Oltre 100mila alunni con disabilità coinvolti nella didattica a distanza

Oltre 100mila alunni con disabilità coinvolti nella didattica a distanza

Vita del 09/11/2020

Sono 111 mila gli alunni con disabilità nelle scuole statali costretti dal DPCM 3 novembre a starsene a casa e a seguire l’attività didattica a distanza. Sono invece almeno 68mila i docenti di sostegno che lo stesso DPCM obbliga ad operare a distanza. Secondo i calcoli di Tuttoscuola, sono in tutto 3 milioni e 700 mila gli studenti che da oggi non possono seguire le lezioni in presenza, come era avvenuto nel primo mese e mezzo di scuola. Ma per i 111 mila ragazzi con disabilità la situazione è ben diversa e, come già avvenuto nella primavera scorsa, sono loro a pagare il prezzo più alto della esclusione dalla scuola.

Il docente preposto al sostegno, costretto ad operare da lontano, non può infatti mettere in atto quei contatti e quegli interventi quotidiani che aiutano a conquistare autonomia operativa. Inoltre, senza l’intervento di un adulto, molti ragazzi con disabilità spesso non sono in grado di utilizzare efficacemente la strumentazione tecnologica per seguire gli interventi in DAD.

Va ricordato che l’ultimo DPCM ha previsto la possibilità della frequenza in presenza per gli alunni con disabilità (e per quelli che devono utilizzare i laboratori) “in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali”. C’è chi ha visto in questo un balzo all’indietro nel tempo con il ritorno delle ‘classi speciali’, abolite dalla legge 517 del 1977 proprio con l’obiettivo di realizzare la piena integrazione di tali alunni nelle classi ordinarie.
Per questo il Ministero dell’istruzione ha invitato in una circolare contenente indicazioni sull’applicazione del DPCM gli istituti scolastici ad assicurare il “coinvolgimento anche, ove possibile, di un gruppo di allievi della classe di riferimento, che potrà variare nella composizione o rimanere immutato, in modo che sia costantemente assicurata quella relazione interpersonale fondamentale per lo sviluppo di un’inclusione effettiva e proficua”.
Una soluzione di incerta applicazione (con quali insegnanti? Soltanto con quelli di sostegno che comunque non possono assicurare la totale copertura oraria?), criticata dalla Confad (Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità), favorevole invece a una terza strada: le lezioni domiciliari.

Secondo le stime di Tuttoscuola, in Campania più di 14.500 piccoli alunni con disabilità inseriti nelle scuole dell’infanzia e primaria sono quasi del tutto esclusi dall’utilizzo dei device che li possono tenere collegati con il mondo esterno e con i loro insegnanti. A meno che non vi sia a sostenerli e guidarli a casa qualche familiare.

Complessivamente 4 ragazzi con disabilità ogni 10 (41,2%) sono coinvolti in questa esclusione dalla didattica in presenza (soprattutto negli istituti superiori): 111 mila su 269 mila. Campania e Lombardia, con oltre 50 mila alunni con disabilità complessivi, raggiungono quasi la metà dei ragazzi obbligati a casa e in contatto con la loro scuola tramite la DAD.

Passando dall’altro lato della cattedra (o del video), Tuttoscuola calcola che sono almeno 68mila i docenti di sostegno che il DPCM 3 novembre obbliga ad operare a distanza per i 111mila alunni con disabilità affidati, fatta salva la possibilità per questi di frequenza in presenza solo per loro. Rappresentano quasi il 40% dei 172 mila docenti di sostegno in servizio l’anno scorso nelle scuole statale. Ma con tutta probabilità per l’anno in corso i docenti di sostegno saranno molti di più (secondo le stime riportate nel dossier di Tuttoscuola sul sostegno, circa 185 mila); e saranno di più anche quelli che si troveranno in DAD con possibile accentuazione di alcune criticità proprie di questo nevralgico settore: potrebbero arrivare a 70-75 mila.

Si tratta di criticità purtroppo consolidate, a cominciare dal crescente incremento dei posti “in deroga” assegnati per legge a docenti precari. Alla situazione di precarietà dei posti in deroga va aggiunta quella di circa il 15-20% di posti di sostegno stabili vacanti in attesa della conclusione dei concorsi e assegnati a docenti con contratto annuale a tempo determinato.

Complessivamente secondo Tuttoscuola si può quindi ritenere che almeno la metà dei docenti di sostegno in servizio abbia un rapporto di lavoro a tempo determinato; tra i 68 mila costretti ad operare a distanza circa 35 mila sono docenti precari. A quasi tutti sono stati affidati alunni diversi rispetto all’anno scorso, con i quali ora sarà ancora più difficile la relazione educativa nelle condizioni imposte dal contrasto al virus, mancando una reciproca conoscenza. E’ la prova che la continuità didattica a favore degli alunni con disabilità per il momento resta una chimera. Un numero imprecisato di quei docenti di sostegno precari è anche privo di specializzazione.

Per ultimo va considerato il fatto che i docenti di sostegno in DAD vengono privati dell’interazione di gruppo con gli altri docenti della classe indebolendo il lavoro in team, che è una delle condizioni per rendere efficace l’inclusione degli alunni affidati.

In Campania, per effetto dell’ordinanza De Luca, sono in DAD tutti i 20.151 docenti di sostegno in servizio. Complessivamente le tre regioni in fascia rossa superano i 18 mila docenti di sostegno: in Lombardia 9.528, in Piemonte 5.701 e in Calabria 2.988.

Sicilia e Lazio hanno rispettivamente 5.442 e 4.209 docenti di sostegno in DAD. La minore incidenza di insegnanti di sostegno in didattica a distanza si ha in Veneto, con il 23,5%.
Ecco i dati per Regione, elaborati da Tuttoscuola su dati del Ministero dell’istruzione.

Turismo, Venezia e dintorni in Lis e non solo

Turismo, Venezia e dintorni in Lis e non solo

Redattore Sociale del 09/11/2020

GoGuide è un gruppo di guide turistiche, attivo in vari territori del Veneto, che promuove esperienze di turismo consapevole e sostenibile, nel segno dell’accessibilità, dell’inclusività e della lingua italiana dei segni Una guida turistica Lis con il suo gruppo a Venezia

Il fascino di Venezia e la storia della sua bellezza sono raccontati dalle dita leggere di un’interprete Lis: sono le dita di Chiara Botteon, che ha unito la passione per i viaggi e l’arte a quella per la lingua dei segni. Da questa miscela è nata una competenza che Chiara mette a disposizione di GoGuide, il gruppo di guide turistiche di cui fa parte, con base in Laguna ma attivo in vari territori del Veneto, con lo scopo di promuovere e proporre esperienze di turismo consapevole e sostenibile, accessibile a tutti e inclusivo. Così GoGuide si rivolge non solo a un pubblico sordo, ma anche ai ciechi e alle persone con ridotta mobilità, offrendo itinerari pensati ad hoc per persone in carrozzina. Il gruppo ha il suo quartier generale a Venezia: «Ispirati dalla storia di questa città, nella cui cultura è radicata l’arte dell’incontro, abbiamo ideato una serie di attività e percorsi nel segno dell’accessibilità e dell’inclusività, offendo itinerari concepiti per superare le barriere architettoniche e comunicative», spiega Chiara, che in qualità di interprete Lis ha un’attenzione particolare per i turisti sordi e li accompagna insieme alle guide abilitate alla scoperta dei luoghi, segnando per loro ogni racconto e spiegazione.
«Mi sono avvicinata alla lingua dei segni perché era un mio desiderio fin da bambina», ricorda. «Ero affascinata dal quel quadratino in basso a destra che vedevo al telegiornale, con dentro una persona che parlava con le mani e con le espressioni del viso. Ero incuriosita da questa lingua così particolare, che utilizza il canale visivo-gestuale anziché il canale acustico-vocale. Da grande, quando ho saputo che quella lingua così affascinante si poteva studiare, non ho perso un attimo e mi ci sono tuffata a capofitto». Così Chiara Botteon, mentre si laureava in Conservazione dei beni culturali, ha conseguito il diploma di interprete Lis e poi, nel 2009, il patentino di accompagnatrice turistica: «Da quel momento la mia vita rimbalza da un capo all’altro della Terra», racconta. «Con grande piacere viaggio insieme ai gruppi di persone sorde. Valigia in mano, energia, entusiasmo, la mia grande passione è condurre escursioni e visite in modalità visivo-gestuale descrivendo, insieme alle guide, luoghi, tesori artistici, bellezze naturali e tante curiosità».
Tutti gli itinerari offerti da GoGuide sono disponibili in Lis. E tante sono le proposte, tutte pubblicate sul sito. Oltre ai percorsi turistici classici, ci sono quelli tematici: dalle visite museali ai percorsi enogastronomici, dalla Venezia libertina alle escursioni in Laguna, dalle città venete ai borghi, dalle ville alle piccole città murate, fino alle dolci colline del Prosecco e ai panorami mozzafiato delle Dolomiti. Per quanto riguarda i tour pensati proprio per chi non sente, i prossimi sono in calendario tra ottobre e dicembre. «Il 31 ottobre visiteremo le meraviglie di Vicenza, il 21 novembre GoGuide ha pensato a una passeggiata per comprendere come Venezia ha sconfitto la peste, mentre il 12 dicembre saremo a Treviso in un’atmosfera del tutto natalizia. Abbiamo poi in serbo divertenti attività per bambini nel centro storico di Venezia, dove andranno a caccia del leone!», dice Chiara. Le guide di GoGuide sono orgogliose di aver scelto e scommesso sul turismo accessibile che, «pur contando su una forte e crescente domanda, tuttavia è ancora poco considerato e non troppo sviluppato», commenta. Recentemente, l’emergenza sanitaria ha portato le guide di GoGuide a riflettere ulteriormente sul proprio lavoro e sulle contraddizioni del turismo “mordi e fuggi”, che da tempo ha snaturato molte città d’arte. «Noi invece prediligiamo un rapporto diretto e genuino, attento tanto alle specificità del territorio quanto alle esigenze dei visitatori. Ecco perché i tour di GoGuide sono per tutti e per ciascuno».
GoGuide raccoglie 20 professionisti del turismo, che propongono oltre 80 itinerari guidati in Veneto, sostenibili e accessibili a chi ha disabilità motorie o sensoriali, in otto lingue diverse, tra cui la Lis. Simbolo del gruppo è il ghiozzo (in veneto gò), un pesce mediterraneo che sguazza nei fondali della laguna di Venezia. «Non è molto conosciuto e non ha decisamente un bell’aspetto, ma con il gò si preparano alcuni dei piatti più gustosi e ricercati della cucina tradizionale veneta, come il celebre risotto», spiegano i promotori. «L’idea che un pesciolino così semplice sia l’ingrediente di una pietanza tanto raffinata ci è stata di ispirazione. L’abbiamo preso come simbolo per il nostro gruppo di guide turistiche, che vivono e conoscono il territorio in cui lavorano e che desiderano mostrarsi per quello che sono: persone del posto, preparate e appassionate». Per ricevere informazioni o prenotare un tour, si può consultare il sito internet Goguide.it oppure scrivere a info@goguide.it.
Questo articolo è tratto dal numero di ottobre di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità.

di Chiara Ludovisi 

Costruire in volo

Costruire in volo

Il diffondersi della nuova ondata pandemica trova tutti spiazzati, impreparati e nuovamente smarriti in un clima di allarme ed incertezza, senza che si intraveda una soluzione prossima. Tempi duri, per tutti.

È una situazione che richiede di rimettere in gioco la propria capacità di giudicare e la propria responsabilità.

Anche la situazione nella quale operano dirigenti scolastici e coordinatori didattici è caratterizzata da complessità, incertezza e cambiamenti organizzativi repentini, segnati dal sovrapporsi di indicazioni normative, nazionali e regionali, e dal disorganico intreccio di informazioni e protocolli sanitari.

Luciana Cardarelli, responsabile di un’associazione di presidi canadesi, intervenuta ad un convegno internazionale promosso da DISAL ha utilizzato un’icastica metafora: “È come se stessimo volando su un aeroplano che non ha chiarezza né di destinazione né di rotta. Anzi è come se stessimo costruendo l’aereo stesso mentre sta volando”.

Molte le domande che allora inevitabilmente si pongono: quale direzione qualifica ora la responsabilità di un preside? quali aspetti del suo profilo professionale l’attuale circostanza chiede di approfondire e giocare? e soprattutto, per quali fini vale la pena esercitare un compito direttivo? Domande da non censurare che, nel tentativo di trovare una risposta, fanno emergere nuove prospettive che già da subito possono fondare la ripresa del sistema scuola. Possiamo, infatti, affrontare le difficoltà tentando di modificarle con esiti non sempre positivi oppure, invece, cercando di modificare il nostro operare. Per così poterle affrontare.

In questa ottica il responsabile di una scuola è chiamato a ripensare le ragioni e il modello che ispirano il proprio rischio dirigenziale in un momento in cui l’aeroplano-scuola si trova nelle condizioni sopra descritte. Una sfida che si concretizza, in questa circostanza così difficile, nel non dare per scontati i modelli organizzativi e le collaborazioni, ripercorrendo il senso di parole quali corresponsabilità, partecipazione, ideazione, progettazione formativa: una disponibilità e flessibilità professionale che diventano, oggi, la chiave per giocare un contributo decisivo alla direzione ed al bene delle scuole.

Si tratta di non rinunciare a costruire in volo l’aeroplano, per assicurare non solo un percorso adeguato all’equipaggio ed ai suoi passeggeri, ma anche per garantire, quando i tempi lo consentiranno, l’atterraggio ad un modello di scuola che abbia avviato elementi di innovazione, di flessibilità organizzativa, di autonomia e, soprattutto, di adeguatezza alle esigenze formative dei giovani e del mondo del lavoro. Una leadership innovativa che, mentre guida una comunità scolastica, riflette, apprende e sviluppa la propria professionalità, orientando l’organizzazione alle finalità formative. Nella speranza di interventi chiari, coordinati ed efficaci della politica e delle istituzioni.

Un impegno non da poco, che è anche una scommessa sul futuro della scuola.

Milano, 9 novembre 2020

Ufficio stampa DiSAL

Firmato il contratto sulla DDI (ex DaD)

FLC CGIL firma il contratto sulla DDI (ex DaD) a fronte di impegni precisi da parte del Ministero 

Roma 9 Novembre – La FLC Cgil ha sottoscritto, venerdì 6 novembre, il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sulla Didattica Digitale Integrata (DDI).

Due le condizioni fondamentali che hanno portato alla sottoscrizione da parte del sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori della Conoscenza della Cgil: il raggiungimento di un’intesa politica con impegni precisi da parte del Ministero e la sostituzione della nota ministeriale emanata unilateralmente dall’Amministrazione (nella quale, tra l’altro, si imponeva l’obbligo per il personale docente di prestare servizio a scuola, anche in caso di attivazione della DDI), con una una nuova nota interpretativa del contratto.

La sola sottoscrizione del CCNI senza una cornice di riferimento sugli investimenti nel sistema scolastico così come senza i fondamentali chiarimenti contenuti nella nota interpretativa congiunta sarebbe stata, per la FLC CGIL, una scelta sbagliata.

In particolare il MI ha accettato, nella nota congiunta: un confronto costante su tutte le tematiche connesse all’effettività dell’esercizio del diritto allo studio; l’attivazione di un sistema di relazioni sindacali che, in maniera permanente e sistematica, affronti le questioni relative al lavoro di tutto il personale della scuola; il finanziamento della formazione del personale anche in conseguenza dell’applicazione del CCNI sulla didattica digitale integrata. Il Ministero ha garantito altresì il sostegno al lavoro del personale docente e del personale a tempo determinato che non dispone della card per le spese in strumentazione tecnologica per la DDI, e lo stanziamento delle risorse finanziarie per implementare la connettività delle scuole anche attraverso la dotazione di una piattaforma per la didattica digitale accessibile gratuitamente alle studentesse, agli studenti e al personale. È stata stabilita inoltre l’apertura, entro il mese di novembre, di un confronto sul lavoro svolto in modalità agile da parte del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, in attuazione dell’articolo 7 del Decreto del Ministro della Pubblica Amministrazione del 19 ottobre 2020.

Infine, la nuova nota ministeriale, questa volta condivisa dai sindacati firmatari, ha chiarito come vadano intese le pause durante lo svolgimento delle lezioni autogestite dai docenti (che non vanno recuperate) e il luogo di lavoro da cui si può fare didattica a distanza (non necessariamente in presenza a scuola) e del coinvolgimento delle Rsu sui criteri generali per l’individuazione della sede di lavoro dei docenti.

Riguardo all’orario settimanale di servizio definito contrattualmente, la nuova nota prevede che il docente assicuri le prestazioni in modalità sincrona al gruppo classe o a gruppi circoscritti di alunni della classe, integrando tali attività in modalità asincrona a completamento dell’orario, sulla base di quanto previsto nel Piano DI. Naturalmente rimangono in vigore tutte le norme legali relative all’utilizzo dei videoterminali.

In questo quadro il testo del CCNI sottoscritto risulta valorizzato e potenziato a beneficio di quanti nelle scuole lavorano e studiano in questa drammatica e difficile situazione che tutto il Paese sta vivendo.

Adesso la parola passa alle lavoratrici e ai lavoratori che verranno consultati con una vasta campagna di assemblee.

Le ragioni di una scelta

Le ragioni di una scelta

di Maurizio Tiriticco

Ho fatto la mia scelta: io sono con i democratici vincitori, JOE BIDEN e KAMALA HARRIS! Ecco le motivazioni. Ritengo che negli USA la visione dei democratici, “il partito dell’asinello” rivolta al sociale è sempre di un estremo interesse: molto più attenta rispetto a quella dei repubblicani, “il partito dell’elefantino”. Potremmo anche dire: progressisti i primi e conservatori i secondi. Biden poi, in materia di educazione, intende rafforzare i college pubblici e le università: soprattutto quelle istituzioni storicamente frequentate da afroamericani. Sembra che sia previsto un piano di 70 miliardi di dollari a favore di queste istituzioni per far avanzare ed espandere strutture, infrastrutture educative e tecnologiche, e migliorare anche la stessa accessibilità finanziaria. Biden vuole anche abolire le tasse scolastiche per le famiglie che guadagnano meno di 125.000 dollari. E intende permettere a tutti di frequentare due anni di “community college” e programmi di formazione senza il pagamento delle consuete tasse scolastiche.

E’ bene ricordare che la grande tradizione democratica USA, in materia di educazione e di scuola, ha un padre illustre, John Dewey (Burlington1859 – New York, 1952). Mi piace riportare dal suo notissimo “Democrazia e Educazione” queste parole (pag. 13): “Una società trasforma esseri non iniziati e apparentemente estranei, in validi depositari delle sue risorse ed ideali, per mezzo di varie istituzioni, espressamente e non, designate a tal fine. L’educazione è perciò un processo di nutrizione, di allevamento, di coltivazione. Tutte queste parole significano che essa implica attenzione alle condizioni della crescita. Parliamo anche di allevare, far crescere, tirare su, parole che esprimono la differenza di livello che l’educazione tende a eliminare. Etimologicamente la parola educazione significa precisamente un processo di guidare, o tirare su. Se teniamo dinanzi alla mente il risultato del processo, per educazione intendiamo un’attività che modella, che forma, che plasma, cioè che modella nella forma normale dell’attività sociale In questo capitolo ci occuperemo di come in generale un gruppo sociale alleva i suoi membri immaturi fino a condurli alla propria forma sociale”.

Ed è opportuno sottolineare che “Democrazia e Educazione”, o meglio “Democracy and Education”, fu pubblicato a New York nel lontano 1916, ma venne pubblicato in Italia, tradotto da Enzo Enriques Agnoletti e Paolo Paduano, soltanto nel 1949, in Firenze per i tipi de “La Nuova Italia”. E perché ben 33 anni dopo? Ovviamente perché la scelta educativa adottata dalla dittatura fascista andava in una direzione totalmente opposta da quella di cui alle indicazioni di un Dewey. E potrei aggiungere di un Piaget e di un Vygotskij, anche a prescindere, ovviamente, dalla vivace polemica che corse tra i due illustri pedagogisti europei. Il fascismo, infatti, scelse, com’è noto, di educare tutti i bambini italiani al solo “credo fascista”. E non fu un caso che nel 1929 il “Ministero della Pubblica Istruzione” venne ridenominato “Ministero dell’Educazione Nazionale”! E’ noto, infatti, che l’istruzione attende alle conoscenze, l’educazione ai valori! Pertanto educare è un’attività ben più significativa rispetto all’istruire. Ed allora occorreva educare soltanto ai valori fascisti! E non fu neanche un caso che tra gli slogan dei fascismo figuravano parole d’ordine di questo tipo: “i bimbi d’Italia son tutti Balilla”; “libro e moschetto, fascista perfetto”; ”vivere pericolosamente”; “credere obbedire combattere” “il Duce ha sempre ragione” e mille altri! Che, da bravo balilla moschettiere quale sono stato, ricordo a memoria.

Tornando a bomba, come si suol dire, penso che veramente la nuova amministrazione statunitense possa segnare una svolta importante anche e soprattutto in materia di politica estera. In un mondo in cui l’Europa, da grande che è stata, si è fatta piccola piccola! E nel quale ad est e ad ovest primeggiano due grandi nuove potenze, gli Stati Uniti e la Cina! La politica di Trump, con la sua mania di grandeur, ha sempre guardato all’Europa, o meglio all’Unione Europea con estrema sufficienza. E la stessa UE, almeno a mio modesto vedere, ha le sue responsabilità. Sembra infatti che le visioni di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, che nel lontano 1941 – anno in cui le forze dell’Asse sembravano avere la meglio nei confronti di un’Europa libera – sull’isola di Ventotene, dove erano stati confinati dal regime fascista, scrissero quel Manifesto che allora aveva più l’aria di un sogno che di una realtà possibile, siano oggi abbastanza scolorite!

Forse a causa della politica di alcuni Paesi dell’Europa orientale che all’Unione Europea, di cui sono membri, di fatto credono assai poco. E forse anche a causa di tante formazioni politiche di destrai dell’Europa occidentale che oggi piangono per avere perduto il loro migliore alleato di oltreoceano! Insomma, OGGI la scacchiera mondiale è più aperta che mai ed è il caso di dire che les jeux non sono affatto fatti, ma… sono tutti aperti! Ancora!

Sondaggio sulle criticità di inizio d’anno scolastico

Roma, 9 novembre 2020

Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici

Nell’ultima settimana di ottobre l’ANDIS ha proposto ad un campione significativo di dirigenti scolastici in servizio in tutte le regioni d’Italia un questionario sulle criticità maggiormente avvertite nella gestione della ripartenza, in modo da poter disporre di una fotografia il più possibile aggiornata sullo stato dell’arte ad un mese dall’inizio delle lezioni.

Quanta fatica Francesco

Quanta fatica Francesco

di Vincenzo Andraous

Stavo giocando con la mia bambina, tra una risata e un bacetto, mi è scappato l’occhio sullo schermo della televisione. Parlavano di Papa Francesco, delle sue aperture spacca popolo, delle sue decisioni senza se e senza ma in merito alle reiterate sottrazioni ingiustificate, usando un eufemismo elargite malamente. Indipendentemente dallo scandalo che incoglie sovente la Chiesa, è innegabile la presa di posizione di quest’Uomo, il tormento che incombe nella sua solitudine imposta, a ben osservarlo sembra essere diventata una sua caratteristica comune. Gli occhi di questo Papa parlano, almeno a me fanno pensare quanto il destino sia crudele con chi ce la mette tutta per riuscire a reinventare una società credente, una collettività pronta a fare i conti con gli errori passati e con le nuove idealità che non necessitano di ulteriori ritardi.           

Me lo ricordo bene quell’incredibile “Buonasera a tutti”, quegli occhi belli, quelle mani ferme nel saluto a ognuno e ciascuno. Sì, rammento la rivendicazione del rispetto dei diritti dell’uomo e anche della più piccola forma di dignità umana. Papa Francesco e i suoi sette anni di pontificato, chissà perché mi appaiono secoli e non mesi né giorni, spesso lo osservo avanzare e indietreggiare, appoggiato alle sue parole importanti perché ne conosce a fondo il significato. Sta eretto e piegato dalla fatica sotto il peso delle responsabilità per raggiungere finalmente un cambiamento epocale, attraverso una progettualità ri-educativa non semplicemente facendo riferimento ai soliti altri, ai soliti ignoti che poi così sconosciuti non sono mai, ma da dentro la sua cameretta, la sua cucinetta, a partire dalle rumorose quiete stanze dei palazzi che sempre più spesso somigliano a sepolcri imbiancati. C’è la tanta fatica di mettere un piede avanti all’altro, un passo dopo l’altro, per scrollarsi di dosso i carichi inutili, i pesi superflui, la zavorra delle medagliette appuntate sul petto.   

C’è fatica per davvero dis-umana nel tentare di costruire insieme ai credenti e non,  una strada nuova da intraprendere per ridurre al minimo il rischio di cadute all’indietro. Questo Papa è così simile al mio santo povero ma Francesco, lo è di primo acchito per il naturale fastidio del potere che non è servizio, lo è perché entrambi hanno conosciuto la lama dei coltelli dell’ingiustizia, degli innocenti che pagano sempre per i colpevoli, desaparecidos e crociate, riscatto e pietà del perdono. Caro Papa Francesco la tua stanchezza non è certamente paragonabile alla mia, ben altri sono i tuoi macigni da portare e spostare, ma ogni volta che incontro il tuo sguardo comprendo la tua lotta per una Chiesa di vita e non più di sopravvivenza, credendo nella possibilità di abitare una realtà senza più l’abitudine a soffocarne emozioni e amore per le grandi innovazioni dell’uomo.

Formazione all’estero: l’emergenza Covid non ferma Erasmus+

da Il Sole 24 Ore

di Claudio Tucci

L’emergenza sanitaria non ferma Erasmus+, che va avanti, grazie al supporto delle nuove tecnologie, in modalità “blended”, vale a dire combinando un periodo di apprendimento virtuale e un’esperienza di mobilità fisica all’estero, che si spera potrà avvenire terminata la fase emergenziale.

Del resto, che i periodi di lockdown (anche di alcuni stati europei, storiche mete Erasmus+) e i timori legati al diffondersi del coranavirus non avessero scoraggiato giovani e docenti lo si era già visto con le candidature progettuali. L’Agenzia Nazionale Erasmus+ Inapp, che si occupa del settore istruzione e formazione professionale del programma, ha ricevuto infatti quest’anno 425 proposte per la mobilità individuale ai fini di apprendimento, registrando un incremento del 5% rispetto al 2019; e 247 candidature per l’azione Partenariati Strategici, in questo caso segnando addirittura +28% rispetto all’anno prima, a fronte di una dotazione finanziaria Erasmus+ disponibile per il 2020 di oltre 55 milioni di euro (per l’ambito istruzione e formazione professionale).

Di tutto questo si parlerà lunedì, e fino al 13 novembre, alla settimana europea delle competenze professionali, organizzata dall’Agenzia Nazionale Erasmus+ Inapp. Il primo appuntamento, dove è atteso il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, è un webinar dedicato all’impatto del programma Erasmus+ sulla Vet (Vocational education and training, ndr), dal titolo «Le indagini, i risultati e le buone pratiche». E una di queste best practice è nella rosa dei tre finalisti al premio «European Funding for Excellence Awards – Erasmus+ Green dimension». Si tratta del progetto «Forest4Life», coordinato dall’istituto “Baruffi” di Ceva (Cn) e promosso da una rete di organismi con competenza nel settore forestale, nel monitoraggio, conservazione e gestione delle risorse forestali e agricole delle regioni di montagna (l’iniziativa ha permesso a 88 studenti di effettuare esperienze formative di mobilità all’estero di 5 settimane).

«Con circa 43mila partecipanti alle esperienze di mobilità transnazionale realizzate dal 2014 ad oggi, l’Agenzia Nazionale Erasmus+ Inapp conferma di aver raggiunto importanti risultati nel segmento istruzione e formazione professionale del Programma – ha sottolineato il presidente di Inapp, Sebastiano Fadda -. Con alcuni progetti si è posta l’attenzione sulle transizioni digitali e verdi, due asset che serviranno anche a riprogettare il mondo e il mercato dopo la pandemia».

Dal 2014 ad oggi sono stati 4.182 i progetti presentati in Italia per l’ambito istruzione e formazione professionale, 2.636 di mobilità individuale (di cui 732 finanziati) e 1.546 di partenariati strategici (di cui 230 finanziati). Significativo è stato l’investimento della Commissione europea e degli Stati membri dell’Ue che hanno messo a disposizione dell’Italia, nel settennato, circa 300 milioni di euro.

Ma che metà hanno scelto i candidati all’edizione 2020? Circa il 64% delle esperienze finanziate riguardano il gruppo di paesi composto da Austria, Belgio, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Malta, Olanda, Portogallo e Spagna.

Bari-Lecce, il derby dei Tar sulla chiusura delle scuole

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

Alla rivalità calcistica tra Bari e Lecce c’eravamo abituati, A quella dei Tar un po’ meno. Fino a ieri, quando due sezioni dello stesso tribunale, a distanza di poche ore, si sono pronunciate sulla medesima materia: l’ordinanza di chiusura delle scuole dalla primaria in su. Arrivando peraltro a conclusioni opposte. Con il giudice barese che ha “bocciato” le scelte del governatore Michele Emiliano. Mentre la sua collega leccese lo ha promosso. Aggiungendo un altro paradosso alla lunga querelle su didattica a presenza o a distanza che contrappone da mesi la ministra Lucia Azzolina e alcune regioni.

Se si tratta di una prima volta in assoluto è difficile dirlo. Sicuramente quanto accaduto ieri in Puglia rappresenta un unicum nel panorama recente della giustizia amministrativa italiana in materia di scuola. Con due Tar della stessa regione che decidono nella stessa giornata e sulla stessa ordinanza, prendendo però provvedimenti opposti.

Da un lato c’è il Tar Bari che ha accolto il ricorso del Codacons e di un gruppo di genitori e ha sospeso l’ordinanza del 28 ottobre scorso con il cui presidente regionale, Michele Emiliano aveva chiuso gli istituti scolastici di ogni ordine e grado (tranne gli asili) fino al 24 novembre. Per il giudice della terza sezione, Orazio Ciliberti, il provvedimento voluto dal governatore «interferisce, in modo non coerente, con l’organizzazione differenziata dei servizi scolastici disposta dal Dpcm del 3 novembre». Decreto che, nelle zone rosse, dispone il passaggio alla didattica a distanza dalla seconda media in su e, in quelle gialle e arancioni, lo prevede solo per le superiori.

Dall’altro lato, c’è il Tar Lecce (sezione distaccata dello stesso Tribunale amministrativo) che ha respinto l’istanza di sospensiva avanzata da un altro gruppo di famiglie, ritenendo legittima l’ordinanza regionale. Per il magistrato Eleonora Di Santo, infatti, nell’attuale situazione epidemiologica, il diritto alla salute prevale sul diritto allo studio, «attesa la necessità di contenere il rischio di diffondersi del virus».

In attesa che la decisione venga discussa nel merito – a Lecce l’udienza è stata fissata per il 25 novembre, a Bari il 3 dicembre – nell’immediato si pone un problema di ottemperanza che potrebbe essere però superato da una nuova ordinanza di Emiliano. Un provvedimento che venerdì sera era dato per imminente e che dovrebbe essere meno restrittivo del precedente, lasciando alle famiglie la possibilità di scegliere se optare per le lezioni in classe o da remoto almeno alle elementari e in prima media.

Il caso pugliese ha riacceso le polemiche che sulla didattica a distanza (la cosiddetta Dad, che ora però si chiama Ddi) sono quasi all’ordine del giorno. Con l’opposizione e i sindacati della scuola che hanno chiesto a Emiliano di tornare sui suoi passi e la ministra Lucia Azzolina che dopo gli scontri verbali del passato proprio con il governatore ha scelto la strada del silenzio. Anche perché sul tavolo c’è anche la questione Campania. Dove appena giovedì scorso il presidente Vincenzo De Luca ha confermato la sospensione di tutte le attività didattiche in presenza – dall’infanzia alle superiori – fino al 14 novembre. Tra le proteste del comitato Priorità alla scuola che oggi e domani terrà una nuova mobilitazione per chiedere il ritorno in classe degli studenti di asili, elementari e medie.

Sempre in tema di Dad degna di nota è infine la firma apposta dalla Flc Cgil al contratto integrativo sulla didattica digitale già siglato da Anief e Cisl. Un passo avanti nella trattativa, che rende più vicina anche l’emanazione di una nuova (e si spera definitiva) circolare sulle lezioni online.

Presidi, 100 milioni per monitorare i solai di 400mila aule

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

I crolli che si sono verificati nei giorni scorsi in una scuola superiore della provincia di Salerno e in una scuola media di Palermo «ci hanno recentemente ricordato quanto sia rilevante monitorare accuratamente lo stato dei solai e dei controsoffitti delle aule scolastiche il cui numero ammonta a circa 400.000». A ricordarlo è il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, che ha partecipato venerdì scorso all’audizione presso le Commissioni V e VI riunite del Senato.

«La spesa per effettuare questo monitoraggio – che grossolanamente stimiamo in 100 milioni annui – è ovviamente molto inferiore a quella necessaria per l’effettiva messa in sicurezza – ha detto Giannelli – attuabile in un secondo tempo, ma contribuirebbe a ridurre significativamente i rischi per l’incolumità e a salvare vite umane. È dunque necessario finanziare il piano di controlli semestrali, da effettuarsi a cura degli enti locali, e potenziare il sistema dell’anagrafe dell’edilizia scolastica, dotandolo di un database centralizzato gestito dal Ministero dell’istruzione. Questo consentirebbe di instaurare una sinergia tra il Ministero e tutti gli enti locali al fine di garantire una continua supervisione di componenti edilizie potenzialmente pericolose». Il presidente dell’Anp ha poi sottolineato la necessità di attuare un intervento legislativo di depenalizzazione, sulla scorta di quanto previsto per le professioni sanitarie del Codice penale, «per rendere non perseguibile la colpa datoriale lieve in caso di infortunio. Questa richiesta si fonda sulla constatazione che l’attuale livello di responsabilità è ingiustificatamente insostenibile per i datori di lavoro, soprattutto per quelli preposti a “piccole” strutture lavorative tra i quali vanno ricompresi i dirigenti scolastici».

Scuola, nidi, welfare e cantieri «tagliano» lo smart working

da Il Sole 24 Ore

di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

Il lockdown differenziato sul territorio riscrive le regole per il lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni. A distanza di una settimana dal decreto Dadone, operativo dal 29 ottobre scorso, le Pa che rientrano nelle zone rosse devono ripensare le modalità operative di erogazione dei servizi mettendo nel cassetto quanto fatto nella settimana precedente.

Usciti dal prima fase dell’emergenza, dove il lavoro agile costituiva la modalità ordinaria della prestazione lavorativa, i datori di lavoro pubblici dovevano portare lo smart-working al 50% delle attività che potevano essere svolte anche da casa. Con la pubblicazione in Gazzetta del Dm del 19 ottobre 2020 l’organizzazione doveva essere ulteriormente modificata per arrivare a una percentuale ancora più elevata rispetto della metà dei dipendenti. Con il Dpcm del 3 novembre, operativo dal 6, le Pa nelle regioni ad alto rischio tornano alla casella di partenza rappresentata dalle regole previste per il primo lockdown: solo le attività indifferibili che richiedono la presenza in servizio possono evitare il lavoro agile. Tutti gli altri dipendenti devono svolgere la prestazione lavorativa in smart-working. Il testo dell’articolo 87, comma 1, lettera a), del Dl 18/2020, vigente fino a metà settembre, è identico all’articolo 4, comma 4, lettera i) dell’ultimo Dpcm.

La scelta non può stupire perché l’emergenza è tornata nella fase acuta. Al contrario stupisce che non sia stata riproposta la norma, contenuta nell’articolo 87, comma 2 del Dl 18/2020, che equiparava alla presenza in servizio l’assenza dei dipendenti addetti ad attività non indifferibili e non smartizzabili (come per i lavori manuali) una volta esaurite ferie, congedi e banca ore. La situazione è aggravata dal fatto che le ferie sono già state consumate nella prima fase dell’emergenza. È pur vero che il decreto Dadone consente di adibire questo personale ad altre mansioni o di prevedere percorsi formativi, ma per operai o uscieri non è semplice rendere concrete queste previsioni. Salvo nascondersi dietro improbabili corsi da improvvisare.

Per le altre regioni viene confermato quanto già previsto dal quadro normativo precedente, cioè uno smart-woking con le percentuali più elevate possibili garantendo comunque il 50% calcolato sulle attività smartizzabili e nel rispetto della qualità dei servizi erogati. Il che vuol dire una significativa flessibilità nella gestione sia dei servizi che della percentuale di lavoratori in presenza, arrivando addirittura a rimanere sotto la soglia minima.

Ma il rispetto della qualità dei servizi nell’organizzazione del lavoro in presenza o da remoto, valido per tutto il territorio nazionale a mente dell’articolo 5 del Dpcm, si applica anche alle regioni rosse? In altri termini, la presenza del solo personale impiegato in servizi indifferibili che non possono essere svolti da casa deve tenere in considerazione o meno la «effettività dei servizi erogati», uno dei principi cardine della pubblica amministrazione? Non è un problema da poco visto che il numero dei dipendenti potrebbe variare molto. Pur nell’incertezza normativa si deve evidenziare che il Dpcm è disseminato di affermazioni di principio che invocano il lavoro agile come strumento per ridurre la mobilità sul territorio.

Andando oltre agli adempimenti giuridici, sul piano pratico il Dpcm non sospende i termini dei procedimenti amministrativi e lascia aperti i servizi scolastici e i nidi d’infanzia. È impensabile sospendere poi l’assistenza sociale alle fasce deboli della popolazione o bloccare i cantieri in corso. Ne consegue che in questa seconda fase agli enti locali restano ben pochi spazi di manovra.

Covid, Emiliano spiega ad Azzolina perché ha messo tutti in DaD: rischio contagio per migliaia di pugliesi

da La Tecnica della Scuola

È arrivata a stretto giro di posta la replica del governatore della Puglia Michele Emiliano alla richiesta del ministero dell’Istruzione di modificare o ritirare l’ordinanza con cui è stata riavviata la didattica in presenza dando così seguito alle disposizioni del Dpcm del 3 novembre, facendo venire meno lo stop della scuola primaria e media, come nemmeno nelle zone ‘rosse’, ma soprattutto dando seguito al parere del Tar barese di riaprire tutte le scuole in presenza con effetto immediato.  Il problema, secondo il MI, è che però la Regione ha anche dato l’opportunità agli alunni di primaria e medie di rimanere a casa a svolgere la DaD.

“Nonostante non condivida toni e contenuto della nota del Ministro – ha scritto Emiliano su facebook – proverò in ogni modo a non polemizzare, ma a collaborare al fine di garantire la tutela di studenti, docenti, personale scolastico e famiglie pugliesi”.

“Il Ministro Azzolina – continua il governatore – mi preannunzia una generica richiesta di ritiro o correzione della mia ordinanza n. 413 che ha reso immediatamente e temporaneamente obbligatoria l’organizzazione della Didattica a Distanza sincrona anche nelle scuole del ciclo primario”.

I numeri sui contagiati

“Il mio provvedimento – rileva – è stato reso necessario ed urgente dall’elevato numero di studenti, insegnanti, personale scolastico e loro familiari contagiati e posti in quarantena, che ha determinato una situazione di rischio epidemiologico elevato. Parliamo di migliaia di persone”.

“Dal punto di vista epidemiologico – ricorda Emiliano – in un solo mese dall’apertura delle scuole sono risultati positivi almeno 417 studenti, 151 positivi tra docenti e personale scolastico e almeno 286 scuole sono entrate in contatto con casi Covid”.

“E migliaia e migliaia sono gli studenti e il personale scolastico attualmente in isolamento per contatto stretto avvenuto a scuola con casi positivi”.

“Chi vuole rimane a fare la DaD”

Il presidente non sembra quindi essere d’accordo con le istanze fatte dal Ministero.
E non sembra tornare sui suoi passi: “Rammento a tutte le famiglie pugliesi che hanno deciso di optare per i loro figli per la didattica a distanza che nessuno può obbligarli ad accettare la didattica in presenza che in questo momento espone a forte rischio di contagio“.

“Se la Dad non è immediatamente disponibile – continua Emiliano rivolgendosi alle famiglie degli alunni – potete pretenderla a tutela del diritto allo studio dei vostri figli e la scuola in breve tempo deve garantirvela“.

“Non siate remissivi – sottolinea – e fate valere le vostre ragioni con determinazione. Segnalatemi questi casi e io interverrò presso l’ufficio scolastico regionale o presso la Prefettura”.

Emiliano ribadisce poi “che lo stesso Governo ha vietato la didattica in presenza per i ragazzi delle scuole superiori, ammettendo esplicitamente la pericolosità della frequenza della scuola in presenza”.

Secondo il presidente pugliese, “nessuno pertanto potrà contestare assenze ingiustificate ai vostri figli e figlie. La tutela della salute dei minori spetta solo ai genitori o a chi ne fa le veci“.

“Nella PA valgono gli atti, non i comunicati”

Poi c’è il problema della forma della comunicazione del MI. “Come si può da parte di un ministro – dice il governatore – preannunciare con un comunicato stampa, senza anticipare alcuna motivazione, una richiesta di modifica o ritiro di un provvedimento urgente emesso da un presidente di Regione con grande sofferenza e rispetto verso il mondo della scuola al solo fine di prevenire ulteriori contagi?”.

“Nella pubblica amministrazione – sottolinea Emiliano – si agisce per atti. La Regione Puglia è sicura di avere adempiuto in ogni modo possibile al dovere di collaborazione con la scuola pugliese e continuerà a farlo sempre”.

Il presidente della giunta regionale pugliese sottolinea anche che la sua “ordinanza ha carattere temporaneo e quindi non può definire un modello scolastico alternativo a quello individuato dalla Costituzione. L’ordinanza si limita a definire la Didattica a distanza come uno strumento di tutela della salute pubblica temporaneamente insostituibile, data la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale per pandemia e gli alti contagi che il mondo della scuola, e più in generale la Regione Puglia, registra nel periodo di vigenza dell’ordinanza stessa”.

Ordinanza in linea con il MI

Inoltre, secondo Emiliano la sua ultima ordinanza sarebbe stata “scritta in pedissequa applicazione del Piano Scuola del Ministero dell’Istruzione”.

“La disponibilità a dialogare con il Ministero è massima – assicura Emiliano – al fine di garantire l’equilibrio tra diritto alla salute e diritto all’istruzione, in tempo di pandemia”.

La collaborazione del governatore pugliese è allargata anche ai trasporti utilizzati dagli allievi per raggiungere le scuole: “se ce ne sarà bisogno – garantisce Emiliano – la Regione è pronta a stanziare risorse aggiuntive per incentivare il numero di corse e di mezzi per tutelare dal rischio del contagio da Covid gli studenti che frequentano le lezioni in presenza, adeguando l’offerta sulla base della domanda, anche ricorrendo al supporto delle società private”.

Covid, per Ricciardi è una “tragedia annunciata”. Sulla scuola “serve pensare a più aspetti”

da La Tecnica della Scuola

Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute, interviene a “Che tempo che fa” su Rai3, sull’emergenza coronavirus in Italia.

L’esperto, oltre ad analizzare la situazione contagi, parla anche della riapertura delle scuole.

La situazione è drammatica, a volte tragica ed è in continuo peggioramento, necessita di assoluti interventi rapidi. In certe aree metropolitane il lockdown va fatto subito. Zona rossa a Napoli? L’avrei fatta 2 settimane fa“, spiega Ricciardi che prosegue lanciando l’allarme: “Non si possono vedere immagini di persone nelle piazze, nelle strade, sul lungomare, senza mascherina, una vicina all’altra. Vanno rafforzate le presenze di medici e infermieri dove è necessario, perché si stanno infettando medici e infermieri e stiamo perdendo le prime linee“.

“Bisogna che ci uniamo tutti quanti: politica nazionale, regionale, cittadini, professionisti per affrontare questa che si profila come tragedia nazionale. Persone che non possono essere curate di covid, persone che non possono essere curate per malattie cardiovascolari. E’ una tragedia nazionale annunciata, per un virus che si muove con una rapidità enorme. Serve una catena di comando unica, servono decisioni rapide“, prosegue ancora Ricciardi.

A proposito della scuola, Ricciardi ha le idee piuttosto chiare: “Quando abbiamo riaperto le scuole, ho detto che se avessimo riaperto come Israele e Francia saremmo andati incontro a problemi seri. Bisogna presidiare tutti gli aspetti: l’arrivo a scuola, il trasporto pubblico, i protocolli all’interno della scuola, il deflusso, la comunicazione con i genitori. In Cina, milioni di studenti non hanno avuto un caso. Lì girano uno vicino all’altro senza nessun tipo di protezione perché lì i casi sono zero“. Non solo: “sono dati incontrovertibili: se tu fai soltanto la raccomandazione, anche nei paesi più rigorosi, con i cittadini più virtuosi, riduci l’indice di contagi solo del 3%; se fai il lockdown lo riduci del 25%; se fai lo smart working obbligatorio, lo riduci del 13%; se chiudi le scuole lo riduci di un ulteriore 15%, e in due o tre settimane dimezzi l’indice di contagio.

Ricordiamo che i dati odierni hanno portato un nuovo aumento di casi32.616 nuovi positivi, a fronte di 191.144 tamponi effettuati: un calo, quello dei tamponi, rispetto agli ultimi giorni, che potrebbe intendersi in linea con la tendenza, nel fine settimana, a un tracciamento più blando.

Connettere o disconnettere? Questo è il problema

da La Tecnica della Scuola

Nulla di nuovo sotto il sole si potrebbe commentare, ma lascia riflettere l’articolo riproposto da Forbes, sul tema “disconnettere i figli”. Una voce divergente, ma forse non troppo, in giorni come questi in cui bambini e ragazzi sono tutti connessi, che è attuale e fa porre domande.

Riflessioni da oltreoceano sull’uso dei dispositivi per bambini e ragazzi

La questione, oramai annosa, nasce tra chi ha a disposizione strumenti e dispositivi mobili e pensa da tempo che le tecnologie diano dipendenza. Il dibattito è assai vivo negli Stati Uniti, dove da un lato le scuole pubbliche fanno a gara per dotarsi di soluzioni che consentano la didattica a distanza, andando a supportare le metodologie innovative con la Media Education e la pedagogia digitale, dall’altro c’è chi, per reddito e condizioni familiari dispone di computer e connessioni, si muove per cercare di impedire ai figli la dipendenza dalle tecnologie. Il dibattito è nato già qualche anno fa ma è tornato di attualità in tempi di didattica digitale e a distanza.

Le scuole pubbliche americane cercano di educare i bambini fin dalla tenera età all’apprendimento mediato dal computer, e dietro le quinte, sono in molti a crederlo, vi sono le aziende che stringono convenzioni con gli istituti scolastici per l’adozione delle nuove tecnologie nell’apprendimento.

Quali sono gli scenari, che dal Nord America vengono a sfidare il pensiero e il dibattito?

Quello che può succedere ora è che i figli dei più poveri e del ceto medio cresceranno con gli schermi, mentre i figli della élite di Silicon Valley torneranno ai giocattoli di legno e al lusso delle interazioni umaneè l’opinione di Chris Anderson, già direttore di Wired.

Con due effetti collaterali si legge sul New York Times: le scuole per i bambini a basso reddito “dipendono troppo” dagli strumenti tecnologici. E i bambini stessi, secondo alcuni ricercatori, sono quelli che sviluppano una maggiore dipendenza dalla tecnologia rispetto ai coetanei più benestanti. A loro, ancor prima della pandemia, si erano rivolti i colossi del digitale, tra cui Apple e Google, che oggi sono massicciamente presenti in tutto il mondo nella promozione di supporti per la didattica da remoto.

Un’altra faccia del digital divide?

Il DESI – Digital Econom and Society Index, mette a disposizione informazioni preziose per comprendere quali siano le differenti velocità di sviluppo, dal punto di vista dell’inclusione digitale in Europa e offre naturalmente una fotografia attendibile anche della situazione italiana. Secondo l’ultimo Rapporto, in Italia gli utenti di Internet rappresentano il 69% della popolazione contro l’81% della media Ue e analizzando tutti i parametri (tra gli altri, connettività, capitale umano e integrazione delle tecnologie digitali) il posto occupato dall’Italia è il ventiquattresimo  su ventotto. Dall’altro lato emerge dai dati Istat (2019) che il 96% delle famiglie con almeno un minore ha accesso ad Internet da casa.

Secondo le raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics, il tempo che i bambini passano davanti agli schermi dovrebbe limitarsi a un’ora al giorno per i piccoli dai 2 ai 5 anni; inoltre, si dovrebbero porre “limiti coerenti” sul tempo da trascorrere davanti allo schermo e sulle tipologie di media utilizzate per i bambini dai sei anni in su.

Nella Silicon Valley da tempo i figli dei dipendenti dei colossi dell’informatica sono i primi ad essere controllati e limitati nell’uso dei dispositivi.

Dibattito apertissimo, dunque, mentre infatti la pandemia ha obbligato le scuole di ogni grado, in Italia e ovunque nel mondo, a scegliere le soluzioni più adeguate alla didattica a distanza, sullo sfondo restano i dati del digital divide e i tanti quesiti sull’uso sempre più intenso delle tecnologie.

Riflessioni sui dirigenti scolastici

Riflessioni sui dirigenti scolastici

di Stefano Stefanel

            L’emergenza coronavirus ha fatto scoprire all’opinione pubblica, ai mass media, ai social, ai genitori e forse anche agli studenti la figura del dirigente scolastico, ritenuto, probabilmente, prima del Covid 19 una figura di contorno, non sempre fondamentale per la vita della scuola. Da febbraio a tutti è stato chiaro che senza i dirigenti scolastici la scuola non sarebbe potuta andare avanti e non sarebbe riuscita a  organizzarsi neppure nelle minime incombenze. Ed è stato chiaro a tutti che se la scuola è stata in grado di fare la sua parte sia durante il lockdown di primavera, sia in questa drammatica ripartenza, è perché i dirigenti scolastici hanno lavorato sempre sodo e senza sosta, spesso nella solitudine peggiore, quella delle decisioni senza appello. In questi ultime settimane poi si è finalmente scoperto che solo una gestione capace, efficiente ed efficace avrebbe permesso di applicare in tempo reale decisioni prese e cambiate nel giro di poche ore.

GLI OBBLIGHI

            Ci sono ancora molti dirigenti, soprattutto tra quelli giovani di breve nomina, che credono che una decisione presa col supporto degli organi collegiali della scuola o sentito il parere (che, se viene dato, è al massimo di tipo orale) dell’Ufficio scolastico regionale di riferimento, possa sgravare dalle responsabilità monocratiche. Sia sulla sicurezza, sia sulla responsabilità patrimoniale a seguito di negoziazione, sia sulle nomine del personale, sia sulle decisioni riguardanti l’emergenza coronavirus è diventato evidente a tutti (Ministero incluso) che per l’ordinamento italiano risponde solo chi si prende la responsabilità della decisione e la firma. E poiché nelle scuola la rappresentanza legale ce l’ha un solo soggetto, credo sia importante avere chiaro in mente il ciclo del comando, la sua catena di trasmissione, la necessità di motivare tutto attentamente. Non credo sia molto utile cercare improbabili alleanze, quanto avere chiara in mente una linea di governo dell’istituzione affidata e condividere questa linea con gli organi collegiali, i gruppi di lavoro, i delegati, il personale, gli studenti, le famiglie. Condividere una linea dove la decisione finale è di chi risponde non vuol dire mai cedere alle pressioni della collegialità.

            Non credo di dire una cosa sconosciuta se affermo che davanti all’emergenza nessun soggetto esterno alla scuola ha voluto interloquire con organi collegiali, docenti delegati, gruppi di lavoro o altri organismi. Tutti i soggetti esterni alla scuola hanno sempre e solo voluto rapportarsi col dirigente scolastico che ha dovuto decidere, rispondere, monitorare, firmare. Non riporto qui un elenco ormai noto a tutti, ma la questione delle distanze, delle sanificazioni, degli acquisti, dei contratti al personale, dei monitoraggi anche a ridosso di Ferragosto e di moltissime altri obblighi, hanno richiesto sempre la decisione del solo dirigente scolastico. Dove c’era un obbligo per la scuola, questo obbligo si è sviluppato come una pianta rampicante che per crescere vuole il muro e quel muro era solo il dirigente scolastico. La solitudine di certe decisioni ha fatto in questo periodo il paio con la sordità dei soggetti che facevano le domande e che volevano solo risposte, chiedevano celerità ma non erano celeri a loro volta. La questione dei banchi è sotto gli occhi di tutti, ma anche quella ben più drammatica dei tracciamenti e dei Dipartimenti di prevenzione pronti a chiedere azioni immediate alle scuole nella segnalazione di contagi e dei cluster, ma lenti nel dare le risposte susseguenti, lasciando il dirigente scolastico da solo nella scelta di chi lasciare a casa, per quanto tempo e come. Perché il dirigente scolastico ha dovuto decidere anche il “come” su materie nuove, prive di giurisprudenza, ma sotto gli occhi di sindacati, giudici, avvocati: smart working, conteggi di ferie e permessi in rapporto all’emergenza, quarantene, lavoratori fragili, inquadramenti giuridici di profili nuovi di assenza, mascherine, distanziamenti, prodotti per la sanificazione, sono solo alcuni argomenti che fino a febbraio non riguardavano la scuola e che improvvisamente sono diventati la sua quotidianità.

            Vorrei però fosse chiaro come il mio non è un ragionamento per cercare la comprensione o peggio orientare alla critica, ma solo il tentativo di far comprendere come il sistema scolastico italiano ha deciso di mettere in capo ad una persona sola tutte le responsabilità della scuola, lasciando come contorno soggetti che a volte aiutano e a volte ostacolano, ma non rispondono mai. Se un Consiglio d’Istituto approva un Regolamento sbagliato o una negoziazione fuori dalle norme dell’anti corruzione non risponde di nulla, mentre il dirigente scolastico risponde anche di tutto quello che è stato deciso da altri. Per cui forse è meglio imparare a decidere in solitudine e poi interloquire per togliersi dei dubbi, sapendo che quando si mette una firma sotto un foglio di carta quella firma è per sempre.

LE SCELTE

            L’emergenza coronavirus ha però fatto emergere anche la necessità che il dirigente scolastico abbia una forte capacità di scelta. La scelta non è un obbligo, ma orienta, guida, indirizza, condiziona. Anche in questo caso non ci sono manuali di riferimento o indicazioni semplici e ogni dirigente scolastico decide se essere il controllore dei minuti di Didattica Digitale Integrata erogati da ogni docente o colui che orienta la didattica affinché sia incisiva e garantisca gli apprendimenti; se essere colui che perde le giornate a capire come va giuridicamente inquadrato un docente in isolamento fiduciario o colui che telefona al docente per sapere come sta e cosa è possibile fare a favore degli alunni; se essere colui che misura tempi e spazi dei collaboratori scolastici quando la scuola è vuota o li motiva perché siano pronti quando la scuola si riempirà; se essere colui che si preoccupa che gli studenti da casa rispondano alle domande dei docenti senza sbirciare sui libro o colui che fa capire ai docenti come la distanza non è mai la presenza; se essere colui che emana Linee guida di duecento pagine su tutto o colui che cerca di farsi capire con poche parole; se essere colui che sulla carta è sempre protetto o colui che protegge gli altri con decisioni su questioni che solo il futuro potrà permettere di verificare nella loro correttezza.

            Le scelte sono importanti quanto gli obblighi perché costringono chi dirige la scuola a scegliere tra il dibattito costante su tutto o le decisioni che rassicurano e aiutano. L’incredibile e astruso dibattito sulle ore da 45 o 50 minuti con o senza recupero mostra naturalmente che i vicoli ciechi sono fatti apposta perché qualcuno vi si infili dentro. C’è una legge che mai nessuno ha cambiato (la Bassanini Uno, legge n° 59 del 1997) che parla di “obblighi annuali di servizio” dei docenti e “monte ore annuale delle discipline” degli studenti. La risposta c’è già e va al di là dei contratti, basta semplicemente porre le domande nel modo giusto e non limitarsi a battaglie di principio senza chiedersi poi quel principio a cosa porterà. Che siano 45, 50 o 60 i minuto servono ad insegnare qualcosa, non a far passare il tempo. Meno conteggi e più obiettivi, meno adempimenti e più progetto: non serve contare i minuti, ma capire a cosa servono quei minuti. Scelte non mansionari, scelte non discussioni, scelte non assemblee.

            Le scelte riguardano anche rapporti con soggetti esterni, che a parole aiutano la scuola e nei fatti invece aiutano se stessi. In Italia però non è possibile ammettere gli errori, perché chi lo fa è subito indagato da un giudice. E infatti errori macroscopici – nessuno dei quali compiuto dalle scuole –  durante l’emergenza non trovano nessun messaggio di scuse, perché ognuno difende la sua posizione, preoccupato che a qualche giudice quella “difesa” non vada bene. E’ chiaro che la scuola ha fatto tutto quello che doveva fare e in modo puntuale: ma la scuola è retta da un dipendente statale che risponde all’amministrazione centrale e alla legge, non ad un soggetto che risponde agli elettori e all’opinione pubblica. Gli enti locali sono retti da politici che rispondono agli elettori e che non avranno alcun problema a scaricare su altri il peso di propri eventuali errori. Le questioni dei trasporti, degli spazi scolastici e delle mense sono sotto gli occhi di tutti, ma si sentono in giro solo accuse e non prese in carico di responsabilità. Il dirigente scolastico questo non lo può fare: ha delle responsabilità e le deve esercitare e non ha nessuna opinione pubblica votante da convincere, ma solo studenti a cui garantire l’apprendimento, la formazione, l’educazione. Il dirigente scolastico guida un’istituzione votata all’istruzione e alla formazione, non un servizio sociale da esercitarsi per le ore ritenute necessarie dalle famiglie o dagli enti locali.

LA COMUNICAZIONE

            Mai come in questa fase il dirigente scolastico è diventato soggetto pubblico che deve saper comunicare. A molti è costato troppo aver sottovalutato un esercizio comunicativo importante come è stata la Rendicontazione sociale, perché al momento della comunicazione spesso si viene travolti dalla propria incompetenza comunicativa. I mass media e i social cercano la notizia ad effetto, il numero dei contagiati, il numero dei banchi, il numero delle mascherine, il numero degli studenti non connessi. Così ci sono quelli “furbi” che non danno il numero dei contagiati della propria scuola e quelli “trasparenti” che lo danno: attenzione perché in entrambi i casi i giornalisti o i cittadini cercano il negativo, non il positivo, perché il positivo fa “notizia breve”, mentre il negativo fa il le “otto colonne”. La regola base della comunicazione è che se un cane morde un uomo non c’è notizia, mentre se un uomo morde un cane sì. Dunque bisogna stare attenti a non trasformarsi in notizia e comprendere che “il medium è il messaggio” come ebbe a dire Marshal McLuhan cinquant’anni fa. Il giornale deve avere una sua aggressività di vasto momento, altrimenti è noioso e non viene letto da nessuno;  la televisione centra l’attenzione su qualcosa e poi si volta immediatamente altrove; i social invece vanno dove e come vogliono loro lasciando dietro “morti e feriti”.

            L’inavvedutezza della comunicazione scolastica fa scambiare i propri comunicati per comunicazione e le proprie spiegazioni per motivazioni. Invece è tutto molto mescolato: per comunicare bene bisogna essere pronti a rispondere sempre a tono e brevemente, per spiegare bene qualcosa bisogna saperlo fare in venti parole. Sennò vincono i mass media e i social, che possono decidere la lunghezza della comunicazione e il tempo da dedicare ad un problema. Proprio perché il ruolo del Dirigente scolastico è diventato un ruolo esposto ed evidente bisogna saper comunicare, saper anticipare, saper sintetizzare. Mai farsi travolgere da un problema, mai polemizzare pubblicamente, mai attaccare. Perché alla fine nessuno difenderà il dirigente scolastico che ha sbagliato di comunicare: il rilancio all’esterno di ciò che avviene a scuola corre sempre il rischio che prevalga l’enfasi e il rumore.

            Il dirigente scolastico deve imparare a porsi in forma autonoma davanti agli obblighi, deve saper scegliere quale direzione far prendere alla progettualità della propria scuola, deve imparare a comunicare in un mondo che cerca gli sbagli altrui. E’ un mestiere difficile ma i fatti hanno dimostrato che è un mestiere in mano a ottimi professionisti. Non aspettiamo le norme che descrivano la realtà dei fatti, quelle, forse, arriveranno dopo: attrezziamoci perché la seconda ripartenza sarà anche più dura della prima, avrà molti obblighi, imporrà molte scelte e si svolgerà dentro una comunicazione aggressiva.