Su un trauma di lunga durata

Su un trauma di lunga durata

di Piervincenzo Di Terlizzi

A partire dalla fine di febbraio, le scuole italiane hanno lavorato sotto la stretta urgenza imposta dalla diffusione del Covid-19. Possiamo, ad oggi, individuare -anche nei modi con i quali ci siamo raccontati l’evolvere delle cose- quattro fasi:

a) la gestione dell’emergenza, con l’attivazione, prima, delle forme di didattica e distanza e, poi, delle modalità di conclusione dell’anno scolastico;

b) il lavoro di preparazione estiva per il ritorno in classe di settembre, basato soprattutto sulla definizione di spazi, movimenti, contingentamento dei contatti;

c) l’attività delle prime settimane, all’insegna dell’effettiva realizzazione delle misure sopra indicate;

d) da ultimo, per ora nelle scuole del secondo ciclo, il ritorno, variamente definito, alla didattica a distanza.

I quattro passaggi che ho sinteticamente richiamato sono stati compiuti per realizzare due fini: la garanzia formale e legale dell’anno scolastico e la conservazione dei dispositivi fondamentali che lo regolano (le classi, le aule, gli orari, le materie), in uno sforzo continuo di mediazione con le imposizioni dettate dall’evoluzione della pandemia, in particolare con l’accelerazione delle misure d’emergenza in queste ultime settimane.

Dentro la cornice, che ho sinteticamente richiamato, regolata dall’emergenza, il sistema scolastico è chiamato a sviluppare il suo mandato sociale, che si svolge nel presente, ma ha molto a che fare con la dimensione del futuro, nella quale si misurano gli effetti dei percorsi di istruzione e di formazione. Su questo piano, si colloca l’inevitabile presa in carico di una priorità dell’agenda della scuola (come essa sarà) a venire: la dimensione traumatica, tanto collettiva quanto individuale, di questo periodo.

C’è, prima di tutto, il risvolto esperienziale di questo trauma (e, dico subito: sarebbe davvero inquietante che esso non si manifestasse), che il Ministero stesso ha per tempo pronosticato, disponendo il Bando Monitor 440 per le attività di supporto psicologico: due mesi scarsi di scuola sono ancora troppo poco tempo, ma le prime osservazioni che vengono dai contesti concreti delle classi indicano diversi motivi di criticità, connessi ovviamente anche a tutti i risvolti socioeconomici del periodo, che si innestano su una ripresa della scuola sostanziata di misure di contenimento necessarie ma, anche, sotto tanti punti di vista limitanti.

C’è, poi, la dimensione più squisitamente scolastica. Sette mesi di lontananza dalla scuola, una ripresa segnata da mille doverose attenzioni e precauzioni e la prospettiva di mesi a venire ancora problematici hanno già segnato tutti i percorsi di apprendimento e formazione: la misura di questi mutamenti ci sarà più chiara nell’arco degli anni, quando disporremo (grazie anche a INVALSI, immagino) di raccolte di dati comparabili sugli effetti a distanza; un’idea della questione si può avere leggendo i contributi (ed i relativi link) che Fabio Sabatini ha proposto in queste ultime settimane nella sua pagina Facebook. Dentro questa prospettiva, i PAI ed i PIA con i quali la scuola italiana ha regolato la transizione tra anni scolastici sono risposte necessarie, ma parziali, perché essi poggiano sul presupposto di un ritorno ad una specie di normalità che non è all’ordine del giorno, e perché sono strutturati avendo, come unità di misura, l’anno scolastico (non un anno scolastico generico ma questo, il 2020/2021).

In base a quanto ho sopra riassunto, potrebbe essere sensato anzitutto iniziare un ragionamento di più lungo periodo, con questi riferimenti:

a) considerare gli effetti di questi mesi (e di quelli che verranno) su un arco temporale che vada oltre l’anno scolastico, e che possa invece essere identificato nella durata, quanto meno e come minimo, dei cicli. La questione, oggi, non è quella di esercitare il diritto di non ammettere all’anno successivo, ma quella di salvare, nell’interesse pubblico, il percorso di apprendimento di una generazione;

b) conseguentemente, per dare un senso coerente a questo percorso andrebbe posto davvero al centro dell’attenzione -cioè condiviso non solo nei collegi docenti, ma nell’opinione pubblica, che va liberata dall’attendersi sempre il “programma”- il curricolo, come strumento che attraversa gli anni scolastici e che segue il percorso degli apprendimenti individuali (riprendo, qui, alcune proposte recenti di Stefano Stefanel, ad esempio questa: Il dirigente riflessivo), sviluppando un apprezzamento concreto delle modalità -formali, non formali e informali, in presenza e a distanza, sincrone e asincrone- che lo definiscono (e che potremo chiamare, nel loro insieme, portfolio); 

c) la realizzazione di quanto sopra riassunto presuppone (come, del resto, pure qualche documento ministeriale di quest’estate evocava) un lavoro di raccordo, ad ampio raggio, delle scuole con le realtà (culturali, associative, istituzionali, lavorative) locali (dove “locale” significa non solo un territorio fisico, ma anche quello virtuale, delle relazioni nell’infosfera), in una nuova dimensione di comunità, nella quale si tenga conto delle trasformazioni (non sempre lineari) dei tempi e  dei modi di vivere e lavorare;

d) fa parte di questo anche l’attivazione di una forte dimensione sussidiaria tra istituzioni scolastiche: riprendo, qui, uno spunto di un libro che ha qualche anno, ma che mi pare ancora utilissimo (Scuole responsabili dei risultati, Bologna, il Mulino, 2011), di Angelo Paletta, a proposito delle responsabilità delle scuole riconosciute come più efficaci (in qualunque maniera ciò si intenda) nei confronti di quelle vicine.

G. Pampanini, Il Tao del Pedagogista

IL TAO DEL PEDAGOGISTA

Specifiche libro

  • Titolo: Il Tao del Pedagogista
  • Autore: Giovanni Pampanini
  • Editore: Lunaria Edizioni
  • Data uscita: ottobre 2020
  • ISBN: 9788831273022

Il Tao del Pedagogista di Giovanni Pampanini è un testo breve e necessario. Un pamphlet a metà tra una piccola guida pratica e un saggio pedagogico e filosofico che si rivolge a insegnanti, ricercatori di scienze umane e sociali, educatori, doposcuolisti, attivisti e giovani in formazione. Tutti interlocutori in continuo e sincero dialogo con se stessi e con la contemporaneità, impegnati in un processo di formazione che non si esaurisce mai, esattamente come il «Tao»origine del tutto e via per l’infinito.

Lunaria Edizioni, il progetto editoriale dell’associazione culturale Gammazita, sceglie di pubblicare per questo autunno 2020 un testo utile per quanti hanno a cuore la sfida più impegnativa per la società contemporanea: educare. Perché, oggi, un serio educatore deve sempre preoccuparsi di avere qualcosa da dire e trovare la giusta voce per porgerla al mondo. Il diritto all’educazione, infatti, nella contemporaneità non può più esser ridotto al semplice accesso alla scuola ma va inteso piuttosto, come il diritto di ogni essere umano a capire i maggiori problemi posti nell’agenda dell’umanità, affinché ogni persona possa sviluppare la propria intelligenza interculturale ed essere in grado di partecipare attivamente e coscienziosamente alla democrazia globale. Con una ricca esperienza professionale alle spalle, Giovanni Pampanini, pagina dopo pagina, conversando con i potenziali lettori li guida alla scoperta del «Tao» del pedagogista e delle sue «strutture».

Giovanni Pampanini, doposcuolista, insegnante e pedagogista è uno dei maggiori animatori dello studio e l’analisi dell’educazione comparata. Nel 2014 l’Asolapo/UNESCO gli ha conferito presso l’Università di Rabat il Premio per l’educazione alla pace. Tra le altre cose è stato fondatore e primo presidente della MESCE, Mediterranean Society of Comparative Education, vice-presidente del Consiglio mondiale delle società di Educazione comparata, Pioneer President della IOCES, Indian Ocean Comparative Education Society, e Honorary President della AFRICE, Africa For Research In Comparative Education society. Nel 2008 ha ricevuto la cittadinanza onoraria per i meriti culturali dalla città di Bahia Blanca.

Lontananza nella vicinanza

Lontananza nella vicinanza

di Mario Maviglia

Gli amici lettori scuseranno il tono diretto, talora politicamente scorretto, usato in questo contributo. Le questioni poste meritano però di essere trattate senza falsi infingimenti. Molto si è scritto in questo periodo sulla DAD (Didattica a distanza), poi “ammansita” nella più pomposa espressione di DDI (Didattica digitale integrata), dove sembrerebbe che l’aggettivo “integrata” sia da correlare alla didattica tout court. Però già qui c’è una contraddizione di termini: la didattica digitale si integra con quella ordinaria quando c’è uno stretto intreccio tra l’una e l’altra, in sostanza didattica in presenza e didattica digitale (non in presenza) fanno parte di un unico “pacchetto formativo” che si realizza attraverso le due diverse forme di didattica. In realtà in questo periodo si assiste più spesso ad una didattica a distanza che di fatto “sostituisce” completamente quella in presenza, in quest’ultimo caso di “integrato” c’è relativamente poco. Ma tutto sommato queste sono questioni nominalistiche.

È fuor di dubbio che la DAD in questo periodo sta svolgendo una funzione di supplenza nei confronti di quella in presenza, non sempre disponibile a causa delle note ragioni. Insomma, anche i più accaniti sostenitori della DAD non sottovalutano l’importanza della relazione diretta e in presenza con gli studenti; e d’altro canto pochi docenti preferirebbero una didattica completamente a distanza. Vi si ricorre in quanto c’è un’emergenza e anche perché non si conoscono, allo stato attuale, altre modalità per tenere vivo il rapporto con gli allievi e per portare avanti il processo di insegnamento-apprendimento garantendo in tal modo, sebbene in forma inusuale e non ordinaria, il diritto all’istruzione e all’apprendimento. Dunque, grande rispetto per la DAD per la funzione insostituibile che sta svolgendo.

Giustamente molti docenti e osservatori hanno fatto notare che la DAD determina un rapporto “freddo” con gli allievi, una vera e propria “distanza”, relazionale ed emotiva. Su questo aspetto conviene fare qualche riflessione. La domanda da porsi è se sia la DAD in sé a causare questa “distanza”, per una sorta di sua caratteristica ontologica, oppure se tutto ciò non sia da addebitare al modo in cui essa viene gestita nel rapporto educativo in senso lato. In altre parole, il problema della “vicinanza” educativa riguarda anche la didattica in presenza ed anzi la DAD ha in qualche modo fatto emergere in modo drammatico un fenomeno che era ampiamente presente nella didattica di molti docenti. Ancor più esplicitamente, la domanda è la seguente: siamo proprio sicuri che nelle normali situazioni di didattica in presenza ci sia quella “vicinanza” che oggi viene tanto invocata e di cui si lamenta la mancanza nella DAD? Certe modalità fortemente trasmissive di molti docenti lasciano trasparire una visione ancora legata ad un cliché produttivistico del processo di apprendimento dove lo studente esercita essenzialmente un ruolo di mero recettore o esecutore delle attività del docente. La triade lezione/interrogazione/voto è ancora fortemente presente nella didattica di molte scuole, che sono state tutto sommato “risparmiate” da tutto il dibattito che si è sviluppato in questi ultimi due decenni sulla didattica per competenze o sulla didattica laboratoriale. La triade lezione/interrogazione/voto è lì a ricordarci che questi approcci innovativi hanno scalfito relativamente poco l’ordinaria didattica delle scuole (pensiamo alla scuola superiore, ma non solo).  Ogni tanto la rete ci restituisce episodi emblematici di questa mentalità magistrale ancora così radicata, come quel docente di un liceo classico che fa bendare gli studenti durante le interrogazioni on line per evitare che guardino gli appunti. Sono casi estremi, certo, ma sono figli di una certa idea di scuola dove l’alunno è ancora un soggetto da riempire, verificare, valutare. Molti docenti hanno di fatto trasferito in modo automatico le modalità trasmissive tipiche della didattica in presenza nella DAD con risultati che si possono facilmente immaginare in quanto la mancanza di una interazione diretta tra docente e allievi enfatizza ancor più il carattere unidirezionale della didattica trasmissiva. Ma ancora, una volta, le ragioni di questa disfunzione vanno trovate nella didattica ordinaria, la DAD funziona solo come cassa di risonanza e di amplificazione.

Insomma, c’è da chiedersi quanta vicinanza cognitiva ed emotiva c’è nella quotidiana relazione educativa e quale lavoro può svolgere la scuola per far sì che ogni allievo assuma consapevolezza delle proprie emozioni e della propria cognitività, se ne prenda cura e possa condividere con gli altri ciò che si prova. Ovviamente c’è anche un problema di formazione del corpo docente sull’uso delle tecnologie, ma  ancor più importante è il problema di ridefinire il processo di insegnamento all’interno di una relazione educativa, perché l’apprendimento avviene sempre all’interno di una relazione ed è compito degli insegnanti fare in modo che questa relazione sia il più possibile autentica e significativa e crei le condizioni perché vengano esaltate e valorizzate le energie cognitive ed affettive degli alunni. La DAD ha tante responsabilità (spesso suo malgrado), ma in quanto medium la sua bontà dipende dalla perizia e competenza di chi la usa. Una didattica ordinariamente trasmissiva lo sarà ancor di più in una situazione di DAD, perché in questo contesto saltano anche le altre poche mediazioni relazionali e rimane il mero dato trasmissivo.

Allora, quando finirà questo drammatico e difficile periodo, occorrerà riflettere profondamente sul modo di fare scuola e sul ruolo che viene assegnato agli allievi nel processo di insegnamento-apprendimento, su quanta responsabilità viene loro assegnata nella costruzione del loro processo di conoscenza, su come viene curata e sviluppata la loro consapevolezza, su come vengono sollecitati i processi di metacognizione, su come viene accesa e sostenuta la loro passione verso la conoscenza, su quanta collaborazione e cooperazione viene sperimentata dagli allievi nel corso della loro esperienza scolastica. Il problema quindi non è la debolezza della DAD a garantire la vicinanza del rapporto educativo, ma la significatività e pregnanza del rapporto educativo stesso nel momento in cui si esplica nella didattica ordinaria. Fuori da questo orizzonte c’è solo tecnicismo, con o senza DAD.

La pandemia continua, la solitudine dei caregiver anche

La pandemia continua, la solitudine dei caregiver anche: rilevazione di Covid

Redattore Sociale del 03/11/2020

In base alle risposte di circa 400 persone che assistono familiari con disabilità, quasi il 60% dei caregiver denuncia un appesantimento del carico assistenziale sulle proprie spalle e dichiara di non poter contare su alcun aiuto. Il 75% chiede didattica domiciliare anziché a distanza

ROMA. L’emergenza Covid continua e si aggrava: così come si aggravano le condizioni di vita dei caregiver familiari. A rilevarlo è il sondaggio realizzato da Confad, il Coordinamento nazionale famiglie con disabilità, che ha coinvolto circa 400 persone che, in tutta Italia, assistono in modo continuativo e spesso esclusivo familiari con disabilità. Ne emerge un quadro allarmante, che racconta la fatica e la solitudine di chi, in questo complicato periodo, ha visto appesantirsi una condizione già tanto gravosa e ridursi servizi e sostegni già insufficienti.
Il primo problema si chiama scuola
Guardando ai principali dati, emerge innanzitutto il problema della scuola, sia essa chiusa o a distanza (il che cambia poco, evidentemente, nel caso degli alunni con disabilità): “Nel 75% dei casi – si legge nel report – i caregiver familiari intervistati hanno evidenziato l’assoluta necessità di organizzare lezioni domiciliari, e non didattica a distanza, per gli alunni con disabilità in caso di nuovo lockdown”. Servizi fondamentali come l’assistenza alla comunicazione e all’autonomia si sono fermati insieme alla scuola in presenza: “Nel 70% dei casi non sono state recuperate le ore non utilizzate a causa della chiusura delle scuole”, riferisce Confad. E con l’inizio del nuovo anno, i servizi tuttora arrancano: “In seguito alle misure restrittive emanate durante l’emergenza, oltre l’ 80% degli intervistati ha dichiarato di non essere stato contattato dalla scuola in merito ai protocolli per il trasporto scolastico delle persone con disabilità. Una persona su tre ha dichiarato che non è ancora stata assegnato l’ insegnante di sostegno all’alunno con disabilità, ed è quindi evidente come sia di fatto pregiudicato il diritto all’istruzione per queste persone”. 
Le strutture, i centri e gli operatori
C’è poi il problema dell’isolamento delle strutture residenziali: “Un altro dato drammatico è emerso in relazione alle persone con disabilità inseriti in strutture residenziali: in questo caso – riferisce Confad – oltre il 33% degli intevistati ha affermato di non avere mai avuto l’ autorizzazione a tornare a far visita ai familiari residenti in strutture protette”: neanche prima che la nuova ondata si aggravasse e rendesse necessaria una nuova chiusura all’esterno di queste strutture. Parziale è stata anche la riapertura dei centri, dopo la chiusura di marzo: questi “sono stati riaperti con orario minimo o ridotto nell’83% dei casi: da ciò – osserva Confad – si può facilmente intuire che tutto il carico di accudimento e assistenza è stato assunto ancora una volta dal caregiver familiare e dalla famiglia della persona con disabilità”. Per quanto riguarda gli operatori a diretto contatto con le persone disabili, “il 20% degli intervistati ha dichiarato che questi non hanno eseguito alcun protocollo anti-covid, ed uno su tre ha confermato che non risultano monitoraggi anti-covid per il personale”. Inefficaci anche le attività a distanza: “Per le persone con disabilità che non frequentano centri o scuole, sono state effettuate attività in remoto che sono state valutate inutili o inadeguate nel 70% degli intervistati”. 
Alla luce di questi dati, letti nel loro insieme, emerge chiaramente come si sia aggravato, nella cosiddetta “fase 3” della pandemia, “il carico di attività per i caregiver familiari rispetto alla fase 1, rilevato nel 57% dei casi, così come nella stessa percentuale è stata l’ affermazione di non poter contare su nessun aiuto”. 
Se questa è la situazione, qual è però la causa e quale potrebbe essere, di conseguenza, la soluzione? La parola chiave è “servizi territoriali”, che già da anni sono stati sacrificati a quella “aziendalizzazione del sistema sanitario” che ora mostra tutta la sua inadeguatezza e insufficienza. E’ quanto spiega, nell’introduzione del report, Marco Ruini , neurochirurgo e neurologo, direttore scientifico della rivista di Neuroscienze Anemos. “Negli anni 80 e 90 si è tanto investito sul territorio, sui servizi alla persona, sulla rimozione delle barriere, sulle pari opportunità, sulla prevenzione – scrive – Già da vari anni, però, l’aziendalizzazione del sistema sanitario ha concentrato i pochi investimenti solo sulle strutture ospedaliere e il territorio è via via rimasto sguarnito di presidi e di personale, rovinosamente a danno delle persone con disabilità e le loro famiglie impegnate, in assoluto abbandono, alla cura delle fragilità interne alla famiglia stessa”. 
E’ evidente che “il sistema di sostegno alle fasce deboli era già entrato in crisi prima della pandemia Covid – afferma Ruini – Quando questa si è abbattuta anche sul nostro paese, la drammatica situazione delle case di riposo e le gravi ripercussioni sulla popolazione anziana sono stati gli eventi avversi più evidenti, la morte ha più colpito le nostre coscienze. Ciò che poco è apparso, è la mancanza di risposte riguardo a quelle situazioni di disagio prima elencate, tra le quali l’isolamento delle persone con disabilità che, in buona parte del territorio, hanno ricevuto la sola assistenza dei familiari, a supplire ogni necessità con la prevedibile difficoltà nel ricevere le cure mediche e soprattutto superare gli scogli relazionali dovuti alla spaventosa dimenticanza del sistema”. 
E’ così accaduto che “le famiglie sono state investite dall’aumentato peso assistenziale, da stress e tensioni aggiuntive, e sono a volte arrivate al punto di rottura”. E’ queste famiglie che il sondaggio ha voluto dar voce, portando allo scoperto un pezzo di mondo che soffre forse più di altri questo momento di grande preoccupazione ed emergenza sanitaria. 

di Chiara Ludovisi 

Disabilità, a Messina partono i laboratori didattici per gli studenti

Disabilità, a Messina partono i laboratori didattici per gli studenti

Redattore Sociale del 03/11/2020

Allo scopo di garantire il diritto degli studenti con disabilità alla relazionalità, le istituzioni scolastiche, fino alla durata della didattica a distanza, daranno vita a diverse attività inclusive in settori quali arte, musica, tecnica

MESSINA. Si attiva a partire da oggi il progetto finalizzato a realizzare alcuni laboratori didattici con gli istituti scolastici che hanno aderito per le famiglie degli alunni disabili che versano in difficoltà in modo da poter affrontare al meglio le emergenze educative causate dalla situazione epidemiologica in corso.
Allo scopo di garantire il diritto degli studenti con disabilità alla relazionalità, le istituzioni scolastiche, fino alla durata della didattica a distanza, daranno vita a diverse attività inclusive in settori quali arte, musica, tecnica, con la garanzia del supporto di tutti i servizi socio-assistenziali e del trasporto, già contrattualizzato dalla Città Metropolitana di Messina.
Sono diciannove gli istituti scolastici di istruzione secondaria che hanno comunicato l’adesione all’iniziativa a sostegno degli studenti disabili. E’ stata un’azione fortemente voluta dal sindaco metropolitano Cateno De Luca che si avvarrà di un finanziamento della Città Metropolitana di Messina di centomila euro.
Il progetto ha lo scopo di integrare le giornate di frequenza in presenza degli studenti con disabilità che ogni istituto intende effettuare. Verranno garantiti cinque giorni settimanali comprensivi di attività di studio e di laboratorio ad ogni singolo studente. 
I laboratori possono prevedere la partecipazione volontaria ed a titolo gratuito di esperti ed associazioni del mondo artistico e musicale. 
II contributo economico messo a disposizione dalla Città Metropolitana di Messina per tutto il mese di novembre sarà cosi articolato: 500 euro per ciascun plesso, sezione ove verrà attivato il progetto; 100 euro per ciascun alunno disabile iscritto e frequentante i laboratori di ciascuna scuola.
Tale progetto potrà essere prorogato anche al mese di dicembre, con una riduzione del 30% dei superiori importi, a fronte del prolungarsi dello stato di emergenza.
“In questa situazione di parziale lockdown – ha dichiarato il sindaco metropolitano Cateno De Luca – abbiamo cercato di sostenere le famiglie e gli studenti disabili ai quali, dalla chiusura degli istituti superiori, potrebbero derivare gravi conseguenze. Abbiano finanziato il progetto per dare la possibilità di realizzare attività ludico-ricreative e laboratori, anche in accordo con l’università, in modo da poter consentire la prosecuzione delle attività in presenza. Alle famiglie saranno garantiti il trasporto scolastico e l’assistenza personale, servizi indispensabili che la Città Metropolitana, da oltre una settimana, ha provveduto ad attivare; inoltre, grazie a questa iniziativa, si eviterà che tutti i lavoratori impegnati nell’assistenza agli studenti disabili finiscano in cassa integrazione”.
Gli istituti che hanno richiesto l’attivazione del progetto di Palazzo dei Leoni sono: “Manzoni” (Mistretta, Caronia, Santo Stefano di Camastra), “Tomasi di Lampedusa” (Sant’Agata Militello e Tortorici), “Esposito” (Santo Stefano di Camastra), Paritario “San Michele” (Sant’Agata Militello), “Piccolo” (Capo d’Orlando), “Borghese-Faranda” (Patti), “Copernico” (Barcellona Pozzo di Gotto), “Merendino” (Capo d’Orlando, Brolo, Naso), “Vittorio Emanuele III” (Patti), Paritario “Pavarotti” (Terme Vigliatore), “Guttuso” (Milazzo, Spadafora), “Leonardo da Vinci” (Milazzo), “Pugliatti” (Taormina, Furci Siculo), “Trimarchi-Caminiti” (Santa Teresa di Riva, Giardini Naxos, Francavilla di Sicilia, Letojanni), “Minutoli-Cuppari-Quasimodo” (Messina), “Ainis” (Messina), “Antonello” (Messina), “Maurolico e Galilei” (Messina, Spadafora), “Caio Duilio” (Messina). (set)

Più didattica a distanza: alle superiori si va verso il 100%

da Il Sole 24 Ore

di Claudio Tucci

L’ennesimo braccio di ferro sulla scuola fa avanzare ancora un pò la quota di didattica a distanza, che, come ha annunciato, ieri, in Parlamento il premier, Giuseppe Conte, potrà salire dall’«almeno 75%» del precedente Dpcm al 100% nelle scuole superiori (ciò significa che quando entrerà in vigore il nuovo provvedimento del governo, per qualche settimana, se non tutti, quasi, i circa 2,6 milioni di studenti delle secondarie di secondo grado passeranno al pc da casa – sarà comunque dato del tempo aggiuntivo, la scorsa volta però appena 24 ore, agli istituti per modificare un’altra volta la propria organizzazione).

Le lezioni da remoto potrebbero – ma il condizionale è ancora d’obbligo – interessare anche il primo ciclo, a seconda della situazione epidemiologica della regione dove si trovano, sulla base dei 3 scenari ipotizzati dal presidente del Consiglio: se il quadro si mostra particolarmente grave, con indicatori sanitari oltre una determinata soglia, andranno on line anche seconda e terza media (la Campania, al momento, si è spinta oltre mettendo in didattica integrata a distanza l’intero primo ciclo, incluse quindi infanzia e primaria).

Gli ultimi nodi saranno sciolti (forse) dal nuovo Dpcm in via di emanazione da parte del governo, che ieri, tuttavia, su pressing delle Camere, si è impegnato a garantire la didattica in presenza in tutti i territori in cui la diffusione dei contagi non risulti fuori controllo e a proteggere in particolare le fasce di età più piccole, a partire dai nidi fino alla scuola secondaria di primo grado.

I presidi, costretti all’ennesimo nuovo sforzo organizzativo, sono sul piede di guerra: «La sospensione della didattica in presenza non sarà senza conseguenze – ha detto Antonello Giannelli, a capo dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi -. Dobbiamo essere consapevoli del prezzo sociale che pagheremo noi tutti e di quello individuale che pagheranno gli studenti: sarà elevato e, purtroppo, ce ne renderemo conto nei prossimi anni».

All’interno della maggioranza, anche Iv è perplessa: «La scuola deve essere l’ultima a chiudere e, se si chiude, deve essere per un tempo limitato utile a creare le condizioni perché sia la prima a riaprire – ha spiegato l’ex sottosegretario, Gabriele Toccafondi, ora capogruppo di Italia Viva in commissione Cultura alla Camera -. Per milioni di ragazzi fare didattica a distanza significa non fare niente, perché mancano gli strumenti informatici necessari, la connessione, non tutto il personale è adeguatamente formato. Per gli 1,3 milioni di studenti degli istituti tecnici e professionali le lezioni da remoto comportano il sacrificio di gran parte delle attività in laboratorio e la formazione professionale regionale verrebbe ancor più penalizzata».

Secondo gli esperti, per i circa 2,6 milioni di ragazzi delle superiori la didattica a distanza significa erogare più di 4 milioni di ore a settimana. Per quelli delle medie (delle aree dove i dati clinici sono più gravi) vuol dire aumentare i disagi per scuole e famiglie, specie se si tratta di alunni fragili.

La ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, sta battagliando per mantenere il più possibile in presenza le lezioni. Ieri ha distribuito alle scuole gli 85 milioni di euro previsti dal decreto Ristori che consentiranno l’acquisto di oltre 200mila nuovi dispositivi digitali e oltre 100mila connessioni. Da marzo sono stati già 432.330 i dispositivi acquistati e oltre 100mila le connessioni. Le scuole hanno comprato device e tecnologie anche con i 331 milioni erogati per la ripresa a settembre; e poi hanno in dotazione nei laboratori 1,2 milioni di dispositivi già utilizzati durante il lockdown.

Distribuiti alle scuole gli 85 milioni del decreto Ristori

da Il Sole 24 Ore

di Cl. T.

La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha firmato ieri il decreto che assegna alle scuole gli 85 milioni di euro per la didattica digitale integrata stanziati dal “Decreto Ristori” nel Consiglio dei Ministri del 27 ottobre scorso. I fondi serviranno agli istituti scolastici per l’acquisto di dispositivi digitali e strumenti per le connessioni da fornire in comodato d’uso agli studenti meno abbienti.

I fondi
Gli 85 milioni sono stati distribuiti tenendo conto del numero di alunni di ciascun istituto e dell’indicatore Ocse Escs che consente di individuare le scuole con un contesto di maggiore disagio socio-economico e dove sono meno diffuse le dotazioni digitali. Lo stesso parametro era stato utilizzato a marzo per la distribuzione delle risorse per la didattica digitale previste dal decreto “Cura Italia”. Questo nuovo stanziamento potrà consentire alle scuole l’acquisto, in base alle necessità delle scuole, di oltre 200mila nuovi dispositivi e oltre 100mila connessioni.

Gli altri interventi
Da marzo, ricorda una nota del ministero dell’Istruzione, sono stati già 432.330 i dispositivi acquistati e oltre 100mila le connessioni. Ulteriori strumenti saranno resi disponibili attraverso specifici avvisi a valere sulle risorse Pon che consentiranno il noleggio di supporti didattici digitali per questo anno scolastico e grazie anche a un decreto da 3,6 milioni, firmato il 27 ottobre da Azzolina, che garantirà la connessione e, quindi, la didattica digitale integrata, a studentesse e studenti delle scuole di secondo grado che ne sono ancora privi. Si ricorda, infine, che le scuole hanno acquistato device e tecnologie anche con i 331 milioni di euro erogati direttamente agli istituti per la ripartenza di settembre. Le scuole hanno poi in dotazione nei loro laboratori 1,2 milioni di dispositivi che sono stati già messi a disposizione degli studenti durante la prima fase dell’emergenza sanitaria.

La distribuzione regionale degli 85 milioni:Abruzzo 1.884.794,63 € Basilicata 1.088.222,83 € Calabria 3.595.958,80 € Campania 10.644.051,87 € Emilia Romagna 5.516.393,71 € Friuli 1.597.160,68 € Lazio 7.330.997,89 € Liguria 1.825.017,64 € Lombardia 12.210.621,80 € Marche 2.286.947,32 € Molise 481.312,60 € Piemonte 5.624.162,80 € Puglia 6.695.778,25 € Sardegna 2.808.166,38 € Sicilia 9.097.145,71 € Toscana 4.833.369,38 € Umbria 1.269.978,81 € Veneto 6.209.918,90 €

Dad, quasi 3 studenti su 5 “bocciano” il proprio istituto

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Il 57% degli studenti delle scuole superiori che stanno svolgendo la didattica a distanza pensa che la propria scuola non abbia fatto passi avanti rispetto alla scorsa primavera. Anche larga parte dei professori sembrano “smarriti” agli occhi dei loro alunni riguardo le videolezioni. Circa 3 su 10 lamentano problemi strutturali.

Il sondaggio
Lo fa sapere il portale Skuola.net che ha intervistato 4mila studenti delle superiori alla fine della prima settimana del Dpcm attualmente in vigore, quello che indicava una quota minima per la Dad – almeno i 3/4 dell’orario – in licei, tecnici e professionali. La didattica a distanza in una manciata di giorni passa dal 75% alla 100% e torna protagonista assoluta delle giornate degli studenti, perlomeno di quelli più grandi. Considerando le regioni in cui i Governatori, per gestire meglio l’emergenza sanitaria, hanno disposto già negli scorsi giorni la chiusura totale degli istituti si può osservare – spiega il Skuola.net – come per 6 alunni su 10 non sia cambiato quasi nulla: il 29% dice che sin da subito – per scelta della scuola e non per contagi interni alle classi – ha svolto qualche giornata di lezione seguendo da casa, mentre il 31% lo aveva fatto comunque prima del decreto; solo per il 40% la Dad è stata una novità.

Il Dpcm, nelle regioni più a rischio, ha dunque inciso soprattutto sulla quantità delle ore, inevitabilmente lievitata. Diversa la situazione, ma non troppo, nelle aree in cui una parte della didattica si è potuta continuare a svolgere in presenza. Qui la maggioranza degli studenti (66%) ha svolto lezioni a distanza solo a partire dalla settimana appena trascorsa. Ma più di 1 su 3 si era già diviso tra scuola e casa, a seconda delle giornate: il 21% sin dall’inizio del nuovo anno, il 13% con il passare delle settimane. Inoltre, per quasi 1 su 5, la quantità di ore passate in Dad è rimasto invariato anche dopo il Dpcm del 24 ottobre (quindi già ne facevano almeno il 75%). Ma la prontezza delle scuole, almeno secondo gli studenti, è ancora lontana perché il 57% degli intervistati ancora oggi ‘boccia’ l’approccio che ha la propria scuola nei confronti della Dad: per il 21% da marzo non c’è stato alcun miglioramento, per il 36% giusto qualche passo in avanti. Un vero problema in vista del nuovo Dpcm. Solo il 43%, al contrario, si dice soddisfatto: il 30% dice che la scuola si è mostrata ben attrezzata ai blocchi di partenza, il 13% che l’organizzazione era buona già lo scorso anno.

Quanto ai docenti solo il 26% ha riscontrato, all’inizio dell’anno, un miglioramento dei professori con gli strumenti per dialogare con gli alunni anche ‘da remoto’; a cui si aggiunge un 12% che afferma di aver trovato insegnanti tecnologicamente pronti sin dalla prima ondata della pandemia. Il 62%, invece, non sembra convinto: al 46% sono apparsi un po’ più preparati (ma non troppo), per il 16% regna lo smarrimento. Circa 3 studenti su 10, inoltre, lamentano dei limiti strutturali: il 14% ha ancora guai con la connessione (assenza di rete fissa, scarsa velocità o giga contingentati), l’8% non ha un computer o un tablet personale per seguire le lezioni, il 7% ha problemi su entrambi i fronti. E un altro 30% ha rimediato giusto in tempo per l’avvio del nuovo anno. Con gli istituti che – conclude il portale – ancora una volta, non sono esenti da responsabilità: in più di 2 casi su 10, alla vigilia della prima campanella, la scuola non si è espressa sull’argomento cosicché l’aggiornamento della strumentazione, laddove c’è stato, è avvenuto per iniziativa individuale delle famiglie.

Ai diplomati con lode solo 95 euro, il 75% in meno di 5 anni fa

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

In 5 anni il 100 e lode alla maturità ha perso il 75% del suo valore. I 12mila e passa studenti che l’hanno ottenuta nel luglio scorso porteranno a casa solo 95 euro. A prevederlo è il decreto del ministero dell’Istruzione che ha fissato l’importo del premio per l’anno scolastico 2019/2020. Cinque anni fa il riconoscimento in denaro per gli alunni eccellenti era di 370 euro; l’anno scorso di 255. Alla base di questo ridimensionamento non c’è solo un aumento progressivo dei ragazzi e delle ragazze che si diplomano con il massimo dei voti, ma anche un taglio dei fondi a disposizione per il programma di valorizzazione delle eccellenze.

Il premio si è deprezzato del 75%
L’andamento del bonus per i 100 e lode non lascia spazio ai dubbi. Nel 2015/16 ottenere il massimo di voti all’esame di Stato valeva 370 euro. L’anno dopo 340. Quello dopo ancora 300. Nell’ultimo biennio il tracollo: nel 2017/18 gli alunni “super bravi” sono stati ricompensati con 255 euro; stavolta ci si è fermati a quota 95. Con un calo di quasi il 75% nell’arco del quinquennio.

Studenti “super bravi” più che raddoppiati
Una prima ragione del calo dei compensi per i diplomati eccellenti va ricercata nell’aumento progressivo e verticale dei 100 e lode elargiti alla maturità. Nel 2015/16 gli studenti che hanno ottenuto il massimo dei voti erano 5.133. Con un aumento tutto sommato contenuto nei due anni successivi quando erano arrivati, rispettivamente, a 5.494 e 6.004. Prima del boom registrato già nell’anno scolastico 2018/19 (7.513) e confermatosi nel 2019/20, quando – complice forse un esame super semplificato (una semplice prova orale anziché due scritti e un colloquio) causa pandemia – le lodi sono state oltre 12mila.

Il taglio ai fondi per le eccellenze
In termini puramente matematici i conti non tornano. Perché se è vero che gli studenti eccellenti sono più raddoppiati nell’arco di un quinquennio è altrettanto vero che il premio in denaro a loro spettante ha perso i ¾ del suo valore. Alla base della decurtazione c’è anche una diminuzione dei fondi a disposizione. Che fino all’anno scorso superavano i 2,2 milioni di euro e stavolta si fermano a quota 1,3. Ragion per cui i 12mila diplomati con lode del 2020 per ora devono accontentarsi della promessa, messa nero su bianco da viale Trastevere, che «resta ferma la possibilità di incrementare il predetto ammontare, qualora dovessero rendersi disponibili ulteriori risorse finanziarie da poter utilizzare a tali fini». Ma questa eventualità al momento appare abbastanza remota.

Da Coldiretti agrodidattica a distanza per le scuole pugliesi

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Con la chiusura delle scuole in Puglia per l’emergenza Covid, e gli alunni impegnati a seguire le lezioni da casa, si fa strada l’agrididattica a distanza: video lezioni supportate dal ‘diario di campo’ a disposizione di insegnanti e studenti. L’iniziativa è di Coldiretti DonneImpresa Puglia che lancia il progetto di ‘Educazione allaCampagna Amica on line’. «Proporremo il progetto a tutte lescuole di ogni ordine e grado – annuncia Floriana Fanizza, leader nazionale e regionale di Coldiretti DonneImpresa – per dare seguito alla formazione naturalmente svolta all’interno delle masserie didattiche, oggi limitata a causa dell’emergenza coronavirus.

La proposta
«Siamo convinti che la Rete delle fattorie didattiche di Coldiretti, in collaborazione con glienti locali e le altre autorità territoriali coinvolte, sia un valido supporto alle politiche di sostegno degli alunni e delle loro famiglie in questo momento di criticità, dando al contempo sollievo a questo segmento della didattica in campagna così innovativo, patrimonio dell’imprenditorialità agricola tutta alfemminile». «Resta ferma l’attività svolta dalle oltre trecento fattoriedidattiche che in Puglia mettono a disposizione ampi spazi all’aperto – spiega Fanizza – per le lezioni di piccoli gruppidi studenti, in modo da permettere di rispettare le misure disicurezza anti contagio da coronavirus con l’aggiunta anche di grandi spazi all’aria aperta per i momenti di intervallo dell’attività didattica».

Il portale nazionale
Per rendere più agevole la scelta di insegnanti e mamme delpercorso agrididattico preferito – aggiunge Coldiretti Puglia -è nato il primo portale nazionale delle fattorie didattiche diColdiretti che aiuta, grazie ad una cartina digeoreferenziazione e ad ogni informazione utile a facilitare lascelta, ad individuare la fattoria green confacente allenecessità dei bambini. In Puglia negli ultimi 10 anni -riferisce Coldiretti Donne Impresa Puglia – sono stati coinvoltinel progetto delle masserie didattiche 150mila bambini e 480scuole.

Primaria e infanzia a rischio

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi e Caro Forte

Parlamento e governo questa volta vanno di pari passi nel declinare le nuove regole del dpcm per contrastare la diffusione dell’epidemia. Ieri è stata approvata alla Camera la risoluzione di maggioranza (6-148) che chiede all’esecutivo di garantire nelle aree territoriali in cui la soglia dell’indice Rt non risulti fuori controllo la didattica in presenza, con particolare riferimento «ai nidi, alle scuole per l’infanzia, alla scuola primaria e secondaria di primo grado, assicurando nel contempo screening periodici e tamponi veloci al personale scolastico e agli alunni». È implicito però che anche medie e primaria possano passare alla Dad, se la curva dei contagi dovesse essere fuori controllo come già accade in alcune realtà. La risoluzione è stata presentata dai capigruppo dei partiti della maggioranza che sostiene il governo: Davide Crippa (M5s), Graziano Delrio (Pd), Maria Elena Boschi (Iv), Federico Fornaro (Leu), Bruno Tabacci (CD, RI, +Europa), Antonio Tasso (Maie) e Renate Gebard (Minoranze linguistiche). Il documento evidenzia, da una parte, la necessità per il governo di valutare l’adozione di misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale a seguito del peggioramento dell’emergenza sanitaria. E dall’altra parte, l’opportunità di prevedere l’applicazione di provvedimenti restrittivi automatici a livello regionale, provinciale e comunale, qualora dovessero verificarsi particolari criticità.

Ed è quanto il governo si accinge a fare con il dpcm che dovrebbe essere firmato oggi dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, dopo la nuova riunione del Cts prevista per il pomeriggio, dpcm che individua tre aree diverse di rischio. La linea è dunque quella di ricette differenziate sul territorio, in base all’indice di contagio e alla saturazione del servizio sanitario, in particolare delle terapie intensive. Eccezion fatte per alcune misure restrittive nazionali come il coprifuoco dopo le ore 21, il limite del 50% di capienza sui mezzi di trasporto, la chiusura dei centri commerciali nei fine settimana e la Dad alle superiori al 100% (era al 75%), tutte le altre misure dovrebbero essere modulate in base al livello di rischio. La stessa sopravvivenza delle lezioni in presenza per medie, primaria e infanzia dipende dagli indici.

Il dpcm crea dunque una cornice di regole, in base alle quali sarà poi il ministro della Salute, Roberto Speranza, a classificare i vari territori. Dando da un lato omogeneità di restrizioni a parità di condizioni sanitarie e dall’altro evitando che siano le regioni ad assumersi l’onere di dover decidere in autonomia. Ancora da definire la durata del nuovo regime previsto dal dpcm.

Già la risoluzione della maggioranza di ieri indica che l’individuazione delle misure da applicare dovrebbe essere effettuata incrociando l’indice Rt con la capienza delle strutture sanitarie con particolare riferimento ai posti in terapia intensiva. Così da collegare l’inasprimento delle misure restrittive, anche sulla scuola, al progressivo avvicinarsi della soglia critica di ricoveri, superata la quale il sistema sanitario non sarebbe più in grado di garantire i servizi all’utenza.

La risoluzione di maggioranza inoltre impegna l’esecutivo a potenziare le misure che consentono di analizzare i dati sui flussi di ingresso e uscita dei reparti del servizio sanitario, nonché la relativa capienza anche differenziata su base territoriale, «e a tracciare tempestivamente, in modo completo ed efficace, le catene di trasmissione, al fine di realizzare un adeguato apparato di prevenzione del contagio». Uno dei punti dolenti è stato proprio il sistema di tracciamento, rilevatosi del tutto inefficiente. Un altro dei dossier che torna centrale è quello dei trasporti, che negli orari di punta, in coincidenza con l’entrata e l’uscita da scuola, sono diventati diffusori del virus, con una gestione che si è rivelata fallimentare ai fini del contenimento del contagio. «Chiediamo che questo periodo di stop sia utilizzato per riorganizzare i trasporti e la sanità», dice Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale presidi, «così da riprendere le lezioni in presenza per tutti».

Per le scuole riaperte 30 milioni di contatti L’ondata di ottobre spiegata dai numeri

da la Repubblica

di Roberto Battiston

Mezzi pubblici pieni e spostamenti di massa tra le cause dell’attuale aumento dei contagi

Una crescita velocissima durante il mese di ottobre che è appena terminato . Così come era successo all’inizio del lockdown del marzo scorso. L’epidemia da Covid-19 ha subìto brusche accelerazioni, come quella cui stiamo assistendo, e periodi in frenata. Lo mostra chiaramente l’analisi dei dati ufficiali della Protezione Civile, calcolando il tasso di crescita medio dal 24 febbraio in poi. Una analisi che può aiutarci a capire cosa ci attende nelle prossime settimane e forse anche come intervenire.

All’inizio l’epidemia aveva potuto svilupparsi liberamente e in modo quasi invisibile per qualche settimana raggiungendo un tasso di crescita altissimo. Il 10 marzo, il numero di infetti raddoppia in meno di una settimana, portando alla decisione di chiudere tutto il paese, unico modo ì riportare sotto controllo l’epidemia.

Ai primi di giugno, fine del lockdown, il tasso era negativo ed è rimasto tale fino al 20 luglio quando sono stati identificati numerosi focolai presso luoghi di lavoro, oppure comportamenti non protetti di gruppi più o meno grandi di persone di cui si è letto sui giornali. Si è trattato però di cose gestibili dal sistema sanitario anche grazie al sistematico tracciamento degli infetti: all’inizio di agosto il tasso di crescita mostrava ancora una epidemia in decrescita.

In agosto milioni di Italiani si sono messi in movimento. Sabato 8 agosto c’è il picco degli spostamenti: il tasso rimane costante per una settimana poi, dal 15 al 22 agosto, raddoppia. La concentrazione di ferragosto si rivela dopo una settimana, il tempo necessario ai sintomi per manifestarsi e per essere registrati dal sistema sanitario. Dal 16 agosto i numeri dei villeggianti cala: la riduzione del tasso di crescita si vede una settimana dopo, a partire dal 22 agosto.

Il tasso di crescita sembra seguire come un cronometro gli spostamenti di milioni di persone, con l’avvertenza di aggiungere 7-8 giorni per arrivare al momento in cui si vedono gli effetti sul numero degli infetti.

Agli inizi di settembre il tasso è piuttosto alto: l’economia si rimette comunque in moto. L’ottima notizia, di cui non si è parlato abbastanza, è che, il tasso ha continuato a diminuire per tutto il mese di settembre, nonostante la ripartenza. I dati dimostrano che, in opportune circostanze, l’attività produttiva può ripartire in Italia anche in presenza di una diffusione significativa dell’epidemia.

Il primo ottobre inizia però una crescita rapidissima: in tre settimane il tasso di crescita si quintuplica. A febbraio il tasso era anche più alto, ma c’erano solo poche centinaia di infetti. In ottobre c’erano invece circa 60.000 infetti registrati: tassi di crescita molto meno intensi che in febbraio hanno portato in poche settimane a 350.000 casi di infetti!

Si tratta di un tipico effetto non intuitivo della crescita esponenziale, che però ha implicazioni enormi per la società.

Cosa è successo una settimana prima del 1 ottobre ? Il 24 settembre ha riaperto il sistema scolastico: in realtà doveva riaprire in parte il 14 ed in parte il 24 settembre, ma le votazioni del 20-21 settembre e la partenza lenta in molte regioni hanno di fatto annullato questa differenza. Otto milioni di studenti e quasi un milione di docenti ed addetti scolastici, si sono messi improvvisamente in moto: qualcosa di simile a ferragosto, ma con una scala e per una durata di tempo molto maggiori. Non è tanto quello che accade nelle scuole in presenza la causa della ripartenza rapidissima del contagio, ma è tutto quello che accade al contorno: trasporti pubblici, attività sportive, attività sociali, attività familiari, fino a feste e incontri tra amici. Il sistema intero del paese viene messo alla prova dalla riapertura scolastica in presenza. Se contiamo anche i familiari, si superano abbondantemente i 30 milioni di persone che entrano in contatto in modo vario a causa della riapertura della scuola in presenza. I numeri della scuola rappresentano una grandissima parte della società, quello che accade attorno alla scuola accade alla società nel suo insieme. Il “resto della società” di fatto non esiste, con buona pace di Arcuri e di Azzolina.

Mentre i dati di settembre mostrano che le attività lavorative nel nostro paese possono riprendere, con le dovute cautele, i dati di ottobre mostrano che il movimento indotto dalla riapertura delle scuole in presenza, specie delle superiori, non è gestibile nelle condizioni attuali di funzionamento delle infrastrutture sociali ad esso collegate e occorre ricorrere per un po’ di tempo alla DAD.

Cosa è opportuno fare adesso?

Il secondo grafico presente in questa pagina (Il tasso di crescita) mostra il dettaglio dell’ ultimo mese e mezzo. Il Dpcm del 12 ottobre non ha provocato, una settimana dopo, effetti apprezzabili. Il Dpcm del 25 ottobre, quello che ha richiesto la riduzione al 25% delle attività in presenza nelle scuole superiori, potrebbe dare effetti di contenimento a partire da questa settimana. Anche in questo caso, per varie settimane, i numeri di nuovi infetti rimarranno molto alti, ma assisteremmo almeno a una inversione di tendenza ed inizieremmo a vedere la luce in fondo al tunnel. L’epidemia deve essere raffreddata, il tasso di crescita nazionale deve scendere quanto più possibile e andare sotto lo zero, cosa che corrisponde a Rt <1: questa è la priorità assoluta: per fare questo è importante distinguere tra cause ed effetti, capire le priorità è assegnare di conseguenza le risorse.

Avviare la didattica a distanza: indicazioni metodologiche e strumentali. Scarica la circolare

da OrizzonteScuola

Di Antonio Fundarò

La Nota del Ministero dell’Istruzione n.1934 del 26 ottobre 2020 (Indicazioni operative per lo svolgimento delle attività didattiche nelle scuole del territorio nazionale in materia di Didattica digitale integrata e di attuazione del decreto del Ministro della PA 19/10/2020) prevede che “il personale docente è comunque tenuto al rispetto del proprio orario di servizio e alle prestazioni connesse all’esercizio della professione docente, e mantiene intatti i diritti sindacali, compresa la partecipazione alle assemblee sindacali durante l’orario di lavoro, che si potranno tenere con le stessa procedure con cui si svolgono le attività didattiche a distanza.

In particolare, il docente assicura le prestazioni in modalità sincrona al gruppo classe o a gruppi circoscritti di alunni della classe. Per la rilevazione delle presenze del personale e degli allievi è utilizzato il registro elettronico. Anche nel caso di sospensione delle attività didattiche in presenza, gli impegni del personale docente seguono il piano delle attività deliberato dal collegio dei docenti e restano fermi i criteri stabiliti a livello di istituzione scolastica ai sensi dell’articolo 22, comma 4, lettera c8), del CCNL 2016/2018”.

La DDI e le unità orarie inferiori a 60 minuti

La DDI si svolge in ottemperanza a quanto previsto dalle Linee Guida di cui al Decreto del Ministro dell’istruzione 7 agosto 2020, n. 89. Particolarmente utile – sottolinea il dirigente scolastico dell’IIS “G. Ugdulena” di Termini Imerese e Caccamo, la professoressa Patrizia Graziano, in una ben definita e articolata circolare ai docenti, agli studenti e ai genitori – si rivela la possibilità di adottare una unità oraria inferiore ai 60 minuti e stabilire le eventuali relative pause tra le lezioni sincrone, tenendo comunque presente quanto stabilito dall’articolo 28 del CCNL 2016/18, in particolare al comma 2, ovvero che “In caso di distribuzione dell’orario settimanale di lavoro su cinque giorni, la durata delle ferie è di 28 giorni lavorativi, comprensivi delle due giornate previste dall’ art. 1, comma 1, lettera “a”, della L. 23 dicembre 1977, n. 937”.

L’orario di servizio

Il personale docente – continua nella sua circolare il preside Graziano – è comunque tenuto al rispetto del proprio orario di servizio e alle prestazioni connesse all’esercizio della professione docente, e mantiene intatti i diritti sindacali, compresa la partecipazione alle assemblee sindacali durante l’orario di lavoro, che si potranno tenere con le stessa procedure con cui si svolgono le attività didattiche a distanza. In particolare, il docente assicura le prestazioni in modalità sincrona al gruppo classe o a gruppi circoscritti di alunni della classe. Per la rilevazione delle presenze del personale e degli allievi è utilizzato il registro elettronico.
Pertanto, le attività di didattica in presenza vengono tradotte in Didattica a Distanza; i docenti rispetteranno la scansione oraria prevista nell’orario settimanale vigente.

Attività in DAD

Le attività didattiche a distanza in sincrono si svolgeranno mediante numerose applicazioni. Anche se, per la verità, molte scuola stanno utilizzando, con ottimi risultati organizzativi e didattici, l’applicazione Google Meet della piattaforma G. Suite, mantenendo l’attuale articolazione delle discipline così come da orario in vigore, come precisa il preside dell’Istituto di Istruzione Superiore di Termini Imerese e Caccamo.

Modalità di collegamento

Il docente si collega con la classe all’interno di una piattaforma (anche in questo caso, vale la pena sottolineare come la piattaforma classroom sia la più sovente utilizzata. In ogni classroom è possibile attivare una stanza Meet di riferimento, con un codice univoco utilizzabile per l’intero anno scolastico), all’inizio dell’ora di lezione, senza invadere minimamente le ore altrui, per una durata di 15-20 minuti circa. Il professore Marcello Festeggiante, docente della scuola, e prestigioso docente a contratto dell’Università degli Studi di Palermo sottolinea come “Sappiamo che l’OMS ha indicato il tempo massimo di fruizione degli schermi da parte dei bambini sotto i cinque anni e non deve superare i sessanta minuti al giorno al giorno. Dagli otto agli undici anni invece si può salire a due ore: stiamo parlando di tempo totale di dedizione agli schermi, quindi anche quelli della Tv o della playstation. Come si può vedere il tempo di esposizione agli schermi e, di converso, quelli di una videolezione, sale con l’età ma non supera, anche all’università (vedi nota più avanti) i tempi consigliati in questa circolare”.

Cosa fa il docente in questo collegamento

In questo lasso di tempo il docente avrà cura di:

  • attivare processi comunicativi relativi all’acquisizione di feedback da parte degli studenti;
  • fornire indicazioni sulle attività programmate nella piattaforma di riferimento;
  • rispondere a dubbi, domande, richieste di chiarimento da parte dei discenti;
  • adoperarsi per azioni di supporto e orientamento al fine di istituire un clima di serenità confacente ad un proficuo proseguimento delle lezioni.

Il professore Marcello Festeggiante sottolinea come “potrà essere utilizzato Meet non tanto per la lezione frontale (delegata ad appositi video da fruire in asincrono) quanto per imprescindibili attività di supporto, monitoraggio, gestione dei feedback e socializzazione di cui abbiamo già sperimentato la necessità nel periodo di chiusura totale”.

La video lezione differita?

E’ fortemente sconsigliato – sottolinea Marcello Festeggiante in un suo pregevole articolo – utilizzare occasioni come gli incontri su Meet di incontro in chat per erogare una lezione frontale. Se il docente dovesse optare per tale scelta si consiglia fortemente l’uso di strumenti SRS (Student Response System) che garantiscano uno scambio di comunicazione bidirezionale, una lezione interattiva, la possibilità di controllare la partecipazione degli studenti, raccolta di risposte a domande, un feedback sulla lezione stessa. Si veda a tal proposito Nearpod, Zeetings, Peardeck e altro. Link di approfondimento: http://www.pearltrees.com/mfesteggiante/student-response-system/id14203192 .

Se il docente ritiene di non poter fare a meno di utilizzare tale metodologia potrà utilizzare – precisa la Circolare dell’IIS “Ugdulena” – lo strumento della video lezione in differita garantendo così la possibilità che ciascun allievo ne possa fruire senza limitazioni di tempo, spazio, banda, dispositivi. Ricordiamo, infatti, che non tutti i nostri allievi dispongono di un pc personale ma lo devono condividere con gli altri membri della famiglia. Inoltre, lo streaming in differita occupa una larghezza di banda molto più limitata rispetto ad uno streaming in diretta. Il video in differita non ha salti audio o video poiché lo streaming in oggetto fa uso di sistemi di buffering pertanto la comprensione è facilitata. Inoltre, le video lezioni in differita garantiscono il rispetto dei tempi di apprendimento di ciascun allievo che non deve sottostare alla tirannia di tempi contingentati e può decidere di fruire del video nei tempi e nei modi più confacenti ai propri ritmi.

Spezzare le videolezioni

Si raccomanda, in questo caso, di spezzare le video lezioni in differita in blocchi di 7-12 minuti al massimo (Interessante, in tal senso, gli studi di Forbes riguardo le interazioni con i video on-line e, illuminanti le infografiche reperibili a questo link, sulla scia delle esperienze delle università, delle piattaforme e-learning e delle piattaforme social dedicate (il modello Ted Talk ci ha insegnato che in circa diciotto minuti si può esaurire qualsiasi argomento, anche il più complesso, e riuscire a mantenere un’attenzione media di un adulto, come ha dichiarato Chris Anderson, il curatore del format).

Le lezioni videoregistrate all’Università di Venezia

L’Università di Venezia prevede che la durata relativa alle lezioni videoregistrate sia un terzo dell’ora di lezione frontale, quindi una lezione dura non più di 20 minuti; i materiali online sono naturalmente cumulabili, ma non devono superare i 10 minuti per risorsa audio o video. L’università degli studi di Milano invece propone che un’ora di didattica in presenza corrisponde a circa 20/25 minuti di videolezione, ma consiglia di registrare delle videolezioni di durata compresa tra i 10 minuti e i 20 minuti al massimo.

Almeno venti ore settimanali di didattica, in modalità sincrona

Tutto ciò è in linea con quanto stabilito dal Decreto del Ministro dell’Istruzione 26 giugno 2020, n. 39 (Adozione delle Linee guida sulla Didattica digitale integrata); secondo tale decreto è necessario assicurare almeno venti ore settimanali di didattica, in modalità sincrona, con l’intero gruppo classe, o proposte in modalità asincrona, secondo le metodologie ritenute più idonee. Si sottolinea pertanto ancora una volta la necessità di fornire, agli allievi, materiali, esercitazioni, attività, per un totale di 20 ore settimanali sommando le ore in sincrono (con i tempi e le metodologie precedentemente indicate) e quelle in asincrono. In tale monte ore, ovviamente, non sono computate le ore di studio individuale di ogni singolo allievo.

Il professore Marcello Festeggiante precisa che “Nell’ambito della formazione (ECTS, AFAM, etc.) in genere l’impegno personale si aggira attorno 75% rispetto alle ore di didattica. Ad esempio, su 20 ore di lezioni settimanali l’alunno dovrebbe impegnarsi individualmente per altre circa 15 ore di studio individuale. Pertanto, ogni singolo docente dovrà tenere conto di tale impegno nel programmare attività, compiti, verifiche etc.).

La didattica a distanza in modalità asincrona

Nella DAD, pertanto, andrà potenziata la didattica in asincrono, precisa il dirigente scolastico professoressa Patrizia Graziano, dirigente dell’IIS Ugdulena di Termine Imerese.
Il tutto avendo cura di aumentare in qualità e quantità i materiali, le attività in cooperative learning in asincrono, i materiali di recupero e potenziamento.
Ci vengono in aiuto, in tal senso, moltissimi e potenti strumenti a disposizione del docente che gli permettono di intervenire su competenze quali interazione ed organizzazione, creazione di artefatti digitali, aggregazione di contenuti e storytelling (Come già indicato nella già citata circolare 168, all’indirizzo http://appinventory.uniud.it/ è possibile trovare un elenco di tutti questi strumenti, suddivisi per azione didattica, con descrizione e tutorial).

Assenze e firme

Sul registro i docenti firmeranno le rispettive ore di lezione in sincrono, selezionando, come tipologia di lezione (se lo prevede il registro elettronico utilizzato), tra quelle proposte dalla piattaforma – Lezione in presenza (per default), Didattica Digitale Integrata e Modalità mista – Didattica Digitale Integrata; in questo caso, nel giornale di classe sotto la spunta verde della firma comparirà l’acronimo DDI. Le assenze/presenze degli alunni non verranno registrate, ogni docente avrà cura di segnare a parte le assenze e di attenzionare gli studenti con una frequenza irregolare.

Le pratiche della didattica a distanza

Tutti i docenti – specifica il professore Marcello Festeggiante – dovranno modulare una programmazione disciplinare, sulla base delle pratiche che si intendono utilizzare per la didattica a distanza, e di pubblicarla nel registro elettronico sezione Didattica → Programmazione Didattica, in modo da esplicitare le attività, i percorsi e le iniziative che si metteranno in atto nelle prossime tre settimane.
Nulla limitando in libertà didattica e di insegnamento, la circolare che alleghiamo come buona pratica a sostegno dei tanti dirigenti scolastici che si stanno adoperando per garantire il massimo dell’azione didattica, anche in questo momento emergenziale – rappresenta una guida e un sostegno ai percorsi intrapresi e/o realizzabili da ciascun docente.

Scarica Circolare con le indicazioni DAD

Lavoro agile o congedo per lavoratori con figlio in quarantena o con attività didattiche in presenza sospese

da OrizzonteScuola

Di redazione

Cosa possono fare i genitori con figli in quarantena o per i quali le lezioni in presenza siano state sospese. Il Decreto Ristori ha perfezionato la normativa già emanata con il DL Agosto. Il Ministero dell’istruzione ha emanato una prima nota che interessa gli Uffici interni, ma che può essere “studiata” per capire come applicare la normativa anche per il personale docente e ATA della scuola. Nella normativa infatti non ci sono esclusioni.

Il decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137 prevede, all’art. 22, ulteriori misure di incentivo al lavoro agile e di sostegno alle famiglie.

La disposizione modifica, in particolare, l’art. 21 bis del decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, prevedendo la possibilità di svolgere l’attività lavorativa in modalità agile per i genitori di figlio convivente minore di anni 16 (in precedenza il limite di età era fissato a 14 anni), sottoposto a quarantena da parte della ASL territorialmente competente, a seguito di contatto verificatosi all’interno del plesso scolastico, nonche’ nell’ambito dello svolgimento di attivita’ sportive di base, attivita’ motoria in strutture quali palestre, piscine, centri sportivi, circoli sportivi, sia pubblici che privati.

La modalità lavorativa agile può essere svolta per l’intero periodo di quarantena o anche solo parzialmente.

Altra rilevante novità è la previsione della possibilità di svolgere l’attività lavorativa in modalità agile per i genitori di figlio convivente minore di anni 16, in caso di sospensione dell’attività didattica in presenza.

Si segnala, infine, una ulteriore modifica all’art. 21 bis, comma 3, del decreto legge 14 agosto 2020, n. 104.

La disposizione in parola consente, come è noto, “nelle sole ipotesi in cui la prestazione lavorativa non possa essere svolta in modalita’ agile”, di astenersi dal lavoro fruendo di congedo straordinario retribuito al 50% ad uno dei genitori, alternativamente all’altro, per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena del figlio convivente, minore di anni quattordici, disposta dal dipartimento di prevenzione della ASL.

La possibilità di fruire del predetto congedo è stata ora estesa, per effetto della normativa sopra citata, anche ai casi in cui sia stata disposta la sospensione dell’attività didattica.

La nota del Ministero

Ata con contratti Covid non rischiano il licenziamento, presto la modifica

da OrizzonteScuola

Di redazione

Secondo quanto apprende dal Ministero, la Cisl Scuola anche per i contratti stipulati dal personale ATA sui posti COVID ex art.231bis D.L. 34/2020 sarà eliminata la clausola risolutiva.

In questi giorni si è diffusa tra il personale Ata la preoccupazione per un messaggio apparso sul SIDI. “Si rende noto che su richiesta della Direzione Generale per il personale scolastico sono stati aggiornati i testi dei contratti di tipo N01, N15, N19 e N26 quando stipulati per art.231bis D.L.34/2020 per il solo personale docente ed educativo, eliminando la clausola risolutiva”. Ne abbiamo parlato in Coronavirus, incubo licenziamento per i collaboratori scolastici, chiedendo i dovuti chiarimenti.

Abbiamo inoltre sottolineato come la norma approvata con il DL Agosto, che prevede la modalità del lavoro agile anche per il personale Covid in caso di lockdown, non può riguardare una categoria a scapito di un’altra perché, al di là della modalità in cui il lavoro agile può essere svolto, non c’è nella legge una distinzione tra una figura professionale ed un’altra.

A chiarire alcuni giorni fa c’ha pensato anche l’Usr per il Lazio.  Supplenze Ata Covid e passaggio alla Dad scuole superiori: no licenziamento, ma stop a nuovi contratti non necessari. Chiarimenti Lazio

Oggi la Cisl tranquillizza il personale anticipando che “la funzione con la modifica del contratto anche per gli Ata verrà rilasciata al più presto“.