Dad al 100% determinerà costi altissimi

Scuola: Cgil e Flc, dad al 100% determinerà costi altissimi
Fracassi, Sinopoli: “Trovare soluzioni straordinarie per garantire il diritto allo studio”

Roma, 2 novembre – “L’ipotesi, annunciata oggi dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, di tornare integralmente alla didattica a distanza nelle scuole secondarie di secondo grado, rischia di determinare un costo altissimo per le studentesse e gli studenti del nostro Paese”. Ad affermarlo la vicesegretaria generale della Cgil Gianna Fracassi e il segretario generale della Flc Francesco Sinopoli.

“Purtroppo – sottolineano i due dirigenti sindacali – dall’esperienza di lockdown della primavera scorsa si sono registrati ampi fenomeni di dispersione scolastica esplicita ed implicita. Si tratta di un prezzo drammatico che graverà sulle generazioni più giovani di questo Paese con costi sociali pesantissimi e duraturi”.

“Per queste ragioni – proseguono – è necessario coniugare la tutela della salute e il contrasto alla diffusione del virus con misure straordinarie per garantire a tutti il diritto all’istruzione. Sarebbe inaccettabile – concludono Fracassi e Sinopoli – non trovare nelle prossime settimane una soluzione che consenta di riprendere la didattica in presenza, almeno per una parte dell’orario scolastico”.

Ancora 300mila studenti senza pc o connessione

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

Nuovo nome, vecchi problemi. Con l’impennata dei contagi la didattica a distanza – che ora si chiama digitale integrata e ha cambiato l’acronimo da Dad a Ddi – è di nuovo la regola per 2 milioni di studenti italiani. Almeno per il 75% dell’orario. Ma per 300mila di loro il salto dalla classe al web si annuncia complicato. Gli 85 milioni stanziati dal decreto Ristori per acquistare device e chiavette Usb rischiano di non bastare. E a complicare il quadro ci pensano anche i nostri cronici (e storici) gap di diffusione della banda ultralarga. A casa e a scuola.

Il gap di strumenti tecnologici

Il ritorno alle lezioni on line ha costretto gli istituti a optare per due nuovi modelli organizzativi: una settimana in presenza (nei tecnici e professionali si cercherà di recuperare così la didattica laboratoriale) e 3 a distanza o 1 o 2 giorni a scuola, e i restanti 4 o 3 da remoto, con salvaguardie, ove possibile, per studenti del primo e del quinto anno (impegnati questi ultimi a giugno nella maturità) e per i ragazzi con disabilità o con bisogni educativi speciali. Con il decreto Ristori sono arrivati altri 85 milioni sul fondo per l’innovazione digitale e la didattica laboratoriale di viale Trastevere per consentire alle 8mila scuole statali di acquistare e concedere in comodato d’uso gratuito agli studenti meno abbienti 211.469 dispositivi digitali e 117.727 accessi alla rete. Il punto è che, in base ai monitoraggi ministeriali, allo scorso 1° settembre mancavano ancora 283.461 Pc mentre 336.252 alunni non avevano connettività. Dunque, già in partenza ci sarebbero quasi 300mila richieste destinate a restare inevase. Tanto più che solo da qualche giorno sono partiti i primi bonus da 500 euro per tablet e pc per giovani e famiglie meno abbienti

Anche se la ministra Lucia Azzolina assicura tempi rapidi nelle erogazioni delle risorse in passato non è stato sempre così. C’è poi da aggiungere che, a differenza del decreto Cura Italia dello scorso marzo, negli 85 milioni di euro non è incluso il personale scolastico: se pure si riuscisse a coprire, come auspica l’Istruzione, l’intero fabbisogno dei ragazzi si rischia di non poter soddisfare quello dei prof. Pensiamo agli oltre 150mila supplenti che non usufruiscono della card docente e potrebbero non avere un device personale. Da fonti sindacali stimano infatti in un 10% di insegnanti ancora in affanno nelle lezioni 2.0. Senza contare il ritardo nella formazione confermato da uno studio della Cgil di inizio ottobre: durante il lockdow di primavera, 6 prof su 10 avevano difficoltà a utilizzare i device informatici (alla primaria); e al Sud tantissimi studenti e insegnanti avevano una bassa o inesistente connessione a internet.

La banda ancora troppo stretta

C’è poi un problema di banda ultralarga ancora poco diffusa. L’ultima relazione annuale dell’Agcom quantifica al 17,4% la percentuale di edifici scolastici raggiunti dalla fibra Ftth (la cosiddetta “fibra fino a casa”). Con alcune regioni (il Molise al 5,4%, Il Trentino Alto Adige e la Calabria al 6%, la Basilicata e le Marche poco sopra il 9%) ben più indietro. È chiaro che in quei territori spostare almeno i tre quarti delle lezioni online, magari con il docente collegato dalla scuola, renderà più difficoltosi i collegamenti da remoto. Senza considerare poi il ritardo domestico. Con appena il 13% delle famiglie che – stando al Desi Index 2020 sulla digitalizzazione dell’economia e della società – ha accesso alla banda ultralarga. Tutti fattori da non sottovalutare nel momento in cui due Regioni, Campania e Puglia, hanno deciso di chiudere anche le primarie e le medie e altri lockdown locali già si vedono all’orizzonte.


Più le scuole restano chiuse maggiore è la caduta del Pil

da Il Sole 24 Ore

di Eu. B e Cl.T.

Non è un caso se i nostri vicini di casa (Francia e Germania) che hanno già optato per un lockdown più o meno morbido stiano provando a tenere aperte le scuole. Nella letteratura internazionale si va via via consolidando l’idea che le conseguenze negative legate alla cosiddetta «perdita degli apprendimenti», collegata alla chiusura della didattica in presenza e a alla sostituzione tout-court con quella a distanza, vadano oltre la carriera scolastica del singolo e rischino di abbattersi invece sull’intera collettività. Come testimonia un recente studio dell’Ocse secondo cui un terzo di anno scolastico perso può comportare un calo del Pil dell’1,5% fino alla fine del secolo. Numeri che andrebbero tenuti presente anche a queste latitudini vista la facilità con cui molti governatori hanno innalzato dal 75 al 100% l’asticella delle lezioni a distanza alle superiori e in un paio di casi (Campania e Puglia) hanno esteso la serrata alle medie e alle elementari.

Lo studio Ocse

Partendo dal lockdown di primavera lo studio The economic impacts of learning losses rilasciato a fine settembre esamina il costo economico della perdita degli apprendimenti. Partendo dal singolo studente che, a causa della chiusura delle scuole già subita, rischia di lasciare sul terreno fino al 3% dei suoi guadagni futuri. Ma è una stima che prevedeva l’immediato ritorno ai livelli di istruzione pre-crisi. Figurarsi adesso che l’emergenza si sta protraendo. Il passaggio ulteriore contenuto nel paper dell’Ocse è quello di provare a calcolare anche la perdita per l’intero Paese. Rinviando alla tabella qui sotto per gli ulteriori dettagli in questa sede ci limitiamo a richiamare il -1,5% di Pil in media fino alla fine del secolo che potrebbe derivare dalla perdita di un terzo dell’anno scolastico. Numeri conditi con una riflessione quanto mai attuale: il calo può essere ancora più profondo per gli studenti svantaggiati. Da qui l’invito ad adottare un modello di istruzione online la più individualizzata possibile per cercare di recuperare anche a distanza chi resta indietro.

Il caso italiano

Un paese come l’Italia, che già in partenza soffre di forte divaricazioni territoriali nel campo dell’istruzione, questi rischi sono ancora più rilevanti. E non è un caso che un dirigente scolastico di lungo corso come Mario Rusconi, presidente dell’Associazione presidi del Lazio, sottolinei: «Trasformare tutto l’insegnamento in Dad vorrebbe dire non tenere conto della necessità dei contatti tra gli studenti e i professori e tra studenti, relegando la presenza a scuola a una misura poco significativa». Tanto più – aggiunge – che «molti docenti, non per colpa loro ma per l’insorgenza imprevista dell’epidemia la diversa tecnica comunicativa uno strumento “freddo” come lo schermo del Pc imporrebbe per rendere le lezioni online efficaci e veramente formative». E invece il quadro è quello che conosciamo. Con due regioni (Campania e Puglia) che hanno deciso addirittura di estendere la chiusura del 100% anche alle medie e alle elementari. Due territori che, come gran parte del Mezzogiorno, già partivano indietro nei livelli generali degli apprendimenti monitorati dall’Invalsi e che difficilmente potranno recuperare il ritardo in tempi brevi. Con o senza la pandemia.

Azzolina: «In manovra 3,7 miliardi per l’istruzione. Covid nemico comune, si sconfigge stando uniti»

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Nella legge di Bilancio approvata di recente dal governo ci sono «3,7 miliardi per la scuola». Così la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, nell’incontro odierno con le Organizzazioni sindacali che ha riguardato la manovra, ma anche la gestione dell’emergenza sanitaria. «Ho lavorato affinché la scuola potesse avere il suo peso robusto nella legge di Bilancio – ha spiegato Azzolina -. Abbiamo 2,2 mld di spesa corrente e 1,5 di spesa in conto capitale per gli investimenti», risorse con cui si interverrà sul sostegno con un piano straordinario per incrementare i docenti, sull’edilizia scolastica e con cui si lavorerà per ridurre il sovraffollamento delle classi, per incrementare la digitalizzazione.

Al centro dell’incontro, anche la gestione dell’emergenza sanitaria. «Abbiamo tutti passato l’estate a rendere le scuole più sicure – ha ricordato la ministra -. Il rischio zero non esiste, ma abbiamo regole precise e Protocolli da attuare».

Azzolina ha poi ribadito l’importanza di tenere aperta la scuola che «non è solo luogo di apprendimento, ma anche di socialità, luogo in cui si imparano regole e, in determinati territori, si viene sottratti alla strada. Togliere la scuola in presenza rischia di essere persino pericoloso».

Per la ripartenza «sono stati messi 3 miliardi, abbiamo fatto lavori di edilizia leggera garantendo 40 mila aule in più, sono stati acquistati strumenti tecnologici e nuovi arredi. Investimenti strutturali che rimarranno. Con il decreto Ristori abbiamo stanziato altri 85 milioni per la didattica digitale, in questi giorni ho firmato un decreto da 3,6 milioni per le connessioni nel secondo ciclo. Lo sforzo è massimo. Questo – ha chiuso la ministra – è un momento difficile per il Paese, ma il nemico comune è uno solo, il Covid. L’Italia vince la sfida se resta unita. E la scuola è luogo di unità per eccellenza».

Al via un ciclo di incontri per la didattica nell’emergenza

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

La nuova fase dell’emergenza sanitaria ha cambiato di nuovo la pianificazione dei percorsi didattici e gli orari nelle classi nelle scuole, oltre agli arredi e all’uso degli
ambienti funzionali, come i laboratori e gli spazi comuni.

Gli insegnanti e i dirigenti scolastici sono obbligati ad una nuova configurazione didattica, cercando di diversificarla, per dare ascolto ai differenti bisogni degli studenti.In questo contesto di emergenza il Movimento piccole scuole Indire, che ha accolto la proposta del gruppo “Classi Aperte” del Movimento di cooperazione educativa, ha organizzato un ciclo di webinar per supportare i dirigenti scolastici e gli insegnanti.

Il primo appuntamento è in programma il 5 novembre. L’obiettivo è sperimentare nuove modalità per organizzare attività di gruppo e cooperative, laboratori e uscite didattiche, creare situazione di ascolto e di dialogo con gli alunni, diversificare il lavoro e i materiali didattici, ripensare gli spazi e i tempi per una scuola nel territorio. Sullo sfondo di questa proposta ci sono la Pedagogia dell’Emancipazione, promossa dal Movimento di cooperazione educativa, che le scuole possono compiere attraverso la realizzazione dell’assemblea di classe esercizio di democrazia nelle classi, l’adozione alternativa del libro di testo, la pratica del lavoro a classi aperte e del laboratorio, la valutazione formativa.

A ciò si aggiunge la visione di Piccola scuola come di Scuola di prossimità sviluppata da Indire, nell’ambito del Movimento piccole scuole che, con i suoi assi fondamentali (curricolo e territorio, spazi didattici aperti e diffusi, relazione amplificata dalle tecnologie con la famiglia e con l’amministrazione locale), si consolida come modello di comunità educante.

Di seguito il programma dei webinar:

5 novembre (ore 17.00-19.00): Le aperture nello spazio della classe. Aperture per una pedagogia dell’emancipazione; i 4 passi a scuola del Movimento di cooperazione educativa (Giancarlo Cavinato; Mce); Pedagogia differenziata per una scuola inclusiva (Enrico Bottero, pedagogista); Esempi di gruppi eterogenei: il piano di lavoro (Sonia Sorgato, insegnante di scuola primaria); Organizzazione a gruppi-laboratorio: esperienza della scuola di via Bosio (M.Antonietta Ciarciaglini, Annalisa Di Credico, insegnanti di scuola primaria); Aperture e tecnologie: le classi in rete e il gemellaggio elettronico (Jose Mangione e Michelle Pieri, Indire).

12 novembre (ore 17.00-19.00): Fare scuola fuori dalla scuola. Scuola e territorio. Un’occasione per ripensare il modo di fare scuola (Enrico Bottero, pedagogista); Un laboratorio “sulle nuvole” (Giancarlo Cavinato – Mce, Rosy Fiorillo, insegnante di scuola primaria); I luoghi comuni: cacce al tesoro e mappe affettive, esperienza scuola Virgilio Mestre (Tiziano Battaggia, insegnante di scuola primaria); Le visite scambio e la classe all’aperto (Roberta Passoni, insegnante di scuola primaria).

19 novembre (ore 17.00-19.00): La scuola aperta nell’emergenza sanitaria e educativa. Le difficoltà della riapertura – Presentazione del questionario “Tornare a scuola non basta” (Roberta Sala, E tu da che parte stai?); Il punto luce di Marghera nell’ambito della rete ad alta intensità educativa di Venezia (Giancarlo Cavinato, Julia Di Campo, Save the Children); La scuola di prossimità: La biblioteca, l’aula museo e la radio del territorio (Jose Mangione, Rudi Bartolini, Francesca De Santis, Indire); I patti educativi territoriali – Quali risorse, quali strategie? (Franco Lorenzoni, EducAzioni).

Scuola, noi precari in balia del concorso

da la Repubblica

Ha perso l’occasione della vita per un accumulo di tensione, e perché durante i 150 minuti di prova non si può andare al bagno. Prevede anche questo il concorso straordinario per docenti precari delle scuole superiori. Nunzio, precario tra i tanti, si sente già “un ex professore”. Così si firma. Umiliato da una prova dura e cattiva, adesso scrive: “Nel mondo esiste solo l’egoismo”.

Con la newsletter dedicata alla scuola e ai docenti, Repubblica ha chiesto ai candidati del contestato concorso a cattedre per le medie e le superiori, sopravvissuto alla crescente pandemia, di raccontarsi. E di raccontare quella prova. “Un incubo”, “un’ingiustizia”, “un moloch”, il capriccio di una ministra dell’Istruzione ogni giorno meno legittimata. La risposta dei nostri lettori è stata straordinaria: 67 racconti a questa mattina, e le mail continuano ad arrivare. Disegnano un quadro toccante di donne e uomini chiamati a decidere del loro futuro nelle peggiori condizioni possibili. Molti nelle mail hanno allegato le generalità complete: nome, cognome, scuola di provenienza, sede d’esame, ma per alcune storie, vista la loro intimità, abbiamo scelto di limitarci a identificarle con un nome e l’approdo dell’esame. Qui, vi proponiamo le prime diciannove lettere. Per le altre vi rimandiamo alla newsletter “Dietro la lavagna”: se volete abbonarvi, questo è il link.

Il concorso con pandemia

di Ilaria Venturi ,  Corrado Zunino

Il precario Nunzio ci scrive questo epilogo, forte, del suo esame: “E’ da qualche giorno che non dormo perché la mia prova al concorso straordinario, classe A012, Discipline letterarie, è stata una delusione. Dopo venti minuti il mio corpo mi ha fatto uno scherzo. Sì, all’improvviso avevo l’esigenza di andare al bagno e sapevo benissimo che non potevo cedere. Tutto era stato programmato, viaggio il giorno prima, rientro dopo il concorso per essere l’indomani in classe. Sentivo di potercela fare nonostante alcune domande insidiose. Ho chiesto ai responsabili della prova, persone educate e attente: nello sgomento più totale mi hanno fatto presente che non era possibile andare al bagno. Ho provato a completare la prima domanda, sicuro di svolgere le successive. Niente da fare, il mio corpo mi ha abbandonato e mi sono urinato addosso nell’imbarazzo più totale. Cedo e mi umilio: chiedo di andare al bagno. Mi viene concesso, ma nel frattempo  la mia prova viene chiusa. Quando rientro, dopo un minuto, accompagnato da un responsabile, mi risiedo alla postazione e il mio pc è  spento. Resto per due ore a guardare un monitor spento e sento dietro di me tutti i candidati picchiare i tasti del computer intenti a completare, con temperamento, il compito. Quel suono mi ha accompagnato per tutto il tempo fino ad oggi. Io non cerco comprensione, perché le regole sono valide per tutti, e non avrei cercato sconti. Oggi mi sento rassegnato, e dentro di me per la prima volta nella vita mi sono reso conto che a questo mondo esistono solo l’egoismo e il contrappasso”.

Una storia di ansia fuori controllo è quella di Gabriele, 55 anni, precario da dieci, convocato il 27 ottobre per la prova di Musica: “Lo spostamento è stato minimo, da Faenza a Ferrara“, scrive, “ma ho la compagna asmatica e uno dei due figli è disabile. Stress e preoccupazione hanno sempre accompagnato una pressione già presente nella prova. Dopo venti minuti mi sono sentito male e i commissari mi hanno accompagnato fuori. A dieci minuti dalla fine del tempo concesso mi è stato chiesto se avessi voluto rientrare, ma in dieci minuti che facevo? Continuavo a non stare bene. Non potrò fare ricorso. ll malessere non dipendeva dal Covid, e io oggi, a quattro giorni dalla prova, ho la tachicardia a 110, costante. Sono affranto”.

“Il pc faceva l’aggiornamento durante la prova”

L’esame scritto può fallire per questioni che non dipendono da te, dalla tua preparazione, dal tuo sangue freddo. Francesca Sinibaldi: “Dopo otto anni di onorato precariato, avevo intenzione di giocarmi, in quei 150 minuti a disposizione, tutte le carte migliori. Il solo essere arrivata lì, ad Acquapendente, in provincia di Viterbo, da Frascati, colline intorno a Roma, senza febbre, contagi o quarantene forzate, mi sembrava un successo. Ma quando la mattina, poco prima delle 8, arrivo alla scuola dove si sarebbe dovuto svolgere il concorso, scopro che, causa contatto Covid interno, l’esame sarebbe stato spostato a Viterbo. Superato il primo momento di spaesamento, decido di spostarmi con il pullman messo a disposizione e si scopre che l’autista ci avrebbe portati sì a Viterbo, ma non riportati ad Acquapendente, dove tutti noi fuori sede avevamo la macchina. Siamo obbligati ad andare con il nostro mezzo, io seguendo la referente che aveva l’onere di portare nella nuova scuola tutti gli incartamenti necessari a svolgere la prova. Arrivo dopo un’ora di viaggio, cerco di ritrovare la concentrazione ormai in parte persa e mi siedo. Ecco, trascorsi trenta minuti, chiusa la prima risposta, il  computer inizia gli aggiornamenti. Una disperazione. Niente più concentrazione, solo disperazione. Il resto della sala andava avanti, io, con le lacrime agli occhi, seguivo le percentuali di aggiornamento che con estrema lentezza procedevano. I responsabili presenti, umanamente e professionalmente impagabili, dopo un’ora e mezza sono stati aggiornati dall’Ufficio scuola di Roma sul da farsi. Mi hanno spostata in un’altra sala, dove ho ricominciato la prova da zero. Da zero. Nulla di quello che avevo fatto si era salvato. Da lì una corsa contro il tempo e, ormai privata di tutte le forze, ho portato a termine l’esame. Tutto questo non dipende dalla sorte, in un periodo come questo: un caso Covid e una scuola riserva avvisata troppo tardi per poter essere perfettamente organizzata. Accade se forzi i tempi. Mi chiedo, ora, se io sia stata messa in una condizione di pari opportunità rispetto agli altri concorrenti. Resta solo una grande amarezza”.

C’è chi la sede d’esame neppure l’ha raggiunta. Positivo, o in quarantena per parenti o studenti a loro volta positivi. E non ci sarà prova suppletiva, ha ricordato la ministra Lucia Azzolina in tv. I casi, come rivelano queste mail, sono tutt’altro che trascurabili. E quell’11,4 per cento di assenti registrato il 22 ottobre, giorno di apertura del concorso straordinario, potrebbe avere una forte componente di motivazioni “Covid e contagi derivati”.

“Buona selezione naturale”

Ecco Sabrina, docente di materie letterarie: “Il mio concorso l’ho trascorso in isolamento fiduciario in attesa di tampone. Domenica 25 ottobre avrei dovuto prendere un aereo e dal Veneto andare in Sardegna, ma a 48 ore dalla prova, in calendario per lunedì 26, tutto si ferma: contatto stretto con soggetto Covid positivo e addio speranze. Ora la domanda è: un bando riservato che non permette a migliaia di docenti di poter accedere alle prove, a causa di una pandemia, è un fatto normale o è inaccettabile considerando l’emergenza sanitaria in corso? Io sto subendo un danno senza alcuna colpa o responsabilità, perdendo un treno che chissà quando ripasserà. La prossima settimana, come ogni anno da anni, tornerò in cattedra, con il sorriso sulle labbra e la tristezza nel cuore”. Costanza, di Orvieto, Matematica alle medie: “Un programma vastissimo, che abbraccia varie discipline scientifiche, preparato in un anno di studi vari. Un corso online di inglese per tentare di rispondere anche ai quesiti in lingua. Tutto inutile. Due alunni positivi in due classi in cui insegno hanno fatto scattare la quarantena. Solo perché sono andata a lavorare. Buona selezione naturale a tutti”.

Rosalba, docente precaria con più di tre anni di servizio, prova a spiegare: “Era l’occasione della vita, dopo mesi e anni di dedizione, di studio. A poche ore dal traguardo, mio marito si ammala di Covid, di conseguenza anche io e il mio bambino. In un momento tutte le illusioni, le possibilità, sono svanite, tutto ridotto a niente. Quella mattina della prova, mentre le mie colleghe continuavano a scrivere messaggi di buona fortuna, io in un letto, ho sofferto in silenzio. Tristezza, vuoto, tutto insieme. Sarò precaria ancora. Ministra, io sono stata esclusa dal virus, esclusa da voi”.

Elisa Pellegrini racconta: “Lunedì 26 ottobre alle 15 ricevo dalla dirigente la comunicazione: messa in quarantena obbligatoria retroattiva dal giorno 19 per dieci o quattordici giorni. Martedì mattina ho il concorso, ovviamente non posso presentarmi: non posso firmare la liberatoria. Mercoledì 28 ricevo dalla scuola una mail della Asl che mi invita dallo stesso giorno a riprendere il lavoro: non c’è menzione della parola quarantena. Né la scuola né l’Asl, al momento, hanno voluto fornire la certificazione ufficiale di messa in quarantena”.

“Quanti avranno nascosto la positività?”

Il professor Stefano Barale si definisce “uno dei moltissimi fortunati del concorso straordinario“. Per questo. “Mia figlia è risultata positiva pochi giorni prima della prova. A meno di abbandonarla, o condannare la mia ex moglie a perdere il lavoro lasciandola con lei (è ancora più precaria del sottoscritto), non c’erano alternative che perdere il concorso. Tra l’altro, le regole mi avrebbero permesso di rischiare di appestare 200 allievi e 400 familiari prima di ritirarmi, attendendo l’esito del tampone di Sara e poi facendo il mio. Chissà quanti colleghi l’avranno fatto per guadagnare il tempo necessario a superare la prova. Tutto questo perché il governo si è incaponito a tenere un concorso in piena pandemia, berciando assurdità a proposito di un mancato merito nella procedura per titoli e servizio, come se il servizio non fosse un merito e non desse accesso a qualche straccio di diritto. Mi consolo con il fatto di essere laureato in Fisica e, quindi, avere accesso come precario a otto classi di concorso. Il fatto che il sistema sia irreparabilmente marcio è la mia assicurazione contro la povertà: non potranno mai far partire l’anno scolastico senza supplenti, e io sono tra i precari più appetibili. Penso, però, a chi del ruolo ha bisogno per mangiare e dare un futuro alla propria famiglia. Questa situazione è semplicemente folle”.

La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina (ansa) La vicinanza, la fusione, meglio, della questione virus con il concorso la fa sua la precaria Emanuela Zaccaria. “Non sono  aprioristicamente contro la scelta di bandire delle prove concorsuali nel bel mezzo di uno stato di emergenza sanitaria”, spiega, “bisogna pur andare avanti e guardare al futuro con fiducia. Come tutti abbiamo avuto modo di constatare, però, il numero dei contagi, soprattutto in Lombardia, aumenta senza cenni di arresto e nel mondo della scuola la percentuale di classi intere in isolamento svetta giorno dopo giorno, proprio come cresce sempre più la reale possibilità per i docenti di contrarre il virus. Ed è quello che sta accadendo: un precario che è stato vicino a un positivo ed è in attesa di tampone, è automaticamente escluso dalle prove. Siamo di fronte, dunque, ad una delle più grandi ingiustizie subite dalla nostra categoria, vale a dire dover rinunciare alla possibilità di una legittima stabilizzazione poiché ci si è ammalati di Covid-19. Una domanda sorge più che spontanea: quanti saranno i precari disposti a sottoporsi a un tampone per verificare l’eventuale positività? Quanti, dopo anni e anni di attesa, penseranno che sia molto più importante non sprecare un’opportunità del genere e, magari, negare ogni sintomo? Per quale recondita motivazione noi docenti precari della scuola italiana dobbiamo rinunciare al nostro futuro solo perché ai piani alti non si ha il coraggio di fare un passo indietro? Spero vivamente che la ministra Azzolina non scelga di divenire complice di un dolo eventuale, essendo per legge già sufficiente l’accettazione del rischio al quale sta esponendo migliaia di esseri umani ponendoli, oltretutto, di fronte ad una scelta anticostituzionale”.

La rivelazione per Monica Laterza arriva così“Una telefonata del’Asl. Dal 27 ottobre al 6 novembre devo restare a casa perché un alunno di una delle mie classi è risultato positivo al Covid. Peccato che il 28 ottobre avrei dovuto realizzare la prova per la mia classe di concorso, Lingua Inglese alla scuola secondaria di primo grado. Contatto il sindacato di riferimento che mi dice che è inutile comunicarlo alla scuola sede della prova, dato che non è prevista alcuna prova supplettiva: risulterò semplicemente assente, come chi ha deciso di rinunciare spontaneamente. Io non ho deciso spontaneamente, sono in quarantena perché ho avuto contatti mentre svolgevo il compito di sostituire altri docenti. Questo ha deciso la ministra Azzolina con il consenso del governo. Mi vergogno di essere rappresentata da chi non difende i miei diritti, sono stanca di lottare per qualcosa che mi spetta, forse comprerò l’abilitazione all’estero. Faccio un piccolo prestito, pago e mi abilito, è inutile studiare. Ho sottratto tempo alla mia vita e ai miei cari per nulla”.

Carmela Cancellara, viaggio da Milano in Piemonte, rivela: “Il 26 ottobre ho scoperto che diversi docenti erano stati in contatto con altri colleghi in attesa di tampone”.

Anna Maria Bozzurra fa notare che il concorso straordinario si è sovrapposto alle prove per il Tirocinio formativo attivo di sostegno e alle scadenze scolastiche di fine ottobre: “Cara ministra Azzolina, non basta metterci il cuore, alla scuola serve anche la testa”.

“Addio scuola pubblica”

Elisabetta, supplente di Francese da sei anni, dice: “Se per sei stagioni di seguito lo Stato chiede il mio aiuto per sostituzioni annuali, comincio a pensare che lo Stato abbia bisogno di me, per cui comincio a mollare i mille lavoretti logoranti che mi hanno permesso di campare per molti anni dopo la laurea, nell’epoca in cui la crisi economica globale, anno accademico 2007-2008, portava via tutte le speranze di noi neolaureati. Dopo un’attesa di dodici anni finalmente c’è un concorso per me, per chi l’abilitazione non l’ha potuta mai prendere. L’entusiasmo si spegne subito: nella mia regione c’è un solo posto di Francese in palio. Ah, il piccolo dettaglio è che quell’unico posto me lo dovrei andare a giocare in Lombardia, prendendo bus, treni, pagando albergo e ristoranti. Ho 40 anni, una vita da precaria e un tumore al cervello tolto cinque anni fa e seguito da terapie sfiancanti. Sono esaurita. Non ho un lavoro stabile. Vivo con alcuni universitari per riuscire a pagare l’affitto. Non credo avrò mai figli perché semplicemente senza un briciolo di sicurezza tutto si sgretola. Non ci sono andata l’altroieri in Lombardia. Non mi manca altro che prendermi il virus e trasmetterlo a mamma anziana, sorella con sclerosi multipla, nipote incinta. Eppure avevo un glorioso 110 e lode, ho vissuto e lavorato in Francia quattro anni per poter essere all’altezza della mia prof di francese del liceo. Mi cercherò un altro lavoro. Come categoria protetta, un portierato in qualche ufficio pubblico me lo trovano. Addio scuola pubblica. Ti ho voluto bene”.

C’è chi il viaggio lo ha fatto, ammassato. E poi ha scoperto che non è vero che i candidati erano soltato dieci per stanza, “una media di dieci”, come ha detto e ridetto la ministra. Francesco Parisi, docente di laboratorio odontotecnico, esame a Sondrio il 22 novembre, racconta: “Sono del Veneto e ho dovuto fare due cambi di treno senza alcuna sicurezza e poi prendere un pullman con persone ammassate. Il giorno dell’esame eravamo trenta in aula fra i candidati, quindici, e gli esaminatori, alla faccia delle dichiarazioni della cara Azzolina che odia i precari. Per giunta, hanno ammesso all’esame un docente arrivato alle 9,20 quando la prova era iniziata alle 9”.

“Pieni di incombenze in classe”

Anche il periodo scelto non è felice. Prova a spiegarlo Francesco Russo. “Un concorso studiato e atteso per anni, non poteva essere svolto in momento peggiore”, fa sapere. “Questo è il periodo in cui gli impegni scolastici ti travolgono: programmazioni, test d’ingresso, supplenze varie perché mancano ancora molti docenti, corsi di formazione pomeridiani, consigli e recupero per gli alunni con debiti. E per chi, come me, vive nelle regioni dove si svolge la Didattica integrata digitale, bisogna organizzare e approntare videolezioni con ragazzini che hanno problemi di connessione e di padronanza con i mezzi tecnologici. A tutto questo si aggiunge l’ansia del Covid e l’obbligo di dover affrontare un concorso a oltre 500 chilometri da casa. Un concorso che avrebbe dovuto agevolare chi, con passione e professionalità, ha dedicato anni della propria vita alla scuola, si è invece rilevato un martirio per i docenti precari. Dove e come è possibile, vorrei sapere, prepararsi per il concorso?”.

Anche il professor Domenico Alberto Armone, prova per l’A061 il 28 ottobre, a Roma, ha avuto molti problemi con i mezzi messi a disposizione. “Ho svolto la prova concorsuale costretto a frammentarla in momenti diversi a causa di più blocchi dell’applicativo. Il disagio mi ha fatto perdere 40 minuti su 150, in tre momenti diversi. La terza operazione ha richiesto 20 minuti prima che il commissario risolvesse il problema. Non sono stato l’unico ad avere rallentamenti in quella sessione. Nel commissario addetto all’applicativo era evidente una certa insicurezza nelle procedure di sblocco, consultava il manuale. L’ultima volta che l’applicativo si è bloccato sono stato invitato a scrivere la prova su un foglio di carta, sono stati momenti molto caotici”.

Il clima del suo “straordinario”, il professor Luca Crudele di Isernia, precario dal 2006-2007, lo definisce di “vero terrore”.  Ecco il racconto: “Ho dovuto sostenere la prova di concorso il 26 ottobre scorso, la sede prevista era Marcianise, in provincia di Caserta. Identificata come zona rossa, è stata resa inaccessibile a poche ore dalla prova. Con mio stupore leggo per mail, un’ora prima dell’accesso in aula, che avrei dovuto raggiungere la vicina Capua. Con la paura di non fare in tempo. Dai residenti abbiamo appreso che il confine territoriale interdetto non era assolutamente congruo: le sedi delle attività commerciali e delle fabbriche interessavano anche la zona di Capua. Ho affrontato la prova, dispendiosa in termini di energie, in uno stato di agitazione. Ora vorrei chiedere con molta umiltà: ma era proprio necessario effettuare queste prove in un periodo così difficile? Non si pensa che siamo esseri umani anche noi docenti precari, con famiglie, anziani, minori a carico? In Europa dopo tre anni di servizio in una Pubblica amministrazione si viene assunti per diritto, in Italia no”.

“Nella notte un picco di domande su Google”

Genny Arrabbito chiede di bloccare “il concorso straordinario in piena pandemia” e ricorda un episodio già segnalato da alcune cronache: “Volevo segnalare che il 28 ottobre, alle 4 del mattino, con la prova di Arte e Immagine ci sono stati picchi di domande su Google – su Caravaggio, Cimabue, tecnica della tempera e acquerello -, domande che poi sono uscite la mattina nella prova. I trend Google sono chiari”. Con lui, segnala “la possibile truffa” il docente Massimiliano.

L’idea del governo: lezioni da casa anche per gli studenti di terza media

da Corriere della sera

Gianna Fregonara

Il primo passo ufficiale dopo che per una settimana se ne è parlato sottovoce lo ha compiuto ieri sera Palazzo Chigi: la chiusura delle scuole potrebbe non riguardare più soltanto le scuole superiori ma anche le medie. La proposta alla quale sta lavorando il premier è quella di tenere a casa con la didattica a distanza anche gli studenti della terza media, non solo quelli delle superiori per i quali sarebbe in arrivo la sospensione totale delle lezioni. Si procede con il passo del gambero: in totale, se si lascia a casa anche quel 25 per cento di studenti delle superiori che per ora potevano andare in classe e tutte le terze medie, è un altro milione di studenti fuori da scuola. Per le famiglie — deve essere il ragionamento — non un gran trauma perché sono già adolescenti che possono stare a casa al computer da soli: il timore delle proteste dei genitori è per ora un deterrente a misure più drastiche. Per i quattordicenni, che a fine anno dovranno affrontare il primo esame della loro vita scolastica, qualche dispiacere in più ci sarà.

È per ora un’ipotesi in campo, che rompe però il tabù: nessun studente del primo ciclo fuori dalla classe. E che fa a pugni con il «terremo le scuole aperte finché sarà possibile» del vicesegretario del Pd Andrea Orlando, parole peraltro pronunciate mentre il suo «capo» Nicola Zingaretti stava preparando l’ordinanza per vietare del tutto le lezioni in presenza nelle scuole superiori e gli atenei del Lazio, di cui è governatore. Con la sua, sono 11 le regioni che hanno già alzato bandiera bianca per licei e istituti tecnici e professionali: almeno il 75 per cento diceva l’ultimo Dpcm di lunedì scorso. Ma far funzionare le scuole a motori quasi spenti è risultato un caos. La ministra Lucia Azzolina si sfoga su Facebook dopo una riunione di maggioranza — venerdì sera — in cui si è sentita isolata: «Chiudere le scuole rende il Paese più debole, aumenta le diseguaglianze ed è sinonimo di abbandono scolastico». «La scuola deve essere l’ultima a chiudere, le lezioni a casa per molti studenti vogliono dire non far nulla», protesta Gabriele Toccafondi di Iv. Ma intanto il sistema scolastico rischia il collasso, prima ancora del nuovo Dpcm. Non sono i numeri dei contagi a preoccupare, come ha spiegato venerdì il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli, ma la gestione delle quarantene che si moltiplicano anche nelle elementari e medie con le Asl in difficoltà a gestire tamponi e diagnosi e le scuole a garantire una certa continuità delle lezioni.

Non è un caso che già la settimana scorsa, dopo che il governatore del Veneto Luca Zaia aveva avanzato per la prima volta la proposta di richiudere le scuole, ci sia stato chi ha insistito per chiudere tutto, anche per i più piccoli. Finora lo hanno fatto Campania e Puglia. La Calabria ha rinviato la decisione. Il governatore della Liguria Giovanni Toti conferma che questa mattina tra Regioni e governo si discuterà anche di eventuale chiusura delle scuole. Contro questa ipotesi sono rimaste la ministra Lucia Azzolina e Italia viva con le ministre Bellanova e Bonetti, insolitamente alleate dei sindacati della scuola con i quali hanno concordato che «le classi non si devono chiudere se non come misura estrema», dopo tutto il resto. Lo scontro con il Pd sul tema è invece frontale. Quando venerdì Azzolina ha presentato lo studio di Nature per difendere le aperture, Dario Franceschini le ha risposto che esiste il contesto e «la scuola non è su un altro pianeta» e che in una maggioranza non «è che ognuno difende solo il proprio settore». Ora la decisione è nelle mani di Conte che ha 24 ore per capire se la sua sintesi può funzionare

«Errore privare i ragazzi di un luogo controllato dove possono vedersi»

da Corriere della sera

Margherita De Bac

«Solo se si decidesse di chiudere tutto la scuola dovrebbe essere sacrificata. Ma se si continuasse a procedere per gradi sarebbe l’ultima a dover piegarsi al lockdown», la difende perentorio Alberto Villani, pediatra del Bambino Gesù, componente del Cts, il comitato tecnico scientifico. E riafferma con convinzione la volontà di salvare l’istruzione, non solo per una questione di dati. «Pensiamo al valore sociale della didattica tradizionale».

Però sembra prevalere nel governo la linea opposta. Lei mantiene la linea?

«La scuola non è fonte di casi positivi e focolai. I contagi non si sono sviluppati in classe ma nell’ambiente esterno. È il luogo più sicuro, qui le regole sono pienamente rispettate perché c’è chi è preposto a farle rispettare. E se anche un bambino con infezione da Sars-CoV-2 entra in aula è molto difficile che possa trasmettere il virus ai compagni dato che indossa la mascherina, è obbligato a lavare le mani e a stare distanziato».

Alla scuola sono dovuti il 3,8% dei contagi. Come negare le sue responsabilità?

«È un contributo ai contagi molto basso. La responsabilità è tutto ciò che avviene dopo o prima che suoni la campanella. La scuola è ultra sicura. Chiuderla significherebbe privare i ragazzi di un luogo controllato dove possono incontrarsi senza rischiare il contagio. E poi i bambini di elementari e medie sono i più bravi nel rispettare le regole, molto più degli adulti».

È favorevole a nuovi blocchi?

«Non è questione di essere per il sì o per il no. L’aumento repentino dei casi nell’ultima settimana ci impone di non azzardare previsioni a lungo termine. Oggi, sabato 31 ottobre, penso non sia ancora necessario intervenire con un’ulteriore blindatura. Gli effetti delle misure introdotte nell’ultimo Dpcm non sono ancora visibili. Serve altro tempo per la verifica. Sarebbe già molto riuscire a contenere la curva epidemica come è oggi ed evitare il peggioramento. Tenendo conto che si tratterebbe comunque di un equilibrio instabile. Le terapie intensive sono ad altissimo rischio di saturazione».

Ha senso temporeggiare visto che non ci sono dubbi sulla tendenza alla crescita veloce dei casi?

«Dieci giorni fa nessuno avrebbe detto che in così poco tempo avremmo superato i 30 mila casi in 24 ore».

A che servono allora l’epidemiologia e gli istituti di ricerche statistiche?

«Questa situazione ha troppe variabili. Siamo alle prese con un virus nuovo. Se durante l’estate molti non avessero creduto che l’epidemia fosse finita non ci troveremmo in questa crisi».

I letti non bastano, bisognava crearne di più. Eppure era previsto che sarebbero serviti. Perché i ritardi?

«I posti di terapia intensiva non si inventano da un giorno all’altro, ne abbiamo circa 1.300 in più rispetto alla prima ondata. Oggi un letto resta occupato molto più a lungo, anche un mese. Le cure sono migliorate e molti pazienti gravi guariscono. Ecco come mai il fenomeno della saturazione non dipende soltanto dalla quantità di posti».

È possibile una nuova normalità fra i paletti dai quali siamo circondati?

«Sì. Basta adattarsi per qualche mese».

Che abbiamo imparato?

«Che il servizio sanitario è una grande risorsa, ma che è composto da figure mediche che andrebbero riformate in quanto propongono vecchi modelli».

Allude a medici e pediatri di famiglia?

«Proprio così».

Scuole chiuse in tutta Italia o palla alle Regioni? Il bivio del governo

da Corriere della sera

Gianna Fregonara

Il problema adesso è come arrivare ai lockdown con le idee chiare su che cosa deve succedere nelle scuole. Chiudere o tenere aperto? Procedere a chiusure mirate, come per esempio mandando in didattica a distanza le medie o mandare tutti a casa tenendo aperte le scuole solo per gli alunni con bisogni speciali? Lasciare aperte solo elementari e scuole materne, o le prime classi, o nulla? E ancora, se si pensa a nuovi lockdown che fine faranno le superiori che sono nei fatti già chiuse quasi del tutto fino al 24 novembre: è prevista una proroga fino a Natale della didattica a distanza? L’impennata della curva dei contagi «rischia di mettere in discussione anche la didattica in presenza», ha detto oggi il presidente del Consiglio Conte alla festa de Il Foglio, pur ribadendo l’intenzione di «difendere» l’apertura delle scuole «per quanto possibile».

Chiudere o non chiudere?

Quando due settimane fa il governatore del Veneto Luca Zaia aveva per la prima volta parlato di sospendere le lezioni in presenza il governo era totalmente impreparato a respingere la richiesta e infatti nel giro di poco si è arrivati alla chiusura delle scuole superiori costrette dall’ultimo Dpcm di lunedì scorso, a farealmeno il 75 per cento delle lezioni da casa. Piemonte, Umbria, Lombardia oltre che Puglia e Campania hanno subito optato per il 100 per cento come anche molte scuole in altre Regioni che hanno considerato più semplice riorganizzare l’orario a distanza che far venire per un giorno a turno un quarto degli studenti.

Ipotesi medie

Ma ora Puglia e Campania hanno chiuso tutte le scuole (la Campania anche le scuole materne da lunedì) e l’Umbria le scuole medie, come misure aggiuntive visto che la curva dei contagi si è impennata. Le ordinanze non sono impugnabili e il governo a partire da Conte non ne ha neppure molta voglia: quando la ministra Azzolina si è impuntata contro il Piemonte che imponeva la misurazione della febbre a scuola, il Tar le ha dato torto. Figuriamoci oggi con i problemi sanitari alle porte e con un Dpcm che ha già di fatto sdoganato la didattica a distanza al 100 per cento nelle superiori.

Fermare le fughe in avanti delle Regioni

Ma trovare una strategia comune per evitare di dover intervenire una volta che le regioni hanno già deciso per conto loro che cosa fare è complicato. Venerdì Azzolina ha incontrato i sindacati della scuola per firmare una pace (fredda) dopo un’estate di scontro a muso duro. Si sono trovati d’accordo che la scuola deve essere l’ultima a chiudere. Forte di questo appoggio – il giorno dopo l’attacco frontale e un po’ scomposto del Pd che aveva chiesto il rimpasto con il presidente dei senatori Marcucci e con il vice di Nicola Zingaretti, Andrea Orlando, puntando il dito proprio contro la ministra – ha chiesto una riunione di maggioranza da Conte. Al momento sulla linea che le scuole elementari e medie non si chiudono – per le superiori ormai è passata la linea della didattica a distanza – è trovata oltre a Azzolina, Teresa Bellanova di Italia Viva. Alfonso Bonafede che rappresentava i Cinquestelle è apparso meno convinto nel difendere l’apertura a tutti i costi.«Non bisogna chiudere le scuole se non su dati scientifici certi – spiega Gabriele Toccafondi di Italia Viva – non è possibile concedere alle Regioni di andare avanti in ordine sparso sulle chiusure scolastiche». Per Leu e Pd invece la via migliore per ridurre i rischi è la chiusura almeno per le prossime settimane.

’aumento delle quarantene

La riunione di venerdì sera è finita senza una decisione ed è stata aggiornata ad oggi anche se non è detto che si rinvii ancora, quando anche le altre misure restrittive saranno quasi pronte. La decisione se intervenire anche sulle scuole dei più piccoli è molto complicata: lo dimostrato i ripensamenti parziali di Puglia (frequenza al 25 per cento per tutti e per gli studenti con disturbi di apprendimento) e Campania, che al netto delle uscite folkloristiche di De Luca cambiato i dettagli dell’ordinanza già tre volte in una settimana. Se la chiusura totale da un lato è sollecitata dalle Regioni, dall’altro non dispiace a metà governo ed è contemplata tra le misure da scenario 4 previste nel documento del Cts dell’estate scorsa. L’aumento delle quarantene nelle classi sta del resto mettendo a dura prova il funzionamento del sistema, con le Asl in affanno e le scuole che nei fatti non riescono a funzionare. Ma restano i problemi con le famiglie e i genitori che lavorano e si troverebbero con i figli a casa. Difficile però immaginare che Conte si attesti sulla linea di Merkel e Macron che di chiudere le scuole, per ora non hanno mai parlato.

Didattica a distanza, Lombardia “anche alle medie ma non al 100%”. Azzolina chiede dati contagio nelle scuole al CTS

da OrizzonteScuola

Di redazione

Sul lockdown si misura il braccio di ferro fra Regioni e Governo. Il nuovo dpcm è stato al centro di una serie di vertici, uno via l’altro. Fra Regioni, Comuni, Province e governo prima, fra Conte e i capi-delegazione poi e infine fra Conte, i capi-delegazione e i capigruppo.

Molti i tempi sul piatto, dalla chiusura dei centri commerciali, al coprifuoco dopo le 18, fino ad interventi mirati per gli over 70, la categoria più a rischio nell’epidemia Covid-19.

Sul tavolo c’è pure il tema scuola. Anche su quel fronte, il governo non esclude misure diverse da area ad area: “Non si deve prendere una decisione univoca – ha detto Boccia – ma deve dipendere dal grado di contagiosità in ogni regione”.

Tra le misura in discussione la chiusura della scuola nelle aree che saranno dichiarate zona rossa, nonché la didattica a distanza per gli studenti a partire dalla terza media.

Ed è proprio sulla possibilità di estensione della DAD anche alle medie che è intervenuto oggi su Rai Tre l’assessore al welfare di Regione Lombardia Giulio Gallera: “Contro il volere di tutti abbiamo fatto la dad alle superiori al 100%, è una delle misure che abbiamo intenzione di estendere, vediamo se è una misura che si deciderà per tutto il paese, oppure la regione Lombardia lo valuterà, le medie qualcosa in più o altro, lo valuteremo”, ha detto.

Nel frattempo, secondo quanto riporta l’ANSA, il Ministro Azzolina, nel tentativo di limitare gli interventi sulla scuola ha chiesto al Comitato Tecnico Scientifico di fornire i dati sui contagi nelle scuole.

Dato che dovrà essere elaborato dalle autorità sanitarie sulla base delle comunicazioni fornite dalle stesse scuole.

 

Covid 19 e Alunni, genitori, positività e negatività: cosa fare nelle FAQ dell’USR Sicilia

da OrizzonteScuola

Di Antonio Fundarò

L’USR Sicilia interviene, con una serie di FAQ,  rispondendo ai molteplici quesiti di famiglie e studenti relativamente alle numerose questioni sorte in merito all’interpretazione della variegata normativa sulla prevenzione da adottare per evitare il dilagare del COVID nelle scuole siciliane.

Disabilità
Nel caso di alunni con disabilità possono essere utili delle indicazioni specifiche predisposte dalla famiglia o dai medici che lo seguono. Le indicazioni specifiche dovranno essere comunicate alla scuola che in caso di necessità provvederà ad informare gli operatori sanitari per agevolare l’intervento.

Il cambiamento d’umore dei figli
Da parte dei genitori sono da tenere d’occhio eventuali cambiamenti nel comportamento dei propri figli quali eccessivo pianto o irritazione, eccessiva preoccupazione o tristezza, cattive abitudini alimentari o del sonno, difficoltà di concentrazione, che possono essere segni di stress e ansia legati alla situazione epidemiologica e alle nuove realtà organizzative. In questo caso è opportuno rivolgersi al Pediatra o al Medico di base.

Disabilità e mascherina
Se la disabilità non è compatibile con l’uso continuativo della mascherina non dovranno indossarla (art. 1 c.1 DPCM 7/8/2020). Ad ogni modo le scuole e le famiglie sono invitate a concordare le soluzioni più idonee a garantire le migliori condizioni di apprendimento (cfr. verbale n. 94 del Comitato Tecnico Scientifico del 7 luglio 2020).

Alunno con temperatura superiore a 37,5°
Come deve procedere, dunque, la scuola nel caso in cui un alunno presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5°C o un sintomo compatibile con COVID-19?
Il personale scolastico che viene a conoscenza di un alunno sintomatico deve avvisare il Referente scolastico per COVID-19 deve avvisare immediatamente i genitori/tutore legale e contattare l’USCA di riferimento utilizzando i recapiti del Dipartimento di Prevenzione comunicati dall’ASP competente.
L’alunno deve essere dotato di una mascherina chirurgica (se maggiore di sei anni) e ospitato in una stanza dedicata dove sarà necessario procedere all’eventuale rilevazione della temperatura corporea, da parte del personale scolastico individuato, mediante l’uso di termometri che non prevedono il contatto. Il minore non deve essere lasciato da solo ma in compagnia di un adulto che preferibilmente non deve presentare fattori di rischio e che dovrà mantenere, ove possibile, il distanziamento fisico di almeno un metro e indossare la mascherina chirurgica fino a quando l’alunno non sarà affidato a un genitore/tutore legale.

Alunno positivo al test
Se il test è positivo, il Dipartimento di prevenzione della ASP notifica il caso e la scuola avvia la ricerca dei contatti stretti e le azioni di sanificazione straordinaria della struttura scolastica nella sua parte interessata. Per il rientro in comunità, dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia che possono avere prolungata persistenza nel tempo) accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi (10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi + test. Il Referente scolastico COVID-19 deve fornire al Dipartimento di prevenzione l’elenco dei compagni di classe nonché degli insegnanti del caso confermato che sono stati a contatto nelle 48 ore precedenti l’insorgenza dei sintomi. I contatti stretti individuati dal Dipartimento di prevenzione con le consuete attività di tracciamento dei contatti, saranno posti in quarantena per un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso; oppure un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato il decimo giorno. Il Dipartimento di prevenzione deciderà la strategia più adatta in merito ad eventuali screening al personale scolastico e agli alunni. (Cfr. Circolare del Ministero della Salute del 12/10/2020 “COVID-19: indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena”).

Alunno negativo al test
Se il test è negativo, l’alunno dovrà comunque restare a casa se presenta altri sintomi non riconducibili al COVID, fino a guarigione clinica, seguendo le indicazioni del Pediatra o Medico di Medicina Generale il quale, al momento opportuno, redigerà una attestazione che il bambino/studente può rientrare scuola.

Alunno, a casa, con sintomi e febbre
Se un alunno presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5°C o un sintomo compatibile con COVID-19, presso il proprio domicilio deve restare a casa e i genitori devono comunicare l’assenza scolastica per motivi di salute. I genitori informano anche il Pediatra o il Medico di Medicina Generale che, in caso di sospetto COVID-19, richiede tempestivamente il test diagnostico e lo comunica al Dipartimento di prevenzione per l’esecuzione del test.

Alunno positivo al tampone: cosa comunicare a scuola
In caso di esito positivo del tampone effettuato ad uno studente, il Dipartimento di Prevenzione dell’ASP avviserà il referente scolastico Covid-19 e l’alunno rimarrà a casa fino alla scomparsa dei sintomi e all’esito negativo di un tampone. Anche i genitori avranno cura di segnalare la positività dello studente alla scuola (Dirigente scolastico, docente coordinatore della classe).

Alunno o operatore scolastico convivente con caso Sars-Cov-2
Un alunno, o un operatore scolastico, convivente di un caso accertato di Covid-19 sarà considerato, su valutazione del Dipartimento di prevenzione, contatto stretto e posto in quarantena. Eventuali suoi contatti stretti (esempio compagni di classe dell’alunno in quarantena) non necessitano di quarantena, a meno di successive valutazioni del Dipartimento di Prevenzione dell’ASP (cfr. Circolare del Ministero della Salute del 24 settembre 2020).

Alunno in isolamento fiduciario
Nel caso in cui uno studente viene posto in isolamento domiciliare obbligatorio o fiduciario, l’isolamento è esteso anche a tutti i congiunti conviventi, solo se lo studente è positivo al COVID.
Non è esteso, nel caso in cui lo studente è in quarantena perché un compagno di classe (contatto stretto) è risultato positivo al COVID.

Studenti con familiari in atteso di esito
Gli studenti i cui fratelli o altri familiari conviventi sono in attesa dell’esito del tampone, possono recarsi a scuola. Lo studente non deve stare in isolamento fiduciario nel periodo di attesa dell’esito del tampone; può pertanto continuare ad andare a scuola mantenendo i comportamenti igienico-sanitari di prevenzione e i DPI come previsti dalle norme vigenti, ferma restando la valutazione prudenziale di chi esercita la potestà genitoriale dello studente.

Scuola e alunno di ritorno dall’estero
Da quali canali istituzionali la scuola è avvisata del rientro dell’alunno da una zona estera a rischio COVID-19? Valgono le disposizioni nazionali e regionali che prevedono la comunicazione alle Asp e la registrazione nel portale della Regione Sicilia.

Fratelli o familiari immunodepressi di alunni
Quali sono le indicazioni per gli studenti che hanno fratelli o altri congiunti immunodepressi? Le condizioni di isolamento, anche psicologico, al quale sono spesso costretti gli studenti con un genitore o fratello/sorella convivente con una fragilità documentata, sono particolarmente a rischio quanto numerose. E’ evidente che anche a questi studenti, esattamente come a tutti, va garantito il diritto allo studio. In presenza, pertanto, di una immunodepressione documentata di uno dei genitori o fratelli/sorelle conviventi, la scuola (con apposita delibera) può prevedere la realizzazione di interventi mirati di didattica digitale integrata, valutando con i medici curanti anche l’eventualità di ore erogate in presenza con tutte le cautele del caso e adeguando in maniera flessibile (e dinamica, in relazione alle mutevoli possibilità di frequenza) le modalità di valutazione degli apprendimenti e il computo delle assenze.

Genitore dipendente e figlio in quarantena
È vero che durante la quarantena del figlio il genitore dipendente ha diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile. Il genitore dipendente, infatti, ha diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena del figlio convivente, minore di quattordici anni, disposta dal Dipartimento di prevenzione della ASL competente territorialmente, a condizione che il contatto si sia verificato all’interno del plesso scolastico. La misura è valida fino al 31 dicembre 2020.

Differenza c’è tra isolamento e quarantena
L’isolamento dei casi di documentata infezione da SARS-CoV-2 si riferisce alla separazione delle persone infette dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione dell’infezione. La quarantena, invece, si riferisce alla restrizione dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione, ma che potrebbero essere state esposte ad un agente infettivo o ad una malattia contagiosa, con l’obiettivo di monitorare l’eventuale comparsa di sintomi e identificare tempestivamente nuovi casi (Cfr. Circolare Ministero della Salute del 12/10/2020 “COVID-19: indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena”).

Diritto allo studio e studenti “fragili”
L’Ordinanza Ministeriale n.134 del 09 ottobre 2020 definisce le modalità di svolgimento delle attività didattiche per gli alunni fragili, ossia le studentesse e gli studenti con patologie gravi o immunodepressi – con particolare attenzione per questi ultimi – che sarebbero esposti a un rischio di contagio particolarmente elevato frequentando le lezioni in presenza. Le scuole potranno fare ricorso, per gli studenti fragili, alla didattica digitale integrata o all’istruzione domiciliare. Nei casi di disabilità grave associata a fragilità certificata, in cui sia necessario garantire la presenza dell’alunno in classe a causa di particolari situazioni emotive, le scuole potranno adottare forme organizzative idonee a consentire, anche periodicamente, la frequenza delle lezioni. Né va esclusa la possibilità di realizzare progetti flessibili che integrino le due modalità (didattica digitale integrata e moduli di istruzione domiciliare erogata in presenza) e, per gli apprendimenti a distanza, interventi che facilitino la comprensione dei contenuti e l’elaborazione efficace degli stessi attraverso agili modalità di verifica e l’interazione puntuale con il gruppo dei pari, con metodologie e criteri di valutazione di volta in volta negoziati e condivisi con l’alunno.

Scuola e mensa
La mensa, in quanto esperienza di valorizzazione e crescita costante delle autonomie dei bambini, sarà assicurata prevedendo differenti turni tra le classi. Ove i locali mensa non siano presenti o vengano “riconvertiti” in spazi destinati ad accogliere gruppi/sezioni per l’attività didattica ordinaria, il pasto potrà essere consumato in aula. Il CTS (allegato al verbale n. 82 del 28/5/2020), prevede la fornitura del pasto in “lunch box” come misura residuale, dopo aver valutato tutte le altre opzioni, già indicate nel testo del quesito. Nel caso si adotti la soluzione del “lunch box” è bene pulire e disinfettare i banchi prima e dopo aver consumato il pasto. Per il pasto, inoltre, i banchi non devono essere spostati dalla loro posizione, già definita per rispettare i parametri di distanziamento previsti dal CTS.

Pranzo in sezione per gli alunni dell’infanzia
È ipotizzabile all’Infanzia prevedere il pranzo in sezione per poter usare aula attualmente adibita a mensa come spazio per una sezione e garantire maggior distanziamento generale. Ciò deve avvenire previa pulizia e disinfezione delle superfici impiegate per pranzare, da ripetersi anche al termine del pasto, è possibile organizzare il pranzo all’interno della sezione.

Tampone in struttura privata
L’esito del Tampone effettuato presso una struttura privata ha validità per il Dipartimento di prevenzione dell’ASP solamente se si tratta di un tampone molecolare effettuato presso una struttura autorizzata dall’Assessorato della Salute della Regione Siciliana.

Scuola e didattica a distanza
Le scuole non sono tenute ad acquisire il consenso di alunni, genitori e insegnanti per attivare la didattica a distanza.
Gli istituti scolastici possono trattare i dati, anche relativi a categorie particolari di insegnanti, alunni (anche minorenni), e genitori nell’ambito delle proprie finalità istituzionali e non devono chiedere agli interessati di prestare il consenso al trattamento dei propri dati, neanche in relazione alla didattica a distanza, attivata a seguito della sospensione delle attività formative delle scuole di ogni ordine e grado. Peraltro, il consenso di regola non costituisce una base giuridica idonea per il trattamento dei dati in ambito pubblico e nel contesto del rapporto di lavoro

Comunicazione di positività di familiari
La scuola non può comunicare alle famiglie degli alunni l’identità dei parenti di studenti risultati positivi al COVID 19. Spetta alle autorità sanitarie competenti informare i contatti stretti del contagiato, al fine di attivare le previste misure di profilassi. L’istituto scolastico è tenuto a fornire alle istituzioni competenti, le informazioni necessarie, affinché le stesse possano ricostruire la filiera dei contatti del contagiato, nonché, sotto altro profilo, ad attivare le misure di sanificazione recentemente disposte

I dati personali
Le scuole possono trattare particolari categorie di dati personali nell’ambito della emergenza sanitaria, tra cui i dati relativi allo stato di salute. Infatti, possono trattare i dati, anche relativi a categorie particolari di insegnanti, alunni (anche minorenni), e genitori nell’ambito delle proprie finalità istituzionali e non devono chiedere agli interessati di prestare il consenso al trattamento dei propri dati poiché la base giuridica per tale trattamento è costituita dalla normativa finalizzata al contenimento della diffusione del virus all’interno degli istituti scolastici.

I dati personali trattati nell’ambito della emergenza sanitaria
Gli istituti scolastici hanno l’obbligo di conservare e proteggere i dati raccolti secondo quando previsto dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (Regolamento UE n. 2016/679) ed in base alla normativa nazionale di adeguamento di cui al Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 e comunque per il tempo strettamente necessario.

Diffusione di dati personali
Le scuole non possono diffondere i dati personali relativi a categorie particolari, quali quelli riguardanti lo stato di salute, di insegnanti, alunni e genitori all’esterno. Gli Istituti scolastici sono altresì tenuti al trattamento degli stessi nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali.

Con gli studenti più grandi si tornerà a breve alla didattica a distanza. Cosa dicono i sindacati

da La Tecnica della Scuola

Non è ancora del tutto ufficiale ma ormai nelle scuole ci si prepara alla sospensione delle attività in presenza per sostituirle con la didattica a distanza, anzi – per essere precisi – con la didattica digitale integrata.

Che la soluzione sia questa per la secondaria di secondo grado appare scontato, mentre si sta parlando di fare la stessa cosa anche per gli alunni dell’ultimo anno della secondaria di primo grado.
La Ministra – ma per la verità non solo lei – sta cercando di evitare che la medesima sorte tocchi anche ai ragazzi più piccoli. Qualcosa di più sicuro si potrebbe sapere nella giornata di lunedì.
Ma intanto i sindacati scuola incominciano a dire la loro.

Cosa dicono Uil-Scuola e Cisl-Scuola

“La didattica a distanza – sottolinea Pino Turi, segretario nazionale della Uil Scuola – è uno strumento di emergenza didattica e in momenti di emergenza va usato ed anche esteso e adattato alla realtà. Importante è non perdere il senso della prima ora che ha dato risultati eccellenti”.
“Siamo in una situazione di complessità maggiore di quella già presente nel sistema scolastico – 
aggiunge – e si deve evitare di pensare che si possa ‘ingabbiare’ in rigide regole e regolamenti la realtà che ha bisogno di tempo per condivisione”.

Maddalena Gissi, segretaria nazionale di Cisl Scuola, afferma: ”La chiusura delle scuole corrisponde ad una sconfitta ed è nei pensieri di tutti. I nostri adolescenti stanno attraversando la stagione più critica della loro vita ed hanno bisogno di una grande presenza da parte degli adulti e dei loro docenti. Dalle prime indiscrezioni, la didattica integrata digitale sarà l’unico strumento per tenerli in contatto con la scuola e con i loro compagni”.

“Non è la stessa cosa – osserva Gissi – ma sappiamo che da parte dei tanti professionisti della didattica, non si è perso tempo. I nuovi strumenti di comunicazione tecnologica offrono tante opportunità e anche i nostri volti, la voce squillante delle professoresse e le nuove metodologie promuoveranno sicuramente nuove esperienze, alimentando curiosità”.

Covid, verso il nuovo Dpcm: il Governo incontra gli Enti locali. Si attendono novità anche per la scuola

da La Tecnica della Scuola

E’ partita la giornata decisiva per le misure restrittive che il Governo sta pensando di inserire nel prossimo Dpcm, previsto già domani, 2 novembre.

Misure che intanto l’esecutivo vuole discutere anche con gli Enti locali, per capire quali strategie adottare a livello regionale, in quei territori maggiormente a rischio, e cosa invece prevedere a livello nazionale.

E’ in corso, infatti, in videoconferenza, la riunione dei ministri Roberto Speranza (Salute) e Francesco Boccia (Affari regionali), convocata da quest’ultimo con i rappresentanti di Regioni, Comuni (Anci) e Province (Upi), per discutere le nuove misure che vengono valutate dal governo per contrastare la seconda ondata dell’epidemia di coronavirus.

Limitare gli spostamenti fra regioni

Il nuovo Dpcm dovrebbe essere varato nella giornata di lunedì 2 novembre, che prevede, fra le altre ipotesi, quella di fermare gli spostamenti tra regioni, fatti salvi motivi di lavoro, salute e urgenza.

Novità per la scuola?

Per la scuola si resta alla finestra anche in seguito alle ultime dichiarazioni di Conte: il presidente del Consiglio ha prima affermato nel corso della festa de Il Foglio: “La curva sta subendo una impennata così rapida che rischia di mettere in discussione la didattica in presenza – ha spiegato Conte -, alcuni presidenti di regione lo hanno fatto, non è il nostro obiettivo, noi continuiamo a difendere fino alla fine la didattica in presenza“.

Contagi Covid, altri 31.758 nuovi positivi

Poi in serata ha anche avanzato una proposta di mediazione, necessaria anche perchè la Ministra Azzolina resta convinta di non dover chiudere le scuole. La proposta di Giuseppe Conte sarebbe quella garantire le lezioni in classe fino alla seconda media, con didattica a distanza dalla terza media in su. Se così dovesse essere si terrebbero a casa, in questo caso, oltre mezzo milione di ragazzi, che si aggiungono ai 2 milioni e 600 mila delle superiori.

Al momento, quindi, permangono le misure del 24 ottobre e soprattuto quelle previste dalle Regioni.

Covid-19, contagi in aumento. Verso nuovo Dpcm. Ipotesi DaD dalla terza media

da Tuttoscuola

La curva dei contagi non sembra dare cenni di rallentamento, per questo il Premier Conte accelera. Si va dunque verso un nuovo Dpcm, atteso per domani, lunedì 2 novembre, alle ore 12.00 Le indicazioni del Cts: “Nessun lockdown nazionale né regionale ma chiusure provinciali laddove è necessario; rivedere il trasporto pubblico”. Gli esperti sottolineano di attendere qualche giorno prima delle nuove misure. Intanto sembra che il nuovo Dpcm  metta a rischio la didattica in presenza dalla terza media. Azzolina: “Tenere le scuole aperte significa aiutare le fasce più deboli della popolazione”.

Una stretta a livello locale nelle zone del territorio nazionale dove l’indice Rt è più alto: è questa l’ipotesi a cui sta lavorando il governo in queste ore prima di decidere se arrivare a misure restrittive di portata nazionale. Del tema si sarebbe parlato nella riunione pomeridiana a palazzo Chigi tra Giuseppe Conte, i capi delegazione ed il Cts. Conte e la maggioranza dovrebbero tornate a riunirsi domani, domenica. Una delle opzioni sul tavolo è quella di garantire lezioni in classe fino alla seconda media, con didattica a distanza dalla terza media in su.

Il governo starebbe valutando di imprimere una stretta anche agli spostamenti tra le Regioni. Il tema – a quanto si apprende da fonti della maggioranza – sarebbe stato discusso nel corso della riunione a palazzo Chigi ma ancora non sarebbe stata presa nessuno una decisione. Inoltre l’esecutivo starebbe valutando anche di predisporre degli Hotel Covid dove ospitare persone che non avendo spazio a casa per isolarsi rischiano di contagiare i familiari.

Intanto la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, proprio ieri ha ribadito l’importanza della didattica in presenza dalla sua pagina Facebook: “Tenere le scuole aperte significa aiutare le fasce più deboli della popolazione. Significa contrastare l’aumento delle disuguaglianze, un effetto purtroppo già in corso, a causa della pandemia. Significa tutelare gli studenti, ma anche tante donne, tante mamme, che rischiano di pagare un prezzo altissimo”.

“In mezzo a tante incognite, una certezza c’è: la chiusura delle scuole non produce gli stessi effetti per tutti – ha detto ancora Azzolina -. La forbice sociale si allarga, il conto lo pagano i più deboli. Ci sono poi territori in cui la chiusura delle scuole è sinonimo di dispersione scolastica. E la dispersione scolastica – chiamiamo le cose con il loro nome – equivale all’abbandono dei ragazzi. Ampliare il divario tra famiglie benestanti e famiglie svantaggiate è una responsabilità enorme. Dobbiamo esserne consapevoli. La scuola è futuro. Senza scuola il Paese diventa più debole”.