RECOVERY PLAN

RECOVERY PLAN: LE PROPOSTE DELL’ANP

L’ANP accoglie con favore la notizia odierna dell’aumento delle risorse del Recovery Plan destinate all’istruzione. La stampa riporta un incremento di quindici miliardi per le politiche sociali. L’istruzione e la ricerca sono uno dei comparti interessati: dagli originari 19,2 miliardi (condivisi con il MUR) si dovrebbe arrivare a circa 24 di cui 5 destinati principalmente al potenziamento della didattica, del diritto allo studio, della formazione e del dialogo impresa/Università. 

È innegabile che si tratti di risorse significative che il Paese non può permettersi di disperdere impegnandole in una progettualità frammentata e priva di coerenza.  

Un recente rapporto di Save the children riferisce che, in merito al Recovery Planragazzi e ragazze sembrano essere particolarmente attenti e interessati. Il 69% di loro, infatti, ha sentito in qualche modo parlare del Next Generation EU e una gran parte degli intervistati guarda con interesse alle possibilità che potrebbe offrire per il loro futuro. La loro speranza è che, attraverso questo Fondo, vengano incrementati i finanziamenti soprattutto per l’ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani.  

Diventa, dunque, un atto di responsabilità etica collettiva tenere conto di queste aspettative partendo da alcuni dati che impongono scelte coraggiose e di prospettiva. 

Un primo dato è quello riguardante la povertà educativa e l’abbandono scolastico: il rapporto segnala che, secondo il 28% degli intervistati, dal lockdown di primavera c’è almeno un proprio compagno di classe che ha smesso completamente di frequentare le lezioni e che, per il 7%, i compagni di scuola che non frequentano regolarmente a partire dal lockdown sono tre o più di tre. Inoltre, il 35% ritiene che la propria preparazione scolastica sia peggiorata e che uno su quattro abbia la necessità di recuperare diverse materie. 

Il secondo dato concerne la denatalità: uno studio della Fondazione Agnelli prevede la riduzione della popolazione scolastica da qui a dieci anni di circa 1.100.000 unità. Ciò porterà alla perdita di circa 37.000 classi e di 55.000 docenti. 

Il terzo dato, infine, risiede in una constatazione inevitabilmente imposta dalla realtà: la scuola del post COVID non potrà essere la stessa di prima. Si sono utilizzate in via ordinaria e generalizzata metodologie e tecnologie didattiche che in precedenza erano dominio di un numero relativamente ristretto di docenti; sono stati modificati l’organizzazione e i tempi del lavoro; abbiamo verificato l’impatto di queste trasformazioni sui nostri studenti e sul loro stile di apprendimento. 

Alla luce di tali indicatori sociali, l’ANP ritiene, come già sostenuto in precedenza, di fondamentale importanza che il Piano nazionale di ripresa e resilienza preveda i seguenti interventi. 

“L’ambiente insegna” 

Sull’edilizia scolastica occorre intervenire sia sulla messa in sicurezza degli edifici, sia sull’ammodernamento degli ambienti di apprendimento. La riduzione della popolazione studentesca, d’altra parte, fornisce l’occasione per intervenire sugli spazi esistenti modificandoli e rendendoli adeguati a tempi e modalità di apprendimento diversi a garanzia della centralità dello studente. Come afferma il Presidente dell’INDIRE, stiamo infatti andando verso una nuova organizzazione della scuola, una scuola che ancora non conosciamo, che immaginiamo e che dovrà essere realizzata dalle capacità e creatività progettuali di architetti e ingegneri ma soprattutto pensata e progettata secondo un chiaro e definito orizzonte di innovazione del modello didattico (Edilizia scolastica e spazi di apprendimento: linee di tendenza e scenari, WP n. 61 /19, Fondazione Agnelli, pag. 5). L’auspicabile evoluzione delle scuole verso la tipologia del civic center si gioverebbe, da un lato, della possibilità di utilizzare il surplus di personale docente determinato dal calo demografico e, dall’altro, stimolerebbe la sottoscrizione di patti educativi di comunità per creare una scuola a tempo pieno e inclusiva in grado di fronteggiare il fenomeno della povertà educativa. 

Riteniamo che la banda larga, a questo punto, sia indispensabile come riforma infrastrutturale di sistema non solo per le scuole ma anche e soprattutto per modernizzare il paese e garantire il diritto di lavorare e di studiare da ogni luogo. 

Contrasto all’abbandono e alla povertà educativa 

In vista del contrasto all’abbandono e alla povertà educativa occorre investire, oltre che sugli ambienti di apprendimento, richiamandosi anche al principio di personalizzazione.  Ad esso va data concretezza mantenendo invariati gli organici, nonostante il decremento della popolazione studentesca, e adottando un piano di formazione continuo, strutturale e permanente da destinare al personale docente. 

Sempre nell’ottica del miglioramento dei processi formativi degli studenti, considerato che parte delle risorse del Recovery Plan riguardano anche l’Università, è auspicabile una maggiore attenzione ai percorsi abilitanti per l’insegnamento: occorrono più docenti e meglio formati già in ingresso, come l’esperienza di questo anno scolastico ha dimostrato. L’incremento degli organici, infatti, ha spesso amplificato la difficoltà di reperire personale docente e non sempre ha segnato un aumento della qualità del servizio erogato. Ciò si traduce nella perdita di preziose ore curricolari, andando a ledere il diritto allo studio e aumentando le sperequazioni. 

Introduzione del livello professionale dei “quadri” e di una carriera per docenti 

Al fine di migliorare l’efficacia dell’azione educativa e la governabilità delle scuole, è indispensabile attrarre i migliori laureati, introducendo – preferibilmente all’interno del CCNL della dirigenza – il livello dei “quadri” e creando così finalmente una vera leadership diffusa. La governabilità delle scuole, infatti, è gravemente ostacolata da un elemento quantitativo: ogni dirigente scolastico deve gestire in media 125 dipendenti senza potersi avvalere di figure intermedie (il cosiddetto middle management) di adeguata professionalità. Il lavoro di questi “nuovi” dipendenti dovrebbe essere costituito integralmente proprio dallo svolgimento delle funzioni amministrative e organizzative delegate e/o assegnate loro dal dirigente in relazione ai vari compiti gestionali (personale, sicurezza, appalti, informatizzazione ecc.). Da qui la necessità di assumere questi “quadri” in ragione di almeno uno ogni 30 dipendenti, con previsione di un percorso agevolato di inquadramento iniziale, in tale livello, degli attuali DSGA e dei docenti che hanno ricoperto le funzioni di “collaboratore”.  

Si rende sempre più necessaria, inoltre, una differenziazione delle funzioni dei docenti finalizzata alla gestione delle nuove complessità progettuali ed organizzative proprie delle istituzioni scolastiche di oggi. Tale differenziazione va espressa anche attraverso una carriera dotata di progressione economica. L’ANP ritiene ancora attuale la propria proposta, risalente agli albori della autonomia scolastica, di strutturare in tre livelli la professione docente – da un livello iniziale ad un livello esperto – per chi si impegna nel miglioramento didattico, nella ricerca e nella formazione. Solo il riconoscimento di uno sviluppo professionale permette di capitalizzare le esperienze acquisite dal docente in funzione dell’efficienza e dell’efficacia della scuola come servizio pubblico. 

Potenziamento del personale ATA 

La progressiva digitalizzazione degli adempimenti amministrativi, accelerata dall’attuale emergenza, ha modificato gli scenari del lavoro in termini di organizzazione e tempi: è necessario un cambio di passo nella macchina amministrativa incidendo sui requisiti per il reclutamento del personale ATA, favorendo l’attuazione della Tabella A del CCNL 2007 del comparto Scuola con l’assunzione di dipendenti inquadrati al livello C, rendendo strutturale la dotazione degli assistenti tecnici negli istituti del primo ciclo, aumentando le dotazioni organiche di tutto il personale ATA e definendo piani pluriennali di formazione correlati a specifiche risorse da assegnare alle singole scuole. 

Armonizzazione della retribuzione dei dirigenti scolastici 

Il Recovery Plan è, infine, l’occasione per mettere in campo una misura, ispirata a una visione strutturale, che prosegua l’azione di armonizzazione della retribuzione dei colleghi con quella degli altri dirigenti dell’area “istruzione e ricerca”. Va superato definitivamente uno scostamento ingiusto e irragionevole, specie se riguardato alla luce delle responsabilità e dei compiti gravanti sulla dirigenza delle scuole, ulteriormente evidenziati dall’attuale emergenza. 

Confidiamo che il Paese sappia cogliere l’occasione che il Recovery Plan rappresenta. Abbiamo il dovere di non deludere quelle aspettative dei nostri giovani di cui parla il rapporto citato in apertura. Parafrasando un famoso detto, non abbiamo ereditato queste risorse dai nostri padri ma le stiamo prendendo in prestito dai nostri figli.  

La democrazia sotto attacco!

La democrazia sotto attacco!

di Maurizio Tiriticco

Ieri, sei gennaio, Washington, Campidoglio: un violento attacco alla democrazia! E non solo a quella degli Stati Uniti! Ma a tutte le democrazie del Pianeta! Fa orrore vedere folle di ignoranti incivili attaccare e devastare la sede più importante della democrazia statunitense! Mai un episodio simile, a partire da quel 4 luglio 1776, quando dai delegati al secondo congresso continentale fu votata la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America.

Che cosa è accaduto negli Stati Uniti in questi ultimi anni di amministrazione trumpiana? Mi preoccupa una deriva dittatoriale che, se dovesse procedere, affiancherebbe gli Stati Uniti alla Russia e alla Cina, attualmente Paesi non propriamente modelli di libertà e di democrazia! E la nostra Europa sarebbe così stretta da tre grandi dittature? Nooo!!! Maiii!!! Allora teniamoci stretta questa Unione Europea, anche con tutti i suoi difetti! Ed anche se l’arroganza di uno statista britannico ha scagliato la prima pietra per distruggerla! Alludo, ovviamente, a quell’Alexander Boris de Pfeffel Johnson, leader del Partito Conservatore e primo ministro del Regno Unito.

Quando ero in servizio come ispettore del Ministero dell’Istruzione, ho sempre lavorato, nelle opportune sedi della Comunità Economica Europea prima e della Unione Europea poi – o a Strasburgo o a Bruxelles, a volte anche a Parigi – per l’attivazione e la diffusione nelle scuole europee della cosiddetta Dimensione Europea dell’Educazione, che dovrebbe anche oggi costituire uno dei pilastri dell’Educazione Civica, disciplina, purtroppo, quasi sempre ignorata nelle nostre scuole! E’ triste! I nostri studenti devono sapere tutto delle Guerre Puniche e delle Guerre d’Indipendenza, ma possono ignorare i primi dodici articoli della nostra Costituzione, quelli che ne sanciscono i “principi fondamentali” E nulla sanno dei due Trattati di Roma del lontano 1957! Perché, non a caso, proprio a Roma – capitale di un Paese che eppure aveva perso la guerra – nacque il primo nucleo di quella che poi è diventata l’Unione Europea.E ciò poté accadere perché la Resistenza ci aveva riscattato dall’ignominia della dittatura fascista e dell’avventura bellica in cui Mussolini ci aveva condotti!

Ecco in dettaglio i contenuti dei due trattati: a) il Trattato che istituì l’Euratom, ovvero la Comunità europea dell’energia atomica: b) il Trattato che istituìla CEE, la Comunità Economica Europea, oggi Unione Europea. Ed è importante sottolineare che la Formazione Professionale allora venne intesa e descritta come leva delle politiche del lavoro. Ma forse più al servizio del mercato che della persona: resisteva allora il concetto della FP come addestramento all’uso delle macchine nei processi lavorativi. Concetto oggi assolutamente superato, almeno credo: stante in primo luogo lo sviluppo delle tecnologie.

E non dobbiamo neanche ignorare il Trattato di Maastricht del 1992! Perché in quell’anno nacque concretamente l’Unione Europea: con quell’atto politico si balzava dalla dimensione economica – che pur ci aveva salvato dalla notte in cui la guerra fascista ci aveva gettati – a quella più propriamente politica. E l’istruzione venne intesa come uno dei primi fondanti fattori di sviluppo! Ovvero, come quella dimensione culturale che potesse e dovesse implementare ed arricchire quella puramente economica! Mi piace ricordare che, con l’avvio della Dimensione Europea dell’Educazione, non si intendeva affatto modificare gli ordinamenti scolastici dei singoli Paesi, ma si intendeva sottolineare la necessità di individuare tre percorsi curricolari comunia tutti gli studenti europei. 1) le origini storiche, culturali, civili dell’Europa; 2) lo sviluppo della ricerca scientifica e delle tecnologie; 3) la diffusione delle competenze linguistiche.

E in seguito ci fu un secondo Maastricht! Quando il 15 dicembre del 2004 ben 32 ministri dell’istruzione europei sottolinearono la necessità di giungere ad un sistema unitario di formazione e qualificazione professionale al fine di rilasciare certificazioni leggibili e spendibili in tutti i Paesi dell’Unione. Insomma, per l’Europa come nazione comune abbiamo seminato tanto, ma… quanto abbiamo raccolto? Non so! E avolte mi chiedo anche: ma i nostri concittadini queste cose le sanno? E la nostra Ministra Azzolina queste cose le sa? Comunque, in questa notte che si è abbattuta sugli USA, non dimentichiamo che l’Europa, l’Unione Europea, oggi composta di 27 Paesi – dopo l’addio che ci ha dato la Gran Bretagna – deve assolutamente costituire a livello mondiale un inattaccabile presidio di libertà.

Sperando sempre cha la parte migliore del popolo degli Stati Uniti prevalga sugli scalmanati sostenitoridi un certo Trump, un ex Presidente che non vuole arrendersi alla sconfitta!

Le Frontiere Epigenetiche della Immunologia

Le Frontiere Epigenetiche della Immunologia

Paolo Manzelli , www.egocrea.net  – 06/01/2021.

La in-formazione “Epigenetica” ( dal Greco EPI =  Oltre  i Geni) è derivante da:  il cambiamento ambientale, dalla qualita’ dell’ aria che respiriamo e dell’ acqua che beviamo e del cibo …ecc… , elementi che regolano complessivamente la espressione Genetica affinché l’informazione contenuta nel DNA venga correttamente tradotta in proteine. (1.)

L’immunità si basa sulla ampia eterogeneità delle cellule immunitarie e sulla loro capacità di rispondere alle differenti sfide dei patogeni.

La regolazione Genica del sistema immunitario è quindi in funzione della flessibilità della in-formazione Epigenetica che  individua i  codici che permettono l’attivazione ovvero  l’inattivazione dei geni necessari per la sintesi molteplici anticorpi i quali successivamente catalizzano  i linfociti T e le cellule Natural killers per eliminare  gli agenti patogeni.

Quando questi sistemi complessi di regolazione Epigenetica. che proteggono la vita del nostro organismo, vengono alterati dall’ introduzione di “Vaccini Genetici”(2.) di nuova Generazione proprio in quanto la  flessibilita’ naturale della risposta immunitaria Umana, viene rimodulata “ innaturalmente”  dai  Vaccini Genetici che inducono la produzione di Proteine Transgeniche quali quelle dello lo SPIKE .  (3.)

Tale produzione di anticorpi da “naturale diviene “adattativa ad un inganno” perpetrato da limitate conoscenze Tecnologiche che fanno riferimento allo “Stratagemma del Cavallo di Troia” , con le quali si  sottovaluta il rischio che  l’esito a “lungo termine” prodotto dal Vaccino Genetico  sia   quello di indebolire nel tempo la flessibilità del “sistema immunitario naturale”.

 Di conseguenza il Piano di Vaccinazione di Massa dei  “Vaccini Genetici”  aumenta  il  rischio per ciascun individuo di  non avere piu’ a disposizione la fessibilita’ immunitaria naturale necessaria reagire alla  mutazione del Virus ed inoltre di  divenire soggetti a molte infezioni e malattie, proprio in quanto  la “memoria del  sistema immunitario naturale” non funzionera’  piu’ come dovrebbe di fronte a nuove ed imprevedibili sfide immunitarie future.

NB: Vota per la ABOLIZIONE del Brevetto sui Vaccini su Change.Org.

 (  http://chng.it/yYKv79v7  )

—————————————Grazie Buon Anno 2021

(1) Epigenetica Virale – https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=138606

(2.)- Vaccini Genetici – https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=139498

(3.)- Spin& Spike – https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=139185

Ritorno in classe e recuperi estivi: contrario il 70% degli insegnanti

da Il Sole 24 Ore

di Claudio Tucci

Davanti a una ripresa delle lezioni “a spezzatino”, a cui andremo incontro da oggi ad almeno il 31 gennaio, da una fetta del mondo della scuola, vale a dire gli insegnanti, arrivano due messaggi piuttosto chiari. Il primo, è che per la stragrande maggioranza dei docenti, il 70,4% per l’esattezza, scuole e università vanno tenute chiuse fino a emergenza sanitaria rientrata. E quindi, avanti con la didattica integrata digitale, seppur tra mille difficoltà di connessione e nonostante l’impegno, in direzione opposta, di governo, regioni, presidi a riportare tutti in classe, in sicurezza, il prima possibile. Il secondo messaggio, che suona anche come un «Alt» preventivo a qualsiasi ipotesi, circolata nei giorni scorsi (si veda anticipazione sul Sole24Ore del 20 dicembre), di allungare le attività didattiche almeno fino al 30 giugno (con eventuali sconfinamenti anche nella prima metà di luglio) per recuperare gli apprendimenti persi in questi mesi: alla domanda, esplicita, se gli studenti devono svolgere attività di recupero estive, la risposta «Sì» è stata data da appena il 30,2% dei professori.

La fotografia è stata scattata da un’indagine dell’Inapp, a cui hanno partecipato un migliaio di docenti in servizio al momento della chiusura di scuole e università per via dell’aggravarsi della situazione sanitaria.

Ebbene, le lezioni on line, che l’esecutivo ritiene debbano essere complementari alla didattica in presenza, sono sostanzialmente, e anche un po’ a sorpresa, promosse dai professori. Tanto è che un numero rilevante di insegnanti (46,5%) ha dichiarato di voler approfittare dei benefici delle piattaforme digitali per attività come i colloqui con studenti e genitori, i collegi docenti, ad esempio; e, in generale, ha aggiunto il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, «si conferma la volontà di continuare a utilizzare le tecnologie Ict anche quando, si spera presto, la pandemia sarà sconfitta». Certo, la formazione del corpo docente è, per forza di cose, centrale, visto che, come ha ricordato anche l’Ocse, solo 1 prof italiano su quattro ha competenze Ict di base in grado di garantire agli studenti una adeguata formazione informatica (in Europa 3 su 5).

L’analisi Inapp ha confermato poi gli storici nodi della nostra scuola, vale a dire organici insufficienti, inadeguata dotazione strumentale, insegnanti con la maggior presenza di over50 tra i paesi Ocse: il 59% dei professori ha infatti più di 50 anni, e sono appena lo 0,5% i professori con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni.

Un altro aspetto da evidenziare è una così ampia contrarietà dei docenti ai corsi estivi per il recupero degli apprendimenti, persi, in tutto o in parte, in questi mesi, dai ragazzi. In Italia, a onor del vero, manca un dato ufficiale sul gap formativo, considerato come lo scorso anno le prove Invalsi non sono state svolte (per quest’anno una decisione non è ancora stata presa).

Il tema delle competenze è altrettanto centrale, visti anche i primi campanelli d’allarme che arrivano dalle indagini internazionali e che hanno evidenziato una perdita di apprendimenti forte, soprattutto in matematica e nella lingua madre, per effetto delle misure restrittive dovute al Covid-19 e delle lezioni da remoto, altrove meno prolungate che da noi. Sul punto, si rischia di ripetere lo stesso film di settembre, quando dovevano partire i corsi di recupero delle insufficienze di giugno. Ebbene, in tante scuole questi corsi non si sono proprio fatti. Il perchè lo spiegano i presidi: «Per la contrarietà dei docenti, a fine estate, a svolgerli in presenza, dopo che il ministero dell’Istruzione li aveva considerati attività ordinaria», e quindi non retribuita. Una scelta che, probabilmente, è alla base oggi anche delle risposte all’indagine Inapp.

Sull’11 gennaio tutti contro il governo Oggi 5 milioni in aula

da Il Sole 24 Ore

di Cl. T.

Infanzia, elementari e medie riaprono oggi in tutta Italia, con pochissime eccezioni, riaccogliendo in presenza, dopo la pausa di Natale, circa 5 milioni di ragazzi. Al momento, si va avanti così per qualche giorno in attesa delle decisioni sanitarie (nelle eventuali nuove zone rosse vanno in didattica a distanza seconda e terza media).

Per le superiori, oggi, domani e sabato si riparte da remoto al 100%; mentre da lunedì 11 gennaio gli studenti tornano in presenza al 50% (nelle eventuali zone rosse la Dad è al 100%). Resta ovviamente ferma, ha chiarito ieri una nuova circolare del ministero dell’Istruzione, la possibilità di svolgere a scuola l’attività laboratoriale o accogliere studenti con disabilità e con bisogni educativi speciali (vista la delicatezza di mantenere la relazione educativa).

Fin qui le regole nazionali, dopo le ultime modifiche apportate dal governo. Ma giorno dopo giorno avanza il fronte delle regioni che, nella loro autonomia, in contrasto con le decisioni dell’esecutivo, stanno procedendo diversamente. A Veneto, Friuli Venezia Giulia e Marche, che hanno già fatto sapere di mantenere in Dad gli studenti delle superiori fino al 31 gennaio, si è unita la Calabria, che ha deciso di lasciare in remoto anche il primo ciclo fino al 15 gennaio. Sardegna e Basilicata lo stanno valutando in queste ore, come l’Umbria dove la riapertura in presenza delle superiori potrebbe slittare a metà gennaio. Il Piemonte lo ha già deliberato: gli studenti delle superiori tornano in classe non prima del 18 gennaio «compatibilmente con l’andamento dell’epidemia». Elementari e medie sono in presenza da oggi.

Linea di maggiore prudenza in Campania, che ha stabilito un rientro graduale: lunedì 11 gennaio riaprono infanzia e le prime due classi della primaria. Dal 18 sarà valutata la possibilità del ritorno in presenza per l’intera scuola primaria e dal 25 gennaio, per la secondaria di primo e secondo grado. In Puglia il governatore Michele Emiliano ha stabilito la didattica integrata a distanza fino al 15 gennaio.

A oggi, e salvo ripensamenti dell’ultima ora, le regioni che si sono attenute alle indicazioni del governo sulle superiori, vale a dire rientro lunedì 11 gennaio al 50%, sono: Lazio, Abruzzo, Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Liguria, Sicilia.

Su questo “spezzatino” pesa, come detto, l’incognita del virus; unita alle polemiche che anche ieri non sono mancate. Oggi protestano davanti Montecitorio i sindacati della scuola. Pure Fi è critica sul fronte vaccinazioni: «Docenti e personale scolastico vanno inseriti subito – ha detto l’ex ministro, oggi capogruppo azzurro alla Camera, Mariastella Gelmini -. Altrimenti, non facciamo finta di dar loro una corsia preferenziale».

Covid-19, niente esame di maturità in Gran Bretagna: vale il voto dei prof

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Niente esami di maturità (A-levels e Gcse) quest’anno per gli studenti dell’ultimo anno delle scuole secondarie in Inghilterra a causa della chiusura di tutti gli istituti imposta per ora a tempo indeterminato fra le misure dal terzo lockdown anti Covid nel Regno: chiusura da cui sono esentati solo i figli dei lavoratori dei servizi d’emergenza e accompagnata invece per la generalità degli alunni da lezioni online a distanza. Lo ha annunciato Gavin Williamson, ministro dell’Istruzione del governo Tory di Boris Johnson, rispondendo alle sollecitazioni alla chiarezza in materia delle opposizioni e di vari deputati di maggioranza nel dibattito parlamentare sul confinamento.

Basta il voto dei professori
Gli esami non saranno sostituiti da alcuna valutazione elettronica automatica gestita da algoritmi, come si provò a fare l’anno scorso in coda alla prima ondata della pandemia, secondo un meccanismo rivelatosi fallimentare e revocato alla fine tra le polemiche. Bensì dalla semplice valutazione finale degli insegnanti interni, ha assicurato Williamson, ricordando di avere in prima persona una figlia che perderà l’appuntamento con la maturità.

L’iscrizione all’università
Resta da vedere come queste valutazioni saranno recepite dalle università, che in Gran Bretagna filtrano di regola le iscrizioni dei neo-maturati attraverso la verifica esterna dei risultati d’esame garantita dal sistema Gcse o da quello degli A-levels. Il ministro ha anche annunciato, accogliendo una proposta del Labour, la cancellazione secca dei Sats, equivalenti agli esami di licenza elementare nelle primarie del Regno Unito.

Germani (Anquap): personale pronto a riaccogliere gli studenti

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

«Da un punto di vista delle attività interne le scuole sono pronte a riaccogliere gli alunni, anche al 100% nelle scuole del secondo ciclo», così Giorgio Germani, presidente di Anquap (Associazione nazionale quadri delle amministrazioni pubbliche), che raccoglie le adesioni dei Direttori Sga e degli assistenti amministrativi che lavorano nelle scuole.
«Il punto è il modo in cui gli studenti arrivano a scuola, e come poi, terminate le lezioni, tornano a casa. E questo riguarda soprattutto le scuole superiori, che registrano una domanda di mobilità elevata che il trasporto pubblico, soprattutto con la pandemia in corso, non riesce a soddisfare. I Direttori SGA ed il personale amministrativo delle scuole sono disponibili e attrezzati a fare quanto serve perché gli istituti riaprano, anche a fare turnazioni più flessibili di quelle a cui siamo normalmente abituati. Occorre chiarezza in merito a quando, e in quale orari, si dovranno riaccogliere gli studenti. Certo è che proseguire sine die con la Didattica digitale integrata non può essere la soluzione.«Noi ce la metteremo tutta perché i ragazzi tornino a far lezione in presenza», conclude Germani. «Abbiamo già perso quasi l’intero primo quadrimestre dell’anno scolastico 2020/2021, è necessario evitare di perdere ulteriore tempo».

Ripartire (subito) dai dati

da Corriere della sera

Paolo Giordano

Due ore di Consiglio dei ministri partoriscono una dilazione di quattro giorni nell’apertura delle scuole superiori. Poche ore prima di quella decisione, veniva dato l’annuncio di possibili «zone bianche» in cui, così s’ipotizza dal nome, il contagio praticamente non c’è. Il coordinatore del Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo si augura una decrescita della curva da metà mese, ma tutti noi ci prefiguriamo in zona gialla da lunedì. Intanto i principali indicatori dell’epidemia dicono tutt’altro e i contagi giornalieri restano sopra diecimila. Sembrava impossibile superare certi culmini di confusione dei mesi scorsi, ma ci siamo riusciti.

Singolare è soprattutto lo stravolgimento del principio di causalità: siamo costretti a estrapolare le informazioni alla base delle decisioni dalle decisioni stesse, e non viceversa. Mai che venga presentata una situazione e da quella ci si muova a determinate conseguenze. Mai che vengano chiariti dei criteri e, in ragione di quelli, siano poi enunciate le misure. Perché aprire le scuole superiori l’11 gennaio e non il 7? E perché non il 18 o il primo febbraio allora? Perché l’ipotesi del 50% in presenza al posto del 75%? Su quale proiezione di quale modello sono formulati questi scenari? Quali sono gli elementi fattuali e quali quelli interpretativi?

Ciò che ci sentiamo di scommettere — ma di scommessa si tratta — è che il Cts e il governo considerino le vacanze attuali come una scatola sigillata, dalla quale potrebbe saltare fuori un po’ di tutto: un crollo dei contagi (come i dati sulla mobilità farebbero sperare), oppure un loro aumento (come è lecito temere dalle pur ridotte riunioni famigliari e dalla mancanza di controllo sugli isolamenti fiduciari), o magari un democratico plateau. Non ne hanno idea, perché le norme erano costruite in modo tale da non poterla avere. Quindi aspettiamo, e in base a quel che sarà, agiremo.

Nel mezzo di questa negoziazione un po’ misera sulle date di apertura, e in quest’ultimo tempo rosso, conviene approfittarne per tentare almeno un minimo di ordine. Ammettendo innanzitutto, e purtroppo, che l’incertezza decisionale sulle scuole superiori riflette l’incertezza scientifica che ne è alla base. Il 30 dicembre l’Istituto superiore di sanità ha pubblicato un report ampio sull’incidenza delle scuole sull’epidemia, possiamo supporre che il dibattito istituzionale delle scorse ore ruotasse attorno a quello. Peccato che di evidenza, nel report, ne compaia poca: 3.173 focolai documentati e chiaramente riconducibili all’ambito scolastico, che costituirebbero circa il 2% di quelli totali; la circolazione fra adolescenti sensibilmente più ampia di quella tra bambini (ma questo lo sospettavamo da aprile); Rt che un po’ aumenta con l’apertura delle superiori, ma forse non così tanto, ma forse abbastanza per pensarci su due volte, soprattutto se giochiamo la nostra socialità su valori di Rt sempre pericolosamente vicini alla soglia critica. Ma i focolai scolastici sono, per ammissione stessa del report, sottostimati, e non abbiamo alcuna idea di quanto. Gli studi epidemiologici italiani legati alle scuole sono deboli e controvertibili, quelli stranieri sono avvenuti in setting difficilmente confrontabili e comunque danno risultati talvolta opposti. È difficile da accettare, ma oggi, gennaio 2021, ci troviamo in una situazione di consapevolezza riguardo alla trasmissione fra la popolazione giovane non molto diversa da quella congetturale che avevamo in primavera.

Eppure, parlare di incertezza scientifica non costituisce un alibi perfetto, perché la nostra incertezza riguardo ai contagi scolastici potrebbe essere molto meno grave di com’è. Ha delle cause specifiche in ciò che non è stato fatto nei mesi passati, quando ci sarebbe stata la possibilità di attivare un sistema di monitoraggio delle scuole omogeneo ed esaustivo, accanto agli screening che in molti chiedevano. Un sistema radicalmente diverso da quello farraginoso, lacunoso e spurio messo invece in campo, che oggi ci consegna pochi dati e poco servibili. L’insistenza sulla raccolta, la pulizia e la trasparenza dei dati, con tanto di petizioni firmate da scienziati, giornalisti e altri cittadini, non era quindi un puntiglio accademico, ma forse lo si capisce bene solo oggi.

Tutto questo dovrebbe servire da monito per quanto riguarda la presenza della variante B117. Le rassicurazioni vaghe che ci vengono date hanno il sapore insipido e sospetto di altre ricevute in passato. La verità: non conosciamo la reale diffusione della variante sul nostro territorio, una variante che, è bene ricordarlo, sembra incidere significativamente sulla rapidità di contagio e potrebbe — sottolineo «potrebbe» — rendere anche i bambini vettori più efficaci. E non ne conosciamo la diffusione, di nuovo, per mancanza di dati. Per capire se un soggetto positivo sia portatore o meno della variante, infatti, occorre il sequenziamento del genoma virale ricavato dal tampone. Ma in Italia il sequenziamento viene effettuato su un numero molto basso di casi. Stando ai dati pubblici, circa la metà di quanto sequenziano percentualmente Francia e Germania. Un quinto degli Stati Uniti. Un centesimo del Regno Unito. Per sapere quali varianti sono presenti, quanto diffuse e dove prima che ci esplodano in faccia, occorrerebbe sequenziare molto di più. Invece siamo quasi ciechi sulle mutazioni del virus. Un’altra cosa che si sapeva, ma non è stata fatta.

Per ora, il poco che sappiamo e il tanto che non sappiamo ci dicono, purtroppo, che il mantra della ministra Azzolina, «le scuole sono luoghi sicuri», è privo di reale fondamento. Perché «scuola», a livello epidemiologico, significa molto più dell’ambiente classe in cui tutti sono seduti composti e distanziati con la mascherina, significa più del perimetro dell’edificio in cui si svolgono le lezioni. A più riprese ci siamo dimostrati incapaci di organizzare, perfino di comprendere, quella nebulosa complessa, perciò siamo costretti a scegliere sempre la via di maggiore cautela. Soprattutto per le scuole superiori. Fino a quando? Il criterio mancante nel dibattito pubblico potrebbe essere questo: non è ammessa scuola superiore in presenza senza un tracciamento funzionante. Aprirla da bendati è semplicemente troppo rischioso. Un incentivo in più per riprendere in mano il sistema di monitoraggio, che l’inizio della campagna vaccinale sembra aver archiviato, come se potessimo arrivare all’immunità di gregge solo stringendo i denti.

Con il suo insistere, la ministra Azzolina coglie tuttavia un punto essenziale, ovvero che le vittime designate della disfunzionalità collettiva sono, ancora una volta, i ragazzi e le ragazze delle superiori, gli stessi che hanno visto la loro routine, la loro istruzione e la loro socialità squarciate più a lungo. E che iniziano ormai a soffrire visibilmente. A tutti loro, mentre cerchiamo di riportare un minimo di controllo, dobbiamo quanto meno una riparazione. Una strategia alternativa che sia migliore di questa intermittenza snervante, migliore delle soluzioni aprioristiche e del «tutto o niente».

Due docenti su tre contrari a rientrare fino al termine dell’emergenza

da la Repubblica

di Valeria Strambi No al ritorno a scuola finché l’emergenza sanitaria non sarà finita. A non voler riprendere le lezioni in classe e a pensare che sia meglio tenere gli istituti chiusi in un momento in cui l’incubo coronavirus continua a essere presente, è ben il 70,4 per cento degli insegnanti d’Italia. In pratica, due docenti su tre. Lo rivela l’indagine “La scuola in transizione: la prospettiva del corpo docente in tempo di Covid-19” condotta dall’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, su un campione di oltre 800 insegnanti.

Il questionario, sottoposto in forma digitale, ha coinvolto docenti di ogni ordine e grado, da coloro che lavorano negli asili nido fino a chi opera nelle università. L’obiettivo era sondare le reazioni di fronte a un nuovo sistema di lavoro, individuandone i punti forza ma anche le debolezze e gli aspetti da migliorare. Se la didattica a distanza è stata sostanzialmente promossa, l’82,4 per cento degli insegnanti ritiene comunque che occorra uno standard unico da seguire e delle linee guida alle quali tutti possano uniformarsi. In più, per il 91,2 per cento degli intervistati, è fondamentale che venga attivata una formazione specifica per chi insegna. E addirittura il 73,6 per cento si augura di poter continuare a usare gli strumenti tecnologici anche quando verrà ripresa la didattica in presenza.

«La Dad è servita a salvare l’istruzione perché tutti, docenti e studenti, hanno remato nella stessa direzione — afferma il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda — Tuttavia sono emerse anche tante criticità, dalla carenza degli organici alla scarsa padronanza delle tecnologie da parte del nostro corpo docente che, tra l’altro, nel confronto con gli altri paesi Ocse, è quello che registra la maggior presenza di over 50».

Dall’indagine emerge inoltre come le difficoltà di connessione spesso causate da una rete Internet inadeguata o dal suo sovraccarico abbiano inciso negativamente sulle lezioni online. Il 40,7 per cento degli intervistati ha dichiarato di convivere almeno con una persona che aveva necessità di telelavorare e il 32,5 per cento di abitare insieme a uno studente impegnato nella didattica a distanza. Tutti elementi che hanno reso più difficile concentrarsi e portare a termine in maniera esemplare i corsi. «La carenza tecnologica — si spiega nel report — ha probabilmente contribuito a elevare i fattori di stress dei docenti». Quanto ai carichi di lavoro, questi risultano variati significativamente a seconda del grado di scuola. Se per i docenti dell’infanzia la richiesta di interazione è diminuita data l’età molto bassa degli alunni e per quelli delle superiori e università è rimasta più o meno la stessa grazie all’autonomia degli studenti, quelli che hanno maggiormente risentito del passaggio dalla didattica in presenza alla Dad sono gli insegnanti di elementari e medie. Percezione dovuta alla particolare combinazione di due fattori: da una parte la limitata capacità di autogestirsi degli allievi e dall’altra la necessità di realizzare una didattica efficace.

ATA ex LSU, passaggio contratto full time solo su posti vacanti e disponibili dell’organico. NOTA

da OrizzonteScuola

Di redazione

Nuova nota del ministero dell’Istruzione, la numero 469 del 5 gennaio, che integra e completa la numero 195 del 4 gennaio.

Con la precedente nota il MI ha chiarito che la trasformazione dei contratti degli ex LSU assunti a tempo parziale opera con decorrenza giuridica 1° gennaio 2021 ed economica dalla sottoscrizione del contratto a tempo pieno. L’ampliamento contrattuale da tempo parziale a tempo pieno può avvenire sui posti delle istituzioni scolastiche su cui gli interessati sono attualmente in servizio.

La nota si riferiva al passaggio dei contratti a full time di 4485 collaboratori scolastici assunti part time il 1° marzo 2020.

Con l’ultimo chiarimento, il Ministero rammenta che “le trasformazioni contrattuali autorizzate dalla norma, come testualmente stabilito dalla stessa, potranno essere disposte nei soli limiti dei posti rimasti vacanti e disponibili nell’organico di diritto del personale amministrativo, tecnico e ausiliario e non coperti a tempo indeterminato nell’anno scolastico 2020/2021“.
Di conseguenza, nel caso di indisponibilità di posti vacanti, non potrà darsi luogo alla trasformazione dei contratti in essere.

NOTA 469 del_05-01-2021

Vaccino Covid-19, l’appello di Renzi: “Farlo subito ai prof e poi aprire le scuole”

da OrizzonteScuola

Di Andrea Carlino

“Quanto ai vaccini a scuola una proposta concreta, la settimana prossima vacciniamo solo gli insegnanti e facciamo tamponi agli studenti, così che possiamo aprire le scuole”.

Lo dice il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, al Tg3 sottolineando che basterebbero i vaccini di una settimana per vaccinare tutto il corpo insegnante.

“Ogni settimana l’Italia riceve 470mila  dosi di vaccino, lo stesso numero degli insegnanti della scuola media e superiore. La settimana prossima vacciniamo solo e soltanto gli  insegnanti, così che possiamo riaprire le scuole, dando i tamponi aglistudenti e i vaccini agli insegnanti”

Situazione Vaccino Covid-19 aggiornata

Sono 272.307 le dosi di vaccino somministrate in Italia, il 57,93% delle 470mila consegnate tra il 30 dicembre e l’1 gennaio. Il dato contenuto nel report del commissario per l’emergenza Covid è aggiornato alle 17:50.

I vaccinati sono 165.676 femmine e 106.631 maschi, suddivisi tra 233.283 operatori sanitari, 24.438 unità di personale non sanitario e 14.586 ospiti di Rsa.

La regione che ha somministrato la maggior parte delle dosi ricevute è la Toscana (65,9%) davanti a Veneto (65,6%), provincia autonoma di Trento (62,3%) e Lazio (61,8%).

Trattenute sindacali dallo stipendio alle pensioni, dipende dal lavoratore

da OrizzonteScuola

Di Giacomo Mazzarella

Sulla pensione così come sullo stipendio può esserci una trattenuta sindacale. Ma deve sempre essere il lavoratore a scegliere.

Che sia lo stipendio o la pensione, è possibile che ci siano delle trattenute relative alle quote associative per il proprio sindacato. Trattenute non obbligatorie me facoltative e dietro delega. Nessuno potrà mai imporre questa trattenuta perché deve essere il lavoratore piuttosto che il pensionato a firmare per lasciare la quota associativa ad un determinato sindacato. Nel momento in cui il lavoratore va in pensione la trattenuta sullo stipendio cessa con lo stipendio stesso e non passa in automatico sulla pensione.

Nel caso in cui si utilizzi il canale sindacale per la presentazione della domanda di pensione, potrebbe però trovarsi di nuovo la trattenuta, ma solo dopo aver confermato la delega alla associazione che magari l’ha aiutata nell’espletamento della pratica di pensione.

La trattenuta non è eterna e il lavoratore (ma anche il pensionato) può presentare disdetta.

La trattenuta sindacale su stipendio o pensione, di cosa si tratta

I contributi sindacali sono quella parte di retribuzione o di rateo di pensione, che vengono prelevate da stipendio e pensioni e girate ai sindacati ai quali ci si è iscritti firmando la delega alle trattenute.

Il versamento al sindacato lo fa il datore di lavoro, in genere ogni mese. SI parla di quota associativa al sindacato perché queste trattenute nascono al fine di dare sostegno e finanziamento alla sigla sindacale.

La trattenuta sullo stipendio, cosa comune a più settori lavorativi, non va confusa con la quota di servizio, un’altra trattenuta che spesso i sindacati operano sugli stipendi, ma una tantum e solo per i rimborsi spesa nei casi di negoziazione  sindacale o per fornire al lavoratore la copia del CCNL quando questo viene rinnovato. La quota associativa è facilmente visionabile ogni mese sulla propria busta paga. Per i pensionati invece, verificare l’ammontare della trattenuta o la sua semplice presenza è più difficile. Occorre infatti richiedere o scaricare dall’Inps il modello Obis/M, che è la busta paga del pensionato.

Un modello che ormai da anni l’Inps non manda più a casa del pensionato tramite posta ma deve essere il pensionato stesso a scaricarlo grazie ai servizi telematici dell’Istituto. Proprio per questo il decreto legge n° 4 del 2020 ha introdotto l’obbligo per l’Inps (e per tutti gli altri enti erogatori di pensioni) di fornire precisa e puntuale informazione  sui cedolini mensili delle pensioni, per le quote associative sindacali eventualmente trattenute sulla pensione.

Trattenute sindacali sulla pensione quindi in chiaro quindi per i pensionati con l’obbligo per l’Inps e per gli altri enti di dare comunicazione mensile sul cedolino della pensione e comunicazione annuale sulle Certificazioni Uniche, cioè gli ex Cud. Nel dettaglio l’Inps deve mettere nero su bianco per il pensionato, la denominazione dell’organizzazione sindacale d’iscrizione,  la decorrenza della trattenuta e l’importo della trattenuta.

Disdetta della trattenuta sulle pensioni

Come detto la trattenuta sindacale sulle pensioni è facoltativa da parte del pensionato. Anche se viene sottoscritta in sede di presentazione della domanda di pensione, magari facendosi assistere dal medesimo sindacato a cui durante la carriera, veniva rilasciata delega alle trattenute associative sulla busta paga, si può disdire.

La disdetta adesso è assai più semplice da dare rispetto al passato. Si può fare tutto tramite le credenziali di acceso ai servizi telematici dell’Inps. L’area è quella conosciuta come “My Inps” a cui si può accedere tramite Pin Dispositivo (che dallo scorso ottobre l’Inps però non rilascia più), Spid, Cie o Cns. Si tratta della stessa area da cui il pensionato può scaricare il modello Obis/M. Una volta verificato sul modello Obis/M che c’è la trattenuta, il pensionato può produrre la revoca on line. In alternativa resta sempre possibile procedere tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o tramite consegna a mano alla sede Inps territorialmente competente. Lo setto meccanismo va adottato per la trattenuta sulla Naspi, perché anche in quel caso, quando si presenta domanda di disoccupazione tramite Patronato, si può trovare caricata la trattenuta mensile al sindacato.

Per procedere alla disdetta telematica, c’è proprio una chiamata ad hoc e cioè “Gestione deleghe sindacali su trattamenti pensionistici”. Si tratta di una particolare area del sito dell’Inps in cui i pensionati possono accedere per controllare se c’è o meno la trattenuta sindacale e se è il caso di revocarla.

Lo stesso può fare il lavoratore che intende revocare la trattenuta sindacale sullo stipendio. In questo caso le modalità cambiano da settore lavorativo a settore lavorativo. In genere va mandata una raccomandata sia la datore di lavoro che al sindacato (a quest’ultimo per conoscenza). Per esempio, nel comparto scuola, occorre spedire la raccomandata con ricevuta di ritorno, al sindacato presso cui si è iscritti e alla Ragioneria territoriale dello Stato.

Le trattenute sindacali sullo stipendio sono mensili e comprendono anche le mensilità aggiuntive, quindi tredicesima e quattordicesima. Sulle liquidazioni, le buonuscite, i trattamenti di fine rapporto o di fine servizio la trattenuta sindacale non c’è. Ma se c’è da fare vertenza contro un datore di lavoro, anche per recuperare il TFR non erogato, cambia molto se il lavoratore è iscritto o meno al sindacato.

Infatti per gli iscritti, escludendo le spese vive della pratica, cioè lettere, comunicazioni, deposito atti e così via, nulla viene in genere chiesto al lavoratore. Se invece non si è iscritti al sindacato, la pratica con le sue spese sono a carico interamente del lavoratore e spesso la spesa è in percentuale sull’ammontare del TFR spettante. Una situazione questa che riguarda qualsiasi oggetto della vertenza e non solo il TFR.

Rientro a scuola, le date regione per regione. Sardegna indecisa

da La Tecnica della Scuola

Rientro a scuola a gennaio nel caos più totale, tra provvedimenti ministeriali dell’ultima ora, ordinanze regionali che spesso sconfessano quanto definito dall’alto e Governatori che non si pronunciano, lasciando studenti, famiglie e personale scolastico nel dubbio, in attesa di un’ordinanza che non arriva mai. E ci riferiamo in particolare alla Sardegna, con il Presidente Christian Solinas che ancora, alla sera del 6 gennaio, non ha sciolto la sua riserva. Rientro a scuola delle superiori l’11? Rientro il 18? Rientro il 31? Non è dato sapere.

Insomma, al di là delle linee ufficiali indicate dal Governo nell’ultimo Cdm e che definiscono la data del 7 gennaio per il ritorno in classe dell’infanzia e del primo ciclo e la data dell’11 gennaio per le scuole superiori (il provvedimento in G.U.), ogni Regione (o quasi) ha fatto a modo suo, spesso muovendosi nella direzione di inasprire le regole rispetto a quanto voluto dalla Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina.

Le indicazioni ministeriali

Le scuole superiori vanno in presenza NON PRIMA dell’11 GENNAIO. Sull’argomento è arrivata anche nota di chiarimento della Ministra dell’istruzione Lucia Azzolina.

Le scuole dell’infanzia e del primo ciclo, invece, possono APRIRE dal 7 GENNAIO.

Le scelte delle regioni

Abruzzo

  • Il Presidente Marsilio dichiara che in Abruzzo sono pronti per la ripartenza, dunque le scuole dell’infanzia e primaria dovrebbero ripartire il 7 gennaio, le superiori l’11 gennaio.

Basilicata

  • Attesa la decisione del Presidente Vito Bardi. Intanto a Vietri di Potenza (Potenza), il sindaco, Christian Giordano, ha annunciato la chiusura delle scuole fino al 10 gennaio: a causa “dell’evolversi dell’emergenza sanitaria causata dai contagi al Covid-19” le scuole elementari e medie del comune non riapriranno quindi il 7 gennaio. Anche il consigliere regionale Luca Braia, capogruppo di Italia Viva chiede conto delle decisioni del Governatore e dello stato delle cose quanto a “pacchetto per il rientro a scuola in sicurezza” affermando che oltre 75 mila famiglie lucane attendono indicazioni.

Calabria

  • Arrivata l’ordinanza del Presidente Spirlì, che dispone la DaD fino al 31 gennaio per le scuole superiori; la DaD fino al 15 gennaio per il primo ciclo; e la riapertura regolare da subito per l’infanzia.

Campania

  • In Campania si ritorna gradualmente a partire dall’11 gennaio. Ecco il comunicato della regione: “L’11 gennaio potranno tornare in classe gli alunni della scuola dell’infanzia e delle prime due classi della scuola primaria. A partire dal 18 gennaio sarà valutata dal punto di vista epidemiologico generale, la possibilità del ritorno in presenza per l’intera scuola primaria, e successivamente, dal 25 gennaio, per la secondaria di primo e secondo grado.  Resta confermato che per quanto riguarda la DAD (Didattica a distanza) anche in Campania le lezioni riprenderanno regolarmente il 7 gennaio.

Emilia Romagna

  • L’Emilia Romagna, che si era detta pronta a far ripartire gli studenti in presenza già dal 7 gennaio, dovrà posticipare all’11 gennaio il rientro delle scuole superiori.

Friuli Venezia Giulia

Lazio

Liguria

  • In base alle ultime decisioni del governo, elementari e medie torneranno in classe giovedì 7 gennaio, le superiori lunedì 11. Non ci sono contrordini del Presidente Toti.

Lombardia

  • La Regione guidata da Attilio Fontana sarebbe pronta alla riapertura delle scuole, con i piani realizzati dalle prefetture, che riguardano anche i trasporti, tutti definiti. Il timore della Giunta è che si arrivi a richiudere le scuole superiori nel volgere di pochi giorni. Ad oggi infanzia e primo ciclo dovrebbero tornare in classe giovedì 7 gennaio, le superiori lunedì 11 gennaio.

Marche

  • La didattica a distanza proseguirà al 100% per le scuole secondarie di secondo grado, statali e paritarie, fino al 31 gennaio. Il presidente Francesco Acquaroli emanerà oggi 5 gennaio un’ordinanza. Infanzia e primo ciclo dovrebbero rientrare il 7 gennaio.

Molise

  • Ad oggi infanzia e primo ciclo dovrebbero tornare in classe giovedì 7 gennaio, le superiori lunedì 11 gennaio. Ma si attendono conferme dal Presidente della Regione Donato Toma.

Piemonte

Puglia

Sardegna

  • La conferenza alla quale hanno partecipato gli assessori alla Pubblica istruzione, Andrea Biancareddu, alla Sanità, Mario Nieddu, e ai Trasporti, Giorgio Todde, non è arrivata a una data definitiva. Le superiori potrebbero rientrare il 15 o il 18 gennaio o persino l’1 febbraio. Si attende ordinanza del Presidente Solinas al massimo entro l’8 gennaio.

Sicilia

  • In Sicilia la scuola si prepara per la riapertura l’8 gennaio per il primo ciclo. Le superiori iniziano al 50% giorno 11 e fino al 18 gennaio. Dal 18 gennaio, se la curva epidemiologica lo permetterà, la percentuale salirà al 75%.

Toscana

  • Sebbene il Presidente Giani avesse confermato la scelta del 7 gennaio per il rientro a scuola di ogni ordine e grado, date le ultime disposizioni del Cdm, le superiori cominceranno in presenza l’11. Il primo ciclo e l’infanzia rientrano il 7.

Trentino Alto Adige

  • Il 7 gennaio in Alto Adige riapriranno negozi, bar e ristoranti e scuole. Gli studenti delle superiori ritorneranno a scuola al 75% in presenza. Gli studenti trentini rientreranno a scuola in presenza al 50% il prossimo 7 gennaio. Lo ha confermato l’assessore all’istruzione e cultura Mirko Bisesti, in un incontro con i dirigenti scolastici.

Umbria

  • Ad oggi infanzia e primo ciclo dovrebbero tornare in classe giovedì 7 gennaio, le superiori l’11 gennaio. Ma potrebbe arrivare ordinanza della Presidente Donatella Tesei a cambiare le carte in tavola.

Valle d’Aosta

  • Sebbene la Valle d’Aosta si fosse detta pronta ad aprire le scuole superiori il 7 gennaio, queste rinvieranno all’11 il loro ingresso in classe. Per il 7 gennaio restano confermate le aperture per infanzia e primo ciclo.

Veneto

  • Le scuole secondarie di secondo grado continueranno con la DAD fino al 31 gennaio, come da Ordinanza del Presidente Zaia. Dunque rientro in presenza delle superiori l’1 febbraioInfanzia e primo ciclo rientrano regolarmente il 7 gennaio.

Rientro a scuola: tutte le regole in una nota del Ministero

da La Tecnica della Scuola

Con una nota indirizzata alle scuole il Ministero riassume le regole in vigore da domani giovedì 7 fino al 16 gennaio prossimo.
Scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo grado continuano ad operare secondo quanto stabilito dal DPCM del 3 dicembre scorso; e cioè:  nelle zone gialle e arancioni, 100% in presenza; nelle zone rosse, 100% in presenza per servizi educativi, scuola dell’infanzia, scuola primaria e  primo anno della secondaria di primo grado; con modalità a distanza per tutte le classi seconde terze della secondaria di primo grado.

Per la secondaria di secondo grado, nei giorni 7, 8 e 9 gennaio, l’attività didattica si svolge a distanza per tutti.
Resta ferma per tutte le istituzioni scolastiche e per l’intero periodo, “la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o per mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali”.

Si tratta delle disposizioni contenute nel decreto legge del 5 gennaio in materia di “Ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
L’articolo 4 del decreto definisce le modalità di funzionamento delle scuole secondarie di secondo grado che dall’ 11 al 16 gennaio nelle regioni “gialle” e “arancioni” “adottano forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica garantendo almeno al 50 per cento della popolazione studentesca l’attività didattica in presenza.

Il Ministero raccomanda però di tenere conto anche delle azioni delineate dai piani operativi derivanti dall’attività dei “tavoli prefettizi” previsti dal DPCM del 3 dicembre scorso.
Ovviamente resta inteso, conclude il Ministero, che “sono da osservarsi le eventuali diverse determinazioni più restrittive deliberate dalle Regioni e dagli Enti locali nell’esercizio delle rispettive competenze”.

Covid scuola, misurazione della temperatura all’ingresso: regole

da La Tecnica della Scuola

Con riferimento al rientro a scuola in presenza dal 7 gennaio per infanzia, primaria e secondaria di I grado, e dall’11 gennaio per le secondarie di II grado, riepiloghiamo alcune regole riguardanti la misurazione della temperatura all’ingresso a scuola.

Controllare la temperatura prima di entrare nell’edificio scolastico è possibile, ma non obbligatorio.

Con una recente FAQ contenuta nella circolare del 5 gennaio, l’USR Lazio spiega quali aggordimenti devono essere messi in atto, ricordando che comunque è necessario che studenti e personale la misurino a casa, così da evitare di circolare per strada e sui mezzi pubblici con una temperatura superiore alla soglia prevista (37,5 gradi).

Qualora la scuola decida di procedere anche con la misurazione della temperatura all’ingresso, sarà possibile farlo purché le famiglie e le organizzazioni sindacali siano preventivamente informate di tale organizzazione e siano rispettate le indicazioni del Garante per la privacy è la prassi pubblicata dall’Associazione nazionale dei medici competenti.

Cosa dice il Garante

Il Garante ritiene che la misurazione della temperatura all’ingresso sia compatibile, sinché perdura l’emergenza epidemiologica, con la legislazione e la normativa in materia di privacy, purché non sia registrato il dato relativo alla temperatura corporea rilevata.

In proposito, riportiamo la seguente FAQ:

È ammessa la misurazione a scuola della temperatura agli alunni? (data di pubblicazione 1/12/2020)

Come già chiarito dal Ministero dell’istruzione (https://www.istruzione.it/rientriamoascuola/domandeerisposte.html; v. FAQ n. 7 della sezione n.7 “Gestione di casi sospetti e focolai”), misurare a casa la temperatura corporea prima di recarsi a scuola è una regola importante per tutelare la propria salute e quella degli altri. Consente infatti di prevenire la possibile diffusione del contagio nel tragitto casa-scuola, sui mezzi di trasporto utilizzati, quando si attende di entrare a scuola, o in classe (cfr. Protocollo del 6 agosto 2020 cit.).

Il “Protocollo di sicurezza per la ripresa dei servizi educativi e delle scuole dell’infanzia”, stabilisce poi che “qualora le Regioni e i singoli enti locali lo dispongano, nei servizi educativi, va favorita la misurazione della temperatura corporea in entrata dei bambini, di tutto il personale docente e ausiliario presente nella struttura e dei c.d. “fornitori” (cfr. par. 2 Protocollo cit.).

In ogni caso, la misurazione della temperatura corporea va effettuata nella gestione di casi di alunni sintomatici durante l’orario scolastico all’interno dell’istituto scolastico.

Considerato che la rilevazione della temperatura corporea, quando è associata all’identità dell’interessato, costituisce un trattamento di dati personali (art. 4, par. 1, 2) ai sensi del Regolamento (UE) 2016/679), non è invece ammessa la registrazione della temperatura rilevata associata al singolo alunno.

Come misurare la temperatura

L’Associazione nazionale dei medici competenti ha pubblicato una prassi in merito alla misurazione della temperatura sul luogo di lavoro.

La prassi prevede che la misurazione della temperatura sia effettuata da «un lavoratore già formato a questa attività (possibilmente un incaricato al primo soccorso) o altro personale aziendale addestrato soprattutto a evitare un c.d. contatto stretto e a saper gestire una situazione di disagio – il diniego di ingresso di un dipendente». La prassi, che dovrà essere letta e rispettata, specifica anche quali dispositivi di protezione individuale siano necessari (mascherina, guanti, camice, protezione facciale). I dispositivi in questione e il termometro, del tipo adatto alla misurazione a distanza, potranno essere acquistati utilizzando le risorse finanziarie già assegnate alle scuole.