Necessario un piano per le criticità dovute al Covid19

Cuzzupi: Scuola, necessario un piano per le criticità dovute al Covid19

Nel mentre i contagi sono in costante crescita, aumentano le difficoltà di gestione nelle scuole. Inoltre la segnalazione dell’Istituto Superiore della Sanità, che indica come l’incremento dei contagi da Covid19 sia strettamente in relazione all’accensione di specifici focolai in ambito familiare, non può che riportare anche ai casi registrati nelle scuole già nelle prime settimane di apertura.

Alla luce di tali considerazioni – afferma il Segretario Nazionale UGL Scuola, Ornella Cuzzupie degli stessi numeri forniti dal Ministro, che ricordiamo sono alunni, docenti e personale ATA e non solo dati statistici, rimaniamo sbalorditi di fronte alla completa assenza di una programmazione sul cosa e come fare in caso di chiusura di scuole o di specifiche classi. Non basta continuare a dire che la scuola deve rimanere aperta se poi viviamo nel Paese situazioni che quotidianamente portano a chiusure di plessi scolastici.

L’UGL scuola pur rimanendo nella convinzione che la didattica in presenza sia un fondamentale tassello per una corretta educazione scolastica, non può sottacere il rischio di trovarsi in una situazione di approssimazione sul da fare generalizzata e amplificata dai numeri. Lo stesso scudo penale, immaginato per i dirigenti scolastici, non ha una definizione mentre si è costretti a prendere atto d’iniziative determinate più dalla capacità dei singoli che da indicazioni in merito.

Inoltre – continua Cuzzupi – pensare che la questione contagi-scuola sia un comparto stagno fine a se stesso è un voler negare la realtà: i trasporti, gli inevitabili assembramenti a cui assistiamo fuori gli edifici scolastici e la naturale predisposizione dei ragazzi a socializzare, sono tutti elementi da valutare. Quello che noi proponiamo è preparare un piano di sostegno alla scuola in presenza da adottare laddove si registrino particolari situazioni di rischio.

La stessa didattica a distanza – ipotizzano all’UGL – potrebbe essere immaginata con il personale docente in video collegamento con gli alunni in zone che presentano particolari rischi. Il tutto per un periodo limitato, magari utile per portare a termine le procedure volte al ripristino di edifici scolastici, cosa ignorata nei mesi di chiusura, e per le assunzioni.

Su tale aspetto – ribadisce il Segretario Cuzzupi – riteniamo fondamentale adottare misure straordinarie assumendo urgentemente i precari che da anni sono impegnati attivamente nel mondo scuola. In tal senso, auspichiamo che siano risolte al più presto le pesanti incongruenze (vedi GPS) che, generando sostanziali ritardi sugli incarichi annuali, hanno creato pesanti pregiudizi alle attività didattiche comportando grave danno agli studenti, in particolar ai diversamente abili. Speriamo che per una volta tanto il Ministro, invece di lasciarsi andare a monologhi propagandistici sia disponibile a un confronto serio, aperto e senza pregiudizi di sorta per trovare soluzioni atte a garantire la funzionalità della scuola offrendo a dirigenti scolastici, docenti, personale ATA e famiglie, garanzia appropriate in un momento particolarmente grave per il Paese.

Federazione Nazionale UGL Scuola       

Il Segretario Nazionale

Ornella Cuzzupi

Lo straordinario di una procedura ordinaria

Lo straordinario di una procedura ordinaria

di Maria Grazia Carnazzola

  1. Per iniziare.

“Solo il concorso dà eguali possibilità a tutti: senza concorso, potrà avere il posto quello che è più vicino al politico di turno, o al dirigente amministrativo, perché la scelta è discrezionale…far abituare all’idea che basti mettere piede nella porta socchiusa, per poi spalancarla, corrode quell’affidamento ( in questo caso una norma costituzionale) che unisce una comunità statale e insinua  la sfiducia nel tessuto sociale. …(Il popolo) è composto di cittadini con gli stessi diritti e  i privilegi chiudono la porta ad alcuni.” Così Sabino Cassese sul Corriere della Sera del 1ottobre, al cui editoriale rimando il lettore. Condivido pienamente la posizione: qual è il problema a sostenere una prova scritta, nel caso del concorso straordinario? Se davvero si ritiene di padroneggiare le conoscenze e le competenze necessarie all’insegnamento, è l’occasione per mostrarlo pubblicamente.  Nel passato ci sono stati concorsi condotti in modo non proprio corretto e trasparente, ma se si ha la febbre, non è colpa del termometro. Basta pensare a uno strumento meglio costruito e tarato. Sarebbe interessante sapere, tra gli oppositori del concorso, quanti a suo tempo ne hanno sostenuto uno, con quale esito.  Giusto per dare una corretta lettura a espressioni come “Azzolina è contro i precari” o “un concorso non è garanzia di competenza” che possono anche rivelarsi fondate se esplicitate, giustificate e adeguatamente documentate. Uno Stato democratico si fonda sulla credibilità delle Istituzioni, veicolata anche dalla reputazione di chi ci lavora.

2. Il problema e la domanda.

La scuola come luogo etico di formazione e di cittadinanza per tutti, prima che come collocazione di lavoro per il personale, quindi.  Gli arruolamenti di massa, senza una valutazione delle competenze possedute, determinano inevitabilmente   un livellamento verso il basso e la conseguente perdita di prestigio dell’insegnante, la messa in ombra dei contenuti culturali e della professionalità, nonostante la passione e l’impegno di molti insegnanti preparati.

Concordo sulla necessità di procedere all’espletamento dei concorsi, non più procrastinabili, per il reclutamento del personale docente. Il concorso straordinario era stato bandito ad aprile, come tutti ricorderanno, e allora alcuni partiti, al governo e all’opposizione, e i sindacati ne avevano chiesto il rinvio a ottobre. Ora, gli stessi, chiedono che il concorso non si faccia, ma che si proceda a “stabilizzare le migliaia di precari che insegnano già da anni”. Ma se le domande di partecipazione sono il doppio dei posti disponibili, chi stabilizziamo e con quali criteri? In base all’appartenenza partitica o sindacale o stabilizziamo chi, come mi è capitato di leggere, dopo 21 anni di supplenza e molti riconoscimenti da parte di studenti, un CV di tutto rispetto, ritiene di essere perfettamente idoneo? Lasciando sullo sfondo che negli ultimi ventun anni qualche concorso è stato bandito, l’esperienza insegna che gli apprezzamenti in qualsiasi situazione prendono le loro misure dalle critiche, ma se critiche non ce ne sono, qualche domanda bisognerà pur farsela.  “Qual è il problema per cui questa è la soluzione?” si chiedeva Postman.  Se il problema è quello di selezionare quelle professionalità declinate nell’art. 27 CCNL del Comparto Istruzione e Ricerca 2016/2018, la domanda diventa: cosa valutare per selezionare i migliori e, una volta deciso, posizionare l’asticella della valutazione molto in alto. Sappiamo che la qualità dei docenti è la variabile che influenza maggiormente i livelli di apprendimento, obiettivo centrale per non lasciare indietro una parte cospicua della popolazione.  Per quanto un Paese può stare sullo scenario della globalizzazione, se i cittadini continuano ad essere nel tempo ricchi e ignoranti?

3. Guardare da fuori, vedere da dentro.

Due considerazioni fatte dal punto di osservazione di dirigente scolastico e di formatore.

Le caratteristiche più evidenti che connotano il corpo docente oggi, che influiscono sugli esiti di apprendimento in uscita e sulla percezione del servizio scolastico nel suo complesso, sono la numerosità e l’eterogeneità.

La numerosità della categoria, composta da docenti di ruolo e supplenti, a tempo pieno e part-time, occupati nei diversi ordini e gradi di scuola, è una caratteristica facilmente intuibile, confermata dalla imponenza dei dati quantitativi in continua espansione che a loro volta confermano la necessità di scegliere tra più insegnanti o insegnanti più preparati. In nessuna parte del mondo la qualità di un sistema di istruzione supera quella dei suoi insegnanti e i sistemi di eccellenza sono quelli che scelgono e formano gli insegnanti con la maggior cura.

Dal punto di vista qualitativo, l’eterogeneità dei docenti è più marcata di quanto possa immaginare chi è esterno al sistema, in relazione al profilo professionale, alla qualità dei curricoli formativi seguiti e alla matrice culturale di provenienza, aspetto questo che si è fatto via via più evidente in conseguenza delle ripetute, improvvisate e a volte improvvide modalità di reclutamento e di assunzione.  Pare che insegnare sia facile e che tutti possano improvvisarsi insegnante in virtù del livello culturale o di doti personali come la sensibilità ai temi dell’educazione, l’interesse per una disciplina, la buona volontà, l’originalità di pensiero. Opinione avvalorata dalla quasi totale assenza di verifica dell’effettivo raggiungimento dei risultati. Prevale l’abitudine a una generica autovalutazione, secondo criteri personali, che può portare alla convinzione di una pratica didatticamente ottimale, senza alcun riscontro oggettivo. Si ingenera così l’idea – come ho già avuto modo di scrivere-che, contrariamente alle altre professioni, si possa “fare l’insegnante” anche senza padroneggiare gli strumenti di lavoro, cioè senza imparare a insegnare. Purtroppo un repertorio di conoscenze disciplinari, per quanto vasto e variegato, non si trasforma in modo automatico in un comportamento operativo- didattico e in conoscenze psico-pedagogiche necessarie perché i giovani realizzino un apprendimento riflessivo che metta in evidenza sia l’apprendere sia il conoscere. A volte i due termini vengono utilizzati come sinonimi, ma si riferiscono a oggetti diversi. L’imparare, l’apprendimento, è un fatto proprio dell’individuo, influenzato dai pensieri, azioni, emozioni che gli sono peculiari.  Il conoscere, la conoscenza, è un fatto pubblico, perciò condiviso, attiene alla cultura. L’insegnante, con la sua azione che sta a metà tra arte- o mestiere- e scienza, struttura ambienti, individua il processo di apprendimento in cui impegnare gli allievi e sceglie le strategie didattiche più adatte perché ciascuno apprenda, attingendo ai saperi della cultura di appartenenza veicolati attraverso le discipline.

4. Il reclutamento dei docenti: quello di cui le scuole avrebbero bisogno.

L’articolo 97 della Costituzione recita “…Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge…”. La scuola è parte della Pubblica Amministrazione, quindi le procedure di selezione del personale tutto, compresi i docenti, dovrebbero rispondere al dettato costituzionale; il concorso consiste nella valutazione il più possibile obiettiva del merito dei candidati. L’atto conclusivo è la graduatoria che elenca gli idonei in ordine al merito, indicato come un valore fondamentale per la selezione delle professionalità. Il merito, cioè, deve continuare ad essere un valore fondamentale riconosciuto dagli altri.  Non è un discorso sterile, se si considera che in un sistema scolastico dove manca una vera cultura della valutazione, che non si limiti alla valutazione degli apprendimenti, il fenomeno della dispersione non è un dato patologico ma fisiologico. “L’eccellenza” deve essere normale, ordinaria; il merito, nel senso dell’impegno e della responsabilità personale, professionale e sociale, diffuso e preteso. Quello del reclutamento dei docenti, ma anche dei dirigenti, è un problema complesso che richiede risposte articolate che considerino la necessità di costruire professionalità forti, figure esperte in grado di agire pratiche didattiche utili a generare livelli adeguati di dissonanza cognitiva, relazionale e culturale.  I docenti dovrebbero essere selezionati in relazione a tre ambiti di competenza: quello relativo ai contenuti dell’insegnamento, quello delle discipline professionalizzanti, quello didattico-operativo.

a) La disciplina di insegnamento. È evidente la necessità che i docenti padroneggino le discipline di insegnamento, sia dal punto di vista dell’informazione sia epistemologico, che li porti a privilegiare un approccio scientifico ai contenuti da insegnare fondato anche sulla conoscenza dei progressi della ricerca nei diversi campi e sulle strutture concettuali, le “metodologie di pensiero” e le didattiche speciali di ciascuna disciplina, come direbbe Bruner.

b) Le discipline professionalizzanti. Le caratteristiche personali dell’allievo, centrali nel processo di insegnamento/apprendimento, rimandano alle discipline professionalizzanti intese sia come approfondimento della competenza didattica, sia come partecipazione alla ricerca e all’innovazione. Ovviamente, quando si parla di preparazione didattica non ci si limita al possesso di tecniche empiriche e didattiche intuitive, ma si rimanda a un repertorio di competenze operative costruite e fondate scientificamente.

c) La competenza tecnico-operativa. Insegnare significa “fare intenzionalmente” per modificare una situazione. Saper insegnare non si esaurisce nel sapere disciplinare né si identifica con particolari caratteristiche dell’insegnante in quanto persona, anche se con questi aspetti si correla nella costruzione di ambienti favorevoli all’apprendimento. Se insegnare è un compito, non basta definire i ruoli, occorre indicarne anche le funzioni: di tipo decisionale, relazionale, organizzativo e gestionale (del gruppo- classe o di apprendimento) o valutativo, selezionando le operazioni in cui si concretizza l’insegnare che di volta in volta possono essere l’analizzare, il progettare, il proporre, il riproporre, l’interpretare, il verificare, il valutare.

5. Per concludere.

Il numero esorbitante di supplenti che saranno in servizio nell’anno scolastico in corso testimonia il fallimento del sistema di reclutamento che va ripensato strutturalmente,  in un disegno complessivo  che contempli non solo i concorsi -la cadenza, l’organizzazione, lo svolgimento, l’immissione- ma  che li correli con la formazione iniziale e con  quella in itinere, la prima come momento formativo ex ante fondata sulle idealità, sul dover essere; la seconda da porre su un continuum che, partendo dagli strumenti acquisiti in esperienze controllate della formazione di base, permetta un ricorrente “aggiornamento” in servizio per  affrontare le criticità emergenti, personali e  di contesto. Si può diventare un bravo insegnante, bisogna avere la volontà di farlo rispettando tutti i passaggi: Claparède riteneva che per fare un buon insegnante ci vogliano 10 anni di lavoro monitorato e valutato. Ma  se  l’obiettivo primario della politica  rimane   il consenso , sarà difficile cambiare il modello e le logiche del di reclutamento e dell’utilizzo delle risorse umane e finanziarie.

Bibliografia

  • J. Bruner, Dopo Dewey, Il processo di apprendimento nelle due culture, Armando Editore, Roma 1964
  • E. Claparède, La scuola su misura, La Nuova Italia, Firenze 1971
  • S. Dehaene, Imparare, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019
  • J. Dewey, Democrazia ed educazione, Anicia, Roma 2017
  • L.T. Fontana, Fare lezione, La Nuova Italia, Firenze 1997
  • N. Postman, Ecologia dei media, Arando Editore, Roma 2019