finanziamento ad hoc per le paritarie di 120 milioni.

La trattativa per nuovi fondi
Ma occorrono risorse aggiuntive per scongiurare le difficoltà a settembre.
«Se non si stanziano ora le risorse necessarie, lo Stato dovrà garantire almeno 2 miliardi di risorse aggiuntive in più – ha detto Sgambato -. Le paritarie svolgono un servizio pubblico, caratterizzato da un progetto educativo e da un programma, permettendo al bilancio dello Stato un risparmio annuale di circa 7mila euro ad alunno». Sulla stessa lunghezza d’onda Iv: «Servono nuove risorse, soprattutto per aiutare le famiglie a sostenere le rette – ha aggiunto l’ex sottosegretario, ora capogruppo Iv in commissione Cultura della Camera, Gabriele Toccafondi -. Poi, c’è bisogno di rafforzare le attuali detrazioni. La scuola non può permettersi di far scomparire gli istituti paritari». La trattativa per finanziamenti aggiuntivi dovrebbe entrare nel vivo nei prossimi giorni. L’unico partito di maggioranza ancora freddo è il M5S.

Scuola, record di cattedre vacanti: sono 85.100

da la Repubblica

Ilaria Venturi

Dopo le operazioni di mobilità sui posti di ruolo rimangono scoperte 85.150 cattedre: un record. Erano 64.149 lo scorso anno. Il motivo? Con i concorsi bloccati per lungo tempo – nodo ereditato dalla ministra Lucia Azzolina – non ci sono insegnanti da assumere nell’organico di diritto. Un fenomeno noto, che fa parte delle tante contraddizioni del sistema di reclutamento degli insegnanti e che si aggrava di anno in anno. Sono esaurite, soprattutto al Nord, le Gae (graduatorie ad esaurimento) e le graduatorie dei vincitori dei passati concorsi ovvero i canali da cui attingere per assunzioni a tempo indeterminato.

“Servono assunzioni”

I numeri arrivano dalla Cisl scuola che incalza, con la segretaria Lena Gissi: “Non possiamo aspettare sprecando altro tempo, è arrivato il momento di decidere per la scuola, servono assunzioni immediate. Non si può procedere solo per concorsi, come è stato fatto negli ultimi quattro anni, ma è necessaria una procedura di reclutamento e stabilizzazione come avviene nella pubblica amministrazione e in tutti contesti lavorativi come chiede la Corte di Giustizia europea”.

All’orizzonte i concorsi, oggetto di scontro al governo dopo un muro contro muro tra la ministra Azzolina, che voleva fare quello straordinario per medie e superiori a luglio e con una prova, e Pd e Leu che reclamavano assunzioni “per anzianità di servizio e titoli personali”.

I concorsi

La mediazione è arrivata con l’intervento del premier Conte: resta la prova selettiva in entrata, ma si terrà dopo l’estate e sarà in forma scritta. Nel frattempo i docenti – 32 mila da assumere in due anni (24mila e 8mila) – di scuola media e superiore entreranno in cattedra a tempo determinato direttamente dalle graduatorie d’istituto, che sono diventate provinciali, per poi essere assunti con retrodatazione del contratto.

Rimangono poi da espletare il concorso ordinario per medie e superiori e quello per la scuola dell’infanzia e la primaria. I posti vacanti dopo la mobilità sono soprattutto alle superiori: 31.974 cattedre rimaste vuote di cui 4.343 sul sostegno. Alle medie i posti vacanti sono 29.136 (9004 sul sostegno), alla primaria 18.431 (di cui 7.126 posti di sostegno) e all’infanzia 5.609 (1.368 sul sostegno). Le conseguenze si faranno sentire sull’aumento di precari nella scuola a settembre: 200mila stimano i sindacati, “ma forse a questo punto saranno molti di più”.

I dati

L’anno scorso il Mef aveva dato il via libera all’assunzione di 53.627 docenti, cinquemila in meno di quelli richiesti dall’allora ministro Bussetti. Sulla procedura di mobilità ieri ha fatto il punto il ministero all’Istruzione. Oltre il 55% delle richieste di mobilità sono state soddisfatte spiega una nota. Nel dettaglio, sono state accolte 49.053 domande di mobilità territoriale, il 54,3% di quelle presentate, per un totale di 8.000 spostamenti circa fuori Regione garantiti agli insegnanti. “Aver garantito la procedura di mobilità è stato importante e non scontato, dato che eravamo in piena emergenza sanitaria – sottolinea la ministra Azzolina – Oggi questo risultato può sembrare scontato, ma ricordo che qualche mese fa non era considerato tale. Abbiamo garantito i diritti degli insegnanti, per 8mila di loro c’è uno spostamento fuori Regione che significa riavvicinamento a casa. Ora lavoriamo per le assunzioni da fare questa estate anche in vista della ripresa di settembre”.

Per la scuola dateci il meglio

da Corriere della sera

Ho fatto un sogno. Un sogno semplice, modesto, quasi banale, eppure apparentemente irrealizzabile. Il sogno che a governare la disastrata scuola italiana ci sia una persona seria, competente, capace, una guida sicura, brillante, eccellente, una persona cui tutti noi affideremmo volentieri il futuro dei nostri figli con piena fiducia, giusta ammirazione, motivata speranza.

U n eventuale avvicendamento al ministero dell’Istruzione risolverebbe i problemi della scuola? Ovviamente no. Salverebbe però la rispettabilità di un alto ruolo istituzionale e la dignità di un’istituzione fondamentale. Non è poco, non è affatto poco. Dignità e rispettabilità sono valori cruciali quando si attraversa una grave e cronica crisi di risorse materiali e d’idee progettuali, sono l’ultima trincea prima del «si salvi chi può». Io li invoco quei valori, sia a difesa della rispettabilità del ministero dell’Istruzione sia, soprattutto, a difesa della dignità della scuola.

Scrivere articoli sulle necessità e difficoltà della scuola italiana è una sorta di penitenza, una meditazione sulla vanità del tutto (e, soprattutto, di noi stessi): per quante volte tu possa lanciare il tuo accorato, avveduto, sincero grido d’allarme, non accade mai nulla, il grido resta voce nel deserto (si vedano, per esempio, i due ottimi articoli di Carlo Verdelli pubblicati di recente sull’argomento). E, allora, io sento il dovere di trasformare la geremiade sui mali cronici della scuola italiana in giaculatoria. Alla lamentela lenta, ossessiva e vana è ora di sostituire la preghiera semplice, breve, ostinata: per la scuola dei nostri figli pretendiamo il meglio; dateci quanto di meglio è disponibile per la scuola dei nostri figli; dateci il meglio, il meglio, vi prego, il meglio.

Perché questa patetica implorazione? Perché, confermando una pessima tradizione di malgoverno che dedica alla scuola risorse — economiche e umane — in misura inversamente proporzionale alla suprema importanza dell’istituzione preposta all’istruzione delle nuove generazioni, durante i mesi dell’emergenza Covid — duole davvero dirlo — la gestione della ministra Azzolina è stata infima. Credo sia esatto dire che, in estrema sintesi, si è risolta in colpevoli silenzi alternati a risibili annunci. La ministra ha taciuto a lungo, troppo a lungo, abbandonando allo smarrimento milioni di studenti, di presidi e d’insegnanti. Poi, quando ha parlato, ogni volta che ha parlato, è stata sistematicamente costretta a ritrattare, costringendo quell’esercito allo sbaraglio — esercito per numero non per natura — a passare dallo smarrimento allo sgomento. La pubblicazione delle attesissime linee guida per il rientro in aula il 14 settembre non ha fatto che raggiungere il colmo di una lunga sequenza di manifeste incompetenze e palesi incapacità. Il coro di proteste levatosi dal mondo della scuola, all’unisono, non ripudiava questa o quella linea guida ma la totale assenza di una guida affidabile. Il Governo, per tramite del ministro competente, ha rimesso ogni responsabilità — e le relative difficoltà — ai singoli presidi e istituti scolastici e lo Stato italiano, per tramite del suo Governo, ha abdicato al proprio ruolo, una sorta di 8 settembre in salsa scolastica.

Per mesi, chiunque conoscesse il mondo della scuola ha riso — riso amarissimo — dei velleitari annunci su distanziamento tra banchi, turni dei docenti, divisori in plexiglass, consapevole della cronica mancanza di spazi che affligge le scuole italiane e della normativa ministeriale, ancora vigente, che obbligava i presidi a rispettare il criterio del divisore tra studenti e numero di classi pari a 27 e, quindi, ad accorpare le classi con meno di 22 alunni. Poi, quando a fine giugno, sono finalmente arrivate le linee guida, era passata anche la voglia di ridere di fronte al ridicolo dell’ennesima licenza poetica dei burocrati ministeriali i quali, nel documento ufficiale, per indicare la fenditura tra le labbra, usavano l’espressione «rime buccali».

Non c’è proprio niente da ridere. Anche lasciando da parte ogni considerazione sull’enorme importanza della cultura per la crescita individuale e sociale, nel mondo tardo-moderno la ricchezza si produce o negli avallamenti della produzione a basso costo o sui picchi della ricerca tecnologicamente avanzata. Questi ultimi si raggiungono con l’eccellenza nell’istruzione. Detto in altri termini: si può essere ricchi e ignoranti per una generazione ma non per due.

No, non c’è proprio niente da ridere. Il nostro Paese e il nostro Governo — non solo in materia d’istruzione — mostrano la pericolosa tendenza a considerare la pandemia come una parentesi, un intervallo caratterizzato da eventi anomali e transitori rispetto al convenzionale svolgersi della vita. Io credo fortemente che ci sia, invece, bisogno di una diversa punteggiatura esistenziale, storica e politica. La pandemia deve segnare come minimo un «a capo» nella nostra epoca, un momento di passaggio dall’argomento, dalle consuetudini, dalle priorità che hanno dominato il capoverso precedente a nuovi argomenti, consuetudini, priorità. Uno dei tanti «a capo» che dovremmo tracciare riguarda la qualità dei nostri governanti. Dopo il dramma collettivo, non possiamo più tollerare che a governarci siano gli incompetenti, gli incapaci, gli inetti o, in taluni casi, addirittura i corrotti, i cialtroni, i disonesti. Punto e a capo.

Sarebbe un triste, maldestro, penoso racconto quello che riducesse le nostre vite a un periodare stracco, a una stringa di frasi sminuzzate, balbettanti, senza senso, punteggiate da una sequela infinita di parentesi vuote.

Pubblicati i risultati della mobilità dei docenti: soddisfatto oltre il 55% degli insegnanti

da ItaliaOggi

Oltre il 55% delle richieste soddisfatte. È il dato che emerge dall’analisi degli esiti della mobilità dei docenti per l’anno scolastico 2020/2021 pubblicati ieri. Quest’anno sono state 108.676 le domande elaborate, di cui 90.306 per la mobilità territoriale e 18.370 per quella professionale. Oltre 96mila i docenti effettivamente coinvolti – al netto delle domande non accoglibili – 78.881 le donne e 17.696 gli uomini. Le domande soddisfatte a livello nazionale sono state 55.008, pari a oltre il 55% del totale dei docenti che hanno partecipato alla mobilità ordinaria. Nel dettaglio, sono state accolte 49.053 domande di mobilità territoriale, il 54,3% di quelle presentate, per un totale di 8.000 spostamenti circa fuori regione garantiti agli insegnanti.

«Aver garantito la procedura mobilità è stato importante e non scontato, dato che eravamo in piena emergenza sanitaria – sottolinea la ministra Lucia Azzolina -. Il ministero ha svolto un grande lavoro, ha supportato il personale, ha portato avanti un’operazione normalmente ordinaria in tempi straordinari. Questo risultato può sembrare scontato, ma ricordo che qualche mese fa non era considerato tale. Abbiamo garantito i diritti degli insegnanti, per 8mila di loro c’è uno spostamento fuori Regione che significa riavvicinamento a casa. Ora lavoriamo per le assunzioni da fare questa estate anche in vista della ripresa di settembre».

Supplenti, ci sarà una fase due

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

Paradossalmente il difficile viene ora. Ora che le regioni hanno dato il via libera alle Linee guida per la riapertura del prossimo anno scolastico, ora che il premier Giuseppe Conte ha deciso che ci saranno più docenti per far funzionare la scuola post Covid, come chiesto da sindacati e forze di maggioranza, e che il ministro dell’economia Roberto Gualtieri ha deposto le armi e ha detto che il miliardo di più necessario sarà presto messo sul piatto (probabilmente con la manovrina in arrivo per metà luglio).

Il ministero dell’istruzione, già in affanno con le procedure di assunzione dei docenti di ruolo e con le supplenze ordinarie, deve trovare il modo per garantire le 50 mila assunzioni in deroga, tante se ne faranno con la quasi totalità del miliardo disponibile, necessarie per sdoppiare le classi e far fronte a orari di servizio più ampi. I posti in più devono andare alle scuole che ne hanno effettivamente bisogno, ha precisato la ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, ai suoi tecnici, per evitare che fatta l’operazione mediatica poi si creino malumori e disfunzioni all’atto pratico. Quello che è certo dunque è che il miliardo di euro non sarà distribuito a pioggia tra le scuole in base al numero di studenti e docenti in dotazione. Così come è certo è che la nuova pattuglia dei 50 mila arriverà dopo il 14 settembre, quando le scuole riapriranno e, si spera, i docenti ordinari avranno preso posto in cattedra.

Insomma, anche per gli organici quest’anno ci sarà una fase 2. E toccherà a viale Trastevere trovare il metodo più efficace per intervenire con il bisturi lì dove necessario, scontando una situazione sul territorio assai diversa. Non solo tra Nord e Sud, ma tra centro e provincia e spesso tra scuole della stessa città.

L’idea che si sta affacciando è di procedere con un meccanismo simile a quello dei posti in deroga che viene già usato per il Sostegno: non di interviene sull’organico di fatto ma di autorizzare posti sulla singola scuola in base al fabbisogno.

In tal senso, ii primo punto è acquisire ai tavoli regionali, istituiti dalle Linee guida, i dati dell’anagrafe dell’edilizia scolastica, da integrare con le segnalazioni delle scuole sugli interventi di adeguamento che riusciranno ad operare in questa estate contrassegnata dall’apertura di micro cantieri. E con gli accordi che si potranno raggiungere con enti pubblici e privati, qualora fosse necessario incrementare gli spazi ricorrendo ad ambienti esterni alla scuola. L’obiettivo principale è sempre quello di garantire il distanziamento tra alunni e personale, cardine dell’atto di indirizzo del Cts sul prossimo anno.

Ogni direzione scolastica regionale a quel punto dovrebbe indicare il fabbisogno stimato a livello locale, con un’assegnazione di docenti su più scuole riunite in rete. Una sorta di prima previsione, che dovrà orientare il ministero nella macro attribuzione regionale dei posti. In seconda battuta, dovrebbero essere le dg regionali a decidere le attribuzioni alle singole scuole per disciplina e orari. Si tratta al momento di uno scenario. La quadra è tutta da trovare.

Il piano B del governo per richiudere Ecco come sarà la nuova didattica

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

In arrivo le Linee guida per la didattica a distanza. Le sta predisponendo il ministero dell’istruzione in vista di eventuali nuove chiusure delle scuole in caso di recrudescenze dell’epidemia da Covid-19 nel prossimo anno scolastico. Lo ha comunicato il dicastero di viale Trastevere con il Piano scuola 2020-2021 trasmesso alla Conferenza unificata con la nota 3267/2020 il 23 giugno scorso.

La direttiva ministeriale recherà anzitutto il quadro normativo di riferimento. Che, dopo la conversione dei decreti-legge 18 e 22, si è arricchito di norme specifiche proprio sulla didattica a distanza e sullo svolgimento delle attività connesse. In particolare l’articolo 2, comma 3, del decreto legge 22/2020, convertito con la legge 41/2020, ha disposto l’obbligatorietà della didattica a distanza durante i periodi di sospensione delle lezioni e lo smart working per il personale Ata. Il comma 3-ter dello stesso articolo prevede, però, che la regolazione della didattica a distanza debba essere fatta oggetto di un contratto collettivo nazionale integrativo. E l’amministrazione non ha ancora avviato le trattative. Trattandosi di un mero contratto integrativo a costo zero, l’avvio delle trattative non è vincolato alla previa emanazione di un vero e proprio atto di indirizzo. In questo caso, infatti, non si tratterebbe di innovare il contratto collettivo nazionale di lavoro, ma solo di aggiungere delle disposizioni di dettaglio per regolare lo svolgimento ordinario della prestazione a distanza.

L’emanazione di una direttiva in assenza della regolazione contrattuale potrebbe risultare in contrasto con la norma di legge (il comma 3-ter) e aggiungere confusione ed incertezza in un contesto già di per sé assai complesso. Nel piano scuola, però, non si fa alcun riferimento al contratto integrativo previsto dalla legge. La direttiva recherà anche indicazioni sulle convenzioni che l’amministrazione intende stipulare con i gestori dei servizi telefonici per consentire agli alunni e al personale docente e Ata di accedere ai servizi di connettività fruendo di agevolazioni. Anche in questo caso il legislatore ha provveduto con una norma ad hoc. In coda al comma 3, dell’articolo 2, del decreto-legge 22/2020, è stata inserita una disposizione che consente ai docenti di utilizzare i fondi della carta del docente per pagare il collegamento a internet. Ma sempre e solo in caso di sospensione delle lezioni dovuta all’emergenza Covid.

La direttiva spiegherà anche come fare per garantire lo svolgimento delle attività funzionali all’insegnamento di natura collegiale. Anche in questo caso il legislatore ha provveduto ad emanare una disposizione specifica. Si tratta del comma 2-bis, dell’articolo 73, del decreto-legge 18/2020 convertito con la legge 41/2020. Il dispositivo prevede che in regime di sospensione delle lezioni per effetto dell’applicazione di misure volte al contenimento del contagio da Coronavirus, le riunioni degli organi collegiali possano tenersi in videoconferenza. E tale modalità è consentita anche se lo svolgimento a distanza non fosse previsto nel regolamento di istituto.

Nulla è previsto per assemblee studentesche e sindacali. Da svolgere in presenza se sarà possibile garantire il distanziamento. La direttiva si occuperà anche della valutazione a distanza. In questo caso la norma di riferimento è il comma 3-ter, del decreto-legge 18/2020, il quale prevede che, per tutta la durata dello stato di emergenza, la valutazione degli apprendimenti, periodica e finale, oggetto dell’attività didattica svolta a distanza produca gli stessi effetti di quella ordinariamente prevista in tempi normali. La direttiva ministeriale recherà anche indicazioni su come utilizzare una piattaforma istituzionale per la didattica a distanza in via di elaborazione.

La misura sembrerebbe rivolta a riempire, almeno parzialmente, un vuoto censurato a vario titolo, dalla Cassazione, dall’Inail e dal Garante della privacy. La didattica a distanza, infatti, è stata svolta utilizzando vari mezzi comunque privi, del tutto in parte, di copertura legale. Diverse scuole hanno utilizzato il registro elettronico. Sul quale però la Cassazione si era pronunciata l’anno scorso ponendo in evidenza la non obbligatorietà a causa dell’assenza del necessario regolamento di attuazione previsto dalla legge che lo ha istituito (sezione penale, sentenza 47241/ 2019). E l’Inail, citando la sentenza 3476/94 delle Sezioni unite, aveva comunque evidenziato la necessità che, a fronte dell’utilizzo di apparecchiature informatiche, fosse necessario prevedere un ampliamento delle tutele assicurative nei confronti dei docenti.

Infine, il Garante della privacy, il 4 maggio scorso, aveva scritto una lettera alla ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, ponendo in evidenza l’inadeguatezza delle piattaforme in uso, non adatte a garantire la riservatezza ed evidenziando l’assenza del regolamento di attuazione sul registro elettronico, comunque da preferire alle piattaforme.

A settembre tra distanze e mascherine e caccia digitale alle nuove aule

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Un metro di distanza tra alunno e alunno, alunno e docente. La distanza va calcolata da bocca a bocca e non da banco a banco. Più precisamente: «Il distanziamento fisico (inteso come 1 metro fra le rime buccali degli alunni), rimane un punto di primaria importanza nelle azioni di prevenzione». La raccomandazione riportata dalla ministra Azzolina viene dal Comitato tecnico scientifico costituito presso il dipartimento della protezione civile. Che l’ha messa nero su bianco nel verbale della riunione del 22 giugno scorso in vista della ripresa delle lezioni in presenza da settembre prossimo. E il monito è stato recepito nel Piano scuola 2020/2021 dal ministero dell’istruzione e approvato dalla Conferenza unificata ed approvato da quest’ultima. Tecnicamente, l’espressione riportata nel verbale del Cts indica la fessura (rima) circondata dalle labbra ubicata tra le due guance (bucca in Latino vuol dire guancia). Ma il distanziamento non basta. Il ministero ha ricordato che il Cts, già nella riunione del 28 maggio, aveva evidenziato la necessità che gli alunni indossino «per l’intera permanenza nei locali scolastici» si legge nel piano ministeriale «una mascherina chirurgica o di comunità di propria dotazione, fatte salve le dovute eccezioni (ad esempio attività fisica, pausa pasto)». Dunque, distanziamento e mascherina obbligatoria. Ma non sempre e non per tutti. Il ministero ha chiarito, infatti, che l’obbligo della mascherina non si applicherà ai bambini fino a 6 anni e agli alunni disabili. In questo caso saranno gli insegnanti e il personale che starà a contatto con loro a doversi munire di dispositivi di protezione individuali rafforzati. Nel caso delle maestre dei nidi e dell’infanzia, l’amministrazione ha raccomandato l’uso di visiere piuttosto che di mascherine. Ciò per consentire il riconoscimento da parte dei bambini. Mentre per quanto riguarda gli alunni disabili, che non potranno portare la mascherina, i docenti e il personale di assistenza dovranno indossare oltre alla mascherina, guanti e visiere.

Per quanto riguarda gli ambienti scolastici, i dirigenti potranno disporre di fondi per la manutenzione ordinaria, senza doversi rivolgere anche per questo all’ente locale proprietario. E comuni e province disporranno di fondi aggiuntivi per gli interventi più importanti. Il ministero sta monitorando la situazione ed ha predisposto un archivio informatico tramite il quale sarà possibile incrociare il numero degli alunni e la capienza degli ambienti. L’amministrazione sta anche procedendo ad una ricognizione degli edifici scolastici dismessi o comunque non utilizzati, per verificare la possibilità di riallocare le classi in ambienti il più possibile adatti a garantire il distanziamento. In ogni caso, il ministero sta anche valutando la possibilità di procedere a un ampliamento degli organici del personale docente per ridurre il numero di alunni nelle classi sovraffollate. La misura potrà essere adottata non necessariamente costituendo nuove classi, ma anche attraverso l’applicazione di meccanismi di redistribuzione e flessibilità.

Covid, costerà caro ai giovani

da ItaliaOggi

di Andrea Gavosto* *direttore Fondazione Agnelli

In questi mesi di emergenza Covid-19 di scuola si è parlato moltissimo. Fin dai primi giorni del lockdown, si è discusso di virtù e vizi della didattica a distanza. Poi è partito il tormentone sui concorsi per i docenti precari, che poco riguardava la specifica emergenza. A seguire un altro tormentone, stavolta sull’esame di maturità. Infine, nelle ultime settimane il dibattito si è inferocito sulle linee guida per la riapertura della scuola a settembre.

Un tema più importante è rimasto, però, in secondo piano. Quale sarà l’impatto di medio-lungo periodo dell’emergenza Covid-19 sugli studenti direttamente colpiti? Che cosa hanno perso i ragazzi con la chiusura delle scuole?

La risposta è: questa generazione di studenti ha perso molto e l’Italia, da tempo già nelle retrovie, rischia di avere un capitale umano ulteriormente impoverito. Sappiamo che l’istruzione è un processo cumulativo; di conseguenza, la perdita di apprendimento (learning loss) di quest’anno proietterà i suoi effetti in avanti: il proseguimento degli studi sarà più difficile, come anche temiamo l’ingresso nel mercato del lavoro.

Due aspetti qualificano la perdita di capitale umano causata dal venir meno della scuola in presenza. Il primo luogo, se – com’è avvenuto – vengono meno relazioni sociali dentro e fuori la scuola, alcune competenze socio-emotive possono soffrirne: perseveranza, autostima, coscienziosità, autocontrollo, apertura all’esterno, tolleranza, capacità di collaborare. Poi c’è la perdita di conoscenze e competenze di base. Le ricerche internazionali ci dicono che l’assenza da scuola durante le vacanze estive (e quelle in Italia sono fra le più lunghe) porta a una caduta di quanto si è appreso fino a quel momento. Quest’anno si è aggiunto il dramma della pandemia, con un forte declino degli apprendimenti per le 14 settimane di chiusura delle scuole, solo in parte compensato dalla didattica a distanza.

I primi studi relativi a Stati Uniti e Inghilterra stimano una learning loss complessiva intorno al 35% per la capacità di lettura e del 50% per matematica. Sarà difficile conoscere il dato italiano, perché le rilevazioni Invalsi sono state cancellate. Ma – ne siamo certi – anche nel nostro Paese la perdita sarà importante e lo sarà ancora di più per le ragazze e i ragazzi che provengono da contesti familiari con minori risorse economiche e culturali. In ogni caso, tutti gli studenti oggi nel sistema d’istruzione rischiano un impatto negativo e permanente, in termini di minori redditi e opportunità di lavoro.

Purtroppo, la gravità di questo rischio non è stata messa a fuoco in Italia. Né, tanto meno, il governo dà segnali di volere agire con energia per porvi rimedio.

Non è stato fatto fino a oggi, perché si è deciso di finire l’anno scolastico a inizi giugno, invece di continuare le attività didattiche a distanza almeno fino a luglio inoltrato, come sarebbe stato possibile e desiderabile: la DaD non è una panacea, ma, fornendo tablet e pc a quanti più studenti possibile, la caduta degli apprendimenti poteva essere in parte contenuta. Anche nel cuore dell’estate, poco avverrà. Si è molto discusso di centri estivi, ma la logica è spesso rimasta quella del parcheggio.

Solo in pochi casi è stato messo al centro il recupero della perdita degli apprendimenti: ad esempio, nel progetto pilota Arcipelago Educativo (https://arcipelagoeducativo.it/) promosso da Fondazione Agnelli e Save the Children, con il contributo della Fondazione Bolton Hope, che in 6 città seguirà oltre 500 alunni delle primarie e delle medie, in condizione di particolare disagio.

Infine, c’è da essere pessimisti anche per settembre. L’idea da cui si era partiti era di accelerare la ripresa delle attività didattiche al primo del mese, così da impiegare le prime settimane dell’anno per il recupero di ciò che non è stato completato durante la chiusura, concentrandosi su chi è stato promosso, ma ha avuto debiti, e anche su chi in ogni caso necessiti di supporto. Di fatto, il recupero potrebbe non essere una cosa seria. A Viale Trastevere, infatti, hanno deciso addirittura di ritardare di quasi tre settimane rispetto al solito le procedure di nomina, trasferimento e mobilità dei docenti. Così, però, le scuole già in difficoltà per il rientro in condizioni di sicurezza, dovranno gestire anche un turnover elevatissimo di docenti. Con la disastrosa conseguenza che proprio gli studenti con più necessità non troveranno tutti i docenti subito in cattedra né spesso ad aiutarli nel recupero saranno gli insegnanti dell’anno prima.