RIAPERTURA SCUOLA

RIAPERTURA SCUOLA: SEMPRE AL PUNTO DI PARTENZA

“Avremmo preferito sbagliarci, ma purtroppo la realtà dei fatti dimostra che avevamo ragione quando criticavamo il protocollo di sicurezza per il rientro in classe, che infatti non abbiamo siglato perché ritenevamo che le misure previste non fossero sufficienti né idonee. Ci sarebbe piaciuto un Paese capace di organizzare il sistema dei trasporti in maniera efficace prima della riapertura delle scuole a settembre, così come ci sarebbe piaciuto un sistema sanitario in grado di garantire tamponi rapidi agli studenti e al personale scolastico e un tracciamento puntuale dei contagi. Ma, a quanto pare, si tratta di fantascienza. Nessuno ha la bacchetta magica per far fronte a un’emergenza di questa portata, ma è una perdita ulteriore di tempo prezioso pensare che la soluzione possano essere i tavoli istituzionali, la cui inutilità è stata ampiamente dimostrata dalla storia recente”. Così Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, interviene in merito alla questione della ripresa delle attività didattiche in presenza.

CONCORSO STRAORDINARIO: PROVE SUPPLETIVE

CONCORSO STRAORDINARIO: DOPO SENTENZA CDS, MINISTERO APPRONTI PROVE SUPPLETIVE

“Ci auguriamo che dopo la sentenza del Consiglio di Stato la ministra Azzolina torni finalmente sui suoi passi, con tutta evidenza falsi, e la smetta di voler cocciutamente negare ai candidati in quarantena la possibilità di partecipare al concorso straordinario”. Ad affermarlo è Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, in seguito alla decisione di Palazzo Spada che, confermando la sentenza emessa dal Tar del Lazio in merito al ricorso avanzato da una docente precaria impossibilitata a partecipare al concorso per motivi di salute legati al Covid-19, ha ribadito il diritto alle prove suppletive.

“Ricordiamo che il concorso straordinario, attualmente bloccato a causa della pandemia, è riservato ai precari che hanno maturato almeno 36 mesi di servizio. Nella maggior parte dei casi, si tratta di candidati che hanno trascorso in cattedra da supplenti ben oltre tre anni e che attendevano da molto tempo un’occasione di stabilizzazione. Escluderli da questa opportunità significa ledere gravemente un loro diritto. Auspichiamo, dunque, – conclude Di Meglio – che il ministero dell’Istruzione dia seguito alla sentenza del Consiglio di Stato e, quando le prove concorsuali riprenderanno, ammetta anche chi finora non ha potuto prendervi parte per ragioni cliniche legate all’emergenza sanitaria in corso”.       

M. Balzano, Resto qui

Balzano tra letteratura e storia

di Antonio Stanca

   Marco Balzano è nato a Milano nel 1978, qui insegna Letteratura Italiana negli Istituti Superiori e si applica nella sua attività di studioso e scrittore. Ha pubblicato saggi, poesie e romanzi: un intellettuale si può dire di lui ma anche un autore, un artista. Non è facile conciliare queste tendenze e riuscire a farlo, riuscire ad applicarsi in ambiti così diversi è segno di una sicurezza, di una capacità raggiunta e coltivata.

   Il suo esordio letterario è avvenuto con le poesie della raccolta Particolari in controsenso del 2007. Il primo romanzo è stato Il figlio del figlio del 2010. L’opera vinse il Premio Corrado Alvaro Opera prima e mise in risalto il tema dell’emigrazione, che sarebbe diventato ricorrente nella narrativa del Balzano, sarebbe stato mostrato come fenomeno dettato da necessità inevitabili, da particolari condizioni geografiche, economiche, come esperienza dolorosa, drammatica. Di una perdita, di una sconfitta avrebbe parlato Balzano: emigrare per lui significa partire, lasciare, abbandonare i luoghi, le case, le persone, gli ambienti che hanno fatto parte della propria vita, che l’hanno costituita, determinata, formata moralmente e fisicamente, significa venire a contatto con altri luoghi, altre persone senza sapere di loro, di quale sarà il rapporto, di come si starà, si vivrà con loro. E’ un cambiamento che può diventare definitivo, che può far abbandonare per sempre i posti d’origine, che qualunque forma assuma dallo scrittore viene sempre visto come un problema poiché lo identifica con una riduzione, una privazione.

   Nel romanzo Resto qui del 2018, ora ristampato dalla Einaudi nella serie “Super ET”, il motivo dell’emigrazione è legato a circostanze gravi, altamente drammatiche. Ci sarà, però, chi pur in quelle circostanze non emigrerà, chi “resterà” a costo di terribili conseguenze. Saranno Erich e Trina, marito e moglie, genitori di Michael e Marica, a scegliere di “restare” a Curon, il piccolo paese del Sudtirolo sulle rive dell’Adige, quando sta per scoppiare la seconda guerra mondiale e stanno per iniziare i lavori per la costruzione di una diga che avrebbe comportato l’abbattimento delle poche case che formavano Curon e i paesi vicini. E’ un momento grave, i lavori per la diga si fermeranno a causa della guerra e intanto la gente del posto se ne sarà andata, sarà fuggita in Svizzera, in Austria, in Germania o altrove perché spaventata da quanto sta succedendo.

   In quegli anni nel Sudtirolo ci si sentiva tedeschi, si parlava tedesco, si inneggiava al nazismo, si condannava il fascismo e tutto ciò che sapeva di italiano, lingua compresa. Hitler veniva visto come un salvatore, un restauratore dei danni che il fascismo stava arrecando con i suoi proclami, le sue chiamate alle armi e avrebbe arrecato con la costruzione della diga. C’era confusione, incertezza, paura, povertà, si viveva dei proventi di pochi animali, mucche, pecore, e di pochi campi, si temeva la guerra, non rimaneva che andarsene. Quasi tutti lo avevano fatto ma non Erich e Trina anche se senza figli erano rimasti: Michael si era arruolato volontario nell’esercito tedesco, Marica, che stava con gli zii, era stata portata da questi dove erano fuggiti.

   Quando scoppierà la guerra marito e moglie si rifugeranno in montagna, tra i boschi, i lupi, il freddo, le grotte, le capanne, vivranno di stenti, conosceranno la fame, la malattia, staranno soli per tanto tempo, si incoraggeranno, si aiuteranno tra loro, si riscalderanno con il loro respiro, il loro amore. Torneranno a Curon quando la guerra finirà e quando si sarà visto quanto crudeli erano stati quei tedeschi prima desiderati.

   Una volta a Curon Erich e Trina si sarebbero trovati di nuovo di fronte al problema della diga poiché erano ripresi i lavori e di nuovo i pochi abitanti stavano pensando di andarsene o cominciavano a farlo. Per ben due volte si fuggiva dal Sudtirolo, per ben due volte Erich e Trina non lo faranno e vi rimarranno fino ad assistere al loro paese, alla loro casa sommersi dalle acque dell’Adige quando deviate sarebbero state dalla diga completata. Intanto avevano trovato alloggio nelle baracche appositamente costruite dall’azienda che aveva condotto i lavori. Erich morirà da lì a poco, aveva tanto combattuto, si era tanto impegnato per salvare le sorti di Curon e dei paesi vicini, per impedire la diga che sfinito, stremato, morto ne era uscito. Trina rimarrà sola, addolorata, tormentata dai pensieri, dai ricordi, dei figli non saprà più niente ma convinta sarà ancora di dover continuare, di dover andare avanti, di dover fare, di dover vivere. Un esempio di forza, di coraggio, di amore è stato il suo, unico tra le donne di un tempo, di un luogo di rovina, di morte. In quel tempo, in quel luogo è andato Balzano col suo romanzo perché di essi voleva dire, perché di essi ancora poco si sa, perché anche della loro voleva fare storia d’Italia tramite la letteratura, tramite i modi facili, chiari della sua scrittura.

Covid, Unicef: priorità agli insegnanti nelle vaccinazioni

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

«La pandemia da Covid-19 ha sconvolto l’istruzione dei bambini nel mondo. Vaccinare gli insegnanti è un passo fondamentale per farla tornare alla normalità», lo ha affermato, in una nota, il direttore generale dell’Unicef Henrietta Fore: «Nel momento peggiore, alla fine di aprile 2020, le chiusure delle scuole a livello nazionale – ricorda – hanno interrotto l’apprendimento di circa il 90% degli studenti nel mondo. Questo numero è calato da allora, ma si continua a presupporre, senza riscontri, che chiudere le scuole potrebbe rallentare la diffusione della malattia, nonostante ci siano sempre più prove secondo cui le scuole non sono i principali diffusori della trasmissione fra le comunità. Come risultato, visto che i casi stanno aumentando drasticamente in molti paesi nel mondo, le comunità stanno chiudendo di nuovo le scuole. Al 1 dicembre, le aule erano chiuse per circa 1 studente su 5 nel mondo, ovvero 320 milioni di bambini».

L’Unicef chiede che «gli insegnanti vengano considerati prioritari nella somministrazione del vaccino, una volta che il personale sanitario in prima linea e le popolazioni ad alto rischio saranno state vaccinate. Questo aiuterà a proteggere gli insegnanti dal virus, permetterà loro di insegnare in presenza e di tenere le scuole aperte».

«Le decisioni sull’assegnazione dei vaccini – sottolinea il direttore generale – spettano in ultima analisi ai governi, ma le conseguenze di un’istruzione mancata o compromessa per un tempo prolungato sono pesanti, soprattutto per i più emarginati. Più a lungo i bambini rimarranno fuori dalla scuola, meno probabilità avranno di tornare, e più difficile sarà per i loro genitori riprendere il lavoro. Sono decisioni difficili che costringono a difficili compromessi. Ma ciò che non dovrebbe essere difficile è fare tutto ciò che è in nostro potere per salvaguardare il futuro delle prossime generazioni. Ciò comincia dalla salvaguardia di coloro che – conclude – sono responsabili della creazione di questo futuro».

Istat, il 50% degli italiani ha al massimo la licenza media

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

In Italia il 50,1% delle persone ha al massimo la licenza media mentre i laureati e le persone che hanno conseguito un diploma di Alta formazione artistica musicale e coreutica (Afam) di I o II livello rappresentano il 13,9%1 della popolazione di 9 anni e più.

È scritto nel censimento Istat della popolazione nel 2019, secondo il quale il 35,6% dei residenti ha un diploma di scuola secondaria di secondo grado o di qualifica professionale; il 29,5% la licenza di scuola media e il 16% la licenza di scuola elementare. La restante quota di popolazione si distribuisce tra analfabeti e alfabeti senza titolo di studio (4,6%) e dottori di ricerca, che possiedono il grado di istruzione più elevato riconosciuto a livello internazionale (232.833, pari allo 0,4% della popolazione di 9 anni e più).

Rispetto al 2011, si legge, diminuiscono, sia in termini assoluti che percentuali, le persone che non hanno concluso con successo un corso di studi (dal 6% al 4,6%) e quelle con al massimo la licenza di scuola elementare (dal 20,7% al 16%) e di scuola media (dal 30,7% al 29,5%).

Nel 2019 aumentano le persone in possesso di titoli di studio più elevati rispetto a otto anni prima. In particolare, si contano quasi 36 diplomati (31 nel 2011) e 14 laureati (11 nel 2011) ogni 100 cento individui di 9 anni e più mentre i dottori di ricerca passano da 164.621 a 232.833, con un incremento pari a più del 40%.

Il 7 gennaio fa paura al governo

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

È il 7 gennaio a far tremare il governo. Potrebbe essere la miccia che fa esplodere la terza ondata, con il ritorno delle lezioni in presenza per il 75% degli studenti delle superiori. Se i comportamenti degli italiani dovessero non essere importati alla massima cautela, le festività natalizie, con gli assembramenti per gli acquisti e gli spostamenti tra le regioni, che già si stanno registrando, e gli incontri conviviali, riaccenderebbero il numero dei contagi. La ripresa della curva si avrebbe 14 giorni dopo, proprio dunque in coincidenza con la ripresa delle lezioni. A quel punto le scuole diventerebbero il veicolo della nuova ondata. Considerazioni, quelle emerse dal confronto tra il premier Giuseppe Conte e i capidelegazione di governo, che sono in parte condivise dal Cts: i dati epidemiologici a oggi non supporterebbero una chiusura totale delle attività, un nuovo lockdown insomma. Ma la scelta politica di adottare una misura di massima cautela è del tutto legittima, è stato detto nelle interlocuzioni tra il Cts e il governo. E c’è chi, come il governatore del Veneto, Luca Zaia, mette in dubbio l’opportunità di ritornare a scuola il 7 gennaio già alle condizioni attuali.

Dati chiari su quanto la scuola incida sui contagi non ci sono. Lo stesso «Aggiornamento epidemico» dell’Iss allegato al verbale del Comitato tecnico scientifico del 24 di ottobre precisava che «i dati a disposizione a livello nazionale sono limitati per completezza». E sulla scuola spiegava: «Sebbene con casi in aumento dalla loro apertura», le scuole non sembrano essere «tra i principali contesti di trasmissione in Italia».

Il limite dell’analisi epidemiologica «si basa su dati di sorveglianza e monitoraggio con una completezza inferiore al 50% in un momento di sovraccarico dei servizi territoriali in molte regioni»: il 40,3% di completezza dei dati sul contesto di trasmissione dei casi con diagnosi e il 47% dei focolai attivi.

Tra i più intransigenti sostenitori della linea della chiusura ci sono il capodelegazione del Pd, il ministro della cultura Dario Franceschini, e il ministro della Salute, Roberto Speranza (Leu). Evidenzia gli effetti negativi per l’economia la capodelegazione di Italia viva, la ministra per l’agricoltura, Teresa Bellanova. Per la ministra dell’istruzione Lucia Azzolina (5stelle) questa volta è fondamentale che la scuola riapra e che non sia rinchiusa subito dopo. Ecco perché stringere ora con un nuovo dpcm su spostamenti e attività per aprire le scuole a gennaio, senza ricadere nell’incubo post vacanziero di settembre, sembra inevitabile. Misure di maggior rigore stanno per scattare già in molti paesi europei, Germania in testa.

In vista della riapertura del 7, procedono a livello territoriale i tavoli di confronto tra prefetti, comuni e scuole per lo scaglionamento degli orari di ingresso e uscita e la riprogrammazione dei trasporti, soprattutto nelle grandi città. Mentre molti istituti soprattutto del Nord sono ancora in attesa che gli organici siano completati.

In base alle evoluzione dell’epidemia, entro febbraio la Azzolina dovrà anche decidere come strutturare la prossima maturità. Occhi puntati sugli scritti, che rappresentano la situazione di maggiore rischio. Non è escluso che si possa ripetere un esame semplificato, con la sola prova orale.

Prof anti-Covid, uso improprio

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

I docenti dell’organico Covid devono essere utilizzati per ridurre il numero di alunni per lasse e devono avere un orario di lavoro stabile. Non si tratta, infatti, di risorse volte ad accrescere i posti di potenziamento, ma di docenti la cui funzione è quella di «garantire una migliore gestione dei gruppi classe, al fine di ottimizzarne la numerosità». Il monito viene dal capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione del ministero dell’istruzione, Max Bruschi, che ha bacchettato i dirigenti scolastici con una nota emanata il 9 dicembre scorso (2164/2020). Il capo dipartimento ha ricordato, inoltre, che la funzione del personale Ata, sempre dell’organico Covid, è quella di «attuare le attività necessarie alla garanzia del diritto allo studio nonché alla sicurezza e all’igiene degli ambienti».

Si tratta, dunque, di incrementi di organico di natura congiunturale finalizzati a fare fronte alle impellenti necessità dovute a prevenire e contenere i contagi. E non di mere risorse aggiuntive da utilizzare per supplenze e lavori ausiliari. Bruschi ha anche richiamato l’attenzione dei dirigenti scolastici sull’esigenza di assumere nelle scuole dell’infanzia e primarie docenti che siano «perlomeno iscritti al corso di laurea di Scienze della formazione primaria» e di assegnarli alle classi direttamente sull’orario curriculare. La nota, peraltro, reca le prime disposizioni per dare attuazione alle misure previste dall’ultimo decreto del presidente del consiglio dei ministri emanato il 4 dicembre scorso.

Il decreto prevede che dal 7 gennaio prossimo anche nelle scuole secondarie di II grado alunni e docenti dovranno rientrare a scuola in presenza. Fermo restando che l’attività in presenza è prevista solo per il 75% degli alunni. A questo proposito Bruschi ha invitato i dirigenti scolastici ad organizzare il servizio in modo flessibile anche per classi, per classi parallele e per indirizzi. Ciò in considerazione della necessità di garantire un ottimale svolgimento del servizio rispettando le norme anti-Covid. Il capo dipartimento ha ricordato che dovrà essere consentito anche lo svolgimento degli esami di qualifica dei percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP). Che fanno comunque parte del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione. Bruschi ha anche raccomandato ai dirigenti degli ambiti territoriali di raccordarsi con i dirigenti scolastici per riferire ai tavoli di coordinamento per i trasporti che saranno attivati presso le prefetture.

Pronti 20 milioni per le ripetizioni a scuola

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Ammontano a 20 milioni di euro i fondi stanziati per retribuire i docenti impegnati nel recupero degli alunni con lacune per effetto della sospensione delle attività didattiche in presenza. Lo prevede un emendamento al decreto-legge 137/2020 (cosiddetto decreto ristori) approvato dalle commissioni riunite (bilancio e finanza-tesoro) del senato la settimana scorsa (21.11). L’emendamento è stato presentato da Bianca Laura Granato, senatrice del Movimento 5 stelle. Le ore di insegnamento in più saranno retribuite applicando la tabella 5, allegata al contratto del 2007, che ancora si applica per effetto del rinvio operato dall’articolo 1, comma 10, del vigente contratto di lavoro. L’importo previsto è di 35 euro lordi per ogni ora di attività di insegnamento aggiuntiva. Va detto subito che la misura vale solo per l’anno 2021. E la distribuzione delle risorse alle scuole non sarà automatica.

Il dispositivo prevede, infatti, che le istituzioni scolastiche dovranno farne richiesta e il ministero dell’istruzione provvederà alla ripartizione. Le regole per la presentazione delle istanze da parte delle scuole e sulla ripartizione dei fondi saranno oggetto di un decreto del ministero dell’istruzione. Che dovrà essere emanato entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione.

Il testo (AS 1994) è attualmente in prima lettura e passerà a breve all’esame dell’aula del senato. In ogni caso il disegno di legge di conversione del decreto «ristori» dovrà terminare il suo iter entro il 27 dicembre prossimo. Considerati i tempi stretti è ragionevole ritenere che, dopo l’approvazione in aula al senato, la maggioranza blinderà il testo alla camera. E se l’opposizione dovesse fare ostruzionismo, il governo ricorrerà probabilmente allo strumento della fiducia. Uno strumento spesso inevitabile. Che però è la causa principale dell’estrema complessità della consultazione dei testi normativi, specie in materia economica.

Con la Dad persi 23 mila studenti rimasti a casa senza lezioni

da ItaliaOggi

Angela Iuliano

Con la didattica a distanza meno inclusione scolastica per gli studenti disabili. Oltre il 23%, cioè circa 70 mila alunni, non ha preso parte alle lezioni, mentre 1 scuola su 4 è carente di postazioni informatiche per gli allievi con disabilità. Eppure, gli studenti disabili che frequentano le scuole italiane aumentano: +13 mila ragazzi lo scorso anno scolastico, pari a +3,5%. Mentre gli alunni con bisogni educativi speciali (Bes) segnano addirittura un +60 mila studenti. È quanto emerge dal report dell’Istat «L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità a.s. 2019-2020», appena pubblicato (www.istat.it), che registra anche la crescita del numero di docenti di sostegno, poco più di 176 mila, con un rapporto alunno-insegnate a 1,7 migliore delle previsioni di legge (2). Ma con il 37% senza una formazione specifica.

Se «le politiche di inclusione negli anni favorito un progressivo aumento della partecipazione scolastica», spiega l’Istat, coinvolgendo quasi 300.00 alunni disabili, «con la didattica a distanza» (Dad) a causa dell’emergenza covid-19 «i livelli di partecipazione sono diminuiti sensibilmente, tra aprile e giugno 2020»: oltre il 23% degli studenti con disabilità non ha preso parte alle lezioni, quota che cresce nel Mezzogiorno dove si attesta al 29%.

I motivi per l’Istat sono la gravità della patologia (27%), la mancanza di collaborazione dei familiari (20%) e il disagio socio-economico (17%). Per una quota meno consistente, ma non trascurabile, l’esclusione è dovuta alla difficoltà nell’adattare il Piano educativo per l’inclusione alla Dad (6%), alla mancanza di strumenti tecnologici (6%) e, per una parte residuale, alla mancanza di ausili didattici specifici (3%).

«Le difficoltà di carattere tecnico e organizzativo, unite alla carenza di strumenti e di supporto adeguati e alle difficoltà d’interazione hanno reso, quindi, la partecipazione alla Dad più difficile per i ragazzi con disabilità, soprattutto in presenza di gravi patologie, o se appartenenti a contesti con un elevato disagio socio-economico». Poco diffusa la formazione in tecnologie educative per il sostegno: nel 61% delle scuole soltanto alcuni docenti hanno frequentato corsi e in meno del 60% tutti gli insegnanti le utilizzano.

Del resto, circa 1 scuola su 4 è carente di postazioni informatiche adattate agli alunni disabili. E, se le hanno, solo il 42% le ha collocate in classe, contro il 58% nelle aule specifiche per il sostegno e nei laboratori informatici dedicati. «Ciò può essere un ostacolo all’utilizzo quotidiano dello strumento come facilitatore per la didattica in classe», sottolinea l’Istat. Infine, il 28% delle scuole con postazioni in classe dichiara che sono insufficienti.

COVID, in dubbio rientro a scuola dal 7 di gennaio. Dipenderà dall’andamento epidemiologico

da OrizzonteScuola

Di Anselmo Penna

Oggi vertice di Governo per decidere le misure da adottare a Natale, il timore è che l’allentamento delle restrizioni possa far degenerare l’andamento epidemiologico e far risalire la curva dei contagi e dei ricoveri. Qualche ritocchino ci sarà.

Verso un inasprimento delle misure

Non si sa ancora come, ma il premier Conte ha dato per certo che ci saranno delle modifiche alla stretta natalizia: con PD e LeU che puntano all’istituzione di una “zona rossa” per le festività, mentre M5S e Iv avrebbero posizioni più prudenti.

Nodo scuola

Emerge intanto qualche preoccupazione nella maggioranza anche per la riapertura delle scuole il 7 gennaio: il timore è che i dati epidemiologici possano consigliare un ritorno in classe degli studenti delle superiori più graduale di quanto immaginato e anche su questo ci si dovrebbe confrontare nei prossimi giorni, come riporta l’ANSA.

Dati contagi

Il timore di una esplosione di contagi viene anche dai dati forniti da Cts che ha dimostrato che nelle zone rosse il calo dei contagi ha raggiunto anche un terzo, mentre nelle zone gialle di appena l’1%. Cts che ha chiesto di inasprire le misure di contenimento per Natale, al fine di evitare una nuova esplosione di contagi.

Spostare rientro di una settimana

E’ la proposta che ieri ha avanzato il il presidente del Regione Fvg, Massimiliano Fedriga, intervenuto a Sky Tg24. Per Fedriga il rientro “si scontra con le criticità, in primis i coefficienti di riempimento stabiliti al 50%, in carico al trasporto pubblico locale urbano che riguardano principalmente coloro che frequentano le scuole delle città”. Limitazioni che, invece, “in ambito extraurbano sono superabili attraverso il noleggio dei mezzi con conducente (Ncc)”. Fedriga, infine, ha posto la questione dei contagi a scuola “che ci sono e di cui occorre tenere conto”. Sarebbe quindi necessario spostare il rientro di una settimana in modo da organizzare meglio il rientro.

Riapertura scuole il 7 gennaio, Giannelli (Anp): da soli non possiamo farcela

da OrizzonteScuola

Di Ilenia Culurgioni

“Il sistema scolastico ha dato il massimo, quindi ci aspettiamo che anche altri settori, in particolare quello dei trasporti, si impegnino, come abbiamo fatto noi, per garantire che gli studenti possano tornare a scuola e restarci. La scuola continuerà a impegnarsi, auspichiamo che ci si impegni tutti così come si sono impegnati scuole e presidi”

Lo afferma il presidente dell’Anp Antonello Giannelli, a Orizzonte Scuola, in vista della riapertura delle scuole dopo le festività natalizie.

Il rischio di una terza ondata della pandemia, secondo gli esperti, è possibile e arriverà proprio a gennaio, quando rientrerà in aula il 75% degli studenti delle superiori. Come si può riaprire in sicurezza il 7 gennaio?

La scuola da sola non può farcela. Questa è un’operazione che non riguarda solo la scuola. Serve una visione integrata di trasporti e scuole, serve poi un potenziamento del sistema sanitario, che mi risulta già in corso. Ho dei segnali positivi per ciò che riguarda le capacità di risposta delle Asl alle scuole.

Quello che finora è stato deficitario è il Tpl, ed è proprio la ragione per la quale sono stati istituiti i tavoli presso le prefetture.

Si riuscirà a fare tutto in queste settimane?

Se ci si impegna a fondo sì, sono fiducioso. Qualora si vedessero delle difficoltà, saranno le singole scuole, eventualmente, a ridurre la percentuale degli studenti in presenza.

La scuola in presenza resta una priorità?

La scuola in presenza è fondamentale, poi se gli esperti ci dicono che questa misura non è fattibile allora si cambia. Ce lo devono dire i sanitari. Il Cts dice che si può tornare.

Cosa pensa dell’ipotesi di allungare l’anno scolastico?

La ministra l’ha presentata in forma ipotetica, mi sembra quindi prematuro. Dobbiamo anche dire che in tutti questi mesi si è continuato a fare lezione, non dobbiamo fare l’errore di pensare che la sospensione della didattica in presenza sia la sospensione della didattica tout court, perché così non è. I ragazzi stanno andando avanti con le lezioni da remoto. Non possiamo pensare che si deve allungare l’anno scolastico solo perché c’è la didattica a distanza.

La dad è una scuola a tutti gli effetti?

E’ una scuola a tutti gli effetti, ovviamente con delle criticità.

L’areazione delle aule: gli esperti raccomandano di farla, ma come si fa con le temperature rigide invernali?

Si deve effettuare certamente. Fa freddo e quindi bisogna coprirsi in aula nei momenti in cui si cambia l’aria, ma cambiare l’aria è fondamentale, perché riduce il rischio di contrazione del virus.

Ministero dell’Istruzione, pubblicata in Gazzetta Ufficile la riorganizzazione ministeriale. Il regolamento

da OrizzonteScuola

Di Andrea Carlino

Sulla Gazzetta Ufficiale di lunedì 14 dicembre sono stati pubblicati due documenti che riguardano il Ministero dell’Istruzione. Il primo è il regolamento con la riorganizzazione ministeriale, l’altro, invece riguarda gli uffici di diretta collaborazione del Ministro.

REGOLAMENTO 

Il Ministero è articolato a livello centrale nei seguenti dipartimenti:

a) Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione;
b) Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali.

UFFICI DI DIRETTA COLLABORAZIONE

Sono Uffici di diretta collaborazione del Ministro:

a) l’Ufficio di gabinetto;
b) l’Ufficio legislativo;
c) l’Ufficio stampa;
d) la Segreteria del Ministro;
e) la Segreteria tecnica del Ministro;
f) le Segreterie dei Sottosegretari di Stato

I provvedimenti entreranno in vigore dopo Natale, precisamente il 29 dicembre.

Concorso religione cattolica, serve l’idoneità diocesana. Partecipano anche i precari con tre anni di servizio. I requisiti

da OrizzonteScuola

Di Fabrizio De Angelis

Ecco i requisiti per partecipare al concorso di religione cattolica, dopo l’intesa fra CEI e Ministero dell’Istruzione.

Nel pomeriggio del 14 dicembre è stata siglata l’intesa fra il Ministero dell’Istruzione e la CEI per far partire il nuovo concorso di religione cattolica, che manca all’appello dal 2004. Il concorso è previsto dall’articolo 1-bis della legge 159/19, il decreto scuola.

I requisiti per partecipare: la certificazione dell’idoneità diocesana

Il requisito principale è il possesso per i candidati della certificazione dell’idoneità diocesana: “è prevista la certificazione dell’idoneità diocesana di cui all’articolo 3, comma 4, della legge 18 luglio 2003, n. 186, rilasciata dal Responsabile dell’Ufficio diocesano competente nei novanta giorni antecedenti alla data di presentazione della domanda di concorso”.

Fino al 50% dei posti per i precari con tre anni di servizio

Tuttavia, il testo dell’intesa ricorda che i posti messi a bando nella singola Regione per il “personale docente di religione cattolica, in possesso del riconoscimento di idoneità rilasciato dall’Ordinario diocesano, che abbia svolto almeno tre annualità di servizio, anche non consecutive, nelle scuole del sistema nazionale di istruzione” corrispondano a quanto stabilito dall’articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge n. 126 del 2019“.

La legge specifica infatti che dei posti messi a concorso, una quota non superiore al 50 per cento potrà essere riservata al personale docente di religione cattolica, sempre in possesso del riconoscimento di idoneità diocesana, che abbia svolto almeno tre annualità di servizio, anche non consecutive, nelle scuole del sistema nazionale di istruzione.

Si attende il bando entro la fine del mese di dicembre

Da sottolineare, inoltre, che “l’articolazione, il punteggio e i criteri delle prove concorsuali e della valutazione dei titoli saranno oggetto di determinazione da parte del bando di concorso, tenendo presente che tutti i candidati sono già in possesso dell’idoneità diocesana, che è condizione per l’insegnamento della religione cattolica”.

Per questi dettagli, quindi, bisognerà attendere il bando di concorso che, ricordiamo, in base alla legge 159/2019, dovrà essere bandito entro il 2020. Pertanto, si attende a breve la pubblicazione del bando del prossimo concorso di religione cattolica. 

Ritorno a scuola, il governo e Miozzo non sono più sicuri di riprendere il 7 gennaio: periodo delicato

da La Tecnica della Scuola

Comincia a scricchiolare l’unica certezza che aveva il governo sulla scuola: il ritorno in classe il prossimo 7 gennaio del 75% degli studenti delle superiori, previsto dall’ultimo Dpcm, potrebbe essere rivisto. Sia perché la macchina preventiva stenta a decollare (dove sono i trasporti in più e i tamponi rapidi da mettere a disposizione delle scuole?), sia perché si continuano a contare ogni giorno numeri importanti di nuovi contagiati di Covid e soprattutto di decessi (ben 846 nelle ultime ventiquattr’ore). Come se non bastasse, dalle prefetture non sembra che giungano segnali repentini sul da farsi per scongiurare assembramenti.

L’incertezza si coglie già nelle parole di Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico, rilasciate dopo l’incontro tenuto in videoconferenza il 15 dicembre con tutti gli esperti del Cts.

Miozzo: possiamo tenere i ragazzi a casa per i prossimi sei mesi?

Miozzo – intervistato a ‘Carta bianca’ su Rai Tre sulle indicazioni per affrontare questa fase della pandemia in vista delle feste di Natale – ha infatti ammesso che “stiamo andando incontro ad un periodo particolarmente delicato”: un ragionamento che riguarda anche “la riapertura delle scuole”, la quale “mobilita 10 milioni di persone”. Una quantità importante, che potrebbe essere determinante per una possibile nuova impennata di contagi.

È anche vero, ha sottolineato Miozzo, che “non possiamo immaginare di tenere i ragazzi a casa per i prossimi sei mesi”.

Lo stesso coordinatore del Cts ha fatto intendere che l’inasprimento delle regole appare inevitabile, soprattutto dopo “quello che abbiamo visto nell’ultimo weekend”, con assembramento davanti ai negozi: “sono situazioni che pagheremo”.”

Ritorno più graduale?

Del tema, assieme ad altri sul difficile momento legato a doppio filo con la pandemia, dovrebbe essere analizzato mercoledì 15 dicembre nel corso di una riunione del premier Giuseppe Conte con i capi delegazione della maggioranza: l’obiettivo primario sarà proprio quello di valutare il da farsi anche alla luce del parere dato oggi dal Cts.

E dagli esperti è giunta qualche preoccupazione, proprio sul ritorno in classe il 7 gennaio prossimo, recepita evidentemente dai partiti di governo: il timore è che i dati epidemiologici possano consigliare un ritorno in classe degli studenti delle superiori più graduale di quanto immaginato. Il confronto appare d’obbligo, con Leu (capitanata dal ministro della Sanità Roberto Speranza) e Pd che continuano a condurre una politica sul Covid molto attendista.

Probabili anche altri “ritocchini”

Per quanto riguarda le altre misure, il premier Giuseppe Conte ha dato per scontato qualche “ritocchino” alla stretta natalizia, per inasprirla di più.

Anche in questo caso i ministri di Pd e Leu continuano a spingere per chiusure da “zona rossa” in occasione delle festività.

Mentre più orientati a confermare le disposizioni vigenti, semmai con qualche lieve restrizione, sarebbero i rappresentanti di Movimento 5 Stelle e Italia Viva.