Maturità semplificata, ma senza ammissione generalizzata

da Il Sole 24 Ore

di Claudio Tucci

Le proteste, anche ieri, di studenti e genitori contro “una scuola a singhiozzo” e l’ampio ricorso alla didattica a distanza legato all’emergenza sanitaria (in Campania, come anticipato da questo giornale, gli alunni delle superiori hanno già svolto “da remoto” più di tre mesi di lezioni su quattro) non hanno frenato il ritorno tra i banchi, ieri, di oltre 600mila studenti delle superiori; nel Lazio, in Piemonte, ma anche in Emilia Romagna tutto è filato via liscio, e la ripartenza, fanno sapere dal ministero dell’Istruzione, è stata «serena».
Intanto, e nonostante la crisi politica, la ministra Lucia Azzolina lavora a due dossier urgenti: gli esami di Stato del primo e secondo grado e il piano di recupero degli apprendimenti, su cui è in corso il confronto con i tecnici e i partiti di maggioranza. A fine gennaio sono infatti attese le prime indicazioni ufficiali sulla maturità, che coinvolge mezzo milione di studenti.
Quasi certamente anche quest’anno si andrà incontro a una prova che terrà conto, come ha già anticipato la ministra dell’Istruzione, del quadro complessivo e dell’andamento dell’anno scolastico. L’esame potrebbe essere, perciò, “semplificato”. Non ci sarà, tuttavia, un’ammissione generalizzata, come un anno fa: sarà condizionata al buon andamento del percorso scolastico.

Una decisione ufficiale ancora non è stata presa. Per ora si parla di due ipotesi su cui ci sarà un confronto anche con gli studenti. La prima ricalca la maturità 2020: una sola prova orale, in presenza, davanti a una commissione di docenti interni, con il presidente esterno. Un “format” già sperimentato e che ha avuto riscontri positivi un anno fa sia fra studenti che docenti. Come lo scorso anno, alternanza scuola-lavoro e prove Invalsi non dovrebbero essere requisito di ammissione agli esami (per quanto riguarda le prove standardizzate in italiano, matematica e inglese sono state svolte nel 2020 da 50mila studenti di quinta superiore per poi essere sospese per tutti gli altri a causa del coronavirus). Sulla scuola-lavoro pesa anche la difficoltà di molti istituti a organizzare percorsi “on the job” nelle realtà produttive e senza penalizzare le ore di lezione (molte scuole hanno infatti fatto slittare le ore di alternanza in primavera, sperando, in una situazione sanitaria migliore).La seconda opzione sul tavolo di Lucia Azzolina, su cui spinge una fetta dell’attuale maggioranza, Pd in testa, è invece una maturità, composta da una prova scritta (anziché le canoniche due) più il colloquio orale.

Sull’Invalsi, la partita è più delicata e strettamente legata alla necessità di valutare gli apprendimenti dei ragazzi. Un possibile compromesso, spiegano fonti di governo, potrebbe essere quello di non rendere l’Invalsi obbligatorio ai fini della maturità, ma di far svolgere comunque le prove in vista dei recuperi degli apprendimenti.L’idea non dispiace ai vertici Invalsi: «La scelta, se sarà formalizzata, consente, in questo anno specifico, di fornire dati utili alle attività di recupero e nella lotta alla dispersione», hanno commentato la presidente dell’istituto, Anna Maria Ajello e il responsabile Area prove nazionali, Roberto Ricci. A consentire al ministero dell’Istruzione di “modificare” anche quest’anno gli esami di Stato è una norma, entrata in extremis nella manovra 2021, che consente, appunto, al dicastero di Viale Trastevere di adottare ordinanza con misure ad hoc su valutazione apprendimenti ed esami.

Per quanto riguarda invece il piano di recupero dei gap formativi si guarda al prossimo decreto Ristori (si veda anticipazione su Sole24Ore del 13 gennaio). Qui il ministero dell’Istruzione si aspetta almeno 250 milioni di euro. Per fare sostanzialmente tre cose: prevedere corsi di recupero per gli apprendimenti persi a causa di troppa Dad; istituire la corsia preferenziale per i tamponi agli studenti e ai docenti citata dall’intesa pre-natalizia con i governatori; incrementare il supporto psicologico ai ragazzi provati dall’emergenza-Covid. Fondi che si sommerebbero ai primissimi 5 milioni inseriti nel precedente decreto Ristori, convertito in legge prima di Natale. Risorse che, spiegano dall’Istruzione, coinvolgeranno 1.500 istituti che potranno così avviare tre moduli da 25 ore con cui rafforzare le competenze traballanti in italiano, matematica e inglese.

Psicologi: il 63% dei 14-19enni preferisce la scuola in presenza

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Il 63% dei ragazzi fra 14 e 19 anni, ovvero 6 su 10, tiene “molto” alla didattica in presenza. Oltre il 54% ne soffre “molto” la mancanza. La scuola è associata a socialità, crescita, confronto. Le lezioni a distanza a fatica, stress, noia.

L’indagine
Questi i primi risultati dell’indagine realizzata dal Centro Studi del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop), nell’ambito delle attività congiunte con il Ministero dell’Istruzione per dare supporto alle istituzioni scolastiche durante l’emergenza. L’indagine è stata consegnata alla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina (M5S).

Il commento
«I dati dell’indagine ci consegnano uno scenario chiaro: la didattica a distanza non attutisce i danni dell’impossibilità di andare a scuola e porta stress, noia, fatica – spiega il presidente del Cnop, David Lazzari -. Della scuola in presenza ai ragazzi piace la socialità, la possibilità di avere un confronto con gli altri».

A tenere alla scuola in presenza, secondo il report del Cnop, sono praticamente tutti i giovani intervistati, con una quota di “molto” davvero alta (63%), mentre ad apprezzare la didattica a distanza sono meno di 4 studenti su 10. Si registra anche un sensibile calo della “fedeltà” alla partecipazione alle lezioni a distanza: l’86% dei giovani intervistati dichiara infatti di aver seguito tutte le lezioni a distanza durante il lockdown, mentre ora la quota scende al 70%. Quasi tutti sentono la mancanza della scuola in presenza, e il 98% a settembre era felice di poter rientrare in aula. Complessivamente il sentimento prevalente tra i giovani è ora negativo, e si traduce in tristezza, malinconia, paura, rabbia. «Il dato più allarmante è che solo il 2% dei giovani, ora, riferisce di provare gioia o allegria. Un malessere psicologico che deriva dall’isolamento e dalla assenza o carenza delle attività educative ma anche ludiche e sportive – ha aggiunto Lazzari -. La scuola non è solo trasmissione di informazioni e contenuti ma un luogo di relazioni e di educazione emotiva. È ora di aiutare i ragazzi a superare il malessere psicologico che si è creato».

La promozione non è mai certa, persino se la scuola non ha avviato i corsi di recupero

da Il Sole 24 Ore

di Pietro Alessio Palumbo

A conclusione degli interventi didattici programmati per il recupero delle carenze rilevate, il consiglio di classe previo accertamento del miglioramento delle insufficienze formative, procede alla formulazione del giudizio finale, che (solo) in caso di esito positivo comporta l’ammissione dell’alunno alla frequenza della classe successiva.

Ebbene con la recente sentenza 6120/2020, il Tar Campania ha chiarito che l’eventuale mancata attivazione da parte della scuola delle citate attività di recupero o degli oneri di informazione alle famiglie sull’andamento scolastico degli alunni non mina l’eventuale giudizio di mancata promozione alla classe successiva. Ciò tenuto conto che il giudizio non si basa affatto su un intento “punitivo” della scuola, bensì sulla constatazione “oggettiva” dell’insufficiente preparazione e maturazione dello studente. Insufficienze a fronte delle quali – a ben vedere – l’ammissione del ragazzo alla classe successiva potrebbe costituire, tutt’altro che un vantaggio, anzi, a ben vedere, un “danno”.

Il margine fisiologico di “opinabilità” del giudizio scolastico
Il voto finale non si traduce necessariamente in una media aritmetica dei voti conseguiti da parte dell’alunno, ma richiede un’analisi complessiva e sintetica delle attività svolte. Nel formulare il giudizio sulla preparazione dell’allievo, la scuola non applica “scienze esatte” che conducono a un risultato certo, ma formula un giudizio tecnico connotato da un fisiologico margine di opinabilità, per sconfessare il quale non è sufficiente la mera “non condivisibilità” del giudizio da parte dei genitori, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità.

In altre parole, la famiglia non può limitarsi alla mera “disapprovazione” della valutazione tecnico-discrezionale della scuola o ad autostimare differentemente la preparazione del ragazzo, dovendo bensì dimostrare la macroscopica inattendibilità o l’evidente insostenibilità del giudizio compiuto dal consiglio di classe, organo cui la legge demanda “ufficialmente” la valutazione dell’idoneità degli alunni ai fini dell’ammissione alla classe successiva.

Promozione non garantita
Sulla legittimità del giudizio finale di non ammissione alla classe scolastica superiore non può incidere l’eventuale, incompleta, carente o omessa attivazione dei corsi di recupero da parte della scuola, tenuto conto che il giudizio di non ammissione di un alunno alla classe superiore si basa sull’insufficiente rendimento scolastico e quindi sulla scarsa preparazione e maturazione per accedere alla successiva fase degli studi. Se infatti è vero che la scuola predispone gli interventi necessari al recupero dell’alunno, tuttavia le eventuali carenze nell’esercizio di tale attività non incidono sull’autonomia del giudizio di ammissione dell’allievo alla classe successiva, che deve essere compiuto sulla base della preparazione e della maturità “comunque” raggiunte dall’alunno stesso; e che devono, in ogni caso, essere idonee a consentire la sua proficua prosecuzione degli studi.

Va quindi evidenziato che le eventuali deficienze della scuola in rapporto alla mancata od inappropriata predisposizione di attività di recupero non possono giustificare il passaggio alla classe successiva di uno studente con profitto insufficiente, atteso che, lo scrutinio non è condizionato a tale verifica, ma è “naturalmente” preordinato a valutare la presenza di una preparazione complessivamente idonea a consentire una proficua prosecuzione degli studi. E ciò – in ogni caso – viene operato a esclusivo interesse e vantaggio dell’alunno.

Appello delle associazioni: «Aprite le scuole»

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

«La scuola non è solo didattica, ma anche luogo di apprendimento collaborativo, di relazioni e di esperienze. È proprio questo specifico contesto relazionale che concorre a formare i giovani cittadini. Precludere l’accesso a questo spazio avrà conseguenze pesantissime nei prossimi anni in termini di crescita del tasso di dispersione scolastica, aumento delle problematiche e patologie connesse alla fase di crescita degli adolescenti, riduzione della produttività complessiva del paese». E’ quanto affermano Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca), Ali per giocare, associazione Agevolando, associazione Culturale Pediatri, Centro studi Saveria Antiochia Osservatorio antimafia (Sao), Forum disuguaglianze diversità, Rete Iter e Soroptimist Italia nell’appello intitolato “Aprite le scuole!”, rivolto al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, ai presidenti di Regioni e Province autonome affinché sia garantito il diritto alla scuola agli studenti delle scuole superiori.

All’appello hanno aderito anche i docenti universitari Emmanuele Pavolini, Alessandro Rosina e Chiara Saraceno.

Nel testo – in cui si sottolineano il “crescente disagio” provato dai giovani rispetto a come si sentono trattati dalle istituzioni, e le conseguenze pesantissime della tragica esperienza della pandemia che gravano su ragazze e ragazzi – si avanzano due richieste: equiparare la scuola superiore alle attività produttive essenziali, prevedendo che almeno il 50% delle attività sia sempre svolto in presenza (fatti salvo i casi di lockdown totale delle attività produttive); inserire gli studenti delle scuole superiori (compatibilmente con le fasce d’età per cui il vaccino è testato) e il personale scolastico tra le categorie prioritarie per la vaccinazione. Questa azione avrebbe una forte valenza simbolica e potrebbe contribuire a ridurre i problemi connessi ai trasporti verso le scuole. «La scuola produce un bene essenziale per la collettività: il futuro. Lo fa, formando i cittadini che quel futuro stanno già scrivendo – affermano i promotori dell’appello – Solo una classe dirigente con un respiro corto può pensare che la didattica a distanza sia sufficiente per garantire la produzione di questo bene».

Regioni senza il paracadute Cts

da ItaliaOggi

La Lombardia, l’Emilia, e il Friuli e la Calabria…fioccano le sentenze dei Tar che sospendono le ordinanze con cui i governatori hanno bloccato la ripresa in presenza delle lezioni, chi per medie e primarie, chi per le superiori. Il difetto? La motivazione. Non basta un generico riferimento ai rischi di contagio derivanti dagli assembramenti fuori le scuole o sui mezzi di trasporto. Occorre indicare i rischi concreti per la scuola nel territorio. E chi sperava in un paracadute nazionale grazie al Cts è rimasto deluso. Il Comitato tecnico scientifico, investito della questione relativa alla sicurezza della ripresa delle lezioni in presenza e della flessiblità della risposta territoriale, con una convocazione urgente da parte del ministero della Salute, Roberto Speranza, ha risposto infatti che le scuole superiori possono e devono riaprire, rispettando tutte le misure precauzionali e attuando anche i protocolli definiti ai tavoli prefettizi sul trasporto pubblico. Gli scienziati, coordinati da Agostino Miozzo, hanno ribadito che chi vuole assumere misure più restrittive rispetto a quelle previste a livello nazionale può farlo ma se ne assume «la responsabilità». E dunque deve motivarlo.

Il Cts ha ripreso quanto emerso dai rapporti disponibili sui dati del contagio, ultimo quello dell’Istituto superiore della sanità che, relativamente alla trasmissione intrascolastica del virus, così conclude: «Allo stato attuale delle conoscenze, le scuole sembrano essere ambienti relativamente sicuri, purché si continui ad adottare una serie di precauzioni ormai consolidate quali indossare la mascherina, lavarsi le mani, ventilare le aule, e si ritiene che il loro ruolo nell’accelerare la trasmissione del Coronavirus in Europa sia limitato».

Già nella seduta del 3 gennaio il Cts aveva riaffermato piuttosto l’evidenza delle criticità sulla movimentazione degli studenti, del personale e delle famiglie per il ritorno in classe, con il richiamo «ai tavoli istituiti presso le Prefetture-uffici scolastici delle province per la corretta applicazione di misure, protocolli e strumenti organizzati» sui trasporti. Per i quali il governo ha rinnovato finanziamenti straordinari.

Insomma, se i trasporti non funzionano, si intervenga lì. Anche perché, evidenziavano gli scienziati, continuare a tenere i ragazzi a casa rischia di danneggiarli: «Il Cts ribadisce ulteriormente e con convinzione l’importanza del ritorno in classe per gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado come condizione imprescindibile e non più procrastinabile per il grave impatto che l’assenza di esso ha sull’apprendimento e la strutturazione psicologica e di personalità degli studenti che, in questa particolare fascia di età, possono essere fortemente penalizzati dall’isolamento domiciliare». Il dpcm in vigore dal 14 gennaio scorso già indica, agli articoli 1 comma 10 lett. s) e art. 3 co. 4 lett. f), le azioni da attuare per le attività didattiche in presenza e a distanza in funzione della condizione epidemiologica dei territori regionali.

«Nel rimarcare che la responsabilità delle aperture degli istituti scolastici è di competenza degli enti territoriali e locali, il Cts, facendo specifico riferimento al Dpcm 14/01/2021», si legge nel parere varato domenica scorsa, sottolinea che, in caso di mancata applicazione delle misure adottate, «debba essere rimandata al presidente della giunta regionale l’emanazione di provvedimenti di prescrizione al fine dell’attuazione delle misure organizzative per il rientro in classe nei diversi ambiti provinciali».

Il Friuli Venezia Giulia presieduto da Massimiliano Fedriga, dopo la sospensione da parte del Tar dell’ordinanza regionale, ha rinnovato il divieto di ripresa in presenza rimotivando l’ordinanza con i dati sui contagi. E bisognerà ora vedere se questo basta ai tribunali. Intanto da ieri solo 4 regioni hanno ripreso le lezioni in presenza al 50% alle superiori, Lazio, Piemonte, Molise ed Emilia, in aggiunta a Valle d’Aosta, Abruzzo e Toscana che hanno ripreso già dall’11 gennaio.

Recovery, un miliardo al tempo pieno Ma non basta neppure per la primaria

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Fondo Tempo pieno Scuola da 1 miliardo di euro per «la conciliazioni dei tempi di vita e lavoro delle famiglie e specialmente delle donne». È uno degli interventi per il potenziamento delle competenze e il diritto allo studio previsti dalla missione «Istruzione e Ricerca» del Recovery Plan, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) approvato dal Consiglio dei ministri la scorsa settimana (si veda ItaliaOggi del 12 gennaio). Un intervento che, tuttavia, nel Pnrr rimane vago e, per quanto riguarda le risorse previste, insufficiente. Nel Recovery, infatti, per illustrare questo fondo si scrive genericamente che «si aumenterà il “tempo-scuola” incrementando lo spazio per l’offerta formativa e contemporaneamente aiutando» la conciliazione vita e lavoro, soprattutto per le donne. «Questo», si aggiunge, «avverrà anche attraverso il potenziamento delle scuole materne (3-6 anni) e classi «primavera» (dai 2 anni)». Mentre per finanziare l’intervento, oltre a 1 miliardo di nuove risorse del Pnrr, «sono inoltre previsti 300 milioni per interventi all’interno dei progetti Pon».

Tuttavia, secondo le stime per il tempo pieno solo in tutte le primarie occorrerebbero circa 3 miliardi e 520 milioni di euro per il primo anno di generalizzazione del servizio e 2,7 miliardi all’anno a regime. Occorrerebbe, infatti, assumere circa 49.015 docenti, che costerebbe allo Stato 1,5 miliardi di euro. Ma anche 5.000 collaboratori scolastici pari ad altri 120 milioni di euro. Non solo. Bisognerebbe ristrutturare e mettere a norma ed adeguare le strutture scolastiche a una nuova organizzazione scolastica in termini di spazi, laboratori, palestre, spazi e servizio mensa con un aggravio di spesa si circa 2 miliardi a carico dei comuni: circa 800 milioni per attrezzature e mense, circa 1,2 miliardi per pasti e altre spese correnti.

In questo anno scolastico il 45,8% delle famiglie ha iscritto i figli alla primaria optando per il tempo pieno, in aumento rispetto all’anno scorso. Con la percentuale più alta nel Lazio (64,3%), Piemonte (62,3%) e Toscana (60,3%) e più bassa in Molise (13,6%), Sicilia (15,6%), Puglia (21,1%), Campania (27,7%). Oggi i 2/3 degli alunni della scuola di base sono esclusi dal tempo pieno, soprattutto nelle regioni dove la dispersione scolastica supera il 30%. Non solo. Se alla primaria il tempo pieno raggiunge il 42% degli alunni, alle medie il tempo prolungato riguarda solo il 13% degli studenti. C’è, infine, una questione culturale di fondo sulla motivazione del recovery per ampliare il tempo pieno: sostenere le famiglie, e soprattutto le donne, a inserirsi nel mercato del lavoro. «Non vi è alcun automatismo tra disponibilità di tempo e possibilità si occupazione», sottolinea Franco Lorenzoni, maestro e fondatore del centro di sperimentazione educativa Casa-laboratorio di Cenci. «Ancora una volta si guarda alla scuola pensando ai genitori piuttosto che ai figli», «non si mette al centro la questione educativa», cioè il ruolo essenziale che gioco l’istruzione pubblica «nella crescita culturale, sociale e dunque anche economica del Paese». «O pensiamo», domanda Lorenzoni, «di aumentare il tempo scuola solo per andare incontro all’organizzazione lavorativa dei genitori?».

Motivazione che il Recovery indica anche per il potenziamento delle scuole materne e delle sezioni Primavera, investendo 1 miliardo di euro per la realizzazione, riqualificazione e messa in sicurezza delle scuole dell’infanzia, anche attraverso l’innovazione degli ambienti di apprendimento e la sostenibilità ambientale, e la costruzione dei Poli per l’Infanzia previsti dal decreto legislativo n.65/2017. Un intervento che benefica, sottolinea il Pnrr, di risorse complementari per 560 milioni dagli stanziamenti della Legge di Bilancio. Così come produce «effetti positivi immediati sul mercato del lavoro» il Piano asili nido e servizi per l’infanzia, che il Recovery porta dagli originari 1,6 a 3,6 miliardi di euro (+2 miliardi) per l’83% di copertura del fabbisogno, a fronte di un target minimo del 33%. Si creerebbero circa 622.500 nuovi posti entro il 2026. «Invertendo in questo modo la posizione dell’Italia da Paese sotto la media a Paese sopra la media europea». Un intervento che benefica di risorse complementari per 300 milioni dagli stanziamenti della Legge di Bilancio.

Nel Recovery, inoltre, si punta allo sviluppo e la potenziamento degli Its, gli istituiti tecnici professionali post diploma, con 1,5 miliardi di euro, rafforzandone le dotazioni strumentali e logistiche e incrementando la partecipazione delle imprese nei processi di formazione. Mentre un altro progetto del Pnrr mira a implementare un programma per la Formazione superiore professionale, attraverso la costruzione di collaborazioni regionali con il contributo delle università e delle locali associazioni di categoria, grazie a 500 milioni di euro «Incrementare i percorsi di laurea professionalizzanti è cruciale», si legge nel piano. All’orientamento attivo e vocazionale nella transizione scuola-università, invece, è dedicato un programma di investimenti di 250 milioni di euro per gli studenti di IV e V superiore, attraverso corsi brevi erogati da docenti universitari e insegnanti scolastici che gli consentano di comprendere meglio l’offerta dei percorsi didattici universitari e di colmare i gap nelle competenze di base richieste.

Sostegno, posto comune addio

da ItaliaOggi

Carlo Forte

I docenti di sostegno, che intenderanno passare sul posto comune, dovranno presentare la domanda di passaggio di cattedra o di ruolo e non più la mera domanda di trasferimento. Ciò renderà più difficile ottenere il passaggio sul posto comune. Perché la mobilità professionale (passaggi di cattedra e di ruolo) avviene solo sul 25% dei posti che rimangono vacanti dopo i trasferimenti. I trasferimenti, invece, avvengono sul 100% dei posti disponibili.

È questo l’effetto della costituzione della classe di concorso specifica per il sostegno che la ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, intende istituire. Ad annunciarlo la stessa titolare del dicastero di viale Trastevere si evince dall’atto di indirizzo politico istituzionale per il 2021 emanato dalla ministra il 4 gennaio scorso. Secondo Azzolina, la classe di concorso specifica dovrà essere istituita per «accrescere la motivazione e la competenza dei docenti di sostegno, garantendo agli alunni con disabilità la continuità didattica e la stabilità relazionale cui hanno diritto». Sempre secondo quanto si legge nell’atto di indirizzo, alle nuove qualifiche si accederà «attraverso procedure concorsuali specifiche e sistematiche nel tempo».

L’avviso della ministra recepisce una richiesta storica delle associazioni dei genitori degli alunni portatori di handicap. E una volta tradotta in atti normativi renderà molto più difficile di adesso il passaggio dei docenti di sostegno sul posto comune. Attualmente, peraltro, esistono già dei forti vincoli in tal senso. I docenti di sostegno, infatti, sono soggetti a permanere sul posto di sostegno per almeno 5 anni. E solo dopo tale quinquennio possono presentare la domanda di mobilità per passare sul posto comune.

La domanda si configura alla stregua di istanza di trasferimento. Ma il richiedente viene automaticamente escluso dalla fase comunale.

E cioè dalla prima fase dei movimenti in cui vengono effettuati con precedenza i trasferimenti nello stesso comune. La domanda viene elaborata solo nella seconda fase (la cosiddetta fase provinciale). Come se si trattasse della domanda di un docente titolare in comune diverso da quello in cui è titolare all’atto della presentazione dell’istanza. Ma in questa fase partecipa comunque ai movimenti su tutti i posti disponibili.

Con le nuove norme, invece, la domanda sarà trattata dopo i trasferimenti nella fase della mobilità professionale. Ma non su tutti i posti residuati: solo sul 25%.

Scuole primarie, è a rischio l’obbligo della mascherina

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Obbligo di mascherine a rischio nella scuola primaria. Davanti al Tar del Lazio, infatti, è pendente un ricorso (11506/2020) con il quale viene richiesto al presidente della I sezione di sospendere il decreto del presidente del consiglio dei ministri, del 3 dicembre scorso, nella parte in cui non prevede l’esenzione o le circostanze di esenzione per i minori tra i 6 e gli 11 anni come previsto dalle indicazioni internazionali Oms e Unicef.

Il procedimento non è ancora giunto alla fase della decisione. E proprio per acquisire ulteriori elementi utili, il Tar ha chiesto al presidente di depositare in giudizio la dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020, con cui venivano attivate le previsioni dei regolamenti sanitari internazionali.

E la successiva dichiarazione dell’11 marzo, con la quale l’epidemia da Covid-19 è stata valutata come pandemia.

In più il Tar ha ordinato di depositare il verbale della seduta del 3 dicembre del Comitato tecnico-scientifico. E infine, una sintetica relazione ed ogni altro elemento utile a chiarire le evidenze scientifiche poste alla base dell’imposizione dell’uso della mascherina anche ai bambini di età ricompresa fra i 6 e gli 11 anni, anche durante l’orario scolastico.

Precari dopo 3 anni di servizio restano fuori dall’abilitazione

da ItaliaOggi

Carlo Forte

I precari triennalisti non hanno diritto ad essere equiparati a chi ha l’abilitazione all’insegnamento. Lo ha stabilito la VI sezione del Consiglio di stato con un decreto pubblicato il 12 gennaio scorso (n.21, presidente Montedoro). In particolare, il giudice monocratico ha chiarito che i docenti precari che vantano 3 anni di servizio hanno titolo ad essere inseriti nella fascia delle graduatorie dei non abilitati. Ma non possono aspirare ad essere equiparati a chi abbia partecipato con successo ad un corso o ad un concorso abilitante.

Solo questi soggetti, infatti, hanno diritto ad essere inseriti nelle graduatorie degli abilitati «essendo nella discrezionalità del legislatore nazionale» si legge nel decreto« modulare l’accesso alla professione per assicurare un sistema di valutazione adeguato». Il presidente della VI sezione di palazzo Spada ha spiegato inoltre, che la Corte di giustizia europea, con la sentenza Mascolo, non ha trattato il tema dell’abilitazione.

I giudici europei, infatti, si sono limitati a censurare il fatto che nel nostro ordinamento, una volta superato il triennio di servizio, non è prevista la sanzione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato. E hanno dichiarato che tale situazione non è giuridicamente legittima a causa della lentezza e della dilazione nel tempo dell’indizione delle procedure concorsuali finalizzate al reclutamento.

E infine hanno chiarito che la reiterazione dei contratti a termine è illegittima solo se tale reiterazione avviene senza che vi siano le prescritte esigenze reali e temporanee. Questione che peraltro è stata risolta definitivamente dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale le disposizioni della legge 124/99 nella parte in cui consente la reiterazione oltre i tre anni delle supplenze annuali (fino al 31 agosto).

Fermo restando la legittimità delle norme che prevedono la reiterazione delle supplenze brevi e di quelle fino al 30 giugno. Il giudice monocratico, inoltre, ha spiegato che il possesso del triennio di servizio consente l’accesso a concorsi riservati e a corsi abilitanti proprio perché il triennio, di per sé, non è equiparato all’abilitazione all’insegnamento.

Abilitazione che si consegue per effetto dei corsi abilitanti (ormai esauriti) o dei concorsi abilitanti, ai quali viene ammesso il personale avente tale servizio in situazione di precariato. Ciò per la logica stessa della legge che dispone, appunto, l’ammissione alla partecipazione al concorso straordinario.

Concorso dirigenti, tutto a posto

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Salvo il concorso a preside che ha superato anche la ministra Lucia Azzolina. Con due sentenze gemelle, la 395 e 396 (si veda ItaliaOggi del 13 gennaio scorso) il Consiglio di stato ha capovolto le sentenze 6233 e 6235 del 2019, con le quali il Tar del Lazio aveva annullato l’ultimo concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici. Il Tar aveva addotto, a sostegno delle decisioni, il fatto che nella commissione del concorso vi fossero 3 componenti incompatibili. E per questo motivo aveva annullato il concorso. Di qui il ricorso in appello da parte del ministero dell’istruzione e un nutrito gruppo di vincitori del concorso ai quali la VI sezione del Consiglio di stato ha dato ragione, ma compensando le spese.

I giudici di palazzo Spada hanno stabilito che la presenza in commissione dei 3 componenti incompatibili fosse stata irrilevante. I membri contestati, infatti, si erano subito dimessi ed avevano partecipato solo alla riunione plenaria della commissione, formata da ben 100 componenti. In quella sede la commissione plenaria aveva approvato all’unanimità le griglie di valutazione predisposte dal comitato scientifico. Non potendo, peraltro, interferire circa il contenuto di tali griglie. Perché la materia non rientrava nella competenza della commissione. Il collegio, inoltre, ha ritenuto non provata l’incompatibilità dei commissari contestati e non ha ammesso la produzione in giudizio di ulteriori prove, anche documentali, adducendo il cosiddetto divieto dei nova: il divieto di introdurre nuovi elementi nel giudizio di appello rispetto a quello di I grado.

Il concorso a cui fanno riferimento le sentenze è quello indetto con il decreto dirigenziale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 novembre 2017. La selezione metteva in palio 2.425 posti poi aumentati fino a 2.900 e le domande che sono state presentate sono circa 40 mila. Attualmente sono stati nominati 2.492 nuovi dirigenti scolastici. La ministra Lucia Azzolina non risulta nell’elenco dei nominati. La normativa di settore prevede per i neonominati l’obbligo di rimanere per almeno 3 anni nella regione di prima assegnazione (si veda l’articolo 15 del bando di concorso).

Bonus di 100 euro ai prof in servizio a marzo

da ItaliaOggi

Carlo Forte

I docenti e i non docenti che hanno lavorato a scuola in presenza nel mese di marzo hanno diritto all’indennità prevista dall’articolo 63 del decreto-legge 18/2020. L’importo del bonus, pari a 100 euro, sarà riconosciuto d’ufficio. La somma spettante sarà corrisposta in proporzione al numero dei giorni in cui il servizio risulterà essere stato prestato in presenza nel mese di marzo 2020. Lo ha fatto sapere il ministero dell’istruzione con la nota 484 del 9 gennaio scorso.

L’amministrazione ha spiegato che si intenderà assolta per l’intero mese di marzo la prestazione in presenza che sia stata svolta per 22 giorni, se la prestazione settimanale si articolava in 5 giorni su 7, oppure per 26 giorni, se la prestazione settimanale si articolava in 6 giorni su 7. L’importo della somma spettante sarà calcolato moltiplicando 100 euro per il coefficiente derivante dal rapporto tra i giorni in cui l’interessato abbia effettivamente svolto la prestazione in presenza a marzo 2020 e il numero dei giorni lavorabili nello stesso mese.

Facciamo un esempio. Poniamo che la settimana lavorativa sia stata articolata in 6 giorni su 7. In questo caso i giorni lavorabili da assumere convenzionalmente come riferimento sono 26. Pertanto, se il lavoratore avrà svolto in presenza 26 giorni nel mese di marzo 2020, il coefficiente sarà pari a 1 (26 giorni lavorati in presenza/26 giorni lavorabili = 1).

Per calcolare la somma spettante, bisognerà moltiplicare 100 euro per 1. Al lavoratore, quindi, spetterà l’intera somma (100 euro). Nel caso in cui il lavoratore avrà lavorato solo per 13 giorni, il coefficiente sarà pari a 0,5 (13 giorni lavorati in presenza/26 giorni lavorabili = 0,5). L’interessato, dunque, avrà diritto a 50 euro (100 euro per 0,5 = 50 euro).

Trattandosi di un’indennità e, cioè, di una forma di ristoro patrimoniale collegata al rischio di incorrere nel contagio, la somma non sarà assoggettata ad alcuna imposizione fiscale. Ne ha diritto sia il personale di ruolo che i supplenti. Se il dipendente avrà prestato servizio nel mese di marzo in più istituzioni scolastiche, sarà una sola di queste a calcolare l’importo avendo cura di sommare i giorni prestati nelle diverse scuole.

Rientro a scuola, Regioni chiedono incontro urgente con governo: posizioni incoerenti

da OrizzonteScuola

Di redazione

E’ in corso la riunione della Conferenza delle Regioni richiesta dal governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga per parlare in particolare del tema scuola.

A quanto apprende Ansa non vi sta partecipando nessun ministro ma solo i presidenti delle Regioni e la coordinatrice degli assessori all’Istruzione Alessandra Nardini.

Fedriga nelle scorse ore ha emanato l’ordinanza per la conferma fino al 31 gennaio della dad al 100% per le superiori, nonostante il ricorso presentato al Tar. I genitori promettono nuovo ricorso.

Seguiranno aggiornamenti

Aggiornamento ore 22,30 – La Conferenza delle Regioni si è conclusa. Le Regioni chiedono all’unanimità la convocazione del ministro Speranza per domani o al massimo mercoledì, per dirimere la questione della scuola.

A quanto apprende Ansa, si è discusso delle dichiarazioni di ieri del Cts, delle decisioni dei Tar e alcune posizioni espresse in passato e diverse da oggi, dello stesso Cts, dell’Iss e del consulente del Governo che verrebbero giudicate incoerenti.

Scuola digitale e Ddi, Formare al futuro: più di 50mila i docenti formati con il nuovo programma del Ministero

da OrizzonteScuola

Di redazione

“Formare al futuro” è un nuovo programma di formazione del Ministero dell’istruzione, rivolto a tutto il personale scolastico in servizio, sulla didattica digitale integrata e sulla trasformazione digitale dell’organizzazione scolastica.

Il programma viene realizzato attraverso la sinergia con il sistema di implementazione del Piano nazionale scuola digitale (PNSD) , a partire dai poli formativi “Future labs”, presenti in tutte le regioni italiane, e con altri poli formativi, che realizzano attività formative per il personale scolastico in servizio, nell’ambito del PNSD e del PON “.

Il programma ha preso avvio dal mese di luglio 2020 e proseguirà fino al 2022. Nei primi mesi di attività sono già oltre 50.000 i docenti formati.

Ai percorsi formativi può iscriversi il personale scolastico in servizio, accedendo alle pagine dedicate attivate dai poli formativi, e disponibili nell’area “Percorsi formativi” di questo portale. In tale area è possibile conoscere i percorsi attivi, ordinati per data di inizio dei percorsi, l’archivio dei percorsi già realizzati, i materiali di alcuni corsi svolti, resi disponibili dalle scuole polo.

Qui la pagina dedicata

Dpcm e rientro a scuola, le Regioni possono differire il termine di riavvio delle lezioni in presenza. Circolare ministero Interno

da OrizzonteScuola

Di redazione

È stata inviata ai prefetti la circolare a firma del capo di Gabinetto del ministero dell’Interno Bruno Frattasi contenente indicazioni per l’attuazione del decreto-legge n.2 del 14 gennaio 2021 (Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 10, dello stesso giorno) recante “Ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e prevenzione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e di svolgimento delle elezioni per l’anno 2021”, e del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 gennaio 2021, adottato di seguito, (Gazzetta ufficiale, Serie generale, n.11, del 15 gennaio 2021), con il quale sono state introdotte misure urgenti per fronteggiare i rischi sanitari connessi alla diffusione del Coronavirus.

Nella circolare vengono differenziate le misure per colore di area.

Scuole in area gialla e area arancione: stesse indicazioni per entrambe le aree, ovvero “con decorrenza dal 18 gennaio 2021, l’attività didattica in presenza sia garantita per un minimo del 50% e fino a un massimo del 75% della popolazione studentesca delle istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado.

Tale previsione, che rende flessibile la ripresa dell’attività didattica in presenza, sostituendo la precedente misura, stabilita in maniera fissa, con una “forbice” percentuale, non determina la riapertura dei documenti operativi già definiti a conclusione dei lavori dei Tavoli di coordinamento istituiti presso le prefetture. Infatti, tali documenti hanno programmato la ripresa delle citate attività didattiche assumendo come obiettivo la soglia del 75% della popolazione studentesca interessata, ora fissata come tetto massimo, ricomprendendo, pertanto, ogni diversa percentuale rientrante nella “forbice”.

L’assetto sopra delineato potrà essere interessato da mutamenti in dipendenza di ordinanze regionali, adottate per motivi sanitari ai sensi dell’art. 32 della legge 23 dicembre 1978, n.833, volte a differire il termine di riavvio della didattica in presenza per le scuole secondarie di secondo grado, ovvero di ordinanze del Ministro della Salute che determinino il passaggio di un territorio regionale nell’area “rossa”, per la quale la didattica in presenza per i suddetti istituti scolastici rimane sospesa”.

CIRCOLARE

Sciopero scuola 29 gennaio: circolare ministeriale con le indicazioni per gli istituti

da OrizzonteScuola

Di redazione

Il Ministero dell’Istruzione, con la circolare n.1953 del 18 gennaio, dà indicazioni agli istituti in merito alle adesioni allo sciopero indetto da Cobas per il 29 gennaio.

Le istituzioni scolastiche avranno cura di adottare tutte le soluzioni a loro disponibili (es: pubblicazione
su sito web della scuola, avvisi leggibili nei locali della scuola, ecc. ) in modo da garantire la più efficace
ottemperanza degli obblighi previsti in materia di comunicazione.

Si ricorda inoltre, ai sensi dell’art. 5, che le amministrazioni “sono tenute a rendere pubblico
tempestivamente il numero dei lavoratori che hanno partecipato allo sciopero, la durata dello stesso e la
misura delle trattenute effettuate per la relativa partecipazione”.

lE informazioni dovranno essere raccolte, seguendo puntualmente le osservazioni del relativo manuale,
attraverso la nuova procedura di acquisizione disponibile sul portale SIDI, sotto il menù “I tuoi servizi”,
nell’area “Rilevazioni”, accedendo all’apposito link “Rilevazione scioperi web” e compilando i campi previsti
nelle sezioni:

– N. personale scioperante;
– N. personale;
– N. personale assente per altri motivi;
– N. strutture interessate dallo sciopero espresse nel numero di plessi e di classi in cui si è registrata la
totale e/o parziale riduzione del servizio.

CIRCOLARE