Pordenone, inaugura il polo di lavoro inclusivo “Futura Factory”

Pordenone, inaugura il polo di lavoro inclusivo “Futura Factory”

Vita del 23/10/2020

A San Vito al Tagliamento, in provincia di Pordenone, è stato inaugurato il polo di lavoro inclusivo per le persone con disabilità con l’obiettivo di avviare un dialogo costruttivo tra pubblico, privato e terzo settore, un’alleanza per sostenere tutta la comunità

SAN VITO AL TAGLIAMENTO. «C’è bisogno della volontà di tutti per cambiare le regole. Ridisegnare il campo da gioco in cui il gol sia la sostenibilità e l’inclusione. È necessaria un’alleanza di sistema in cui ognuno mette in campo la propria specialità: la pubblica amministrazione, le aziende, gli enti del Terzo Settore». Sono queste le parole con cui Gianluca Pavan, Presidente di Futura, cooperativa sociale che con il Consorzio Leonardo fa parte del Consorzio nazionale Idee in Rete, socio -fondatore di Fondazione Èbbene, ha inaugurato venerdì scorso a San Vito al Tagliamento, in provincia di Pordenone, la fabbrica solidale Futura Factory.

Un polo di lavoro inclusivo per le persone con disabilità e svantaggio sociale; un esempio concreto di lavoro accessibile e di esperienza di comunità, questo il cuore della Futura Factory che accende i riflettori sul tema dell’inclusione delle persone più fragili nel mondo del lavoro. Un messaggio chiaro, quello lanciato in occasione del taglio del nastro, si deve cambiare il sistema affinché gli obiettivi inizino a parlare di qualità della vita e di benessere dei territori. La meta sono le persone.

«Le persone sono il motivo per cui siamo qui oggi, – ha aggiunto Pavan porgendo le forbici per il rituale taglio del nastro a Catia Sartori, 56enne con sindrome di down che lavora in Futura – a loro il privilegio di questo momento. Occuparci oggi di come includere le persone con disabilità significa garantire il futuro di molti nel mercato del lavoro di domani. Chi saranno i disabili quando nei reparti produttivi saranno adottati sistemi sempre più robotizzati? Quali saranno i nuovi standard da raggiungere?».

Grande apertura da parte delle Istituzioni e del mondo socio-sanitario e produttivo, con la presenza del Sindaco Antonio Di Bisceglie, la Prefetta vicaria dott.ssa Vinciguerra; il direttore socio sanitario dell’azienda sanitaria ASFO, Carlo Francescutti; il direttore dell’unità di riabilitazione per cerebrolesioni dell’istituto Gervasutta di Udine, Emanuele Biasutti; la responsabile del servizio di collocamento mirato della Regione FVG, Flavia Maraston; il presidente di Confcooperative di Pordenone Luigi Piccoli, a cui si è affiancato anche Luca Fontana, presidente di Federsolidarietà regionale.

Unanime il sentimento espresso dai partecipanti: per agire il cambiamento serve rimettere al centro le persone e creare percorsi condivisi da tutte le forze in campo, che impattano i territori e le comunità. Al taglio del nastro presenti anche alcune voci del mondo produttivo. Renato Mascherin, Presidente del Consorzio Industriale Ponte Rosso-Tagliamento, che ha raccontato come «proprio di fronte ai progressi dell’automazione abbiamo imparato la parola fragile»; Sergio Barel, vicepresidente di Confindustria Alto Adriatico, che ha acceso i riflettori sulla responsabilità sociale che le aziende devono adottare pe contribuire al benessere collettivo.

Da qui, dunque, da queste premesse che sanno di futuro, prende il via ufficialmente Futura Factory, che oggi conta 30 lavoratori di cui 14 sono persone con disabilità e svantaggio. L’obiettivo è includere altre 10 persone nell’arco di 10 anni. Per raggiungere questo obiettivo la cooperativa ha dato vita a una campagna di raccolta fondi dal titolo “Io voglio lavorare… per una società più giusta” per finanziare gli interventi di accessibilità, sostenibilità ambientale e digitalizzazione necessari per consentire alle persone fragili di lavorare nel modo più autonomo possibile. Chiunque può sostenere il progetto, imprenditori, enti e privati cittadini, effettuando donazioni o affidando commesse di lavoro.

Il “Paradosso del lampione”

Il “Paradosso del lampione” ovvero l’autonomia scolastica secondo i suoi detrattori

In questi giorni, alcune regioni si stanno interrogando sull’opportunità di sospendere, prioritariamente per il secondo ciclo, le attività didattiche in presenza. Da qualche parte, addirittura, sorge l’idea di limitare l’autonomia delle istituzioni scolastiche, ritenendo che ciò possa essere utile a esprimere una “voce unica” in risposta alle esigenze poste dall’emergenza epidemiologica. Ciò condurrebbe all’avocazione, in sede regionale, della competenza a scaglionare gli orari di ingresso e di uscita degli studenti, ad utilizzare i turni pomeridiani e ad ampliare la percentuale di DDI.


I dati disponibili paiono dire che la diffusione del contagio non è correlata significativamente alla presenza degli studenti e del personale nelle scuole. Anzi, il costante monitoraggio dei casi di positività all’interno degli istituti contribuisce corposamente al tracciamento del contagio.
A più di un mese dall’avvio delle attività didattiche, è sempre più evidente che durante i mesi estivi i colleghi dirigenti e il personale delle scuole tutto hanno lavorato alacremente per garantire la ripresa in sicurezza, mentre nessun intervento significativo ha potenziato il sistema del trasporto pubblico locale e la rete dei presidi sanitari territoriali deputati al tracciamento dei contagi. La situazione è tale che l’ANP, pochi giorni fa, ha segnalato ai ministri della salute e dell’istruzione che le gravi difficoltà organizzative e gestionali a carico di ASL ed enti locali si stanno ripercuotendo negativamente sull’azione delle scuole.


È alquanto paradossale che a fronte di tali palesi disfunzioni – riconducibili alle amministrazioni locali e regionali – si pensi di porvi rimedio entrando a gamba tesa sull’autonomia delle istituzioni scolastiche e che lo si faccia da parte di chi, sempre più spesso, rivendica la propria emancipazione dal centro come una conquista di più ampia partecipazione e come garanzia di maggiore rispondenza alle esigenze dei cittadini.


È il caso di ricordare che l’autonomia scolastica, non a caso inserita nel dettato costituzionale con la riforma del Titolo V della parte seconda in una trama coerente con quella degli enti territoriali e locali, risponde alle medesime finalità e oggi più che mai costituisce lo strumento essenziale per far fronte a un’emergenza che ha connotati differenti sul territorio nazionale. L’autonomia, infatti, permette alle scuole di calibrare in dettaglio l’offerta formativa e garantire al meglio il diritto all’istruzione, contemperando quest’ultimo con l’esigenza di contrastare la diffusione del contagio. Se alcune proposte avanzate dall’ANP avessero trovato accoglimento da parte del decisore politico – come, ad esempio, l’attribuzione alle scuole di facoltà assunzionali e la riforma della governance interna – la gestione del servizio scolastico, soprattutto al tempo della pandemia, si sarebbe avvalsa di ulteriori ed efficaci strumenti.


In buona sostanza, non si cerchino le cause dell’attuale collasso del sistema di controllo dell’emergenza laddove non ci sono ma risulta più semplice trovarle per allontanare da sé qualsiasi ombra di responsabilità.

Questo non può che ricordare il “Paradosso del lampione”:
Sotto un lampione c’è un ubriaco che sta cercando qualcosa.
Si avvicina un poliziotto e gli chiede che cosa abbia perduto.
«Ho perso le chiavi di casa», risponde l’uomo, ed entrambi si mettono a cercarle.
Dopo aver guardato a lungo, il poliziotto chiede all’uomo ubriaco se è proprio sicuro di averle perse lì.
L’altro risponde:
«No, non le ho perse qui, ma là dietro», e indica un angolo buio in fondo alla strada.
«Ma allora perché diamine le sta cercando qui?»
«Perché qui c’è più luce!»


Paul Watzlawick, Istruzioni per rendersi infelici

Progetti e bandi su valori e contenuti Costituzione

Nota 23 ottobre 2020, AOODGSIP 2759
Concorsi in tema di Cittadinanza e Costituzione realizzati dal Ministero dell’istruzione in collaborazione con il Senato della repubblica e la Camera dei deputati. Proroghe bandi a.s. 2019-20 e nuovi bandi di concorso per l’a.s 2020/21.

Senato della Repubblica, Camera dei Deputati e Ministero dell’Istruzione rinnovano, anche quest’anno, la reciproca collaborazione per diffondere fra le studentesse e gli studenti i valori e i contenuti della Costituzione italiana. Un impegno comune che viene rilanciato anche alla luce del nuovo insegnamento dell’Educazione civica. È quanto rende noto una circolare inviata oggi alle scuole.

Avvicinare i giovani ai temi della Costituzione attraverso attività pluridisciplinari e metodologie laboratoriali è un impegno comune del Ministero dell’Istruzione e del Parlamento che, nel tempo, si è tradotto in nuove iniziative e in una pluralità di progetti, rivolti ai differenti gradi di istruzione e realizzati grazie al contributo degli Uffici Scolastici Regionali, dei dirigenti scolastici e dei docenti.

Progetti e bandi di concorso sono disponibili per le scuole sulla piattaforma www.cittadinanzaecostituzione.it. Alla luce dell’emergenza sanitaria, alcuni concorsi lanciati nell’anno scolastico 2019/2020 sono stati prorogati per l’anno 2020/2021, per consentire alle istituzioni scolastiche partecipanti di completare gli elaborati. Per tutte le altre scuole sarà possibile aderire ai nuovi bandi di concorso.

“Un giorno in Senato”

Rivolto alle classi del terzo e quarto anno delle secondarie di II grado, realizzato in collaborazione tra Senato e Ministero dell’Istruzione, il progetto consentirà alle ragazze e ai ragazzi coinvolti di entrare in contatto con i meccanismi del procedimento legislativo nelle sue diverse fasi, dalla presentazione di un disegno di legge alla sua approvazione. Per i vincitori sono previsti incontri di studio e di formazione da svolgere presso il Senato, una volta terminata l’emergenza sanitaria, per mettere a confronto le conoscenze acquisite nel corso dell’attività didattica con il concreto funzionamento dell’Assemblea parlamentare di Palazzo Madama. Termine di scadenza per il caricamento degli elaborati: 16 dicembre 2020.

“Vorrei una legge che…”

Rivolto alle classi quinte delle scuole primarie, il progetto, promosso dal Senato e dal Ministero dell’Istruzione, si propone di far cogliere alle giovanissime e ai giovanissimi l’importanza delle leggi e del confronto democratico, avvicinando anche i più piccoli alle Istituzioni e promuovendone il senso civico. Termine di scadenza per il caricamento degli elaborati: 27 gennaio 2021.

“Parlawiki – Costruisci il vocabolario della democrazia”

Con questo progetto, rivolto alle classi quinte delle primarie e alle scuole secondarie di I grado, la Camera dei Deputati invita studentesse e studenti a produrre un elaborato originale volto a descrivere il concetto di democrazia e di attività parlamentare, alla luce delle norme costituzionali. I lavori più significativi saranno pubblicati sul sito della Camera, nella sezione dedicata ai più giovani, e poi sottoposti a votazione online. Vincitrici e vincitori saranno invitati alla cerimonia finale di premiazione a Palazzo Montecitorio, terminata l’emergenza sanitaria. Termine di scadenza per il caricamento degli elaborati: 12 gennaio 2021.

“Dalle aule parlamentari alle aule di scuola. Lezioni di Costituzione”

Il concorso, realizzato in collaborazione tra Senato, Camera e Ministero dell’Istruzione, è rivolto alle scuole secondarie di II grado. È prorogato per l’anno scolastico 2020/2021 esclusivamente per le scuole in gara che hanno superato la fase di preselezione regionale e la prima selezione nazionale ad opera del Comitato tecnico e che avrebbero dovuto consegnare l’elaborato conclusivo entro il 23 marzo 2020. Gli istituti già partecipanti al concorso potranno concludere con altre classi i progetti avviati dalle classi quinte che hanno concluso nel mese di giugno 2020 il proprio percorso scolastico. Nuovo termine di scadenza per completare i progetti: 29 gennaio 2021.

“Senato&Ambiente”

Il concorso, rivolto agli ultimi tre anni delle secondarie di II grado, e con cui il Senato intende impegnare gli studenti sui temi della tutela e della sostenibilità ambientale, è prorogato per l’anno scolastico 2020/2021 esclusivamente per le scuole in gara che avrebbero dovuto consegnare l’elaborato conclusivo entro il 12 marzo 2020. Nuovo termine di scadenza per completare i progetti: 28 gennaio 2021.

“Testimoni dei diritti”

Rivolto ai primi due anni delle secondarie di I grado e realizzato in collaborazione tra Senato e Ministero dell’Istruzione, il concorso è prorogato per l’anno scolastico 2020/2021, esclusivamente per le scuole già in gara che avrebbero dovuto consegnare l’elaborato conclusivo entro il 15 aprile 2020. Nuovo termine di scadenza per completare i progetti: 10 dicembre 2020.

“Giornata di formazione a Montecitorio”

Rivolto agli ultimi due anni della secondaria di II grado, il progetto ha l’obiettivo di far vivere direttamente agli studenti l’esperienza di due giornate di lavoro alla Camera, attraverso l’incontro con le Commissioni parlamentari e i deputati eletti nel territorio di appartenenza della scuola. A seguito dell’emergenza sanitaria, il progetto, bandito per l’anno scolastico 2019/2020 è stato sospeso in concomitanza con l’avvio del secondo semestre dello stesso anno scolastico. In questo quadro, la conclusione del progetto per l’anno scolastico 2019/2020 viene prorogata al 2020/2021. A causa dell’emergenza sanitaria, le giornate di formazione saranno svolte per il momento nella modalità a distanza.

SUPPLENZE COVID BLOCCATE

SUPPLENZE COVID BLOCCATE, GILDA: ENNESIMO CASO DI CATTIVA GESTIONE

Ennesimo caso di cattiva gestione della macchina amministrativa da parte del Ministero dell’Istruzione: in alcune regioni, come segnalano gli organi di informazione e come risulta anche a noi, a causa di errori nei conteggi dell’organico Covid, sono state bloccate molte supplenze per consentire di rimettere mano ai numeri sbagliati. Addirittura in Friuli Venezia Giulia l’Ufficio Scolastico Regionale ha emanato una circolare con la quale comunica ai dirigenti scolastici di sospendere ogni tipologia di contratto di supplenza, compresa quella di sostituzione maternità.

Ancora una volta il nostro sistema scolastico deve pagare lo scotto dell’incompetenza di chi lo amministra. La conseguenza è che molte classi resteranno scoperte, con studenti ai quali viene negato il pieno diritto all’istruzione e docenti precari privati di un’opportunità di lavoro. Tutto questo in un momento estremamente difficile per l’intero Paese e per la scuola. Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo. Così Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, commenta il caso delle supplenze Covid bloccate.

Lezioni on line, è scontro in Lombardia

da Il Sole 24 Ore

di Claudio Tucci

Il ritorno, più o meno “forzato”, alle lezioni on line nelle scuole superiori disposto in diverse regioni, Lombardia in testa, per contenere la diffusione del Covid-19 ha riacceso ieri lo scontro politico sulla scuola.

La ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, nel giro di un paio d’ore, ha scritto due lettere, la prima indirizzata al governatore della Lombardia, Attilio Fontana, per chiedergli di «trovare soluzioni differenti» rispetto alla scelta di prevedere, da lunedì, la didattica a distanza per tutti gli studenti delle scuole superiori. La seconda missiva è stata rivolta, invece, al presidente della Campania, Vincenzo De Luca, anche qui per “sollecitare” il ritorno in presenza degli alunni di infanzia, primaria e medie, e ricordando, inoltre, come, per le superiori, il Dpcm appena varato dal governo consente già la didattica integrata digitale, ma come «complementare alle lezioni in classe». In Lombardia, l’ordinanza di Attilio Fontana ha scontentato anche i sindaci. Il primo cittadino di Milano, Giuseppe Sala, ha detto di essere «totalmente contrario» alla sola didattica a distanza per le superiori, annunciando che «si opporrà». Sulla stessa linea, i sindaci di Bergamo, Giorgio Gori, e di Brescia, Emilio Del Bono, anche loro favorevoli a una “modalità mista” di scuola (parte in presenza, parte da remoto, come del resto sta accadendo da settembre in tutt’Italia in base alle precedenti indicazioni governative). Nel pomeriggio il presidente Fontana ha difeso le proprie scelte, accusando, a sua volta, l’esecutivo per la totale assenza di interventi sul tema, delicato, del trasporto pubblico locale, andato in sofferenza proprio con la riapertura delle scuole. «Fermo restando – ha poi detto il presidente della regione Lombardia – che se il ministro dell’Istruzione reputa eccessivi e non idonei i nostri provvedimenti può impugnarli».

A tentare la mediazione nella vicenda lombarda è il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, in contatto con Fontana, Azzolina e Sala: sulle scuole della Lombardia serve «buonsenso e collaborazione», ha detto Boccia, secondo cui c’è «la disponibilità del governo nell’essere al fianco della regione lombarda per ogni ulteriore esigenza che allenti le pressioni dei contagi sul sistema sanitario territoriale».

Da Nord a Sud, la permanenza degli alunni in classe potrebbe essere a rischio anche in Puglia, dove il presidente della regione, Michele Emiliano, farà scattare, da lunedì e fino al 13 novembre, le lezioni on line nell’ultimo triennio delle scuole superiori, «in vista – ha spiegato lo stesso Emiliano – di una nuova modulazione di ingressi e uscite da scuola, passaggio necessario per riorganizzare il trasporto con i vettori e risolvere la questione delle linee sovraccariche». Anche nel Lazio, seppur con una modalità più morbida, sempre da lunedì, la didattica integrata digitale salirà al 50% nelle superiori, con esclusione degli iscritti al primo anno, e al 75% nelle università, ad eccezione delle attività formative che necessitano della presenza fisica o dell’utilizzo di strumentazioni.

La decisione della regione Lombardia non convince il presidente dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli: «Privare i ragazzi della didattica in presenza è un atto poco considerato – ha spiegato il numero uno dei presidi -. Si tratta di una scelta non condivisibile perchè pregiudica l’autonomia scolastica senza una vera ragione: le scuole non sono focolai di contagio. Ancora una volta la politica dimostra di non attribuire all’istruzione quella funzione centrale per il Paese di cui tanto aveva parlato».

Sette studenti su 10 preferiscono la scuola in presenza, ma le lezioni via web sono migliorate rispetto a marzo

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

In un sondaggio condotto da ScuolaZoo su un campione di 600 studenti da tutta italia è emerso che rispetto a marzo, quando la Dad fu introdotta per la prima volta, c’è stato un lieve miglioramento nell’organizzazione delle lezioni online (il 57,1% è d’accordo con questa affermazione), nel modo in cui i professori gestiscono le videolezioni (54%) e nella fornitura di dispositivi e connessione internet agli studenti meno abbienti (il 59,3% sostiene che tutti in classe siano dotati di device e internet).

Solo il 24,3% segnala un peggioramento nelle attuali modalità di lezione da remoto rispetto alla didattica a distanza del lockdown, il 29,1% invece ha visto un miglioramento, mentre il 46,7% non ritiene ci siano stati particolari cambiamenti.

Nonostante questo, non mancano le difficoltà: gli studenti ritengono che le difficoltà maggiori siano relative a problemi di connessione, di audio e di attenzione.

Chi fa didattica integrata, che prevede metà lezione in presenza e metà a distanza, segnala spesso lo stesso problema: i professori tendono a dimenticare chi è a casa. Per maggiori approfondimenti, oggi ScuolaZoo pubblicherà sul suo sito (www.scuolazoo.com) e sul canale Instagram un approfondimento su didattica a distanza e didattica digitale integrata, indagando anche sulle risorse stanziate dal Miur e su come sono state utilizzate dalle scuole.

Ocse, studenti italiani “cittadini globali” a parole, non nei fatti

da Il Sole 24 Ore

di Giuliana Licini

Gli adolescenti italiani si dichiarano in netta maggioranza «cittadini del mondo», ma poi scarseggiano quanto agli interessi o alle attitudini che li renderebbero veramente tali o quantomeno li hanno in misura più limitata rispetto ai loro coetanei degli altri Paesi. E’ all’apparenza contraddittorio, e per molti versi tutt’altro che esaltante, il ritratto dei ragazzi della Penisola in un rapporto internazionale dell’Ocse che sonda quanto i 15enni siano pronti a vivere e lavorare in società culturalmente diverse e in un mondo globalizzato, a capire ed analizzare le questioni interculturali, ad adattarsi alla diversità e soprattutto a rispettarla.

Dalle risposte ai test e dalle conseguenti graduatorie, gli studenti italiani risultano alquanto lontani dall’obiettivo della “cittadinanza globale”. Sono all’ultimo posto tra i Paesi avanzati quanto a capacità di capire le prospettive degli altri. Sono penultimi per l’interesse a saperne di più su altre culture, dietro all’Ungheria e davanti alla sola Repubblica Slovacca (ma anche la Germania e l’Austria sono a fondo classifica). Sono terzultimi tra i Paesi industrializzati per il rispetto delle persone di altre culture, anche in questo caso in stretta compagnia di Slovacchia e Ungheria.

Sono nuovamente ultimi quanto alla capacità di adeguare il proprio modo di pensare e la propria condotta al contesto culturale. Sono in coda anche per l’atteggiamento verso gli immigrati, dove fanno meglio solo del blocco del Centro-est Europa, “guidato” – si fa per dire – da Ungheria e Slovacchia.

Parte bassa della classifica anche per il senso di responsabilità nei confronti delle problematiche globali (ma la Germania è penultima, preceduta dall’Ungheria e seguita dalla Slovacchia).

Per capire perché le graduatorie siano così impietose con i 15enni della Penisola, basta scorrere alcune percentuali. Il 54% degli studenti italiani non è d’accordo nel ritenere che ogni questione possa essere vista da due lati e che entrambi vadano esaminati (media Ocse 37%). Il 56% non è interessato ad imparare come vivono le persone in Paesi diversi (Ocse 41%). Al 73% non interessa avere maggiori informazioni sulle religioni del mondo (Ocse 60%) e il 53% è disinteressato alle tradizioni di altre culture.

Il 29% (media Ocse 17%) è in disaccordo con l’affermazione che le persone di altre culture vanno rispettate come essere umani uguali e il 35% è contrario al principio di rispettare i valori delle persone da culture differenti. Al tempo stesso il 53% ammette di non essere in grado di fare fronte a situazioni inusuali (media Ocse 41%) e il 58% afferma di non essere in grado di adattarsi facilmente a una nuova cultura.

Il 23% dei 15enni italiani non è d’accordo con l’affermazione che gli immigranti dovrebbero avere gli stessi diritti che tutti hanno nel Paese (su questo punto le obiezioni dei ragazzi ungheresi arrivano al 59%). Al tempo stesso il 68% sente la responsabilità di fare qualcosa per alleviare la povertà nel mondo e lo spirito ecologico è diffuso visto che il 72% ritiene che sia importante proteggere l’ambiante globale (ma la media Ocse è del 78%).

Infine, il 79% degli studenti della Penisola si ritiene “cittadino del mondo”, un po’ più della media Ocse (76%).

In realtà – spiega Mario Piacentini, economista dell’Ocse specializzato nell’istruzione – «dipende da cosa intendono i ragazzi per sentirsi “cittadini del mondo”, pensano magari solo alla possibilità di viaggiare, passare il tempo in altri Paesi. E’ forse solo un sentimento di vicinanza culturale, riferito a Paesi più vicini a noi come la Francia e la Gran Bretagna e vuol dire, ad esempio, andare in Inghilterra un mese d’estate a scuola oppure a lavorare per imparare la lingua. O avere contatti con lo studente di un’altra nazionalità in una scuola privilegiata. Questa stessa idea non si trasferisce sulla questione più universale dell’interazione con persone di culture diverse», magari con «l’immigrato che ha aperto il negozietto sotto casa».

Nell’insieme l’atteggiamento dei ragazzi italiani «si può interpretare in maniera positiva come un forte apprezzamento della propria connotazione culturale o in maniera negativa come un segnale di provincialismo». Va anche detto – aggiunge l’economista – che «la diversità culturale nella Penisola è un fenomeno abbastanza recente rispetto a Francia e Gran Bretagna» e quindi c’è «un fattore di transizione» che forse influisce sui risultati dei test. In generale «c’e’ una relazione positiva tra il contatto con altre culture e un atteggiamento di maggiore apertura verso l’altro. Quando c’e’ più contatto, c’e’ più apertura».

Una prospettiva che fa sperare che con il tempo anche gli studenti italiani facciano progressi verso una vera “cittadinanza globale” nei fatti e nei comportamenti, non solo nelle parole.

Ma cosa può fare la scuola per stimolare i ragazzi sulle tematiche globali, come può aiutarli a nuotare nel mare della globalità? «Sono pochi i Paesi in cui la maggior parte degli studenti dice di avere attività di sensibilizzazione sulla globalità. L’Italia non si discosta molto dalla media Ocse. Non c’è una priorità forte che spinga ad intervenire in questo senso nelle scuole. C’e’ piuttosto una certa resistenza a sostenere che è responsabilità della scuola dare ai ragazzi una consapevolezza della loro cittadinanza globale e dare loro la capacità di analizzare criticamente questo tipo di problemi», nota Piacentini. «C’è questa consapevolezza da parte di tanti docenti, ci sono molte iniziative individuali di scuole e insegnanti in questo ambito, ma si fa abbastanza poco a livello di sistema per definire cosa è importante apprendere sul mondo e per definire integrazioni nei programmi di storia, di geografia e di scienze e, ad esempio, presentare i dati storici sotto diverse prospettive». Servirebbe cioè «una trasformazione profonda a livello curriculare» se anche le scuole vogliono dotarsi del passaporto della “cittadinanza globale”.

Istruzione e digitalizzazione: le sfide per rilanciare il Paese e guardare al futuro

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

A poco più di un mese dalla riapertura delle scuole, l’avvio di quella che ormai è definita come seconda ondata pandemica ha reso di nuovo attuale il tema del digital divide e dei suoi effetti sul diritto all’istruzione dei giovani italiani. C’è un grande nodo da affrontare: come garantire la continuità formativa di milioni di studenti di ogni ordine e grado, molti dei quali hanno già perso mesi di scuola durante la prima ondata di Covid-19.

Nonostante il grande aiuto fornito dalla tecnologia, infatti, l’Italia non era pronta, e non lo è tuttora, a passare a una didattica completamente digitale. Secondo l’Istat, solo il 6,1% degli studenti tra i 6 e 17 anni vive in nuclei familiari dove è disponibile un computer per componente. E le disuguaglianze sociali sono ancora più gravi nel Mezzogiorno, dove 4 famiglie sue 10 non dispongono nemmeno di un pc.

Ma anche il tema della connettività è rilevante: secondo Istat, circa un italiano su quattro non dispone di una connessione a banda larga – rimanendo tagliato fuori dalla possibilità di studiare o lavorare a distanza. In aggiunta a questo, gli italiani, anche tra i più giovani, non dispongono di digital skills adeguate alle necessità di oggi.

Secondo Istat solo 3 ragazzi su 10 hanno competenze digitali elevate. E secondo una ricerca di Eurostat (Do young people in the EU have digital skills?), l’Italia è fanalino di coda nella classifica delle digital skills tra i giovani. In coda con Romania e Bulgaria, il nostro Paese può vantare solo un 65% di ragazzi tra i 16 e 24 anni con skills digitali di base o superiori.

Percentuali troppo basse per un Paese che, per oltre sei mesi, ha affidato alle lezioni on-line tutta la sua didattica per i bambini e ragazzi della scuola dell’obbligo e delle università.

In linea con queste evidenze, ci sono i dati dell’Osservatorio della Fondazione Deloitte. Spiega Paolo Gibello, presidente di Fondazione Deloitte: «In Deloitte siamo sempre a caccia dei migliori talenti negli ambiti più innovativi del mercato del lavoro. E da anni riscontriamo una carenza dei profili professionali più all’avanguardia – quelli che, tra l’altro, sono pagati meglio della media. Secondo il nostro studio, circa un’azienda su quattro (23%) non riesce a trovare i profili Stem di cui ha bisogno. Tra questi spiccano le professioni legate all’Information technology (It): informatici, ingegneri, esperti di cyber-security sono merce sempre più preziosa, ma in Italia non si trovano facilmente. Leggendo i dati Istat ed Eurostat si capisce il perché: siamo un Paese che investe poco nella formazione dei giovani e che ancora non fa abbastanza per essere al passo con i tempi in ambito digitalizzazione».

Ma il Covid-19 ha messo l’Italia di fronte alla realtà e, con gli aiuti straordinari messi in campo con il Recovery Fund, c’è la possibilità di aumentare gli investimenti in istruzione e digitalizzazione. «Ben prima del Covid-19 l’Italia aveva un tasso di abbandono scolastico superiore a quello della media Ue e una quota di laureati inferiore alla media Ue. Ma un Paese che rinuncia a istruire i suoi giovani, è un paese che non innova e che non può diventare competitivo, per questo auspichiamo che le Istituzioni e il Governo mettano in campo tutte le risorse necessarie per garantire ai nostri giovani le migliori opportunità in campo di educazione e istruzione», conclude Gibello.

Miei cari ragazzi tornate al futuro

da la Repubblica

di Ivano Dionigi

Da dove ricominciare? La domanda, da occasionale in tempi di crisi periodiche, si fa ora necessaria di fronte ai concomitanti cedimenti strutturali: l’eclisse delle grandi ideologie e visioni liberale, socialista, cristiana; l’affanno delle istituzioni e dei tradizionali punti di riferimento quali scuola, famiglia, chiesa, partiti; i collassi economici, ambientali, sanitari che da anni colpiscono duro. Senza dire dell’afasia e dell’impotenza della nostra Europa, che solo recentemente pare risvegliata dall’istinto di sopravvivenza.

Per parte mia, conosco una sola risposta: dalla scuola e dai giovani. È di lì, dopo l’apocalisse, che passerà la genesi.

La scuola — il luogo dove si apprendono i fondamentali del sapere, uno degli ultimi avamposti civili del Paese, l’unico ambito pubblico dove avviene l’incontro quotidiano e reale tra coetanei e tra adulti e giovani — è tra le realtà più neglette e tormentate: tormentata, perché affetta da riformite permanente; negletta perché i professori non hanno un adeguato riconoscimento sociale ed economico. Paradosso si aggiunge a paradosso se si considera che, nonostante tutto, abbiamo ancora le scuole migliori d’Europa; e confrontarsi con quelle d’Oltreoceano sarebbe semplicemente offensivo per noi. Se crediamo che alla scuola spetti insegnare ad imparare, dopo aver scommesso senza successo sulla triade Inglese, Internet, Impresa, gioverà scommettere su altre “i”: intelligere , cogliere ( legere ) i problemi nella loro profondità ( intus) e relazione ( inter ); interrogare , educare alle domande e ai dubbi; invenire , scoprire la storia dei giorni passati e immaginare quella dei giorni a venire.

La scuola si deve muovere nell’orizzonte dei fini, del tempo, del futuro: oltre i mezzi, lo spazio, il presente.

Non si ricorderà mai abbastanza che “scuola” deriva da scholé , parola che indica il complesso delle attività che il cittadino riservava a se stesso, alla propria formazione, che i Greci chiamavano paidéia e che volevano non specialistica e unidimensionale, bensì completa e integrale: enkýklios , “circolare”, e quindi completa e perfetta, come il cerchio: «La più compiuta delle figure». Altroché i saperi orizzontali e diagonali! Pertanto la scuola è il luogo della formazione dello spirito critico, del confronto, della discussione: il contrappeso di certa modernità polarizzata sul presente, sull’adesso, sul moderno (da modo , “ora”, da cui deriva anche “moda”). Sì, io credo che la scuola debba fare da contraltare alla dimensione monoculturale, all’algoritmo semplificatore, all’assedio del presente.

Osa sapere: il monito illuministico di Kant dovrebbe campeggiare all’ingresso di ogni scuola. Penso alla scuola, aperta h 24 e restituita agli studenti, come al luogo dove i giovani possano munirsi di «scarponi chiodati», direbbe Mandel’stàm; dove non si rendano deboli i saperi, ma forti gli allievi. Al riparo da ogni pedagogia facilitatrice […] La scuola come forza di giustizia e pietra angolare della civitas , nella quale si compone la difficile bellezza del bene comune.

Parlare di scuola equivale soprattutto a parlare del miracolo dei nostri ragazzi: «Il bene più prezioso della città» per Erasmo, che noi abbiamo retrocesso e immiserito nella formula di “capitale umano”. Sono loro che fanno l’unità, la bellezza e la speranza di questo Paese provvidenzialmente ricco di talenti e maledettamente incurante di essi. Così uguali dal profondo Sud al profondo Nord, con gli stessi interrogativi, come ho potuto sperimentare nel dialogo disteso e ravvicinato: dai blasonati Licei classici delle grandi città agli orgogliosi e resistenti Istituti delle località più remote. Ho imparato che il centro spesso sta nella periferia.

Questo ho letto negli occhi e ho raccolto nelle domande di Davide, Laura, Ida, Samuel, Simona, Teresa, e di centinaia di loro compagni e compagne: come immaginare il futuro, resistere al cinismo degli adulti che brutalizzano ogni fede e fiducia, uscire dalla condizione di mantenuti, capire a che cosa servono gli umanisti, individuare i maestri, non avere paura della morte e soprattutto della vita.

Ho capito che avevo un unico modo per rivolgermi a loro.

Mostrate i vostri volti, fate sentire la vostra voce, non siate clandestini; il vostro tempo non è domani, è ora; voi che avete il futuro nel sangue e il privilegio di dare del tu al tempo.

A voi giovani il compito stupendo e tremendo di prendervi cura dell’anima della città, perché essa sia rivolta al proprio futuro, sia disponibile a cambiare, avverta la corsa del tempo, oltre l’immobilità dello spazio. Il tempo: l’unica dimensione che ci riconduce alla memoria e al progetto, ai trapassati e ai nascituri. Ripristinate l’uso del futuro e dell’ottativo, modalità verbali in via di estinzione.

A voi spetta il diritto di “inventare” il novum , l’inatteso, il mai visto, il mai sperimentato; ma anche il dovere di “dissotterrare” il notum dei padri, della storia, della tradizione. Ascoltate il vostro demone, ma vi sia di esempio quella pagina in cui Marco Aurelio ricorda e ringrazia per nome, a uno a uno, tutti coloro che lo hanno aiutato e formato: nonno, padre, madre, bisnonno, precettore, tutti i maestri, i parenti, gli amici e i bravi servitori.

Impegnatevi in politica. Fatelo con passione e orgoglio, non solo per affermare voi stessi; ma fatelo anche per una sorta di pietas verso di noi, che non ce l’abbiamo fatta a lasciarvi un mondo migliore. Noi abbiamo vendemmiato più che seminato.

L’anagrafe non vi è stata benevola: arrivati in un mondo costruito su misura dei padri, dovete ora costruirne uno per i vostri figli.

Siate consapevoli della vostra forza, perché il tempo vi è amico. Siate insoddisfatti, siate esigenti, siate rigorosi. Vorrei dirvi: siate perfetti.

Il mondo sarà migliore il giorno in cui non diremo più di un ragazzo o di una ragazza «è tutto suo padre, tutta sua madre», ma di un genitore diremo «è tutto suo figlio, è tutto sua figlia».

«È una follia fare il concorso per i precari in una pandemia»

da Corriere della sera

Roberto Ciccarelli

Nel 2017 un concorso per i dirigenti scolastici è stato sospeso a causa del maltempo. Da oggi fino al 9 novembre, nel corso della pandemia più grave dall’ultimo secolo, 65 mila docenti precari in servizio da più di tre anni si muoveranno nelle e tra le regioni per assicurarsi 32 mila posti «stabili» nella scuola a partire dal prossimo anno scolastico. Mentre si moltiplicano coprifuochi, zone rosse e contagi, nel corso delle prossime due settimane, questi docenti si muoveranno da Campania, Basilicata, Calabria, Puglia o Molise anche verso Gela, Caltanissetta, Mussumeli, San Cataldo o Mazzarino in Sicilia.. Nelle Marche su 1814 candidati 953 svolgeranno nel Lazio o in Toscana una prova «computer based» di 150 minuti con cinque quesiti a risposta aperta e risponderanno a un quesito in lingua inglese con cinque domande a risposta aperta. In Sardegna si muoveranno in tremila nelle diverse città. Nel Lazio ci sono 9.600 candidati distribuiti su 70 scuole, con un massimo di 14 concorrenti per ciascun laboratorio o aula. Ad Arzano, in provincia di Napoli, dove scatterà a breve la zona rossa, e che era sede d’esame, l’Ufficio scolastico regionale della Campania ha disposto che i candidati andranno a Napoli.

IL CONCORSO è uno dei casi simbolo dell’attuale gestione dell’emergenza: mette a rischio la salute di 65 mila persone, mentre il presidente del Consiglio Conte ieri in parlamento avvertiva milioni di altre a limitare i contatti all’essenziale. Questo essenziale non riguarda i precari che dovranno rischiare di contagiarsi e contagiare, a meno che non siano già in quarantena. In quel caso dovranno rinunciare a una prova attesa per anni perché, come ha ribadito la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, non è prevista una prova suppletiva. «Chi si prende la responsabilità di voler fare a tutti i costi questo concorso per la scuola, ne pagherà le conseguenze fino alla fine. Questo concorso è una follia fatto in questo momento di pandemia e il rischio è che ci siano enormi contenziosi» hanno scandito ieri in una conferenza stampa i sindacati della scuola Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda. Oggi, su tutto il territorio nazionale, sono attesi 1645 candidati. Il Miur ha assicurato che le prove si svolgeranno osservando i protocolli di sicurezza: mascherina, nessun assembramento, distanza di sicurezza, dieci candidati per aula.

LA DETERMINAZIONE della ministra Azzolina ha provocato un nuovo scontro nella maggioranza tra Pd e Cinque Stelle. «Il concorso è un rischio che sarebbe meglio non correre, è intollerabile che non sia stata prevista una prova suppletiva» sostengono il capogruppo del Pd a Palazzo Madama Andrea Marcucci e il vicepresidente della commissione istruzione Francesco Verducci. «Alcune regioni e diversi comuni preparano il coprifuoco serale e individuano zone da interdire. Però a più di 65 mila insegnanti precari è chiesto di spostarsi, spesso anche di regione, per svolgere un concorso che avrà effetti concreti tra un anno» ha affermato Matteo Orfini(Pd). A quest’ultimo ha risposto Bianca Laura Granato (M5S) secondo la quale la Lega -come il Pd e le associazioni dei docenti precari ha fatto appello a Conte per rinviare il concorso – «fa polemiche strumentali a fini elettorali», ma è «intollerabile» che «si continui a fare polemiche da dentro la maggioranza, come ha fatto Orfini». Non la pensano così i consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle in regione Lombardia che ieri hanno firmato una mozione proposta dalla Lega e chiedono il rinvio delle prove. La mozione auspica anche un «processo di stabilizzazione dei decenti precari». Per evitare tutto questo bastava far entrare in servizio i docenti dopo un anno di prova e un esame finale, in osservanza di una direttiva europea che parla di stabilizzazione di tutti i precari nella P.A.

ARRIVANO nel frattempo, i primi numeri del fallimento del governo sui precari. Per Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, Gilda e Snals in Toscana, dall’infanzia alle superiori, ci sono 4832 le cattedre scoperte. Su 6462 stabilizzazioni sono state coperte solo 1630, 32 per il sostegno.

I numeri di Arcuri, raddoppiati i casi nelle scuole in una settimana

da Corriere della sera

«Nelle scuole oggi i contagi degli studenti sono lo 0,15% – cinque volte sotto la media italiana; dei docenti lo 0,32%, dei non docenti lo 0,28%. Forse il lavoro svolto non è stato sbagliato. La scuola oggi è uno dei luoghi più protetti». Così il commissario Domenico Arcuri ha aggiornato nell’intervista al Corriere della Sera i dati settimanali dei contagi in classe: i contagiati in classe tra professori, studenti e personale ausiliario sarebbero così intorno ai 13 mila.

Il confronto

E’ vero che i numeri – secondo le anticipazioni del commissario – restano bassi in termini assoluti, ma sono raddoppiati rispetto alla settimana precedente: senza contare che si riferiscono ai dati comunicati dai presidi fino a venerdì scorso 16 ottobre. I dati fino al 10 ottobre indicavano che gli studenti risultati positivi al Covid erano lo 0,080% (5.793 casi di positività), i docenti lo 0,133% del totale (1.020 casi), i collaboratori scolastici lo 0,139% (283 casi).

Scuola, i prof possono fare lezione anche se sono in quarantena

da Corriere della sera

Buon ultimo arriva anche il ministero dell’Istruzione con una circolare o una «nota» che chiarisce che anche i professori e i maestri e maestre in quarantena per Covid possono fare didattica a distanza. Lo prevede già l’aritoclo 6 del decreto licenziato da Giuseppe Conte domenica e anche una circolare del ministero della Pubblica Amministrazione. Ma serve anche un intervento del Mi per poter avere il via libera per la scuola. Infatti secondo le regole che quest’estate sono state preparate per la ripresa, la didattica a distanza – prevista solo per le superiori e non in modalità prevalente – può sì essere usata dalle scuole ma i professori non possono fare lezione da casa, bensì solo da scuola. Va dunque chiarito che questo limite non c’è in caso di isolamento. E soprattutto il Ministero deve spiegare come si fa nel caso in cui il professore sia in isolamento preventivo ma la classe alla quale deve insegnare sia a scuola: come può avvenire la lezione? E’ probabile che in questo caso debba intervenire comunque un supplente.

La protesta dei sindacati

Sulla gestione della scuola in questi giorni sono intervenuti i sindacati in una conferenza stampa unitaria di Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda in cui lamentano di non essere stati coinvolti e che il personale scolastico si trova a dover sottostare a regole non sempre chiare né efficaci contro i contagi: «Avremmo avuto bisogno di un presidio sanitario in ogni scuola. E invece non abbiamo saputo nulla neppure dei tavoli nazionali e regionali che dovevano servire come regia delle misure da prendere per le scuole – così il segretario della Cgil scuola Francesco Sinopoli – La scuola non è un caserma dove ogni mattina il generale si alza e dà ordini», ha scandito sotto lo striscione «La scuola è al capolinea, la ministra scenda»

La rabbia dei presidi: è una sconfitta

da Corriere della sera

Federica Cavadini

Intervenire sulle scuole è «una sconfitta» e «non servirà perché i contagi avvengono fuori». Ma anche: «Siamo pronti a riorganizzare le lezioni a distanza. In Lombardia la situazione è grave, i numeri dei contagi fanno impressione». Prime reazioni fra i presidi, dopo il provvedimento della Regione Lombardia. Da lunedì è previsto il ritorno alle lezioni online «per l’intero gruppo classe». Ovvero un po’ più di oggi perché la maggior parte degli istituti per ripartire dopo mesi di lockdown ha puntato (anche) ad alleggerire le presenze. Per tutta l’estate i presidi hanno lavorato per preparare le scuole, metro alla mano, per garantire il distanziamento ma hanno anche previsto turni, ingressi scaglionati, frequenza a settimane alternate o per gruppi. Formule diverse, per poter restituire la scuola «in presenza» agli studenti.

Ieri la chiamata della Regione per il passaggio successivo, a casa tutti. Che non convince i presidi. Il presidente dell’associazione nazionale, Antonello Giannelli, per cominciare mette in dubbio «la legittimità» dell’ordinanza, cita l’articolo 117 della Costituzione: «L’organizzazione delle attività scolastiche non può essere imposta alle scuole». Anche i sindacati frenano. «Lasciare a casa i ragazzi è un errore. I contagi non avvengono lì, le aule sono sicure e la didattica era già mista nel 90% degli istituti — dice Tobia Sertori, Cgil regionale —. L’ordinanza si riferisce poi a tutte le classi, anche agli studenti delle prime appena inseriti e a quelli che dovranno sostenere l’esame di maturità».

Il via alla «dad» dal 26 ottobre, «qualora le scuole siano già nelle condizioni» è scritto nell’ordinanza. Al liceo scientifico Volta di Milano, dove dalla settimana scorsa un terzo della scuola è in quarantena per Covid, il preside Domenico Squillace partirà con la didattica a distanza da lunedì: «I numeri dei contagi in Lombardia fanno impressione. Chiudere le scuole però è una sconfitta. È la mossa più facile ma non servirà. Il liceo poi era già svuotato, a settembre abbiamo ripreso le lezioni con nove classi a distanza — spiega —. E adesso sappiamo che i contagi non avvengono nelle classi ma fuori, abbiamo studiato i casi dei nostri 45 studenti positivi, sono avvenuti tutti durante le attività sportive all’esterno. Sulle lezioni online poi restano i limiti che conosciamo: non tutte le famiglie hanno strumenti e connessione adeguati». Pronti a tornare alle lezioni online a Milano anche il Frisi, istituto professionale con 1.600 studenti: «Da persona di scuola non sono contento, da cittadino capisco, la situazione è grave — dice il preside Luca Azzollini —. Possiamo passare alla dad da lunedì come è previsto. Gli studenti verranno a scuola soltanto per i laboratori, eravamo già organizzati con questa formula».

I presidi delle superiori adesso aspettano indicazioni dall’Ufficio scolastico regionale. Chiedono chiarimenti anche i sindacati: «L’ordinanza è confusa», aggiunge Sertori. E Anci Lombardia con i sindaci dei dodici comuni capoluogo ieri ha chiesto un incontro urgente al presidente della Regione, Attilio Fontana, «per un ulteriore approfondimento e confronto sulla parte dell’ordinanza relativa alla didattica a distanza per le scuole superiori». L’incontro è già fissato per oggi. E anche l’associazione presidi va avanti: «Provvedimento da valutare. Quello che non ha fatto il presidente del Consiglio può farlo il presidente di una Regione? Sulla didattica mista ci sono anche ordinanze di altre regioni, dal Lazio alla Liguria al Piemonte. Nessun provvedimento però è rigido come quello lombardo».

Coronavirus, scenari esperti: verso obbligo mascherina a scuola anche in situazioni statiche. Soglia lockdown

da OrizzonteScuola

Di redazione

“Evoluzione della strategia e pianificazione per la prevenzione e risposta al Covid 19 nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale”: è il dossier realizzato dall’Istituto superiore di sanità e dal Comitato tecnico scientifico, che prevede 4 scenari.

La situazione attuale in Italia è quella descritta dallo scenario numero 2 “Situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa ma gestibile dal sistema sanitario nel breve-medio periodo”, con valori di Rt regionali sistematicamente e significativamente compresi tra Rt=1 e Rt=1,25 (ovvero con stime dell’Intervallo di Confidenza al 95% – IC95% – di Rt comprese tra 1 e 1,25), nel caso in cui non si riesca a tenere completamente traccia dei nuovi focolai, inclusi quelli scolastici, ma si riesca comunque a limitare di molto il potenziale di trasmissione di SARS-CoV-2 con misure di contenimento/mitigazione ordinarie e straordinarie.

Un’epidemia con queste caratteristiche – si legge nel documento –  di trasmissibilità potrebbe essere caratterizzata, oltre che dalla evidente impossibilità di contenere tutti i focolai, da una costante crescita dell’incidenza di casi (almeno quelli sintomatici; è infatti possibile che si osservi una riduzione della percentuale di casi asintomatici individuati rispetto al totale vista l’impossibilità di svolgere l’investigazione epidemiologica per tutti i nuovi focolai) e corrispondente aumento dei tassi di ospedalizzazione e dei ricoveri in terapia intensiva. La crescita del numero di casi potrebbe però essere relativamente lenta, senza comportare un rilevante sovraccarico dei servizi assistenziali per almeno 2-4 mesi.

Il rischio al momento sembra essere quello rappresentato dall’ultimo scenario “alto, molto alto”, che prevede per quanto riguarda la scuola e università, l’obbligo di mascherina anche “in situazioni statiche e se si rispetta il metro di distanza” e la “sospensione di quegli insegnamenti a rischio (educazione fisica e musica), lezioni scaglionate mattina e pomeriggio, riduzione delle ore in presenza in particolare per superiori e università”. Quello che sta accadendo oggi in diverse regioni.

In caso di peggioramento si entra nello scenario 3 “Situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario nel medio periodo” e si va verso il lockdown nazionale con la chiusura delle scuole e delle università.

SCENARI

Concorso straordinario, protocollo sicurezza: obbligo mascherina chirurgica, pena esclusione. Chiarimenti Ministero

da OrizzonteScuola

Di redazione

Nota n. 31773 del 14 ottobre 2020 del ministero dell’Istruzione. Precisazioni riguardanti il protocollo di sicurezza per lo svolgimento delle prove scritte della procedura straordinaria, per titoli ed esami, per l’immissione
in ruolo di personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado su posto comune e di sostegno.

Per ciò che riguarda i “Dispositivi di protezione individuale” il ministero chiarisce che è previsto “l’obbligo da parte dei candidati [omissis] di indossare una mascherina chirurgica [omissis] Ciascun candidato dovrà dotarsi di idoneo dispositivo di protezione individuale e indossarlo a pena di esclusione dalla procedura [omissis]”; nel caso in cui il candidato dovesse invece presentarsi con una mascherina di comunità, è opportuno prevedere la disponibilità di mascherine chirurgiche da consegnare all’interessato“.

Per quanto concerne la previsione di utilizzo dei guanti relativamente alle operazioni di riconoscimento dei candidati, della consegna dei moduli, del materiale occorrente e nelle operazioni di gestione della prova computerizzata, si ritiene che una frequente e accurata igiene delle mani sia comunque misura sufficiente ed adeguata, così come anche recentemente ribadito dall’ECDC.

Relativamente alla sezione “Accesso all’aula concorsuale”, il MI spiega che “sarebbe opportuno un rafforzamento ed integrazione della già prevista segnalazione del percorso di accesso all’aula sede di esame e di deflusso dalla stessa, in riferimento, ad es., al percorso per la fruizione dei servizi igienici. Nelle procedure di identificazione dei candidati è opportuno ribadire l’obbligo del rispetto del distanziamento di un metro oltre che tra i candidati, anche tra il candidato ed il personale addetto alle operazioni di identificazione“.

In riferimento alla prevista misurazione della temperatura corporea, si precisa che la stessa debba essere effettuata al momento dell’accesso alla struttura scolastica e non al successivo momento dell’ingresso in aula.

I chiarimenti si legano alla nota numero 31771 del 14 ottobre.