Scuola, il professore riluttante. Migliaia di rinunce all’assunzione

da la Repubblica

Corrado Zunino

ROMA – Non ci sono docenti, e siamo a ridosso di Natale. Che siano classi in presenza o a distanza, manca il prof di Italiano, Fisica l’hanno già cambiato tre volte e il supplente di sostegno è stato messo in cattedra anche se non è specializzato, non ha esperienza, neppure attitudine. Hai voglia a sostenere che la scuola italiana è sempre stata così, senza certezze. “I problemi di arruolamento di quest’anno io non li ho mai visti”, dice Gabriele Toccafondi, un renziano non ostile a questa ministra e che ha un’esperienza da sottosegretario all’Istruzione.

Tre giorni fa due provveditori scolastici di regioni del Nord, Lombardia e Piemonte, hanno donato alla commissione Cultura della Camera questi dati. Lombardia, ventimila posti di ruolo – quindi, a tempo indeterminato – da coprire: coperti quattromila. Sedicimila cattedre sono, a ridosso di Natale, vuote. Piemonte, quindi: nomine in ruolo da fare 6.196, nomine fatte 1.626. Passiamo dall’80 per cento dei posti mancanti della Lombardia al 74 per cento: difficile fare scuola così, programmare qualsiasi cosa. Ogni cento posti richiesti alle scuole medie piemontesi, ne sono stati assegnati sei. Sul sostegno, due assunzioni (due) su 2.850. In Lombardia, su questa delicatissima materia, 43 insegnanti trovati a fronte di una richiesta di 6.143.

Il Veneto è in una situazione simile e in generale al Nord l’arruolamento, quest’anno, è stato un colabrodo. Nel Centro Italia le nomine sono andate piuttosto male, con punte di criticità nel Lazio: “Solo l’1-2 per cento dei docenti accetta il ruolo”, ha detto il provveditore del Lazio alla Camera, l’11 novembre. Al Sud i posti offerti dall’amministrazione sono stati in gran parte accettati.

In uno studio di La7, senza contraddittorio, la sera del 6 agosto la ministra Lucia Azzolina annunciò: “Il collega Roberto Gualtieri mi ha appena detto che abbiamo i soldi per assumere 84.808 docenti”. Spente le luci del salotto televisivo, trascorsi sul fronte scuola quattro mesi infuocati e attraversati da molti sbagli, si scopre che le assunzioni fatte davvero sono tra le 15 e le 20 mila. Sessantacinquemila posti in ruolo non sono andati al legittimo vincitore e in molti casi questo è accaduto perché il proprietario naturale ha detto “no”. Ha rifiutato, in tempi di Covid, un posto fisso.

Augusta Celada, direttrice dell’Ufficio scolastico regionale della Lombardia, spiega: “Le cause dei rifiuti possono essere tante, personali. C’è chi ha fatto un concorso quattro anni fa, dieci anni fa, e quando arriva la chiamata non ha più bisogno di un lavoro. C’è chi, a causa dei ritardi nelle convocazioni, ormai si è accasato in una scuola paritaria vicino a casa e preferisce restare lì. C’è chi, di fronte all’obbligo di fermarsi cinque anni su una sede al Nord, ritiene sia più conveniente restare precaria a Caltanissetta. Sì, certo, un ruolo può averlo giocato il reddito di cittadinanza”. Gli affitti a Milano costano. Dice Maddalena Gissi, segretaria Cisl scuola: “L’idea di spendere 900 euro al mese con uno stipendio da 1.300 fa rinunciare molti”. Pino Turi, segretario Uil: “Tra i nostri iscritti ci sono due tipi di rifiuti. Quello per disperazione avanzato da una diplomata magistrale, se sarà assunta, sarà anche licenziata. E quello del dirigente amministrativo che, vinto il concorso, scopre il mondo della scuola e scappa a cercare un altro lavoro”. Il caos scolastico può annichilire un neofita.

La paura del Covid? È un elemento del rifiuto di massa? Sono diversi gli aspiranti docenti che hanno fermato le candidature alla cattedra con la risalita della curva a ottobre e novembre. “Abbiamo timore del contagio, certo”, spiegano alcuni precari riottosi, “e di non poter tornare dai nostri cari il weekend, per le feste”. Le regioni con i differenti colori e le differenti restrizioni. Il fenomeno riguarda, in questo caso, di più le supplenze.

Di quelle 65 mila cattedre vacanti più della metà dipendono dal fatto che per alcune discipline – scientifiche, per medie e superiori – non ci sono proprio più docenti. Serve l’insegnamento, non c’è più un insegnante pronto ad erogarlo. E il triplice fallimento dell’arruolamento ai tempi di Azzolina ha fatto il resto. Le Graduatorie online sono, in tutte le città, alla quinta, sesta, settima (e ultima) chiamata. E producono poco. La chiamata diretta estiva ha sfornato numeri risibili e il concorsone straordinario è fermo in attesa di disgelo pandemico. “Il guaio”, dice ancora Toccafondi, “è che in assenza del ruolo si ricorre a supplenze casuali e non specializzate. L’altro guaio è che questa situazione si ripercuoterà per tutto l’anno”.

Alleanza per l’infanzia: “Sei miliardi per nidi e materne”

da la Repubblica

Corrado Zunino

C’è una nuova Alleanza per l’infanzia e chiede, riprendendo promesse del premier fatte in più occasioni, sei miliardi di euro da investire su nidi e materne, l’intero comparto 0-6 anni da tre stagioni considerato scuola a tutti gli effetti. Servono, spiega il paper “Investire nell’infanzia”, per restituire ai piccoli italiani un’uguaglianza alla partenza.

Lo scorso maggio la Commissione europea aveva sottolineato che, “nonostante i recenti sforzi”, le misure volte a promuovere le pari opportunità e le politiche in materia di equilibrio tra vita professionale e vita privata, “così come l’offerta a costi accessibili di servizi di educazione e cura della prima infanzia, rimangono modeste e scarsamente integrate”. Gli asili nido, dal 2017, Riforma Puglisi, sono entrati a pieno titolo nel sistema di istruzione. Scrive Save the children, a nome dell’Alleanza: “Ancora oggi questa rete educativa è molto fragile e, in alcune regioni, quasi inesistente”. Nel 2020 soltanto il 13,2 per cento dei bambini ha accesso a nidi dell’infanzia e servizi integrativi gestiti direttamente dai Comuni o da terzi.

Gli Obiettivi di Lisbona, elaborati dall’Unione europea, chiedono un “servizio per tutti” entro il 2025. Per raggiungere questa indicazione l’Alleanza per l’infanzia – trentasei associazioni e sindacati riuniti per migliorare le condizioni di vita dei bambini – stima che la copertura del servizio debba raggiungere il 60 per cento dei “potenziali beneficiari”, con la soglia minima del 33 per cento in ogni regione italiana. Se la Valle d’Aosta deve crescere solo dello 0,7 per cento, la Provincia autonoma di Trento del 4,6 e l’Emilia-Romagna del 4,9, ci sono regioni come la Calabria che devono aumentare l’offerta del 30 per cento per raggiungere gli obiettivi minimi. La Campania del 28,7, la Sicilia del 26,6, la Puglia del 26,3. In pratica, nel Sud serve attivare ex novo una rete di offerta pubblica oggi quasi inesistente.

In termini assoluti, azzerare il divario tra la copertura attuale di Stato e comuni e il target del 33 per cento significa aggiungere ai 183.737 posti disponibili nei nidi e nei servizi integrativi a livello nazionale altri 275.606 posti, per un totale di 459.343.
L’Alleanza chiede che all’interno del Piano nazionale di ripartenza e resilienza (nell’ambito del Next GenerationEu) si finanzi un’infrastruttura educativa per la prima infanzia “su base universale e su tutto il territorio nazionale”, destinando a questa “necessaria riforma” 5 miliardi e 790 milioni di euro. Così suddivisi: 5 miliardi per la realizzazione di 300 mila nuovi posti negli asili nido entro il 2025; 790 milioni per assicurare il primo anno di avvio della riforma.

Il lavoro “Investire nell’infanzia” segnala come la contrazione delle nascite, e dunque della popolazione scolastica, “rende disponibili molte strutture scolastiche esistenti”. Ogni nuovo posto costa 16 mila euro. “Un finanziamento di questa portata garantirebbe la gratuità dei servizi educativi per la prima infanzia. E’ una cifra sicuramente impegnativa”, commentano i portavoce, “ma non è fuori dalla nostra portata”. In Italia l’investimento nell’espansione dei nidi si ripagherebbe in sei anni grazie all’aumento dell’occupazione, 40 mila nuovi educatori previsti, e del Prodotto interno lordo”. Dove mancano gli asili nido, si fa notare, “l’occupazione femminile è ai minimi, in un circolo vizioso da spezzare”.Un numero crescente di studi dimostra che le disuguaglianze nell’acquisizione delle conoscenze e delle competenze si formano a partire dalla nascita e prima dell’entrata nella scuola. “Solo così si potrà andare alle radici della dispersione scolastica e contrastare efficacemente la povertà educativa che oggi preclude a tanti bambini, bambine e adolescenti la possibilità di apprendere, far fiorire capacità e talenti, costruire liberamente il proprio futuro”.

Decreto Ristori, scuole medie: corsi extrascolastici in presenza per supplire alle eventuali carenze della Dad

da OrizzonteScuola

Di redazione

Il Decreto Ristori si avvia all’arrivo in aula, al Senato, e contiene diverse misure per la scuola. Due, in particolare, sono delle vere e proprie novità.

La prima: la possibilità, per Comuni e Regioni, di stipulare convenzioni con società private di bus e con titolari di licenze taxi e Ncc, in modo da aumentare i mezzi a disposizione del servizio di trasporto pubblico locale, che deve fare i conti con le norme anticovid e, forse già a gennaio, con il rientro in presenza nelle aule.

La seconda: per le scuole medie, corsi extrascolastici in presenza, per sopperire a eventuali carenze formative legate alla didattica a distanza.

Le ultime modifiche sono state votate in una seduta notturna dalle commissioni Bilancio e Finanze del Senato, che hanno licenziato il provvedimento. Non ci saranno altre novità. Il provvedimento. arriverà “blindato” prima in Aula a Palazzo Madama e poi a Montecitorio.

La didattica a distanza richiede agli insegnanti fatica superiore rispetto alle lezioni tradizionali

da OrizzonteScuola

Di redazione

La didattica a distanza, nonostante non possa supplire a quella in presenza, richieda una fatica superiore a quella delle lezioni tradizionali. E’ questa uno degli argomenti affrontati dal sindacato Gilda durante un’assemblea sindacale svolta in contemporanea in tutte le province di Italia.

Data questa constatazione, “gli insegnanti – si legge in un comunicato –  trovano avvilente, dunque, che il loro impegno sia misconosciuto da parte di chi, invece, ha addirittura parlato di recupero del tempo perso”.

Il riferimento è alla prospettiva di lezioni in classe anche nel mese di giugno, per recuperare eventuali giorni di lezione non svolti nel corso dell’anno scolastico a causa dell’emergenza Coronavirus. Una possibilità della quale ha parlato qualche settimana fa il Ministro Azzolina, che proprio ieri ha chiarito “Non è stato deciso nulla ancora. Serve un confronto e una riflessione. Su eventuali azioni da compiere per assicurarci che nessuno resti indietro. Il calendario scolastico è deciso dalle Regioni”.

Certamente non potrà essere considerato da “recuperare” il tempo trascorso in modalità di didattica a distanza, modalità che dal DPCM del 3 novembre (e per qualche regione già prima) ha coinvolto al 100% gli studenti della scuola secondaria di II grado. Discorso a parte per infanzia, primaria  e secondaria I grado, che hanno subito in questi mesi  chiusure ad intermittenza, in base al colore della regione e all’aggravarsi della situazione epidemiologica.

Ma certamente non sarà da mettere in discussione l’impegno profuso dagli insegnanti in questi mesi.

Un impegno e un ripensamento del modo di fare didattica che è già iniziato lo scorso anno durante il lockdown. Per questo motivo purtroppo l’indagine pubblicata da INDIRE in base ad un sondaggio svolto nel mese di giugno su un campione limitato di docenti che hanno risposto in maniera volontaria alle domande, sembra non rendere giustizia del grande lavoro svolto fin qui dalla dagli insegnanti.

Didattica a distanza in lockdown, online report Indire: risultano meno ore di lezioni sincrone per i docenti. Non conteggiato tutto il lavoro asincrono

Va inoltre messo in evidenza che dal 7 gennaio (così come all’apertura delle scuole a settembre) le scuole adotteranno la didattica digitale integrata, dato che a fare rientro nelle aule sarà il 75% della popolazione scolastica.

E la didattica digitale integrata comporta anch’essa una rimodulazione delle attività didattiche, se non anche degli orari settimanali.

Recovery fund, Zingaretti batte cassa: la scuola prima di tutto. Fedeli: soldi ai docenti. Verducci: assumere i precari

da La Tecnica della Scuola

“Guai a pensare a tornare all’ Italia pre Covid. Quella non ci piaceva, caratterizzata a disuguaglianze generazionali e di genere. Il pilastro della formazione non era al centro. Siamo in una ricerca, rifiutiamo il ritorno al punto di partenza. C’è bisogno di altro modello di sviluppo che abbia al centro la scuola e la formazione”: con queste parole il segretario Pd Nicola Zingaretti ha aperto l’Assemblea Dem con il mondo della scuola organizzata dal viceministro Anna Ascani.

Dopo avere detto che la rinascita dell’Italia “passa innanzi tutto sconfiggendo il virus” e che “il 2021 sarà l’anno del vaccino”, Zingaretti si è soffermato sulla scuola e sulla necessità di investire nella Conoscenza una congrua fetta degli oltre 200 miliardi del Recovery fund.

Scuola gratis fino all’Università per i ceti bassi

Il democratico è tornato anche ad auspicare “la totale gratuità della formazione, dall’asilo all’Università”, anche se questa volta ha specificato che sarebbe destinata solo ad alunni e studenti appartenenti a famiglie con “redditi medio bassi”: questo obiettivo “è un pezzo della nostra identità come Democratici” su cui il Pd, ha confermato, “darà battaglia” in sede di scrittura del Recovery Plan.

“Nell’Italia post Covid – ha aggiunto – l’accesso alla formazione, alla gratuità, deve essere un diritto universale. Ragioniamo fino a dove portare l’obbligatorietà, dal nido ai 18, ragioniamoci, su questo c’è un dibattito”.

Zingaretti: basta tagli alla scuola

Il segretario del Pd ha anche tenuto a dire che “lo strumento digitale ha consentito di coinvolgere un numero di persone che forse non saremmo riusciti a far partecipare con i metodi tradizionali”.  Ora, ha aggiunto, si passa da una logica di tagli ad una di investimenti grazie al Next generation Eu, il Recovery Fund. Di qui “uno sforzo di creatività e di fantasia” per riprogettare la formazione e i modelli di trasmissione del sapere.

Zingaretti ha quindi fatto cenno all’alto numero di allievi per aula. Bisogna riflettere, ha detto il leader del Pd, “su quanti alunni avere nelle classi per avere una didattica degna; quanto investire sugli insegnanti; un equilibrio avanzato tra i luoghi del sapere. Le risposte a queste domande vanno costruite insieme e lo strumento digitale aiuta”.

Poi ha sottolineato che “La scuola prima di tutto non è uno slogan, ma dà l’idea dell’Italia che abbiamo in mente; statene certi, il Pd darà la sua battaglia nelle prossime settimane sia nelle scelte parlamentari che nelle scelte europee”.

Dopo le parole di Zingaretti, si sono susseguiti decine di interventi, sempre sul tema della scuola, tutti da ‘remoto’.

Fedeli: soldi subito nella Legge di Bilancio

“Il 2021 – ha detto Valeria Fedeli, senatrice Pd ed ex ministro dell’Istruzione – sia l’anno della piena riconsiderazione per il Paese del valore della scuola, del pieno diritto all’istruzione e all’apprendimento come obiettivo prioritario della Repubblica”.

“Alla politica – ha continuato Fedeli – spetta la proposta delle scelte e delle azioni concrete da mettere in campo. Che non riguardano solo il Recovery plan che mette a disposizione risorse per fare investimenti nelle infrastrutture materiali, ma anche la spesa corrente per garantire quelli in infrastrutture immateriali, cioè personale e formazione attraverso la Legge di Bilancio”.

“Per esempio – ha concluso l’ex ministra – per garantire la riapertura dal 7 gennaio di tutte le scuole di ogni ordine e grado senza ulteriori interruzioni ripensando anche il tempo scuola come intreccio di didattica in presenza e uso delle tecnologie per rimodulare le forme degli apprendimenti”.

Verducci: Azzolina ha sbagliato a non assumere

Secondo il senatore Pd Francesco Verducci, vice presidente della Commissione Cultura e Istruzione, è stato “un grave errore della ministra Azzolina e del governo aver voluto bocciare, nello scorso maggio, gli emendamenti Pd al ‘decreto Scuola’ che avrebbero portato in classe migliaia di insegnati precari e di sostegno con un concorso rapido basato sulla competenza professionale. Se le scuole sono ancora chiuse è perché sono stati commessi errori e tra questi il non aver voluto affrontare per tempo e con urgenza il nodo del precariato”.

“Nella scuola pubblica sono vacanti più di 80mila cattedre di sostegno e ci sono oltre 200mila docenti precari. Numeri insostenibili, che mortificano il principio della scuola dell’inclusione. Il precariato è nemico della qualità dell’insegnamento, della continuità didattica, dei bisogni degli studenti”.

Per Verducci il Pd deve prendere coscienza che “alla scuola servono cambiamenti strutturali. Serve ridurre il numero degli alunni nelle classi e nei plessi e aumentare il numero degli insegnanti, con una nuova leva di docenti per una radicale innovazione della didattica che parta dell’estensione del tempo-scuola e del tempo di apprendimento”.

Pacifico: più tempo scuola

Al Congresso Pd hanno partecipato pure dei sindacalisti. Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, ha detto che bisogna “riprendere il tempo scuola, quindi non solo tempo pieno e prolungato, e riprendere anche l’insegnamento per moduli nella scuola primaria che è stato abolito dalla legge 169 del 2008: prima si avevano maggiori risultati di apprendimento”.

Poi ha parlato di “riforme mancate”: ad esempio su cittadinanza e costituzione “l’abbiamo approvata ma non abbiamo dato dignità di materia. Così come abbiamo inserito l’educazione fisica nella scuola elementare ma non ci siamo forniti di organici suppletivi”.

E ancora: “Prima di fare i banchi bisognava mettere mani ai Dpr sul dimensionamento scolastico: abbiamo bisogno di più plessi, negli ultimi 12 anni ne sono stati aboliti 15mila; in tempo di Covid-19 ne abbiamo recuperati 3mila, ne rimangono fuori ancora 12mila. È necessario avere plessi sicuri e classi non pollaio”.

Studenti in quarantena: Azzolina: deve essere assicurata la DDI

da La Tecnica della Scuola

I ragazzi in quarantena non devono perdere le lezioni, ma possono seguirle da casa quando i compagni sono in classe.

Lo ha chiarito la Ministra, rispondendo così ad apposita domanda sui Social: “è già stabilito che ogni scuola, nella sua autonomia, provveda a organizzare le lezioni per le ragazze e i ragazzi che sono in quarantena. Ci sono tutti gli strumenti per farlo“.

In proposito, richiamiamo una faq che MI:

All’alunno in quarantena deve essere assicurata la DDI?

Sì, all’alunno in quarantena, anche se caso unico in classe, la scuola deve in ogni caso garantire, ove la strumentazione tecnologica in dotazione lo consenta, l’erogazione di attività didattiche in modalità digitale integrata. (Nota MI 1934 del 26 ottobre 2020).

Ritorno a scuola: flessibilità del 75% degli studenti. Come? Ecco alcune soluzioni

da Tuttoscuola

Ritorno a scuola: il 7 gennaio prossimo, quando le scuole riprenderanno le attività, gli studenti delle superiori, dopo due mesi di confinamento a casa (salvo poche ore di presenza nei laboratori dei licei artistici e degli istituti tecnici e professionali), torneranno finalmente in classe. Ma non tutti. Il DPCM 3 dicembre ha previsto in proposito che “Nelle istituzioni scolastiche secondarie di secondo  grado, a decorrere dal 7 gennaio 2021, al 75 per cento della popolazione studentesca delle predette istituzioni sia garantita l’attività didattica in presenza”. Il ministero dell’Istruzione, nel fornire indicazioni applicative in proposito (nota prot. 2164 del 9.12.2020), ha precisato che, “tenendo conto della frequenza a scuola del 75 per cento della popolazione scolastica, resta inteso che il predetto limite può essere variamente modulato (anche per classi, classi parallele, indirizzi), in considerazione delle esigenze delle istituzioni scolastiche finalizzate a garantire un ottimale svolgimento del servizio e con riferimento alle necessità di garantire le condizioni di sicurezza”.

Sì dunque alla flessibilità per il ritorno a scuola, ma in ogni istituto possono stare contemporaneamente non più del 75% degli studenti. Per esempio: ci sono 800 studenti nell’istituto? 600 possono stare in presenza a scuola (75%), 200 a casa (25%). 1200 studenti? 900 a scuola (75%), 300 a casa (25%). E così via.

Un istituto con otto corsi? Sei corsi con tutte le classi in presenza e due corsi interi a casa.

Organizzazione di una classe? Si possono suddividere gli alunni di ciascuna classe in quattro gruppi (25% ciascuno) identificabili in A, B, C e D.

A, B, C in classe il primo giorno (75%) e D a casa (25%); B, C, D in classe (75%) il secondo giorno e A (25%) a casa; il terzo giorno C, D, A (75%) in classe e B (25%) a casa.

Partendo da queste basi ipotetiche, per il ritorno a scuola gli istituti possono considerare preventivamente il numero di studenti di ciascuna classe e disporre il calendario giornaliero del 75% di studenti in presenza.