Baby gang

Baby gang

di Gabriele Boselli

Un nome che sembra quello di un pacco di pannolini copre la triste realtà della delinquenza degli adolescenti e dei giovani adulti. In forte aumento, organizzati in squadre formate da indigeni o più spesso (in percentuale relativa alla popolazione) appartenenti a etnie nordafricane oppure balcaniche o di tradizione nomade, questi soggetti delinquono vandalizzando, rubando, molestando o violentando, ferendo fisicamente e/o moralmente, contravvenendo a ogni norma del vivere sociale.

Prediligono colpire i coetanei ma ogni soggetto che appaia povero di difese (spesso le donne e gli anziani, a volte anche i docenti con minori capacità reattive e proattive) è vittima designata delle loro sopraffazioni e violenze.

Resistenti all’educazione ordinaria, sono coperti dall’assenza di una efficace normativa di contrasto e soprattutto da un’ideologia che presta loro ogni possibile comprensione, comprensione che manca invece per le loro vittime.

“Vocazione” naturale a parte, una persona impara a comportarsi correttamente se ha interiorizzato una costellazione di valori e se ha preso coscienza che le sanzioni comporterebbero una sofferenza maggiore di quella che verrebbe loro dal godimento del frutto degli atti delinquenziali.

La responsabilità del preoccupante sviluppo è certo derivante dalla carenza di una viva costellazione di valori e va ascritta a vari fattori: principalmente alla famiglia, all’ordinario ambiente di vita e in modesta parte anche alla scuola ma gioca un forte ruolo la mancanza di deterrenza.

Il giovane micro o macro-delinquente sa che, anche se improbabilmente fosse individuato e preso, la punizione sarebbe assai modesta.

Comunque nel loro ambiente “fa status”, aumenta il “prestigio”. Anche un breve soggiorno in qualche comunità di recupero o carcere accredita ulteriormente la deferenza dei compagni nell’ambiente di principale riferimento.

Peraltro, i diritti dei criminali di ogni età sono molto meglio garantiti di quelli delle vittime; per questo sono nate meritevoli associazioni come l’onlus “I nostri diritti” (Il fatto, 11 09 20).

Servono, ma -ammetto- è più facile scriverne che trovarle, strategie e tattiche adeguate di riconversione ad altri orizzonti di valore ma queste sarebbero inefficaci se il soggetto -dai racconti di amici o da personali esperienze pur relativamente “dolci”- comprendesse che si può star meglio delinquendo che comportandosi correttamente.

La prospettiva di un istituto di rieducazione o per i maggiorenni del carcere (data l’odierna probabilità di condanna e la qualità e durata della pena) non è più tale da scoraggiare chi, giovanissimo o più avanti con gli anni, abbia una propensione a delinquere confortata da una parziale o totale (infraquattordicenni) impunibilità di diritto o di fatto.

La parte che la scuola deve comunque svolgere

Senza un apparato di deterrenza efficace il problema è dunque di difficile contrasto, ma la scuola -spesso luogo o anticamera dei delitti delle baby gang- deve agire comunque, come se tutto dipendesse dalla propria azione.

Che fare allora?

La delinquenza nasce da un disagio: questo non è un motivo di assoluzione ma per i ragazzi ne va tenuto conto.

  • Non chiudere gli occhi su quel che accade tra i nostri alunni, limitandoci a insegnare una disciplina
  • Il ragazzo che lievemente o gravemente delinque – dentro o fuori della scuola- non va indulgentemente analizzato come addensamento deterministico di effetti dovuto a cause tutte esterne. C’è pare già negato rispetto a qualsiasi baricentro intenzionale, chi si disperde anche nell’ambiente più favorevole e chi è ben presente a se stesso e al mondo pur avendo attraversato le situazioni più difficili. “Valore” e “volontà” hanno una radice comune. C’è volontà quando c’è adesione a una gamma di valori. E’ dunque importante che la scuola detenga e manifesti un quadro (pluralistico) di idee, offra prospettive di valore, indicazioni di senso, esempi di amore per lo studio e la persona umana. Dobbiamo essere consapevoli della gamma di fini che muove i nostri giorni per poter arricchire di senso i giorni altrui.Anche se ciascuno nasce forse già atteso da un destino, dobbiamo comportarci come se in gran parte questo dipendesse da noi, Aiutando il ragazzo a ridisegnare l’orizzonte delle sue attese.
  • Il divenire umano accade più ad fines che propter causas. Occorre un forte e fortificato anche con la deterrenza magistero dell’indicazione. Dobbiamo credere che il futuro che viene additato dal cenno magistrale possa agire sul presente forse più del passato.
  • E’ vitale che il docente ami la vita, lo studio e i suoi interlocutori. Può non bastare ma è essenziale per ricostruire l’universo intenzionale degli alunni
  • Il ragazzo deve sempre sentire che può in ogni caso far conto su di noi ma che attua sé stesso quando si comporta con consapevole autonomia e nel rispetto delle leggi.
  • Non prendersi più cura dei colpevoli che delle vittime di piccole o grandi violenze. Subirle non lede solo il fisico ma l’intera personalità della vittima. Mentre il carnefice esterna il proprio disagio e si gratifica riversandolo ad abundantiam, la vittima soffre e spesso somatizza la propria sofferenza e matura una visione pessimistica degli altri e del proprio futuro.
  • Alle scuole di ogni ordine e grado compete soprattutto non selezionare in funzione della difficilmente presumibile attività futura ma -senza scoraggiarsi o peggio autocolpevolizzarsi per gli insuccessi- orientare all’esistenza.

Indagine 2020 sulla didattica a distanza

ALMADIPLOMA PRESENTA L’INDAGINE SULLA DIDATTICA A DISTANZA CONDOTTA IN COLLABORAZIONE CON IL CONSORZIO ALMALAUREA

246 istituti coinvolti, 73.286 studenti di quarta e quinta superiore.

I temi indagati: uso delle tecnologie informatiche personali, effetti della DaD, carico di studio, capacità di concentrazione, efficacia della DaD, opinione degli studenti rispetto agli insegnanti, solidità legami familiari e timori per il futuro

È stato il DPCM del 4.3.2020 a decretare la sospensione didattica, in presenza, in tutte le istituzioni scolastiche del territorio nazionale per attuare il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019. Da allora dirigenti scolastici, personale ATA, insegnanti e alunni sono stati catapultati in una realtà sconosciuta o quasi. Il Ministero dell’Istruzione ha avviato la procedura della didattica a distanza (DaD): il remote learning è così diventato la quotidianità.

AlmaDiploma, con la collaborazione del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea e degli Istituti associati al sistema AlmaDiploma nell’a.s. 2019/20, ha condotto una rilevazione ad hoc via web (CAWI-Computer Assisted Web Interviewing) per comprendere meglio l’esperienza di didattica a distanza vissuta dagli studenti delle classi quarte e quinte degli Istituti superiori. L’indagine è stata avviata durante le ultime settimane dell’a.s. 2019/20, precisamente a partire dal 29 maggio 2020.

Ne emerge un quadro tutto sommato positivo per quanto riguarda la capacità di adattamento e di riorganizzazione, dimostrata sia dalla scuola sia dagli insegnanti nell’affrontare la crisi pandemica e nel garantire la continuità didattica con la modalità a distanza. Tuttavia si evidenziano criticità legate ai limiti dell’apprendimento a distanza e alle relazioni interpersonali, oltre alle preoccupazioni relative al futuro occupazionale.

246 gli Istituti coinvolti, con 73.286 studenti di quarta e quinta, in prevalenza liceali (57,0%), seguiti dai tecnici (33,8%) e dai professionali (9,2%). A compilare il questionario relativo alla DaD, 23.305 alunni per un tasso di compilazione pari al 31,8%.

«In questo periodo in cui tutti parlano di scuola, ritengo doveroso dar voce ai nostri studenti che a giugno ci hanno dichiarato che la loro scuola ha svolto il proprio compito garantendo la continuità delle attività e organizzato in modo efficiente la didattica a distanza», afferma il Direttore di AlmaDiploma, Renato Salsone. «Altrettanto chiaramente, però, hanno affermato che è stata un’esperienza faticosa e non sempre efficace».

I macro esiti più significativi, qui sintetizzati, riguardano vari aspetti (per gli approfondimenti si rimanda al Report allegato “Indagine sulla Didattica a Distanza”). Uno fra tutti la disponibilità delle attrezzature informatiche (pc, tablet, portatili o smartphone) e la connessione per seguire le lezioni: quasi la totalità dei rispondenti (93,6%) dichiara di non aver ricevuto alcun tipo di supporto da parte della scuola e ha, dunque, fatto affidamento sulle sole risorse disponibili in famiglia. Così come per gli effetti della DaD in termini di carico di studio, capacità di concentrazione e efficacia dello studio. Il 79,6% degli studenti dichiara che durante la didattica a distanza i compiti sono aumentati rispetto alle lezioni tradizionali: per il 24,7% il carico degli studi non è stato sostenibile, mentre per il 54,8%, sebbene aumentato, il carico è stato comunque sostenibile. Altro importante dato le opinioni degli studenti rispetto agli insegnanti. Circa i due terzi degli studenti (67,4%) sostengono che durante il periodo di didattica a distanza gli insegnanti abbiano valutato con equità le prove e i compiti svolti. Come ci si poteva attendere, durante il periodo di didattica a distanza si sono, invece, emotivamente intensificati i rapporti con i componenti della famiglia o i conviventi: lo dichiara il 73,3% degli studenti.

Nel descrivere, con un solo aggettivo, il proprio stato d’animo nei mesi di didattica a distanza, interessanti i risultati ottenuti che hanno consentito di cogliere una diversa reazione tra i differenti ordini di classe, con una maggiore percezione negativa per gli studenti di quinta, probabilmente a causa della vicinanza dell’Esame di Stato:

  • studenti di quarta “tranquilli” 35,3% (di quinta 24,0%)
  • studenti di quinta “preoccupati” 32,3% (di quarta 19,2%)
  • piccola quota trasversale di apatici

Guardando al futuro poco meno di un terzo degli studenti (31,6%) ritiene che sarebbe utile continuare a usare la didattica a distanza, insieme alle lezioni in aula, anche dopo l’emergenza del Covid-19. Anche se poi il 72,1% degli studenti pensa che la preparazione raggiunta attraverso le lezioni a distanza sia inferiore a quella che avrebbero avuto andando a scuola; tant’è che il 42,8% degli studenti ritiene di non avere una preparazione adeguata per affrontare il prossimo anno scolastico o l’Esame di Stato per gli studenti di quinta. Timori che si riverberano anche sul futuro occupazionale di chi li circonda: infatti il 59,7% ritiene che molte persone vicine siano preoccupate di non trovare lavoro o diventare disoccupate a causa della difficile situazione economica dovuta al Covid-19.

Didattica a distanza con eTwinning

La didattica a distanza in rete con eTwinning

Disponibili strumenti, risorse e consigli ai docenti per affrontare al meglio il rientro a scuola

In vista dell’avvio del nuovo anno scolastico, l’Unità nazionale eTwinning Indire mette a disposizione su etwinning.it tutte le risorse sulla didattica a distanza prodotte dai docenti della community eTwinning durante i mesi di lockdown, oltre ad una serie di webinar che hanno visto coinvolti esperti della didattica di livello nazionale e internazionale. L’obiettivo è fornire idee, strumenti, risorse e consigli ai docenti per affrontare al meglio il nuovo anno scolastico, documentando e rendendo disponibili le buone pratiche dei docenti eTwinning. L’iniziativa viene incontro alla grande richiesta di informazioni e strumenti di supporto verso eTwinning dopo la chiusura delle scuole, con un boom di visualizzazioni dei contenuti dei nostri canali di supporto (+430% per oltre 230.000 visualizzazioni sul sito) e una crescita di oltre il 300% nelle iscrizioni alla piattaforma solo a marzo scorso, con circa 3.000 docenti iscritti in un mese.

Di seguito maggiori dettagli sui contenuti messi a disposizione dei docenti.

E-BOOK – Disponibile gratuitamente un e-book “SOS Didattica a Distanza” che raccoglie una serie di oltre 30 schede di attività didattiche a distanza già sperimentate durante il lockdown della scorsa primavera, pronte da essere utilizzate con gli alunni. Le schede sono suddivise per livello scolastico e rappresentano veri e propri kit di progetto basati su esperienze già messe in pratica dai docenti eTwinning. Le schede sono descritte con un focus su livello, obiettivi, strumenti, procedure e risultati, in modo da rendere la loro applicazione facile, veloce e soprattutto efficace in qualsiasi contesto scolastico. Questa pubblicazione è stata realizzata grazie alla collaborazione degli ambasciatori e docenti esperti di eTwinning, attivi all’interno del Gruppo “SOS Didattica a Distanza” aperto nella community durante l’emergenza sanitaria.

WEBINAR CON ESPERTI DaD – Nella nuova sezione “SOS Didattica a Distanza” sono disponibili anche le registrazioni complete ed i materiali degli 11 incontri online sulla DaD, realizzati nel periodo marzo/giugno che hanno fatto visto la diretta partecipazione di più di 3000 docenti coinvolti in live streaming e oltre 10mila visualizzazioni. I webinar, tutti tenuti da soggetti esperti della didattica, toccano vari aspetti della DaD fornendo consigli ed esempi per supportare i docenti ed il personale scolastico a sfruttare al massimo le potenzialità di questa forma di insegnamento e far fronte alle criticità legate alla sua repentina applicazione nel sistema scolastico.

ESPERIENZE DI PROGETTO – A disposizione degli insegnanti più di 40 schede di progetti didattici. Queste esperienze riguardano storie dettagliate di attività svolte sia in aula che a distanza tra scuole nazionali o con partner stranieri, con focus su obiettivi, attività, metodologie e risultati. Tra quelle a disposizione, anche 6 relative a progetti attivati durante il lockdown, che offrono spunti e idee per un’analisi del contesto attuale, la gestione dell’emergenza Coronavirus e strumenti per favorire lo scambio tra ragazzi e docenti per fronteggiare e gestire al meglio la fase di riapertura scolastica.

GALLERY INSTAGRAM – Nella sezione sono raccolti gli scatti condivisi su Instagram dai docenti eTwinning nei mesi di didattica a distanza, nell’ambito dell’iniziativa Instagram #eTwinningNonSiFerma. Tra le oltre 400 foto condivise con l’hashtag dedicato saranno scelte le foto per la realizzazione del Calendario ufficiale eTwinning Italia 2021, che verrà reso disponibile online e distribuito durante gli eventi del prossimo anno. Link: https://etwinning.indire.it/sos-didattica-a-distanza/

La scuola della “ripartenza”

La scuola della “ripartenza” sia inclusiva e rispettosa del patrimonio e dell’ambiente

Lunedì 14 settembre inizia il nuovo anno scolastico: un appuntamento che dovrebbe segnare il superamento dell’esperienza forzata della didattica a distanza e che, non solo l’intera comunità scolastica, ma l’intero Paese considerano il segnale di una società che vuole ritrovare vitalità, avanzamento e miglioramento dopo l’esperienza dell’isolamento comunitario.

Italia Nostra augura a tutte le componenti della scuola un inizio in sicurezza; auspica che esse sappiano promuovere e possano sperimentare il valore sociale ed inclusivo dell’educazione (per superare quelle disuguaglianze sociali che la didattica a distanza ha inevitabilmente finito per riacutizzare); ribadisce con forza che l’insegnamento ha un ruolo centrale nella capacità di dare risposta ai bisogni delle giovani generazioni e che le comunità impoveriscono nei vuoti formativi.

Nel rivolgersi in particolare ai docenti che dovranno sostenere la responsabilità di queste sfide. Italia Nostra si offre come  concreto sostegno all’azione formatrice di questi insegnanti per “rigenerare” la comunità scolastica attraverso un’educazione inclusiva, rispettosa dell’ambiente, sensibile alla tutela dei propri patrimoni, concreta nel rivitalizzare l’idea di una scuola attiva nel territorio, capace di leggere la complessità dei propri paesaggi e delle città, e di sensibilizzare i giovani alla necessità di costruire patti sociali. In questa prospettiva Italia Nostra ha lavorato e sta lavorando alla stesura di proposte di PCTO da offrire alle scuole e di progetti che utilizzino il territorio come campo didattico e spazio concreto per sostenere i docenti nella loro opera educatrice.

Ebe Giacometti

Presidente Italia Nostra

Maria Rosaria Iacono

Referente Settore Educazione

AA.VV., 101 idee per…

101 idee per insegnare oltre la distanza, a cura di Ricerca e Sviluppo Erickson
Scritti di Susanna Benavente Ferrara, Paola Celentin, Gianluca Daffi, Michele Daloiso, Heidrun Demo, Alessandra Falconi, Ginevra G. Gottardi, Giuditta Gottardi, Dario Ianes, Alberto Pellai, Eva Pigliapoco, Valeria Razzini, Desirèe Rossi, Ivan Sciapeconi, Anna Rita Vizzari

101 idee per organizzare la scuola oltre la distanza, a cura di Laura
Biancato

Scritti di Massimo Belardinelli, Laura Biancato, Lara Calligaris, Gianni Ferrarese, Cristina Ferretti, Antonio Fini, Roberta Floris, Eleonora Galli, Luca Gervasutti, Rocco Greco, Sabrina Iacoponi, Salvatore Lentini, Paola Limone, Tiziana Mannello, Marina Marino, Silvia Mazzoni, Carlo Meneghetti, Luisella Mori, Chiara Natali, Marzia Nieri, Romina Orrù, Marco Orsi, Daniela Pampaloni, Samanta Parise, Alessandra Patti, Maria Paola Pietropaolo, Loriana Pison, Alessandra Rucci, Caterina Scapin, Roberto Sconocchini, Laura Spinelli, Stefano Stefanel, Donatella Turri, Daniela Valente, Angela Villa, Michela Zermian


“101 idee per insegnare oltre la distanza” e “101 idee per organizzare la scuola oltre la distanza”: due novità Erickson per una scuola che sia in grado di affrontare la sfida del rinnovamento pedagogico e organizzativo e promuovere inclusione

Siamo alla vigilia della partenza di un nuovo anno scolastico, che si presenta sicuramente diverso da tutti gli anni scolastici che abbiamo vissuto finora. Pur dovendo ripensare alla propria quotidianità, ai propri strumenti, alle proprie relazioni nel distanziamento fisico, la scuola riparte con una maggiore consapevolezza di sé e con molte competenze in più, maturate durante il lungo periodo della didattica a distanza.

“Durante le settimane del lockdown – afferma Dario Ianes, Docente ordinario di Pedagogia e Didattica dell’inclusione all’Università di Bolzano – discutendo con tanti insegnanti e dirigenti scolastici ho sentito chiara la determinazione a cambiare il modo di fare ed essere a scuola, la crisi aveva liberato anche energie creative: in questi due libri – le cariche dei 101- ne abbiamo raccolte molte, per aiutarci a mantenere la promessa del non sarà più come prima… sarà meglio!”

A questa ripartenza Erickson vuole dare il proprio contributo con la pubblicazione di due volumi: “101 idee per insegnare oltre la distanza”, a cura della Ricerca e Sviluppo Erickson, una proposta di 101 idee utili ai diversi aspetti della scuola, come la didattica delle discipline, le emozioni e le relazioni tra i compagni, il rapporto con le famiglie e l’inclusione degli alunni con Bisogni Educativi Speciali; “101 idee per organizzare la scuola oltre la distanza”, a cura di Laura Biancato, che propone un valido e concreto contributo alla ripartenza delle scuole: buone prassi, idee, nuovi approcci e nuove dinamiche di condivisione e di confronto.

“Al di là dei vincoli che necessariamente gravano sugli istituti scolastici in termini di prevenzione e tutela della salute, la scuola italiana riparte con infinite competenze in più, nuove idee e nuove motivazioni. Sarà di nuovo ciò che deve essere: una scuola in presenza. Senza dimenticare il supporto delle tecnologie digitali e della rete.”, afferma Laura Biancato, Dirigente scolastico dal 1996, dopo un anno di distacco al Ministero dell’Istruzione (Ufficio Innovazione Digitale), attualmente dirige l’ITET «Luigi Einaudi» di Bassano del Grappa.

La storia cambi passo

La storia cambi passo
Proposta di un manifesto per l’innovazione dei saperi storici

di Carlo Ruta

Contemporaneità e storia

Di recente si sono avute numerose prese di posizione a sostegno della storia come imprescindibile materia di studio e apprendimento, in risposta ad ambienti che ritengono si tratti una conoscenza non necessaria. Ma in questa fase, molto difficile, è opportuno che si provi ad andare oltre, ponendo al centro della discussione i caratteri, i modi d’essere e le pluralità della disciplina, i suoi metodi e i suoi fondamenti scientifici, perciò anche i suoi confini, perché meglio essa possa essere identificata e raccordata con i bisogni delle società civili. Il problema non è irrilevante, perché la percezione e la rappresentazione delle cose, del presente e del passato, sempre più oggi si presentano problematiche.

La storia, come disciplina che annota e spiega i fatti umani, elaborandone i nessi e le complessità causali, lungo il Novecento ha registrato avanzamenti significativi, in contesti anche tempestosi. Mentre l’Europa viveva nella prima metà del secolo le sue vicissitudini più tragiche, in alcuni ambienti si lavorava con slancio per ridefinire gli orizzonti disciplinari, per affinare i metodi d’indagine e per allargare i campi di studio, attraverso prestiti e scambi fecondi con altri saperi specialistici: in particolare con scienze sociali come l’antropologia, la sociologia, l’etnologia, la psicologia, la geografia e l’economia. Il caso più paradigmatico è di certo quello delle Annales, che dal 1929, sotto la direzione di Marc Bloch e Lucien Febvre, hanno impresso, dalla Francia, una trasformazione profonda alla ricerca, da cui hanno tratto motivi, con esiti spesso brillanti, diverse generazioni di studiosi. Il mondo è entrato poi in quella che Norberto Bobbio ha definito l’età dei diritti, travagliata tuttavia dal confronto geopolitico tra liberaldemocrazie e il mondo socialista, da polarizzazioni ideologiche e rinnovate tensioni sociali, percorsa infine da fenomenologie non meno condizionanti: dai soprassalti globali del neoliberismo agli exploit della telematica. Ne è derivato allora, ed è storia degli ultimi decenni, un quadro complessivo ondivago, di luci e ombre, che hanno avuto e continuano ad avere riflessi sostanziali, diretti e indiretti, sul mondo degli studi.

Nel tracciato delle esperienze del secondo Novecento, entro cui si collocano ricerche di spessore paradigmatico come quelle di Fernand Braudel e Philippe Ariès, si sono intensificati gli scambi interdisciplinari, per quanto forti siano rimasti i richiami dello specialismo più formale e caparbio. Il dibattito, resosi maggiormente fluido, ha prodotto una storia arricchita, per metodologie e contenuti, che è riuscita a investigare con cura speciale il terreno delle culture, e delle mentalità in particolare. Lo scandaglio delle epoche umane non è immune tuttavia, per la posizione che occupa, da influenze in grado di pregiudicarne anche i risultati, l’autonomia e il rigore metodologico. E tanto più i rischi sono manifesti in questi tempi, a causa di un clima che, per l’aumento delle disuguaglianze, la precarietà degli equilibri internazionali e la crescita del fenomeno immigratorio dalle aree disagiate a quelle più ricche, a livello globale va deteriorandosi, sui piani anche delle risorse civili, dei diritti e, per forza di cose, delle condotte razionali.

Mentre si aggiornano in maniera più o meno dichiarata i punti di vista eurocentrici e le sicumere universaliste di un «primo mondo» che non smette di riconoscere se stesso come il presidio per antonomasia dei «valori ultimi», si alimentano infatti, in numerose parti del Globo, le chiusure iper-identitarie, il rifiuto quindi delle multiculturalità e il pregiudizio etnico. Si tratta, a ben vedere, di fenomeni implosivi e dissociativi, che si generano nel vivo delle società e delle culture in maniera quasi inerziale, anche in paesi che lungo il Novecento hanno elaborato in maniera matura e relativamente aperta il «trauma» della decolonizzazione. Con l’ausilio di ideologie su misura, avanzano in definitiva logiche di risentimento e paura, che portano ancora a concepire il portatore di differenze come antagonista e, si potrebbe dire, come «ladro di risorse». Nell’ordine reale delle cose, sembrano finire fuori campo allora le prefigurazioni più feconde del secondo Novecento, come i paradigmi della coesione internazionale pensati da Hans Kelsen, i tracciati della «società aperta» di Karl Popper e, più ancora forse, i moniti egualitari delle antropologie più brillanti, come quella del Claude Lévi-Strauss di Razze e storia.

Situazioni di crisi si manifestano, contestualmente, nel sistema delle rappresentanze e in altri gangli delle democrazie liberali, da cui tendono ad emergere nuove ibridazioni, difficili da interpretare. Il mondo della comunicazione, sempre più condizionato dal digitale e dai social, produce inoltre fenomenologie di vario segno, con effetti ancora contraddittori, di orizzontalità attive da un lato, che nei primi anni di questo secolo hanno fatto immaginare una crescita delle buone pratiche di democrazia, e di condotte manipolatorie dall’altro, che rischiano di disorientare le opinioni pubbliche, ostacolandone il travaglio critico, con l’esito anche di rendere più difficili i percorsi conoscitivi, attraverso la fabbricazione del falso. In questo orizzonte problematico, che si alimenta di radicalismi di ogni livello, la ricerca storica è investita allora da responsabilità importanti, con ricadute possibili anche di ordine civile.

Scenari che mutano

Chi opera oggi nel campo delle scienze sociali, da qualsiasi prospettiva, storica, sociologica, antropologica e così via, ha davanti a sé strade diverse. Può arroccarsi nello specialismo isolazionistico o aprirsi utilmente alle sollecitazioni, può alzare la guardia o rilanciare, autolimitarsi o progredire, oscurare un paesaggio umano o illuminarlo. Può indugiare in definitiva sulla difensiva o porsi all’altezza delle difficoltà che travagliano i paesi, operando, se lo si vuole, in maniera emblematica. Può essere ancora istruttivo, al riguardo, il dato del primo Novecento, quando la Nouvelle histoire si ritrovò a coesistere con le implosioni nichilistiche e belliciste del tempo, bilanciandole in qualche misura, oggettivamente, come un utile anticorpo. Ciò non avveniva attraverso una dialettica frontale, più o meno accentuata in senso ideologico, ma, soprattutto, per mezzo di una erogazione in profondità, sfaccettata e innovatrice, in grado, già con il solo esserci, di puntellare in quell’Europa crepuscolare il senso delle cose e di porre la conoscenza storica come presidio della razionalità. Si trattava in fondo di una ricerca schiva, che in quei frangenti maturava con discrezione in alcuni circoli universitari della Francia, ma vigorosamente attiva e feconda.

Lo studioso di questo tempo è importante che faccia i conti con quelle esperienze conoscitive e quel contatto con le cose ma deve confrontarsi con un presente che propone scenari e prospettive di ricerca differenti. Tra le scienze sociali, la storia è forse quella che oggi più viene sottoposta a critiche demolitrici, non soltanto dalla prospettiva dell’utilità didattica. Secondo i nuovi detrattori della disciplina, le vicende umane sono troppo eterogenee, vaghe e divergenti per essere trattate e spiegate con metodi di ricerca credibili. Ed è ben chiaro che in questo modo, agli sforzi di studio sostenuti nell’ultimo secolo, e ai traguardi raggiunti, si finisce per opporre, oltre che le cortine dello scientismo, il nichilismo, il vuoto unidimensionale, ideologico, che tende di fatto a delegittimare saperi stratificati e a sollecitare, dal versante degli studi, le implosioni del presente. Riaffiora, in sostanza, con nuove modalità, il timore della storia, proprio quando questa disciplina per una serie di circostanze, esterne e interne, appare nelle condizioni di accelerare il passo e produrre nuove rotture paradigmatiche. Oggi essa può disporre infatti di risorse inedite, offerte anche dai progressi impetuosi di alcuni campi tecnologici e delle scienze naturali, che stanno rivoluzionando, tra l’altro, discipline contigue come quelle archeologiche.

Nel panorama delle scienze, l’archeologia si colloca in una sorta di frontiera, che per tanti aspetti ha forgiato i suoi modi operativi e il suo carattere, anch’esso pluralistico. In alcuni contesti, come quello della New archeology, nota altrimenti come archeologia processuale, la disciplina è riconosciuta come contigua alle scienze naturali. La relazione si fa oggettiva del resto e diventa organica con l’archeometria, concentrata soprattutto sull’analisi di laboratorio, chimica, fisica e biologica dei reperti e degli ambienti naturali di provenienza. Il quadro si presenta però più ampio e sfaccettato. La ricerca archeologica, anche dalla prospettiva paletnologica, che indaga le età preistoriche, ha registrato dal secondo dopoguerra significativi momenti di crescita, derivanti appunto dall’innovazione tecnologica. I più recenti dispositivi della subacquea, le telecamere lidar, i sonar, i magnetometri e i radar per il telerilevamento, le foto satellitari, le tecniche 3D, le tomografie computerizzate e i nuovi ritrovati per la datazione dei reperti stanno mutando infatti radicalmente l’orizzonte degli studi. Se utilizzati con criterio e organicità, questi progressi possono incidere allora in maniera significativa sull’indagine pluridirezionale delle epoche umane. In sostanza, più utilmente che in passato, l’archeologia è in grado di occupare una posizione mediana, sul piano operazionale almeno, tra la disciplina storica e le scienze naturali. Essa rimane tuttavia una scienza sociale, e su questo terreno si trova ad articolare i suoi contatti più impegnativi con la storia, mentre quest’ultima è nelle condizioni e ha l’opportunità, appunto, di rimescolare le carte e di riconsiderare, tra l’altro, il problema delle fonti, che solo in parte nell’età delle semiotiche possono risolversi nei tragitti della scrittura, dai primi pittogrammi all’alfabeto.

Superando il confine

Come scienza sociale, la storia non ha il compito di giudicare, assolvere o condannare. Essa ha l’onere di restituire senso ai fatti umani, illuminandoli, incalzandoli, esplicitandoli, attraverso il documento e il manufatto, l’oggettività naturale e le immaterialità resistenti, le culture e il loro correlarsi dialettico. Storici di grande acutezza, come Karl Lamprecht e Henri Pirenne, molto stimati dagli annalisti, soprattutto di prima generazione, adoperavano un concetto «compromettente» per definire un loro approccio alla ricerca. Essi parlavano di una storia totale, per rimarcare i modi d’essere di un’attività scientifica indiscreta, attiva su vasti orizzonti e aperta ad ogni contaminazione utile. Tutto questo, mentre evoca una stagione di scommesse, riesce a fornire allora spunti produttivi al presente. Per ridare senso alle cose e aiutare così le società a rendersi conto e a riorientarsi è necessario, evidentemente, liberare il campo da scorie, chiusure, polarizzazioni vacue e schemi ideologici in grado di deprimere l’esercizio della ricerca. Ed è quel che le storiografie più avvertite, da varie posizioni, si propongono di fare da decenni, in sintonia con gli ambiti più maturi di altre scienze sociali. Il Novecento, in questo senso, ha costituito una grande fucina, ha forgiato strumenti e incubato risorse conoscitive. Ma le fratture di questa tarda modernità sollecitano ad accelerare e cambiare passo. Ciò potrebbe essere allora la scommessa di oggi.

La ricerca del secolo scorso, impugnando il «primato» della storia politico-militare e, per dirla con gli annalisti, della narrazione événementielle, concentrata di massima su attori di rango, eventi memorabili e rigide scansioni cronologiche, ha scoperto la pluralità dei campi, inoltrandosi con impeto in territori prima trascurati, dall’economico al sacrale, dalla vita quotidiana alle mentalità, dalle tecniche al lavoro, dai sentimenti alle differenze di genere. L’ultimo Novecento ha espresso poi altri modelli, come quello di una storia globale che, solo in minima parte sul tracciato braudeliano della longue durée, si è snodata dagli anni settanta con esiti anche fecondi, che hanno portato, tra l’altro, ad una ridiscussione ad ampio raggio dei modelli eurocentrici ed occidentalisti. Con uno sguardo orientato alle fenomenologie economico-finanziarie del mondo contemporaneo, sono stati riconsiderati infatti i rapporti tra il globale e il territoriale, il Nord e il Sud, il Ponente e il Levante, che nelle opere di Immanuel Wallerstein, ad esempio, vengono ricomposti nel paradigma unificante del sistema-mondo. Ma la storia può aspirare a portarsi lungo regioni, fisiche e immateriali, più impervie e sfumate, dove diventa inevitabile il confronto con tutto ciò che, dotato di un flusso, di un moto intrinseco, sfugge a rappresentazioni univoche e cristallizzate. Può essere conferito allora altro peso a elementi di «disturbo» come il trasversale, l’ambiguo, il tortuoso, l’instabile, l’imprevedibile, il contraddittorio, l’indeterminato e l’inopportuno, che pure hanno esercitato influenze decisive sulla formazione delle epoche, sui processi di civilizzazione e perfino sulle articolazioni della razionalità umana.

In un orizzonte epocale come quello odierno, che rivendica in maniera compulsiva il massimo di agiatezza e di comfort, e che mostra tuttavia segni di affaticamento, la storia può aiutare a restituire delle logiche e un senso a quel che viene percepito come estraneo e fuori campo. Può aiutare inoltre a frequentare in maniera empatica le complessità delle cose e a orizzontarsi meglio lungo le tre prospettive che reggono, avvolgendola, l’esperienza umana: il contatto con la natura, il confronto con il mondo sociale e il rapporto con la storia, che, come dimensione del passato, in ogni persona è costume, memoria, lingua, background culturale, senso e misura del tempo, in definitiva, percezione orientata del . Se la mission più conseguente e alta della ricerca storica è allora quella di contribuire ai processi di autoanalisi delle società, attraverso prese d’atto, scoperte e atti di coscienza, si può immaginare un ripensamento emblematico e consapevole, un «patto» tra la ricerca storica e le società umane in cui siano soddisfatte determinate condizioni.

Non sempre, a ben vedere, la storia si ritrova al servizio del vincitore, come vuole un motto corrente. Essa può sostenere un ceto resistente, come si avverte, ad esempio, nella narrazione moralistica di Publio Cornelio Tacito. A volte si trova a sostenere le ragioni di un mutamento possibile, di un progresso o di un regresso, retto da attori più o meno presenti o mimetici. È naturale allora che lo studioso, in possesso di fonti, debba impiegare una discreta parte del tempo disponibile a correggere, porre in discussione, confutare tradizioni e narrazioni che grondano inevitabilmente di falsi, inverosimiglianze, artifici narrativi, interpolazioni e fraintendimenti. Ma la ricerca ha l’onere di confrontarsi con un orizzonte più ampio di sostanze resistenti: strati e sostrati fisici, accumuli dell’immaginario, strutture linguistiche, tradizioni sacrali, percorsi tecnologici, costumi, manualità e altro ancora. È opportuno allora che attraverso questo contatto polimorfo con le cose si manifestino nuovi propositi.

Potrebbe risultare fecondo intanto un confronto progressivo con le fenomenologie del pregiudizio che, declinato variamente, in senso etnico, culturale, religioso, politico, di genere, di ceto, di specie e altro ancora, attraversa le società umane. Riprendendo, in qualche misura, il filo intuitivo di autori come Walter Lippmann e, soprattutto, di Hannah Arendt che si concentrò sul totalitarismo e l’antisemitismo, la ricerca storica potrebbe assumersi il compito, fino ad oggi largamente eluso dalle scienze sociali, di spiegare il quando, il come e il perché il sospetto verso il differente, il distante e l’«alterità» possa tradursi in un pericoloso bisogno comune, conclamato e stratificato. Di concerto con l’antropologia, la psicologia, la sociologia e l’economia, essa potrebbe indagarne inoltre le condizioni per possibili movimenti inversi: dall’impulso a chiudersi all’esigenza di aprirsi. Si tratta di uno spunto evidentemente, lungo linee di raccordo, appunto, tra le ragioni scientifico-disciplinari, che potrebbero uscirne arricchite, e i bisogni di crescita civile. Operazioni del genere sono possibili tuttavia a determinate condizioni.

Una storia che sia a misura dei tempi è importante che si «sporchi le mani», che impari, dagli archeologi ad esempio, l’attitudine a cavare terra dal suolo, con pazienza, alla ricerca di strati più profondi di quel che già si conosce e alla scoperta di quel che non si conosce ancora e che è tuttavia ipotizzabile, immaginabile o «deducibile» attraverso lo studio di termini noti. Occorre una storia prudente ma audace, che si confronti senza remore con l’incerto, che dia quindi consistenza e conferisca un ruolo strategico al dubbio, allo stesso modo in cui l’epistemologia, con Karl Popper, ha conferito uno status scientifico al falsificabile. Nell’età in cui le scienze naturali, passate attraverso esperienze come quelle di Planck, Bohr e Heisenberg, potenziano il paradigma probabilistico, appare curiosa una ricerca storica che indugi troppo su schemi inarticolati, tassonomie perfette e linee ortogonali tracciate a tavolino. Occorre rendere disponibili e utilizzare, di preferenza, altri strumenti, a misura dei problemi. E l’oggetto storico, sfuggente già di suo, suggerisce, tanto più quando si è davanti a fenomenologie di forte indeterminazione, modelli decisamente duttili, che meglio possano aiutare a registrarne l’onda, il respiro epocale e le mobilità.

Negli attuali orizzonti, la storia ha bisogno in realtà di smarrirsi per ritrovarsi, di frequentare, a ritroso, strade impervie che diano però l’opportunità di riflettere con carichi di consapevolezze più spendibili e condivisibili, anche in termini di socialità attiva: tanto più quando è la stessa vicenda umana, con le sue problematicità, a richiedere una maggiore erogazione. La mobilità sfuggente dell’oggetto storico evoca poi una ulteriore mobilità, quella del punto di vista, che costituisce una buona risorsa per far progredire la conoscenza e arginare il pregiudizio. La mobilità dello sguardo, che fornisce all’osservatore una visione differenziata dell’oggetto, può aiutare lo storico a riconoscere meglio i territori non fisici, a proiettarsi nei contesti di mentalità lontane e a interagire perciò con razionalità differenti, che l’Occidente, ad esempio, stenta ancora oggi a riconoscere, se non sommariamente.

Saperi e incontri

La storia non ha bisogno di teorie che spieghino la vicenda umana nella sua totalità e come totalità, facendone il «regno dei fini». Visioni del genere restano supponenti oltre che, come rilevava Popper, ascientifiche. In realtà, se vuole mantenere una funzione ed esercitare un’influenza utile, la storia non può distaccarsi dai suoi compiti di disciplina delle complessità e delle cause. E nel Novecento, dalle prime stagioni delle Annales, questo impegno è stato esercitato appunto con slanci pionieristici. Essa ha imparato a muoversi infatti fuori dai propri confini, dove si è incrociata tra l’altro con l’antropologia, che, per quanto non priva di remore ideologiche e di aree di subalternità, sin dalla seconda metà del XIX secolo ha conferito spessore globale agli studi su alcuni campi, come quelli delle culture e dell’organizzazione sociale. Ma è importante che oggi si proceda oltre e si cerchi di ridurre lo iato che, malgrado le mediazioni già esistenti, di cui si diceva prima, persiste negli ambiti scientifici. Si potrebbe cominciare a ripensare, in particolare, le relazioni possibili e preferibili tra la razionalità dei saperi storici, in senso lato, e quella delle scienze naturali.

Se, come si è detto, i tempi attuali suggeriscono un patto plausibile tra società e storia, si potrebbe concepire, ancora utilmente, un nuovo «contratto», tra le scienze della natura e quelle sociali. Le differenze rimangono significative, poiché le prime non hanno per oggetto l’uomo storico in continua modificazione, che è invece oggetto delle scienze sociali, mentre in queste ultime non esiste tra l’osservatore e l’oggetto osservato quel distacco che, in via generale, è consueto nelle scienze naturali. Nel mondo attuale, dove gli interessi dei sistemi rischiano di sopraffare istanze e bisogni umani essenziali, un dialogo serrato e crescente tra le scienze potrebbe risultare tuttavia emblematico. Ma se la storia, come altre discipline affini, ha buone ragioni per continuare a portarsi «fuori le mura», dall’altro versante la situazione sembra più problematica. Perché le scienze naturali, concentrate sulle loro osservazioni, i lori principî e il rigore delle loro dimostrazioni, dovrebbero «scendere a patti» con le scienze sociali, e nello specifico con la disciplina storica? È un po’ il quesito di fondo, la cui risposta, nei termini di un apologo, potrebbe essere riposta, in qualche modo, nel Diogene della tradizione antica, con la sua lanterna accesa, che usava, a suo dire, per cercare l’uomo.

I saperi storici possono aiutare in realtà le scienze naturali a non perdere di vista l’uomo, appunto, ossia la dimensione del sociale, della sostenibilità, del tempo civile, che costituiscono la condizione di base per qualsiasi progetto, anche scientifico. Per gli studiosi della natura e delle discipline logico-matematiche la storia può costituire allora una utile sponda orientativa, di tipo anche morale. Si dirà che già la poesia, la prosa letteraria, la musica, il cinema, il teatro e tutte le altre arti assolvono un tale compito, ma, diversamente da tali espressioni della creatività umana, la storia condivide con le altre discipline sociali e con le scienze naturali la ricerca delle cause, un accostamento alle cose e, ancora, delle logiche di fondo che possono convergere su un coeso orizzonte di scambi e interazioni, senza pregiudizio per le diversità e l’autonomia dei saperi.

In definitiva, possono crearsi i presupposti per nuove sintonie, mentre la storia, che da un clima più aperto trarrebbe di certo dei benefici, ha buone ragioni per progredire verso nuove esperienze paradigmatiche: dubitante ma audace, dotata di un timbro proprio ma eccedente, duttile ma resistente, istruttiva e, davanti ai fattori di crisi che colpiscono questa contemporaneità, capace di sostenere da posizioni di prima fila i processi di riequilibrio culturale.

Se un alunno risulterà positivo al Covid resterà a casa fino a due tamponi negativi

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Un alunno che sia risultato positivo al Sars-Cov2 dovrà rimanere a casa fino alla scomparsa dei sintomi e in ogni caso fino all’esito negativo di due tamponi eseguiti ad almeno 24 ore di distanza. Il rientro a scuola solo con certificato. Coerentemente col piano scuola, i genitori sono responsabili dello stato di salute proprio e dei minori. Sono alcuni dei chiarimenti che arrivano dalla Regione Emilia-Romagna, dall’assessorato alla Salute e dall’ufficio scolastico regionale nelle indicazioni operative per la riapertura delle scuole e per la gestione di casi e focolai di coronavirus.

Il documento è stato inviato ai dirigenti scolastici, coordinatori didattici, responsabili della sanità pubblica, pediatri e medici di medicina generale di tutto il territorio regionale. Se si sospetta un caso di Covid-19, il pediatra o il medico di base valuterà se richiedere un tampone.

In caso di esito positivo, il Dipartimento di sanità pubblica avviserà il referente scolastico Covid-19 e l’alunno rimarrà a casa fino alla scomparsa dei sintomi e all’esito negativo di due tamponi. In caso di negatività pediatra o medico, una volta terminati i sintomi, produrranno un certificato di rientro in cui deve essere riportato il risultato negativo del tampone.

Nel caso di un alunno con sintomi non riconducibili a Covid-19, pediatra o medico gestiranno la situazione come normalmente avviene, indicando alla famiglia le misure di cura e concordando, in base all’evoluzione del quadro clinico, i tempi per il rientro in comunità. Non è richiesto certificato per il rientro, né autocertificazione.

Dalla mancanza di docenti alla didattica digitale, dalle gite scolastiche ai controlli: la versione dei presidi

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Le scuole sono pronte a riaprire ma «a macchia di leopardo. E, seppure le scuole pronte saranno la stragrande maggioranza, anche nel loro caso le attività riprenderanno a scartamento ridotto». Lo afferma Mario Rusconi, presidente dell’Associazione nazionale presidi del Lazio, intervistato da Skuola.net in una diretta web.

Le prime settimane
All’inizio in molte «si faranno poche ore per volta oppure si alterneranno le classi». Soprattutto per la carenza di docenti: «Un fenomeno che la politica pare abbia scoperto in questi giorni ma che affligge la scuola da almeno 15-20 anni. E poi ci sono i cantieri ancora aperti per i lavori di cosiddetta “edilizia leggera”, per allargare gli spazi e garantire il distanziamento».

Posticipare l’apertura
Ma per farlo ci devono essere dei motivi molto validi: «È il consiglio d’istituto che deve produrre una delibera. Se proprio non si riesce ad aprire alla didattica, questo va comunicato al proprietario dei locali per evitare che avvii i vari servizi (scuolabus, mensa e altro)».

Calendario
Per chi partirà in ritardo ci saranno meno vacanze? La fine della scuola sarà posticipata: «Ricordiamo che si devono fare almeno 200 giorni di scuola, se non vengono raggiunti vanno in qualche modo recuperati. Tranne in casi eccezionali, come avvenuto per il lockdown».

Test sierologici, tamponi e controlli
«Quando il ministro della salute Speranza ha detto che i test per il personale scolastico era su base volontaria abbiamo obiettato. Ma comprendiamo che ciò non è stato fatto perché sottoporre 1 milione di persone in breve tempo ai test era praticamente impossibile. Abbiamo però suggerito di allargare, seppur a campione, i controlli ai ragazzi di terza, quarta e quinta superiore».

Mascherine, obbligatorie o no?
«Le mascherine vanno adoperate in classe durante le ore di lezione solo se non si mantiene la distanza di 1 metro; altrimenti si adoperano solo quando ci si alza per andare in bagno, per l’intervallo, all’entrata e all’uscita». Cosa succede ai trasgressori? «Se uno studente non usa la mascherina ci saranno sanzioni equilibrate, un richiamo o poco più; nessuna punizione esemplare».

Tipologie di mascherine ammesse
«Il Cts ha raccomandato le mascherine chirurgiche, poi ha aperto a quelle di stoffa (accuratamente lavate); la commissione Arcuri, però, dovrebbe mandare alle scuole solo quelle chirurgiche. Mentre non si potranno usare le mascherine più protettive, le FP2».

Autocertificazione per l’ingresso
«L’autocertificazione sanitaria non si può fare. Se un genitore certifica che il figlio non ha la febbre ma poi ce l’ha cosa succede? Noi ci affidiamo al senso di responsabilità di tutti. Ma, siccome questo non ci dà garanzie assolute, molte scuole si stanno attrezzando autonomamente con termoscanner e quant’altro, pur non essendo obbligatorio».

Gel igienizzanti
Nessuna incombenza a carico delle famiglie: «Il gel è stato già distribuito in tantissime scuole, altre lo hanno comprato autonomamente. Si troverà sul posto. Diverso il discorso per le mascherine: in molte scuole ancora non sono arrivate e si comincerà con quelle portate da casa».

Alunni con sintomi
«Viene predisposta una stanza dove mettere lo studente, si chiamano i genitori per farlo portare a casa; se attraverso il tampone viene fuori che è positivo, si fa il tampone anche ai compagni di classe e ai docenti che sono stati a contatto con la classe nei due giorni precedenti. Se qualcuno di questi è positivo, bisogna fare il tampone a tutti quelli che sono stati a contatto con loro, compresi i genitori. È una specie di domino. Ecco perché la prima cosa è la prevenzione».

Didattica digitale
Alle scuole superiori continuerà: «Prendiamo una classe dove possono entrare distanziati in 20, ma gli alunni sono 25; o si fa mettere la mascherina a tutti per tutto il giorno oppure, se non si può, si fanno entrare gli studenti fino alla capienza massima e gli altri, a rotazione, si fanno stare a casa e collegare a distanza. Questo apre il tema di predisporre dotazioni tecnologiche, non comuni nelle scuole ma su cui le scuole si stanno già attrezzando».

Gite scolastiche
«Secondo me non sarà più possibile farle. E’ un sacrificio, ma con i sacrifici si cresce».

Pcto (ex alternanza scuola-lavoro)
Il ministero ha detto che i Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento si faranno. Ma secondo il rappresentante dei presidi: «Non sarà facile trovare i soggetti ospitanti. C’è un problema penale: se uno studente si contagia qualcuno potrebbe dire che la colpa è della scuola o dell’azienda che lo ospita. Probabilmente verranno fatti a distanza, sulla falsariga di quanto è avvenuto per la didattica digitale».

Assemblee d’istituto
“Non si faranno più o si faranno solamente in call. Oppure dovranno essere mantenute le distanze. E’ uno di quei momenti di aggregazione – come il bacio o l’abbraccio all’entrata e all’uscita o l’intervallo – che dobbiamo pensare come parte del passato e di un prossimo futuro ma non del presente».

Consiglio dei ministri: norme urgenti per pulire locali che saranno utilizzati come seggi elettorali

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Il Consiglio dei ministri ha deliberato disposizioni urgenti per la pulizia e la disinfezione dei locali adibiti a seggio elettorale e per il regolare svolgimento dei servizi educativi e scolastici gestiti dai comuni (decreto-legge). Lo si legge nel comunicato finale del Consiglio dei ministri. Su proposta del presidente Giuseppe Conte, del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e del ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, il Cdm ha approvato un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti per la pulizia e la disinfezione dei locali adibiti a seggio elettorale e per il regolare svolgimento dei servizi educativi e scolastici gestiti dai comuni.

In considerazione della situazione pandemica e del rischio di contagio da Covid-19 connesso allo svolgimento dei compiti istituzionali, il testo – si legge nel comunicato – istituisce nello stato di previsione del ministero dell’Interno un fondo con una dotazione di 39 milioni di euro per l’anno 2020, destinato a interventi di sanificazione dei locali sedi di seggio elettorale in occasione delle consultazioni elettorali e referendarie del mese di settembre 2020.

Inoltre, al fine di assicurare il regolare svolgimento dei servizi educativi e scolastici gestiti direttamente dai comuni, anche in forma associata, nonché l’attuazione delle misure finalizzate alla prevenzione e al contenimento dell’epidemia, si prevede che la maggiore spesa sostenuta dai comuni, rispetto a quella dell’anno 2019, per personale educativo, scolastico e ausiliario con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato non si computi nel calcolo dei limiti di spesa previsti per le forme di lavoro flessibile dall’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 78 del 2010.

Studenti in piazza: è stato fatto troppo poco per la riapertura

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

A «qualche giorno dalla riapertura ancora troppo poco è stato fatto dal governo per la riapertura della scuola: mancano i trasporti, i lavori di edilizia leggera non bastano, la dispersione scolastica è alle stelle e il numero dei docenti è insufficiente. Non è abbastanza! Per questo gli studenti scenderanno in piazza il 25 e il 26 settembre». E’ quanto annuncia l’Unione degli studenti.

«La scuola in questo Paese ripartirà in condizioni disastrose: manca un piano di riapertura chiaro e non ci sono risposte concrete ad anni ed anni di definanziamenti – dichiara Alessandro Personè dell’Unione degli studenti – Il lavoro del ministero è ancora incerto e insufficiente. Ad oggi gli investimenti fatti non risolvono il problema di organico mancante e di edilizia scolastica che continua a vedere le classi pollaio, in un momento in cui questo mette in pericolo anche la nostra salute. L’insufficienza del trasporto pubblico escluderà di fatto gli studenti che vivono in zone marginali e disconnesse rispetto ai grandi centri urbani, o comunque alle cittadine dove hanno sede gli edifici scolastici».

«Il lockdown ha sottolineato come i livelli di dispersione scolastica e povertà educativa siano in aumento: il Recovery Fund dovrà avere un ruolo determinante per garantire accesso, istruzione gratuita e per ridisegnare un nuovo modello scuola- aggiunge Alessandro Personè – Vogliamo che il governo incontri le parti sociali per scrivere insieme il futuro della scuola pubblica nel Paese, che parta dall’abrogazione della Buona Scuola».

«Per questo il 25 settembre saremo in tutte le città italiane e il 26 settembre accanto al comitato “Priorità alla scuola” a Roma. Non avremo altre possibilità per affrontare i problemi annosi che investono la scuola pubblica: 209 miliardi possono essere un ottimo punto di partenza per capire come si può fare scuola ai tempi del Covid, imparando a lavorare, studiare e socializzare in sicurezza», conclude Personè.

I dubbi dei presidi, ma Conte: ora si parte

da Corriere della sera

Marco Galluzzo

Tutti ci sperano, ma non tutti ci credono, a cominciare dai presidi. Il governo garantisce che ha fatto il possibile per riaprire le scuole lunedì prossimo, ma si moltiplicano i Comuni, attualmente sono almeno una ventina, dal Lazio alla Liguria, che decidono autonomamente di riaprire il 24 settembre.

Lo scetticismo dei presidi è del presidente dell’associazione nazionale, Antonello Giannelli: «È evidente che per riaprire in sicurezza è necessario che alcuni problemi vengano risolti. A quanto sappiamo, la consegna dei banchi monoposto è in grave ritardo. Altre due criticità importanti sono quelle delle aule, perché gli enti locali non le hanno reperite ovunque, e l’assegnazione piena dell’organico». Conclusione: «Il 14 settembre non è una data che tutti potranno rispettare».

Eppure ieri la comunicazione del governo è stata all’insegna del prudente ottimismo. «L’anno scolastico ripartirà il 14 settembre, in sicurezza», ha assicurato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in conferenza stampa con i ministri dell’Istruzione, Lucia Azzolina, della Salute Roberto Speranza, e dei Trasporti, Paola De Micheli. «Il rientro a scuola avverrà in un contesto nuovo e non facile. Ci sarà qualche cambiamento e regole nuove. Abbiamo predisposto con le massime competenze questo obiettivo. Quindi avendo valutato tutto, posso dire che garantiamo un rientro in sicurezza e non è una affermazione leggera».

Ovviamente è lo stesso capo del governo ad ammettere che non tutto potrà filare liscio: «Sarebbe una bugia dire che sarà tutto meglio di prima, ci potranno essere delle difficoltà. Ma sono tranquillo e fiducioso, anche di portare mio figlio a scuola».

Conte ha confermato che i genitori che avranno figli in quarantena, avranno possibilità di usufruire di smart working o anche congedo parentale, «lo abbiamo previsto nell’ultimo decreto che a breve sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale».

Conseguenze politiche? «All’orizzonte non mi aspetto nulla, cosa pensa che il 15 ci riuniamo per valutare il rimpasto? Assolutamente no. Il governo ogni giorno si assume la responsabilità delle proprie decisioni». Concetti ribaditi dalla ministra Lucia Azzolina, che ha parlato di difficoltà «residuali» che verranno superate: gli studenti attualmente senza classe «a giugno erano circa un milione, oggi sono circa 50 mila. Questo non significa che questi studenti non andranno a scuola, stiamo risolvendo».

Azzolina ha aggiunto che «la scuola è il luogo meno rischioso rispetto ad altri dove possono stare i nostri ragazzi». Mentre ha escluso «un automatismo tra un caso di studente positivo e la quarantena dell’insegnante. Sarà il dipartimento di prevenzione territoriale — ha spiegato la ministra — a stabilire caso per caso. Non c’è automatismo, ma nel caso si decidesse per la quarantena dell’insegnante allora si farà la didattica a distanza. Si tratta di quanto è stato previsto anche nelle linee guida».

La ministra infine ha specificato che «sono 5.177 le aule in più che abbiamo ricavato, 4.812 quelle che sono state ampliate per un totale quasi di diecimila aule in più. Abbiamo anche finanziato l’affitto di spazi esterni alle scuole trovando soluzioni alternative».

In serata il premier, in un’intervista su Rete 4, ha risposto alla lettera dei governatori del centrodestra, pubblicata sul Corriere, sulla secretazione di uno studio sul coronavirus. «L’iniziativa mi sembra pretestuosa, strumentale — ha detto Conte — anche perché un rappresentante della Lombardia che è nel Cts lo ha saputo prima di Speranza. Si continua a distorcere la realtà».

«Così è possibile lasciare gli alunni seduti per ore»

da Corriere della sera

Margherita De Bac

ROMA «Le parole chiave sono distanziamento e sedentarietà, due fattori che potrebbero condizionare il sereno ritorno degli alunni a scuola». Al Bambino Gesù, dove Teresa Grimaldi Capitello è responsabile della psicologia clinica, in fase Covid hanno funzionato e sono tuttora aperti due sportelli per il contatto con le famiglie, bisognose di consigli sugli effetti della clausura.

Come può sentirsi un bambino seduto al banco per diverse ore?

«Distinguiamo per fasce d’età. Tra zero e 5 anni il movimento è legato e fa parte dell’apprendimento che si costruisce attraverso il gioco e la socializzazione. Parliamo infatti di “intelligenza psicomotoria”. Le conseguenze della mancanza di queste dinamiche possono essere la difficoltà a regolare le emozioni e lo sviluppo, quindi una maggiore aggressività o al contrario atteggiamenti di chiusura».

E tra 6 e 11 anni?

«Se c’è un disagio psichico che dipende da difficoltà di adattamento a scuola il bambino può essere portato a somatizzarlo, a esprimerlo con mal di pancia, vomito e nausea al risveglio e cefalea. È come mandare messaggi attraverso il corpo. È un processo tipico dei bambini delle elementari».

Il ritorno in classe viene vissuto con ansia?

«In tempi normali registriamo un picco di questi disturbi tra settembre e novembre, in coincidenza con la riapertura scolastica. Un fenomeno slegato dal Covid. Non è escluso che una difficoltà personale possa essere confusa con sintomi organici».

Gli adolescenti sono meno suscettibili?

«Alle medie il problema può dipendere dalle mascherine che limitano la capacità di identificazione delle emozioni sul volto e l’apprendimento sociale. Il ragazzo non capisce se l’altro scherza, se gli vuole trasmettere simpatia o antipatia. La mimica è ridotta, il sorriso resta nascosto».

Le scuole nell’epoca del Covid rendono più difficile la socializzazione?

«Non si può generalizzare ma teoricamente l’inclusione sociale è ridotta, pensiamo agli ingressi scaglionati e all’alternanza dei gruppi. Però vorrei dare un messaggio positivo. Le risorse dei ragazzi, anche dei più piccoli, sono tali da aiutarli a fronteggiare un cambiamento. La cosiddetta intelligenza adattiva».

La ricreazione sarà ridotta. È un guaio?

«È sicuramente un problema per i bambini non avere uno sfogo. Ricreazione e mensa sono un rituale. È come il pasto in famiglia. Si crea il senso della comunità e della condivisione, si impara a superare la selettività degli alimenti perché stare tutti insieme fa gruppo e i compagni danno l’esempio».

E la didattica a distanza?

«Deve essere accessibile per tutti gli alunni. Però quando la maestra fa il dettato essere in sua presenza è sicuramente meglio che stare a casa».

Lavoratori fragili, il Ministero presenta la nota in arrivo. Presidi: ci saranno difficoltà applicative

da OrizzonteScuola

Di redazione

Si è svolto stasera l’incontro in videoconferenza con il Ministero dell’istruzione dedicato alla presentazione della nota, di prossima emanazione, sulla gestione dei lavoratori fragili.

L’ANP, nel suo intervento, ha riconosciuto lo sforzo del Ministero nel cercare di dare una sistemazione complessiva a una materia delicatissima e non regolamentata considerata la sua eccezionalità, ma ha sottolineato come la nota sia stata elaborata a ridosso dell’avvio dell’anno scolastico, con conseguenti difficoltà applicative da parte dei dirigenti scolastici. I rappresentanti dell’ANP hanno evidenziato la possibilità che il numero di utilizzazioni da disporre all’interno di ciascuna istituzione scolastica possa creare criticità e inconvenienti, considerato che la platea dei lavoratori interessati si configura senz’altro più ampia di quella che risulta coinvolta in condizioni non eccezionali.

Arrivati in prossimità dell’inizio delle lezioni la pubblicazione della nota è evidentemente urgente e improcrastinabile e sarà assolutamente necessario monitorare con attenzione gli effetti della sua applicazione.

Ancora più urgente è un intervento normativo specifico: per i diritti di tutti i lavoratori e per la garanzia dell’azione amministrativa. Sono questi due temi centrali per tutti i dirigenti delle scuole, quotidianamente chiamati a gestire le risorse umane e ad assicurare il rispetto del diritto all’istruzione.

Contenuti

Sia per il personale docente, educativo e ATA a tempo indeterminato sia per il personale a tempo determinato – spiega l’ANP nel resoconto della riunione- nel caso sia formulato un giudizio di idoneità con prescrizioni, è ovviamente compito del dirigente adempiere alle prescrizioni impartite e adottare tutte le cautele e i suggerimenti eventualmente espressi dal medico competente e compatibili con l’organizzazione del servizio. Se il medico competente formula invece un giudizio di inidoneità temporanea nei confronti di dipendenti a tempo indeterminato, occorre distinguere a seconda che si tratti di inidoneità a svolgere qualsiasi attività lavorativa, oppure di inidoneità a svolgere la specifica mansione del profilo.
Nel primo caso, il dipendente viene collocato in malattia d’ufficio.

Sciopero personale scuola per l’intera giornata del 24-25 settembre

da OrizzonteScuola

Di redazione

Nota 12261 del 9 settembre 2020. Comparto Istruzione e Ricerca – Sezione Scuola Scioperi per l’intera giornata dei giorni 24 e 25 settembre 2020.

Le Associazioni sindacali USB P-I Scuola, UNICOBAS Scuola e Università, Cobas Scuola Sardegna e Cub scuola Università e Ricerca hanno proclamato le seguenti azioni di sciopero:

– USB P.I. – sciopero nazionale dell’intera giornata del 24 e 25 settembre di tutto il personale Dirigente, Docente, Ata ed Educativo della scuola, a tempo determinato e indeterminato, delle scuole in Italia e all’estero;
– UNICOBAS Scuola e Università – sciopero nazionale dell’intera giornata del 24 e 25 settembre di tutto il personale Docente ed Ata, a tempo determinato e indeterminato, delle Scuole, della Ricerca e delle Università in Italia e all’estero;
– COBAS Scuola Sardegna – sciopero nazionale dell’intera giornata del 24 e 25 settembre di tutto il personale Dirigente, Docente, Ata ed Educativo della scuola;
– CUB Scuola Università e Ricerca – sciopero nazionale dell’intera giornata del 25 settembre di tutto il personale Dirigente, Docente, Ata ed Educativo della scuola”.

NOTA

Covid scuola, mezzo milione di docenti e Ata hanno fatto il test sierologico: 13.000 positivi. Conte: non cambia nulla

da La Tecnica della Scuola

Quasi un docente o Ata su due, pari a mezzo milione di lavoratori della scuola, ha svolto il test sierologico per individuare il Covid-19: il 2,6% – cioè circa 13 mila tra insegnanti, assistenti e collaboratori scolastici – è risultato positivo e non prenderà servizio fino a quando il tampone non darà esito negativo.

Dati ufficiali e pure in difetto

I dati sono ufficiali e sono stati forniti nella serata del 10 settembre dall’ufficio del Commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri, nel corso del Tg1, che aveva avviato nelle settimane scorse la campagna con la distribuzione di due milioni di test agli istituti scolastici.

Peraltro, si tratta di dati anche in difetto perché non tengono conto dei 200 insegnanti e Ata in servizio nel Lazio, poiché la regione guidata da Nicola Zingaretti sta operando in maniera autonoma.

Nella Lombardia le maggiori adesioni

La classifica sullo svolgimento dei test è guidata dalla Lombardia, con il 70% di test effettuati mentre all’ultimo posto c’era la Sardegna con solo il 5% del personale che si è sottoposto all’esme sierologico.

Dall’entourage del commissario Domenico Arcuri prevedono che, quando ripartirà la scuola per tutti, quindi entro il 24 settembre prossimo, la percentuale possa salire al 60-70% di lavoratori della scola che avranno effettuato il test sul Covid-19.

Il premier: criticità che non altera il progetto di rientro

Il primo dato dei positivi tra gli operatori della scuola non sembra comunque preoccupare il premier Giuseppe Conte: a margine del vertice Med-7 ad Ajaccio, il presidente del Consiglio ha detto che con questa indicazione si “introduce un elemento di criticità ma non altera il progetto di ritorno a scuola: continuiamo a perseguirlo”.

Quindi, le scuole ripartiranno il 14 settembre o come preventivato dalle singole Regioni sulla base di modifiche motivate.

“Abbiamo predisposto tutto per la massima sicurezza garantita ai ragazzi. Stiamo affinando tutto per le prossime ore, anche se alcune regioni partiranno più tardi”, ha concluso il premier.