Legge di bilancio e inclusione scolastica

Legge di bilancio e inclusione scolastica, Anffas: “Dalla padella alla brace”

Redattore Sociale del 29/12/2020

Anffas critica quanto previsto nella relazione illustrativa del disegno di legge di bilancio in cui il Governo annuncia che, a partire dal prossimo anno scolastico, sarà utilizzato un nuovo sistema di calcolo per attribuire le ore di sostegno, in base al “debito di funzionamento”. Speziale: “Sostegni siano sempre condivisi”

ROMA. Cambierà il sostegno scolastico, con l’introduzione di un nuovo sistema di “razionalizzazione” e di calcolo delle ore da assegnare. E’ quanto viene previsto nella relazione illustrativa del disegno di legge di bilancio, che alcune associazioni hanno letto con grande preoccupazione. Tra queste, c’è Anffas, che così sintetizza la novità annunciata dal governo: “Di fatto, altro non si farebbe se non precostituire una tabella in cui far corrispondere, a seconda del livello di ‘debito di funzionamento’ dell’alunno con disabilità rilevato alla fine dell’anno scolastico precedente, un range di ore spettanti per il successivo anno scolastico. Il tutto, quindi, con buona pace rispetto al percorso che era stato già individuato e condiviso e che, invece, prevedeva un percorso valutativo con la piena partecipazione dell’alunno e della famiglia, che fosse in grado di garantire tutti i giusti e necessari sostegni, in modo individualizzato”.
Niente di buono, quindi, visto che “mentre la riforma del sistema di inclusione scolastica langue nei vari cassetti del ministero, continuiamo ad assistere ad iniziative, anche normative, del tutto scoordinate tra di loro e che stanno determinato grande allarme tra le famiglie e confusione tra gli stessi operatori della scuola”, commenta Anffas, che stronca decisamente questo nuovo sistema: “Dalla padella alla brace”, commenta, riferendosi al precedente sistema, “pur inefficace, che vedeva, nella determinazione dei sostegni in ambito scolastico, una sorta di automatismo tra condizione sanitaria ed assegnazione del sostegno, quasi che l’alunno fosse la sua malattia. Ora – osserva l’associazione – se ne introduce un altro, altrettanto sbagliato, che crea lo stesso automatismo ancorché tra debito di funzionamento ed ore di sostegno”.
Non ha dubbi, l’associazione: “Se si vuole veramente costruire un nuovo sistema d’inclusione scolastica, la via maestra da percorrere, senza scorciatoie e deviazioni di sorta, è quella di completare al più presto la riforma con i decreti mancanti, mettendo in atto una imponente attività formativa che accompagni, nella pratica attuazione, quanto la riforma prevede ed introduce sia in termini di innovazione che di nuove e diverse competenze. In buona sostanza – spiega Anffas – occorre introdurre un sistema fortemente basato sulla corresponsabilità dei vari soggetti che a vario titolo interagiscono con gli studenti con disabilità, al fine di garantirne la piena e compiuta inclusione nel mondo della scuola. L’intero processo valutativo deve vedere un ruolo centrale della famiglia, che non può essere mai relegata ad un ruolo marginale o meramente destinataria di altrui decisioni”.
Anffas si chiede dunque per quale motivo il ministero “non si premuri ad emanare i decreti mancanti per completare la riforma. In particolare non si capisce che fine abbia fatto il decreto con il quale si sarebbe dovuto approvare il nuovo modello di Pei e relative linee guida per la sua corretta stesura, nonché il decreto per l’istituzione del nuovo profilo di funzionamento senza il quale non è praticabile predisporre il nuovo Pei. Su tali atti i ministeri competenti ci devono pure dire se intendono tenere conto delle perplessità e delle indicazioni che abbiamo espresso anche in seno all’osservatorio e che vanno in direzione esattamente opposta a quanto si prefigura nella legge di bilancio”. 
In conclusione, Anffas riafferma con forza la propria “forte contrarietà a qualsiasi tentativo volto a ridurre il percorso di inclusione scolastica ad un mera lotta di ore di sostegno aumentate o diminuite, a seconda delle forze in campo o peggio dei ricorsi giudiziali. L’inclusione scolastica – ribadisce – non può infatti essere solo un problema di quantità, ma, prima di tutto, deve essere una questione di qualità, che unitamente alle giuste motivazioni e disponendo di figure adeguatamente formate e professionalmente adeguate, sia in grado di garantire ad ogni studente con disabilità di poter disporre di tutti i sostegni di cui necessita per poter trarre dal ‘tempo scuola’ il massimo profitto possibile da spendere poi positivamente in tutti gli altri suoi contesti di vita. Dobbiamo essere tutti convinti che questo si costruisce attraverso la messa in campo di un’azione coordinata e congiunta, anche con la famiglia, di azioni, strumenti e sostegni nella quantità, qualità ed intensità utile nel caso concreto a far acquisire, in condizione di pari opportunità con tutti gli altri compagni, tutte le autonomie, gli apprendimenti e le competenze possibili per preparare gli alunni ad un futuro da cittadini”.
Anffas chiede dunque “lo stralcio della previsione sul punto riportata nella relazione alla legge di bilancio e la convocazione urgente dell’Osservatorio, per capire come poter contribuire a completare rapidamente la riforma, nel senso sopra indicato, in modo che già a partire dal prossimo anno scolastico si avvii, dopo il terribile periodo che tutti gli studenti stanno vivendo, quella che finalmente vorremmo poter definire la ‘buona’ inclusione scolastica”.

di Chiara Ludovisi 

Effetto Caregiver

Effetto Caregiver

SuperAbile INAIL del 29/12/2020

Siamo tutti sulla stessa barca, o quasi: c’è chi è al timone e chi manovra i remi. Questo lo sa bene anche Papa Francesco! Non sto parlando di una storia di pirati, ma della situazione di lockdown totale o parziale in cui ci troviamo. Consapevole di ciò, mi sono interrogato sugli effetti di tale fenomeno su una questione che mi riguarda da vicino, ovvero quello della relazione tra persona con disabilità e il/la caregiver informale.

Innanzitutto, facciamo un po’ di chiarezza: il/la caregiver informale è la persona che si prende cura di qualcuno non in ambito lavorativo, ma perché tra queste due persone vi è un legame familiare o amicale, all’infuori dei servizi socioeducativi e/o assistenziali.

Come è cambiato il ruolo di questi/e caregivers informali nel corso della pandemia?
Questa domanda ne racchiude in realtà due: come gestire il supporto alla persona con disabilità ricoverata in ospedale? Come è cambiata la relazione di cura in quelle situazioni in cui i servizi educativi diurni hanno dovuto chiudere?
In ospedale la persona con disabilità ha bisogno di qualcuno che la conosca bene, non di una figura assistenziale qualsiasi. Tale necessità c’è sempre stata, ma in questa situazione emerge ancora di più.
Navigando sul portale online Superando.it, ho trovato interessante a riguardo l’articolo Un caregiver dev’essere accanto alla persona con disabilità grave ricoverata: qui vediamo come la presenza di un/una caregiver conosciuto/a sia fondamentale per  “mediare la lettura del nuovo contesto”.
Tiziana Grilli, presidente dell’Associazione Italiana Persone Disabili (AIPD), afferma dunque che “questo permetterebbe di facilitare l’accettazione della sofferenza e delle cure, ma anche di facilitare il lavoro degli operatori sanitari, che devono comprendere a volte una forma di comunicazione a loro completamente sconosciuta”.
Penso ai diversi centri diurni o socio-occupazionali – e a molti altri servizi – che durante il periodo di lockdown si sono trovati a dover chiudere. In questi casi il lavoro di cura dei caregiver informali – soprattutto delle famiglie – è certamente aumentato, svolgendo un ruolo centrale nella cura dei/delle propri/e cari/e con disabilità.

Ma come stanno questi/e caregivers?
Nell’articolo, Il Covid-19 e i caregiver informali: uno studio rivolto all’italia e all’Europa, la collega Simona Lancioni ci parla di un importante studio condotto proprio per fare chiarezza su “la salute dei caregivers, la situazione assistenziale, le reti di supporto disponibili, l’accesso ai servizi sanitari e sociali, la condizione lavorativa ed economica, la conciliazione tra lavoro e vita privata”.
La ricerca – realizzata da Eurocarers (Associazione europea a supporto dei caregivers), in collaborazione con il Centro Ricerche Economico-Sociali dell’IRCCS INRCA di Ancona – fa luce sulle esperienze vissute in questo periodo, e può essere utile per ideare servizi di supporto migliori. Infatti, i risultati verranno usati per elaborare le nuove linee guida europee per gli eventi critici, quali quello pandemico.
Ricordatevi che io sono sempre dalla parte dei caregivers perché sono loro a tirare la slitta di Babbo Natale. Senza le renne Babbo Natale non esiste.

Mi raccontate le vostre storie di renne essenziali?
Intanto vi auguro un sereno anno nuovo!
Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulla mia pagina Facebook e Instagram

di Claudio Imprudente

Scuola in presenza non per tutti

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi e Emanuela Micucci

Le scuole superiori nel 2021 riapriranno con metà ragazzi in classe e metà a casa. Certamente nella prima settimana, dal 7al 15 di gennaio. Poi si vedrà con il nuovo decreto che dovrà essere emanato dalla presidenza del consiglio dei ministri. A precisarlo è l’ordinanza del ministero della salute del 24 di dicembre, trasmessa dallo stesso dicastero dell’istruzione ai dirigenti scolastici in pari data. Non più dunque lezioni in presenza per il 75% dei ragazzi, come prevede il dpcm in vigore, ma per tutti al 50%, una previsione «inderogabile», scrive il capo dipartimento istruzione, Max Bruschi, nella nota di accompagnamento,«il prezioso lavoro che tutti avete svolto per rispettare il 75 per cento è, di fatto, rinviato per la sua attuazione». La previsione di ridurre la presenza in classe è frutto dell’intesa raggiunta nella conferenza delle regioni, alla luce dei tavoli con i prefetti per rimodulare il servizio dei trasporti pubblici e consentire anche negli orari di punti una capienza al 50% sui mezzi, così da ridurre i rischi di contagio. Più mezzi, meno ragazzi e ingressi scaglionati, un mix che non ha convito il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, pronto a sfilarsi e lasciare la didattica online per il 100% , «decideremo in base ai dall’andamento dei contagi, oggi non riapriamo niente», ha detto. Dati che saranno decisivi anche per la prosecuzione dell’anno scolastico su tutto il territorio nazionale. Ad ieri, l’ipotesi ritenuta probabile è che la ricetta del 50% in presenza e 50% on line prosegua almeno per tutto gennaio.

Sciolto in nodo dei trasporti, restano tutte le altre indicazioni da attuare, alcune delle quali messe sul tappeto già prima dell’avvio dell’anno scolastico, a settembre, dal Cts. Come il ricorso di massa ai test antigenici rapidi per studenti e personale scolastico, così da isolare subito i contagi ed evitare inutili quarantene. Lo aveva ripetuto il 9 novembre il Cts nel rispondere ad alcuni quesiti del ministero dell’istruzione, utili proprio in vista della riapertura delle scuole a gennaio: test antigenici rapidi in caso di «un sospetto diagnostico», ma anche «per accelerare la diagnosi di casi sospetti di covid-19» e «per i contatti stretti asintomatici di un caso confermato positivo». Mentre se il contatto stretto è sintomatico «la prima scelta diagnostica» è il test molecolare con tampone.

Medici o personale sanitario, inoltre, dovrebbero intervenire d’urgenza direttamente in classe per effettuerai tamponi attraverso le unità mobili, previa autorizzazione del genitore. Per gli alunni allergici che presentano sintomi assimilabili al Covid-19, è il pediatra o il medico di base a giudicare opportuno o meno l’esecuzione del test diagnostico. Mentre, se non è uno studente a manifestare sintomi febbrili ma un suo familiare convivente, l’alunno può andare a scuola «fino al risultato del test diagnostico effettuato sul convivente sintomatico e, se positivo, dovrà fare la quarantena». Tuttavia, il Cts precisa che se la sintomatologia del convivente è «fortemente sospetta per Covid-19, nell’attesa dell’effettuazione del test diagnostico, appare opportuno che l’alunno si astenga dal recarsi a scuola e attenda l’esito del tampone del convivente». Un’opportunità che però è lasciata alla volontà dei singoli.

Il Cts interviene anche sulla presenza di uno studente con sintomi da Covid-19, spiegando che «in caso di sintomatologia compatibile con covid-19 e/o temperatura corporea superiore a 37,5°C l’alunno non può essere riammesso a scuola» e il pediatra o il medico di base «richiede tempestivamente il test diagnostico e lo comunica la dipartimento di prevenzione». Test che dovrebbero avere la priorità rispetto ad altri. Il Cts chiarisce che basta un solo sintomo, ad esempio un raffreddore, anche senza febbre oltre 37,5°C, ad allontanare uno studente da scuola e che il medico dovrà prescrivere comunque il test diagnostico. Se si tratta invece di un’altra patologia «lo studente rimarrà a casa fino a guarigione clinica» e il pediatra «indipendentemente dal numero di giorni di assenza» redigerà una attestazione che l’alunno può rientrare a scuola «poiché è stato seguito il percorso diagnostico-terapeutico e di prevenzione per Covid-19».

Il Cts ne approfitta anche per chiarire che sul dpcm del 3 novembre, quello che ha istitutivo le fasce gialle, arancioni e rosse, non ha espresso nessun parere.

Anche se il decreto reca per due volte l’indicazione «Sentito il Comitato Tecnico Scientifico sui dati monitorati». Nel verbale del 9, il Comitato tecnico scientifico puntualizza che il Cts «fin dalla emanazione del decreto, non ha ricevuto l’aggiornamento dei dati epidemiologici relativi all’evoluzione della pandemia e del monitoraggio della fase di transizione con i relativi dati di pertinenza delle regioni e delle province autonome… in assenza dei dati, il Cts non ha potuto esprimere alcun parere di competenza».


Il Covid ricambia la maturità

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Esami di stato, 30 milioni di euro per le misure anti Covid-19. Lo prevede un emendamento alla legge di bilancio, approvato la settimana scorsa in commissione bilancio alla camera (86.14) e da ieri al vaglio finale del senato. La modifica (si veda Italia Oggi di martedì scorso) è stata presentata da Alessandra Carbonaro, deputata del m5s, e i finanziamenti saranno erogati riducendo le risorse destinate al fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa previsto dall’articolo 1 della legge 440/97. Le somme saranno assegnate alle istituzioni scolastiche statali e paritarie, sedi di esame, dal ministero dell’istruzione tenendo conto del numero di studenti e di unità di personale interessati. Il dicastero di viale Trastevere potrà anche adottare misure analoghe a quelle già previste per gli esami di stato dello scorso anno scolastico (si veda l’articolo 1 del decreto-legge 22/2020): sarà il ministro stesso, con ordinanza, a decidere quali. Nel novero delle possibilità, la riduzione del numero delle prove e la previsione di commissioni costituite solo da docenti interni. Le disposizioni speciali applicate nel decorso anno scolastico, che potranno essere applicate anche a quello in corso, prevedono anche la possibilità di sostituire la prova Invalsi con una prova predisposta dalla singola commissione di esame. Ciò per far sì che tale prova possa essere aderente alle attività didattiche effettivamente svolte nel corso dell’anno scolastico sulle specifiche discipline di indirizzo.

Peraltro, nel decreto milleproroghe il governo ha inserito anche una disposizione che consente ai consigli di classe di derogare alle norme sulla valutazione anche per l’anno scolastico 2020/2021. Deroghe necessarie per dare validità alle risultanze delle verifiche, degli scrutini e dei giudizi di ammissione o non ammissione agli esami. Allo stato attuale, peraltro, le riunioni degli organi collegiali scolastici, compresi i consigli di classe, avvengono a distanza. E quindi, in assenza di disposizioni specifiche, anche le deliberazioni di tali organi sarebbero risultate non legittime.

Nel decorso anno scolastico, le ammissioni alle classi successive nel primo e nel secondo ciclo sono state disposte anche in presenza di voti inferiori al 6. E per questi alunni sono stati predisposti piani di apprendimento individualizzato per colmare le lacune pregresse e consentire loro di rimettersi al passo con gli altri compagni di classe. Gli esami di terza media, inoltre, non si sono tenuti e sono stati sostituiti dal giudizio finale del consiglio di classe.

Più fondi per recuperare il divario con attività didattiche integrative

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Il fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa sarà incrementato di 177, 8 milioni di euro per il 2021, di 106,9 milioni di euro per l’anno 2023, di 7,3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025 e di 3,4 milioni di euro per l’anno 2026. Lo prevede l’articolo 86 del disegno di legge di Bilancio all’esame del senato. La misura è finalizzata a ridurre le diseguaglianze e a favorire l’ottimale fruizione del diritto all’istruzione, anche per i soggetti privi di mezzi. In buona sostanza, dunque, l’incremento dovrebbe servire a colmare il cosiddetto divario digitale, che preclude agli alunni delle classi sociali meno abbienti di accedere alla didattica a distanza o, comunque, alla didattica digitale integrata. E a favorire l’attuazione di attività didattiche integrative che consentano ai meno abbienti di accedere compiutamente al diritto all’istruzione. L’incremento, però, sarà decurtato, già prima di andare in vigore, di 25 milioni e 856 mila euro per coprire il compenso accessorio già introitato dai dirigenti scolastici nel 2019/2020. E di altri 30 milioni che saranno utilizzati per sostenere le spese per garantire le misure anti-Covid per gli esami di stato di quest’anno. L’incremento reale per il 2021, quindi, sarà di circa 122 milioni di euro. Per il 2022 non è previsto alcun incremento, mentre per il 2023 non dovrebbero essere previste decurtazioni di sorta e l’incremento di 106,9 milioni di euro dovrebbe essere interamente devoluto al fondo. Idem per le cifre previste per gli anni successivi.

Concorso Dsga, basta l’idoneità per diventare vincitori

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Un milione di euro in più dal 2021 al 2023 per assumere tutti i candidati che sono risultati idonei al concorso ordinario per il reclutamento dei direttori dei servizi generali e amministrativi. Lo prevede un emendamento alla legge di Bilancio approvato la settimana scorsa dalla commissione bilancio della camera (165.59) ed entrato nel testo finale all’esame del senato. La modifica è stata proposta da Virginia Villani, deputata del m5s, ed amplia la platea degli aventi titolo ad essere assunti a tempo indeterminato con la qualifica di Dsga. La regola generale che vale per i concorsi è quella di assumere solo i vincitori. E cioè coloro che si collocano ai vertici della graduatoria di merito in posizioni utile e fino alla concorrenza dei posti messi a concorso.

Nel caso specifico, il concorso era stato indetto sulla base dei posti che si sarebbero resi vacanti e disponibili nel triennio 2018/19, 2019/20, 2020/21. Il decreto-legge 126/2019 aveva comunque elevato del 30% il contingente degli aventi diritto all’assunzione oltre ai vincitori. E il decreto-legge 104/2020 aveva elevato tale percentuale al 50%. La deroga introdotta dall’emendamento 165.59 elimina i vincoli ed eleva la percentuale al 100%. Pertanto, se approvata in via definitiva, comporterà lo scorrimento dell’intera graduatoria degli idonei e saranno assunti anche i candidati che hanno conseguito il punteggio minimo ai fini dell’idoneità. L’introduzione di questa misura, peraltro, allontana nel tempo le probabilità di assunzione per gli assistenti amministrativi che, avendo svolto l’incarico di Dsga per tre anni, sono stati ammessi alla procedura concorsuale riservata per accedere alla qualifica in via definitiva.

Lo scorrimento della graduatoria del concorso ordinario che, secondo la modifica introdotta con l’emendamento dovrebbe comprendere anche tutti gli idonei, avviene infatti con priorità rispetto a quella del concorso riservato (si veda l’articolo 2, comma 6, del decreto-legge 126/2019). Fermo restando, però, che l’articolo 22, comma 15, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 prevede che, per i concorsi riservati al personale interno, debba comunque essere accantonato un 20% di posti rispetto alla disponibilità per i concorsi ordinari.

Resta da vedere se tale percentuale sarà sufficiente ad assumere i 2 mila assistenti amministrativi, che attualmente stanno svolgendo la funzione di Dsga perché i relativi posti sono attualmente vacanti, all’esito del concorso riservato.

Scuole non più extra-large

da ItaliaOggi

I dirigenti scolastici e i direttori generali e amministrativi (Dsga) delle istituzioni scolastiche al di sotto dei parametri minimi di dimensionamento non perderanno il posto e non saranno trasferiti d’ufficio. È l’effetto di un emendamento alla legge di bilancio di quest’anno, approvato la settimana scorsa dalla commissione bilancio di Monte Citorio (165.91) e ora al voto finale del senato. La modifica introduce due nuovi commi all’articolo 165 del disegno di legge AC 2970-bis ed è stato presentato da Vittoria Casa, deputata del M5S. La novità prevista dalla nuova misura consiste nell’abbassare da 600 a 500 il numero minimo di alunni previsto in via ordinaria per assegnare all’istituzione scolastica un dirigente e un Dsga.

Per le istituzioni scolastiche ubicate nelle piccole isole, nei comuni montani e nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche il limite minimo, previsto nell’ordine di almeno 400 alunni, scende invece a 300. La cessazione dall’organico delle istituzioni scolastiche ipodimensionate del posto di dirigente scolastico e di Dsga, dunque, avverrà solo nel caso in cui il numero degli alunni scenda al di sotto di questi nuovi parametri.

Il provvedimento sarà finanziato con 13,61 milioni di euro per l’anno 2021 e con 27,23 milioni di euro per l’anno 2022. E resterà in vigore solo nell’anno scolastico 2021/2022, salvo proroghe. Le risorse finanziarie saranno tratte dal fondo per le esigenze indifferibili istituito dal comma 200, dell’articolo 1, della legge 190/2014. Fondo che sarà comunque incrementato di 800 milioni per il 2021 e di 500 milioni l’anno a partire dal 2022.

La cancellazione dall’organico dell’istituzione scolastica al di sotto dei nuovi parametri del posto di dirigente di Dsga comporterà comunque che la dirigenza e la gestione amministrativa saranno assunte in reggenza, rispettivamente, da un dirigente scolastico e da un Dsga titolari in altra istituzione scolastica non ipodimensionata.

Il dimensionamento scolastico è stato introdotto nel 2000, dopo l’avvento della dirigenza scolastica, per diminuire il numero dei capi d’istituto e degli allora segretari. Il procedimento che porta alla contrazione degli organici dei dirigenti scolastici e dei Dsga a fronte dello della popolazione scolastica è noto agli addetti ai lavori con la locuzione «razionalizzazione della rete scolastica». Ed è di competenza delle regioni. La composizione delle istituzioni scolastiche avviene spesso tramite la costituzione di un istituto con scuole di ogni ordine e grado ubicate nello stesso comune e, se necessario, anche nei comuni limitrofi. In questo ultimo caso si parla di dimensionamento verticale.

Quando l’istituzione scolastica dimensionata comprende scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di I grado viene costituito un istituto comprensivo. Quando la verticalizzazione comprende anche la scuola secondaria di II grado del comune o anche dei comuni limitrofi, l’istituzione scolastica così costituita viene chiamata istituto omnicomprensivo.

La costituzione delle istituzioni scolastiche può avvenire anche orizzontalmente, assemblando scuole secondarie di II grado di indirizzo diverso. Per esempio, un liceo classico, un liceo scientifico e un istituto professionale. Sempre dello stesso comune o di comuni limitrofi. In questo caso l’istituzione scolastica così costituita viene detta istituto di istruzione superiore.

L’assemblaggio di scuole diverse non è necessario, invece, se la scuola raggiunge il numero minimo di studenti senza bisogno di associare altre scuole.

L’attenzione verso la scuola

L’attenzione verso la scuola

di Stefano Stefanel

            L’emergenza nata a causa della pandemia da Covid 19 non accenna a diminuire, anche se fortunatamente si vede la fine dell’incubo per l’arrivo dei vaccini. In questi dieci mesi la scuola è diventata un argomento mediatico di notevole impatto, mostrando la debolezza di un grande paese come l’Italia  che ha difficoltà a supportare questo fondamentale ganglio della vita sociale. I servizi di supporto alla scuola e necessari alla sua vita stanno mostrando molte ed evidenti crepe, dentro richieste di certezze che fino a dieci mesi fa non erano necessarie. Per qualche mese mi sono illuso che, davanti a questa emergenza epocale, la scuola italiana sarebbe riuscita a modificare alcuni elementi essenziali del suo sistema, certificato come carente da tutte le rilevazioni internazionali degli ultimi quindici anni. L’euforia è man mano scemata fino a diventare realismo critico nell’ultimo periodo, dove quotidianamente si sono sovrapposte soluzioni che spesso non hanno risolto nulla. L’impressione che mi sono fatto è quella contenuta in un vecchio detto cinese: noi mostriamo all’opinione pubblica la luna, ma l’opinione pubblica guarda solo il dito e su quel dito poi costruisce il suo pensiero. E’ un vero peccato perché così si rischia di non comprendere i pericoli e di non affrontare i problemi per quello che sono.

In attesa della normalità

                  In attesa della normalità l’opinione pubblica si è divisa e si sta dividendo tra chi vuole e spera che tutti gli studenti possano tornare quanto prima tutti in presenza anche in piena emergenza e chi invece teme che questo avvenga. Chi fa il mio mestiere sa che si viene quotidianamente pressati da genitori che vogliono il ritorno di tutti contemporaneamente a scuola e genitori che manifestano paure e perplessità per un rientro contemporaneo di tutti. Anche nell’opinione pubblica ci son i fautori del rallentamento delle misure anti pandemia e i fautori di ulteriori inasprimenti finché il vaccino non abbia fatto il suo corso, qualunque siano questi tempi. Tutto questo tocca argomenti importanti, come i trasporti, gli assembramenti davanti alle scuole, la didattica digitale integrata, le mense, i tamponi, le quarantene, i distanziamenti e tutto quello che abbiamo dovuto imparare a conoscere in questi dieci mesi. Purtroppo con tutto questo rimaniamo ad osservare il dito.

                  Speravo che, invece, il dibattito si sarebbe spostato su che cosa si può e si deve fare a scuola per apprendere anche in condizioni così gravi e difficili, sia nell’ambito della didattica digitale integrata, sia nell’ambito delle azioni in presenza distanziati, con le mascherine, con pause frequenti, con possibili quarantene. Invece mi pare si supponga che, una volta entrati dentro le scuole, tutto possa, per magia, ritornare come prima. Un sistema variegato e complesso viene descritto come unitario e semplice. E questo ingenera l’idea, errata e pericolosa, che le condizioni possano tornare facilmente ad essere normali e tocchi solo agli studenti e alle studentesse fare il “loro dovere”. Abbiamo modificato tutte le condizioni della vita scolastica e  quindi dobbiamo fare molta attenzione a non fingere che queste modifiche non abbiano inciso nel recente passato e non incidano nel lungo futuro. C’erano alcune evidenze da affrontare: personalizzazione di tutti i percorsi degli studenti colpiti in modo diverso dalle misure per il contenimento della pandemia, modifica dell’organizzazione del lavoro dei docenti e del personale ausiliario, diversa strutturazione delle attività laboratoriali, completa ridefinizione del sistema di valutazione degli apprendimenti, analisi dei punti di crisi ed attivazione di interventi strutturali. Invece l’unica ingegneria che si è messa in atto è quella che contabilizza le possibilità, le potenzialità, le opportunità e gli obblighi del rientro. Precisa e puntuale nella discussione su come rientrare tutti a scuola, l’opinione pubblica pare molto poco interessata a come si debba fare scuola nelle condizioni che la pandemia ci impone. Credo che inseguendo il passato stiamo perdendo grandi possibilità per il futuro e che nel tentare di “far finta di essere sani” (come cantava Giorgio Gaber) non ci attrezziamo per comprendere dove e come abbiamo potrebbe  crearsi un buco formativo nelle generazioni future.

In attesa del futuro

                  Il futuro delle scuole passerà anche da uno strumento molto nominato, ma poco analizzato come il “Next Generation Eu” meglio noto come Recovery Fund. Questa, che a me sembra una logica osservazione nei confronti di un piano che prevede 90 miliardi per la riqualificazione ambientale dell’Italia, cade nell’indifferenza generale perché non pare interessare qualcosa di specifico e vicino. E così si continua ad andare avanti come se nulla fosse accaduto. Una parte delle scuole italiane presto saranno interessate dai naturali lavori di ristrutturazione per la messa a norma in base a progetti redatti e finanziati prima dell’emergenza.  Così accadrà che le scuole “nuove” saranno identiche a quelle “vecchie”. E questo le condizionerà nei prossimi 50 anni, facendole perdere tutte le possibilità del “Next Generation Eu”. E’ logico tutto questo? A me pare di no e lo sto dicendo da molto, con poca o nessuna attenzione. Mettere mano oggi alle scuole così come sono significa non comprendere il futuro e le necessità che l’apprendimento nella società della conoscenza richiede. Bisogna farlo dentro un processo di rifacimento completo e non solo di adeguamento.

                  Da poco più di un anno è nata una Rete nazionale che si chiama “Rete di scuole Green”, che ha tre scuola romane come capofila e che unisce circa 800 scuole italiane. Qualche giorno fa la rete ha inviato ai componenti del Governo e del Parlamento la seguente missiva: “la Rete di scuole Green è un organismo nazionale nato il 5 dicembre 2019 e presentato ufficialmente a MIUR il 12 dicembre 2019. Raccoglie Istituzioni circa 800 Istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado di tutte le Regioni italiane e di 70 Province. Lo scopo della Rete di scuole Green è quello di sensibilizzare, informare, coordinare, progettare azioni di tipo ambientale, di risparmio energetico, di transizione al verde, di ecosostenibilità nelle scuole italiane, partendo dall’educazione degli studenti fino alla trasformazione degli edifici. Le scuole italiane devono essere tutte riconvertite dal punto di vista ambientale e necessitano di investimenti massicci che coniughino la sostenibilità ambientale con la sicurezza. Per questo la Rete di scuole Green si rende disponibile a collaborare con il Governo e il Ministero dell’Istruzione e le sue varie diramazioni organizzative nella progettazione del Next Generation Eu riferito al sistema scolastico nazionale. Noi riteniamo che sia necessario il protagonismo delle scuole nella progettazione di un futuro veramente ecosostenibile, affinché non si sacrifichino le motivazioni della didattica a un concetto di ecosostenibilità che miri a progettare edifici belli, ecologicamente perfetti, ma privi di ciò che necessita per la scuola del futuro. Pertanto riteniamo che tutta la progettazione del Next Generation Eu, che ha come oggetto la scuola, debba confrontarsi con chi la scuola la vive quotidianamente, per raggiungere un grande risultato che cambi insieme al Paese anche la sua scuola. La ramificazione della Rete di scuole Green, il raccordo stretto della Rete con l’ASVIS e con tutti i territori italiani permettono di raggiungere anche la più sperduta scuola dentro un progetto che sia al tempo stesso avveniristico, anche didatticamente oltre che dal punto di vista ambientale, e al servizio del Paese. Siamo dunque a vostra disposizione e speriamo che questa disponibilità venga raccolta.” La Ministra Lucia Azzolina ha subito risposto all’appello manifestando interesse per la proposta.

                  Credo che serva in questo senso uno sforzo molto locale per comprendere l’importanza del momento e guardare la luna e non il dito. Non si possono ristrutturare le scuole nella loro attuale inadeguatezza, con aule piccole e corridoi grandi, laboratori da rivedere e risparmio energetico da progettare seriamente; bisogna avere coraggio di inserire le scuole del territorio dentro un reale progetto di riqualificazione ambientale, che comprenda anche gli ambienti di apprendimenti, che stanno dentro gli edifici scolastici e che attualmente sono obsoleti. Su questo argomento mi sto spendendo da molto tempo, ma a livello locale non ricevo neanche una telefonata. Speriamo che attraverso la Rete di scuole Green si riesca a sensibilizzare un’opinione pubblica distratta su un problema essenziale.

Innovazione o conservazione?

                  L’ultimo punto che intendo qui affrontare è il rapporto tra innovazione e conservazione. Anche in questo caso chi fa vedere la luna deve poi difendersi dalle osservazioni sul dito. Ci sono delle grosse novità per la scuola che vanno adeguatamente presidiate e messe in atto: si va dalla valutazione della scuola primaria alle nuove possibilità digitali dei Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (ex Alternanza scuola lavoro), dall’introduzione dell’Educazione civica come materia trasversale all’integrazione tra didattica ordinaria e didattica digitale, dalla nuova forma degli esami di stato conclusivi alla richiesta di potenziare la trasversalità degli apprendimenti. Tutto questo, però, viene compresso dal dibattito sugli orari degli autobus, sulla turnazione degli studenti, sugli ovvi problemi di igienizzazione e contagi, sull’uso dei device di proprietà degli studenti sperando che siano utilizzati in modo corretto, sulla richiesta di interventi minimi e particolari difficili da attivare in regime pandemico.

                  Un altro elemento di grande innovazione riguarda la comunicazione. Le scuole sono diventate soggetti comunicatori e il rapporto diretto con i propri studenti, i genitori, la comunità educante e la comunità sociale è diventata una necessità ineludibile. Proprio per questo non è così semplice il silenzio, rotto solo da comunicazioni ufficiali. Le fonti di emanazione dei provvedimenti sono diverse, ognuna con un suo governo e ognuna con un suo obiettivo.  Per questo è impossibile estraniarsi da un mondo della comunicazione che riceve messaggi anche dai silenzi. Per farlo bisogna sapere innovare le proprie modalità comunicative e saper utilizzare tutti i canali possibili. Qualche volte questa necessità è vista come protagonismo, ma in realtà è la fondamentale  mediazione nei confronti di tutti quelli che hanno bisogno di spiegazioni e di motivazioni oltre che di semplici informazioni.

                  Credo sarebbe necessario mettersi un po’ d’accordo su come ragionare attorno alla scuola, perché la cosa peggiore da fare in questo momento è non rendersi conto che la scuola ha subito due riforme di fatto in dieci mesi e che questo periodo non è solo una lunga attesa al ritorno della normalità. E’ questo il momento di scegliere cosa innovare e cosa conservare. Così come per gli edifici non bisogna cercare di ristrutturare quello che è obsoleto, ma bisogna saper innovare quello che non funziona più, così anche per la didattica è necessario capire cosa mantenere e cosa modificare. Quando si parla di sistema scolastico nazionale non si deve pensare a qualcosa di lontano e irraggiungibile. Ma alla propria scuola, quella che sta vicino a casa.

Vaccino Covid-19, Miozzo (CTS): “Per il personale scolastico deve essere obbligatorio”

da OrizzonteScuola

Di Andrea Carlino

“Medici, infermieri, personale sanitario: il vaccino anticovid deve essere obbligatorio. Lo stesso deve valere per chi lavora nelle Residenze sanitarie, dobbiamo difendere gli anziani”.

Così in un’intervista al Messaggero, Agostino Miozzo, coordinatore del comitato tecnico scientifico sul coronavirus.

“Un operatore sanitario deve vaccinarsi – ribadisce Miozzo – E secondo me l’obbligo deve valere anche per chi lavora in una rsa, non solo per chi assiste gli ospiti ma anche per chi entra a fare le pulizie”.

“Ma io andrei anche oltre. Penso a tutte le strutture pubbliche, alle scuole, a chi lavora a contatto con molte persone”, prosegue.

“Bisogna andare per gradi – spiega – La via maestra è quella del convincimento. Dobbiamo fare il possibile per spiegare agli italiani quanto sia importante e sicuro vaccinarsi. Serve un’informazione adeguata. Se la percentuale resta troppo bassa, allora si prendano misure più serie. Ma in un ospedale, per capirci, non ci devono essere tentennamenti: se vuoi lavorare, devi vaccinarti, dobbiamo proteggere i pazienti. Poco fa ho incontrato un alto ufficiale dei carabinieri e lui, giustamente,mi ha ricordato che per entrare nell’Arma era obbligatorio avere fatto alcuni vaccini. Perché per il coronavirus oggi dovrebbe essere differente quando parliamo di medici e infermieri?”.

“Rendere obbligatorio il vaccino per tutti, da subito, puo’ essere controproducente, rischi di alimentare l’irrazionalità no vax. Devo dire che questi strumenti di sensibilizzazione e informazione ancora  non li vedo, ci sono ancora troppe esitazioni. Prevale nella  narrazione collettiva il dubbio. Va anche detto che nel prossimo  futuro sarà obbligatorio essere vaccinati per viaggiare, si va verso  il passaporto sanitario. In fondo già oggi in alcuni Paesi non entri  se non hai determinate vaccinazioni, dove sarebbe lo scandalo nel chiedere anche la prova di essere immunizzati al coronavirus?”.

Legge di bilancio 2021: emendamento al Senato per ridurre il numero di alunni per classe

da La Tecnica della Scuola

E’ in programma per martedì 29 alle ore 11 a Roma a Largo Vidoni, presso il Senato, una manifestazione indetta da Rifondazione Comunista a sostegno dell’emendamento alla legge di bilancio per il 2021, presentato dalla senatrice Paola Nugnes.

“L’emendamento – spiega Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione – ha lo scopo di ridurre il numero degli alunni per classe, più volte evocata nella prima fase della pandemia anche da esponenti del governo, poi abbandonata e non più posta come una delle misure funzionali al distanziamento”.
“La riduzione ad un massimo di quindici alunni per classe, (la media europea nella scuola primaria è di quattordici) –
 aggiunge Fraleone – consentirebbe non solo la salvaguardia della sicurezza e del distanziamento, ma anche il rilancio di un rapporto più attento e proficuo sul piano pedagogico, terreno minato dai provvedimenti che da alcuni decenni hanno investito la scuola italiana, subordinandola al modello aziendale”.

L’emendamento della Nugnes appare curioso proprio perché, come è noto, la legge di bilancio dovrà essere votata entro il 31 dicembre e quindi non c’è la benché minima possibilità che al Senato venga adottata qualsivoglia modifica.
Cambiare la legge ora, anche solo di una virgola, vorrebbe dire rimandarla alla Camera e quindi approvarla dopo il 1° gennaio con conseguenze di natura finanziaria e forse anche politica di non poco conto.
A meno che l’operazione della senatrice Nugnes non rappresenti l’anticipazione di decisioni di ben altra portata come per esempio il voto contrario alla fiducia, con tutto ciò che potrebbe comportare.

Va ricordato che Paola Nugnes era stata eletta nel 2018 nelle liste del Movimento 5 Stelle; un anno dopo è uscita dal Movimento, ha aderito ufficialmente al gruppo di Liberi e Uguali dichiarando di rappresentare, da indipendente, il Partito della Rifondazione Comunista in Senato.

Concorso DSGA e Legge di bilancio: assunzioni in aumento

da La Tecnica della Scuola

La Legge di Bilancio approvata alla Camera, che stanzia per la scuola oltre 3,7 miliardi, di cui 2,2 di spesa corrente e oltre 1,5 per investimenti, interviene anche sul tema del concorso per DSGA.

Concorso DSGA

Stabilisce il documento ministeriale: Viene incrementata, attraverso l’eliminazione del limite del 50%, la quota di idonei nelle graduatorie del concorso per Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi. Con questa misura aumenta il numero di assunzioni e la copertura dei posti vacanti.

Il provvedimento va a colmare i posti rimasti vacanti (per l’anno scolastico 2020/2021 parliamo di oltre 3000 unità con i pensionamenti) sui quali già il Decreto Agosto aveva tentato di porre rimedio ampliando la quota di idonei alle graduatorie del concorso (da utilizzare ai fini dell’immissione in ruolo) dal 30% al 50% dei posti messi a bando. Oggi quella quota limite viene del tutto rimossa, ponendo le basi per un sistema scuola più efficiente perché in grado di mettere risorse umane là dove servono.

Legge di bilancio, bastano 500 alunni per avere un proprio Dirigente

da La Tecnica della Scuola

Nella legge di bilancio approvata alla Camera (e in attesa di approvazione al Senato), alla scuola sono destinati oltre 3,7 miliardi, di cui 2,2 di spesa corrente e oltre 1,5 per investimenti.

Dimensionamento delle istituzioni scolastiche

Tra i provvedimenti più importanti che la Legge di Bilancio porta con sé le nuove regole per il dimensionamento degli istituti.

Se prima, infatti, avere un Dirigente Scolastico e un DSGA propri era possibile solo a fronte di un minimo di 600 studenti per istituto e 400 nelle piccole isole e nei comuni montani, oggi questa viene ridotta rispettivamente a 500 e a 300 studenti. Una misura che dà respiro alle scuole messe a dura prova dalla pandemia che da quest’anno potranno contare su risorse dirigenziali a tempo pieno, un’attenzione che avrà effetti immediati sull’efficienza degli istituti, anche alla luce dell’enorme burocratizzazione di sistema e di processo che i nuovi protocolli per la sicurezza hanno comportato.

In altre parole, dall’entrata in vigore di questa norma, saranno meno scuole a essere accorpate, a fronte di un numero maggiore di scuole che godrà i benefici dell’avere un proprio capo di istituto ed un Dsga.

La nuova educazione civica, tra diritti e digitale

da La Tecnica della Scuola

La legge 92/19 sulla Educazione Civica e le linee guida individuano nella Educazione alla cittadinanza digitale uno dei fondamenti della formazione alla cittadinanza. In tutti gli ordini di scuola.
Questo in coerenza con le ri-definizioni delle competenze chiave e delle competenze di cittadinanza a livello europeo (2018).

Dunque come insegnare la relazione tra la democrazia, la rete e i diritti a scuola? La legge sulla Educazione Civica e la cittadinanza propone come noto 3 filoni di sperimentazione. (VAI AL CORSO Democrazia, diritti e digitale, alla luce della Costituzione).

Innanzitutto è bene distinguere la Costituzione come progetto dalla democrazia reale.

La prima è un’idea e un ideale mai realizzati pienamente – la Democrazia non è un interruttore (sì/no) ma un grado di realizzazione di una serie di Diritti (e Doveri) e di condizioni (l’equilibrio fra i 3 poteri ad es); un progetto incompleto – Calmandrei; un promessa tradita– N. Bobbio.

Allora come insegnare il bel progetto di democrazia descritto dalla Costituzione, senza tener conto della realtà di una democrazia “malata” in difficoltà, classificata in 2 studi indipendenti, come una “democrazia con problemi” (insieme a USA e Giappone)?
Una ricerca/progetto didattico deve tener conto dei 2 aspetti per non dare un doppio messaggio o delle illusioni ai giovani, ma degli obiettivi.

D’altra parte che contributo dà la rete alla democrazia, allo sviluppo di diritti (talora alla ipertrofia di certi diritti come quello di espressione che diventa diritto all’insulto ed alla violenza – Zagrebelsky). Allargare diritti è un “passo verso la democrazia” ma la rete “non danna e non salva di per se” – Rodotà e quello che succede online non “è colpa della rete” – Bauman; se mai degli Stati e dei padroni della rete, oligopolisti che la sfruttano sulla nostra pelle e su quella di chi ci lavora.

In concreto:

Quali rapporti ci sono tra la rete e i nostri diritti, in crisi e no?

A quale cittadinanza digitale stiamo formando i nostri ragazzi alle varie età?

Il corso

Su questi argomenti il corso del nostro formatore Rodolfo Marchisio Democrazia, diritti e digitale, alla luce della Costituzione, in programma il 18 e il 21 dicembre.

Le riflessioni e le proposte di lavoro sono possibili sia in DaD che in classe. L’obiettivo è offrire una panoramica di idee di didattiche traversali e attive ai vari ordini di scuola.

Presentazioni, riflessioni, video e mappe interattive per interrogarci, riflettere far crescere come cittadini, informazioni e dati alla mano.

È opportuno rispondere insieme a una serie di domande:

Conosciamo davvero il mondo web in cui viviamo, come funziona e perché? Quali sono le conseguenze su di noi come cittadini e quali opportunità ci offre. Cosa significa veramente “digitale” parola che usiamo ogni giorno?

Come formare alla cittadinanza in una società a democrazia malata? Che rapporto c’è fra democrazia formale e democrazia reale. Può la rete salvare o almeno aiutare la democrazia?
Siamo cittadini o “consumattori”? Che controllo abbiamo dei nostri dati, del nostro linguaggio, dei nostri pensieri e delle nostre scelte?

Che rapporto c’è fra democrazia, diritti, Costituzione e web: in senso positivo (potenziamento di diritti) o negativo (post verità, fake news, bolle social, controllo dei dati, privacy). Cos’è il controllo sociale attraverso il web? Chi sono i cattivi padroni della rete? (Rampini). Perché il web non ha regole e chi lo controlla (Rodotà)? La rete aumenta il nostro diritto ad esprimerci, aldilà dello spazio e del tempo. È un bene o un problema (Eco)?

Ritorno a scuola del 7 gennaio: si rientra al 50%. Pubblicata ordinanza in Gazzetta Ufficiale

da Tuttoscuola

E’ ufficiale: il 7 gennaio gli studenti delle scuole superiori torneranno in classe, ma al 50%. E’ stata infatti pubblicata in Gazzetta Ufficiale l’ordinanza firmata lo scorso 24 dicembre dal ministro della Salute Roberto Speranza che definisce appunto le condizioni per l’imminente ritorno a scuola. De Micheli: “Il 7 gennaio il sistema di riorganizzazione degli orari e integrazione dell’offerta dei trasporti deve essere pronto per apertura al 75%, quando poi avverrà il meccanismo si completerà”. Ancora dubbi sul ritorno a scuola da parte dei sindacati.

Leggiamo in Gazzetta che “ai fini del contenimento dell’epidemia da COVID-19, le istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado adottano forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica, in modo che, dal 7 gennaio al 15 gennaio 2021, sia garantita l’attività didattica in presenza al 50 per cento della popolazione studentesca. La restante parte dell’attività e’ erogata tramite la didattica digitale integrata”. L’ordinanza “produce effetti dal giorno successivo alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e fino al 15 gennaio 2021”.

Intanto la ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, ha ammesso, in audizione alla Camera, che “l’avvio dell’anno scolastico rappresentava e rappresenta un momento di elevata criticità”. Per De Micheli, però, “il 7 gennaio il sistema di riorganizzazione degli orari e integrazione dell’offerta dei trasporti deve essere pronto per apertura al 75% quando poi avverrà il meccanismo si completerà. In quasi tutte le province italiane i prefetti hanno già provveduto a scrivere i verbali di riorganizzazione della riapertura delle scuole”.

Verbali che non sembrano trovare consenso ovunque. Mario Rusconi, per esempio, presidente dell’Anp Lazio, ha dichiarato che “le indicazioni prescrittive del prefetto di Roma non possono trovare piena attuazione data la complessità del sistema che riguarda il funzionamento delle scuole Superiori”. Per i presidi nel Lazio le scuole non riuscirebbero a rispettare l’ordinanza prefettizia, almeno per quanto riguarda gli scaglionamenti.

“In alcune scuole –  lamenta Rusconi – i ragazzi terminerebbero le lezioni tra le 17 e le 18 senza aver pranzato e poi non abbiamo il piano riguardante i mezzi di trasporto: sappiamo che ci sono corse in più ma non abbiamo capito distribuite come e non sappiamo se allo spostamento d’orario di entrata e d’uscita dei ragazzi corrisponderà lo spostamento degli orari dei trasporti. Insomma: la ripresa della scuola il 7 gennaio la vedo complicata”.

D’accordo con l’Anp sarebbero anche i sindacati Flc-Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, che hanno lamentato una esclusione delle parti in causa e un eccesso di potere al Viminale. “La situazione che si è determinata nel Lazio (come, presumibilmente, in altre regioni) – hanno scritto i cinque sindacati – consegue alla discutibile scelta, operata dal DPCM del 3 dicembre, di commissariare de facto il sistema scolastico. Non sfugge a nessuno che il DPCM, nello spostare il centro delle decisioni dai tavoli per la sicurezza nelle scuole ai tavoli prefettizi, esautora contemporaneamente Regioni, Amministrazione Periferica dello Stato e Parti Sociali dalle proprie competenze costituzionali e istituzionali e affida al Ministero degli Interni la gestione della ripresa dell’attività scolastica”.

Manovra: si investe nella formazione digitale dei docenti

da Tuttoscuola

Lo scorso 27 dicembre è stato dato il via libera della Camera dei deputati alla Legge di Bilancio. Il testo prevede 40 milioni per la digitalizzazione, insieme a ulteriori risorse per potenziare l’azione amministrativa e didattica nelle scuole, anche con l’impiego degli animatori digitali e delle nuove tecnologie. Sono confermate e potenziate le équipe formative territoriali dei docenti, che si occupano dell’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale, per accelerare i processi di innovazione nelle scuole, promuovere la formazione del personale e potenziare le competenze di studentesse e studenti sulle metodologie didattiche innovative e sulla didattica digitale integrata. Con gli emendamenti approvati alla Camera sono stati poi stanziati 20 milioni di euro per concedere per un anno agli studenti meno abbienti, in comodato d’uso gratuito, un dispositivo mobile dotato di connettività o un bonus del medesimo valore.

Esprimo soddisfazione per l’approvazione da parte del Governo dell’ODG sulla formazione digitale dei docenti della scuola italiana. Il Digital Economy and Society Index – DESI, l’indicatore che riassume il livello di digitalizzazione dei paesi europei, colloca infatti, l’Italia per il 2019 al venticinquesimo posto tra i 28 Stati che compongono l’Unione europea“. Lo afferma in una nota Valentina Aprea, deputata di Forza Italia e responsabile del Dipartimento Istruzione del movimento azzurro.

La parlamentare, dopo aver notato che l’Italia rimane ben al di sotto della media europea per quanto riguarda la diffusione delle competenze digitali e che da questo grave ritardo non sono esclusi i più giovani, osserva che proprio per questo assume un ruolo centrale la formazione dei docenti che per primi devono essere messi in grado di  favorire l’introduzione dell’innovazione didattica e metodologica nel sistema di istruzione.

Così pure non si può continuare a ignorare, aggiunge Aprea, che “la programmazione informatica – il Coding – sia una materia fondamentale per le nuove generazioni di studenti per alfabetizzarli ai linguaggi delle tecnologie e dominarle, e rappresenta la quarta abilità di base  della scuola, in continuità e non in contrapposizione con le abilità tradizionali del leggere, scrivere e far di conto“. Per questo, insiste, “occorre predisporre per l’anno scolastico 2021-2022 un piano straordinario di formazione per tutto il personale docente in servizio sull’innovazione digitale, al fine di sensibilizzarlo all’uso delle nuove metodologie didattiche e per lo sviluppo delle competenze digitali“.

Solo in questo modo, conclude la parlamentare, che prima di dedicarsi alla politica è stata dirigente scolastica, diventa possibile fissare per l’anno scolastico 2022-2023 l’introduzione obbligatoria dell’insegnamento del Coding nelle scuole a partire dalla scuola primaria, in modo da formare cittadini che sappiano utilizzare accanto ai codici tradizionali della lingua orale e scritta, anche quello del digitale, che è proprio di questo tempo.