Lettera alla Ministra Azzolina

Lettera alla Ministra Azzolina

di Maurizio Tiriticco

Gentilissima! In un Suo recente intervento, Lei ha detto, tra l’altro: “Credo fermamente che la lezione principale appresa durante la pandemia Covid-19 risieda nella crescente consapevolezza del ruolo fondamentale svolto dall’ISTRUZIONE e dalla FORMAZIONE per accrescere la resilienza e promuovere lo sviluppo e il benessere delle popolazioni e dei Paesi europei… Tra i risultati più rilevanti del Pilastro europeo dei diritti sociali, che sancisce una serie di principi e diritti fondamentali in ambito sociale, vi è il rinnovato impegno ad offrire ai nostri bambini, giovani e adulti un’ISTRUZIONE, una FORMAZIONE e un apprendimento permanente di alta qualità e inclusivo…”.

A questo proposito, ritengo opportuno ricordarLe che nell’articolo 1, comma 2 del dPR 275/99, istitutivo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, si legge che tale autonomia “è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di EDUCAZIONE, FORMAZIONE e ISTRUZIONE mirati alla sviluppo della persona umana…”. Pertanto, le tipologie di intervento nelle nostre scuole sono tre, non due.

In realtà sono tre sostantivi che indicano tre concetti/azioni diverse. L’EDUCAZIONE attiene ai VALORI, alla necessità che i nuovi nati, giunti in età scolastica, siano avviati anche e in primo luogo alla condivisione dei “principi fondamentali” che sostengono la nostra convivenza civile e che sono descritti negli articoli 1-12 della Costituzione repubblicana. La FORMAZIONE attiene alla promozione di date abilità operative, al saper fare. L’ISTRUZIONE attiene alla acquisizione delle conoscenze disciplinari, inter- e pluridisciplinari, di cui ai singoli gradi ed ordini di studio. I processi EDUCATIVI, pertanto, sono fondanti per quanto concerne i VALORI che i cittadini di un Paese e di una comunità sociale sono tenuti a condividere.

E mi piace ricordare che non è un caso il fatto che il regime fascista ridenominò il dicastero dell’ISTRUZIONE con quello dell’EDUCAZIONE NAZIONALE. Ciò perché in effetti la scuola fascista aveva come prima finalità non quella di ISTRUIRE, ma quella di EDUCARE! Perché le nuove generazioni diventassero in primo luogo fedeli sudditi del regime! E va ricordato che negli studi superiori postuniversitari si studiava anche e in primo luogo la “Mistica Fascista”. Si trattava di una corrente di pensiero fideista, ovviamente tutta interna al fascismo. Ciò avvenne perché molti intellettuali fascisti tentarono di uscire da un ambito esclusivamente politico per crearne uno addirittura spirituale. Ed una “Scuola di Mistica Fascista” fu fondata a Milano il 10 aprile del 1930, che si sviluppò per l’impegno costante di Niccolò Giani con l’appoggio determinante di Arnaldo Mussolini, fratello minore di Benito. In alcune università italiane fu addirittura istituita la cattedra di Mistica fascista, attiva fino alla caduta del fascismo, quando il 25 luglio del 1943 Mussolini venne destituito dei suoi poteri dal Re Vittorio Emanuele III ed imprigionato.

Con il regime fascista tutte le fasi di sviluppo/crescita di un nuovo nato erano dettagliatamente scandite, controllate e guidate. Venne addirittura istituita la cosiddetta Leva Fascista. Si trattava di una manifestazione che si celebrava ogni 21 aprile, anniversario della nascita di Roma. Con questa si sanciva il passaggio tra i vari livelli organizzativi giovanili, secondo cui era strutturato il modello educativo fascista. La Leva consisteva nel contemporaneo passaggio: dei Figli della Lupa nelle file dei Balilla, prima Escursionisti, poi Moschettieri; delle Piccole Italiane nelle file delle Giovani Italiane prima e delle Giovani Fasciste successivamente; degli Avanguardisti nei Gruppi dei fascisti universitari (GUF) o nelle file dei Giovani Fascisti. Molti giovani venivano anche arruolati nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN). L’atto terminale della Leva consisteva nell’iscrizione nel Partito Nazionale Fascista. Tutti i cittadini italiani erano di fatto e di diritto iscritti al PNF e i maschi portavano tutti sull’occhiello della giacca il relativo distintivo con la scritta PNF. E in gran sottovoce si diceva che tale scritta significasse… in realtà… Per Necessità Famigliari.

Gentilissima! Mi scusi se sono andato oltre il seminato. Di fatto intendevo soltanto sottolinearLe che l’EDUCAZIONE costituisce l’insieme dei valori che un dato regime è tenuto a perseguire. E che in un regime di libertà non possiamo fare a meno di condurre le nuove generazioni alla condivisione dei principi democratici. Pertanto un insegnante è tenuto senz’altro ad INSEGNARE e a FORMARE, ma anche e forse in primo luogo ad EDUCARE.

Con la stima di sempre, distinti saluti!

Fine primo quadrimestre al tempo del COVID

Fine primo quadrimestre al tempo del COVID

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Anche quest’anno per molte scuole è il tempo di tirare le somme e raccogliere i risultati di metà anno.

Un anno particolare, con una didattica frammentata, resa difficile dalle continue sospensioni delle attività didattiche, dai servizi essenziali spesso non erogati o sospesi, dai continui adattamenti in itinere dei servizi di trasporto e da un clima generale che lascia poco spazio all’ottimismo.

A tutto questo si aggiungono le numerose novità normative, con il conseguente sovraccarico di lavoro per la dirigenza sempre più in difficoltà a presidiare tutti i momenti centrali della vita educativa e, di conseguenza, sempre più lontano da chi dovrebbe guidare e dirigere.

Se a questo aggiungiamo tutti i lavori e le misure che sono state realizzate, dai banchi singoli ai piani di emergenza, allo studio di misure per garantire un efficace distanziamento, a tutte le disposizioni emanate per prevenire il rischio biologico, al maggior numero di personale da contrattualizzare e di conseguenza da gestire, emerge una dirigenza stanca, che ha difficoltà a recuperare le energie necessarie per svolgere bene il proprio lavoro.

Inoltre tutte le procedure negoziali attivate per gli acquisti straordinari e l’introduzione delle nuove modalità di valutazione nella scuola primaria, oltre ai piani per la Didattica Digitale Integrata e l’introduzione dell’educazione civica con i suoi necessari adattamenti del PTOF, fanno emergere un quadro che vede una dirigenza sempre impegnata e in cui il tempo per la riflessione viene sempre meno.

Il tempo del presidio, del dialogo, della relazione, alla base della costruzione di una leadership educativa, che ponga al centro l’alunno viene a mancare.

Dalla ricerca IPRASE, Angelo Paletta aveva evidenziato questo aspetto, in quanto dalle osservazioni sistematiche fatte nelle scuole campione, il fattore comune per una dirigenza di qualità era rappresentato dall presidio di tutte le azioni e di tutti i momenti significativi della vita scolastica.

In un contesto fatto di scadenze, adempimenti, instabilità e imprevedibilità dovuta a soggetti esterni che in qualunque momento possono determinare la sospensione delle attività didattica, oppure da adempimenti amministrativi non programmabili ed inattesi, il presidio diventa un’utopia.

Eppure la storia insegna che è nel fronteggiare una crisi o un’emergenza che si consolida in senso di appartenenza, si creano spontaneamente le condizioni per fare squadra e, quindi, un’occasione per creare o consolidare quel senso di comunità che nella scuola diventa educante.

Scuola primaria, valutazione, una riforma necessaria, certo, ma che si presenta in un momento critico, dove i maestri sono alle prese con la Didattica Digitale Integrata, molti di loro con percorsi di formazione individuale finalizzati ad acquisire quelle competenze informatiche di base, per anni rimandate o trascurate.

Questo non per pigrizia, ma per un senso di inadeguatezza all’uso delle nuove tecnologie. Spesso i nativi digitali o gli immigrati digitali dimenticano che non è poi così semplice, come sembra, per chi non lo ha fatto mai accostarsi ad un computer.

Un senso di inadeguatezza vissuto in silenzio, che mortifica e di cui non è facile parlare, eppure diffuso, anche perché il nostro corpo docenti è costituito in maggioranza da personale prossimo alla pensione, stanco, con un lavoro che in determinate fasce di età è indubbiamente molto impegnativo e richiederebbe nuove energie.

La riforma era certamente necessaria, solo non fosse per il disallineamento e la confusione dovuti alla coesistenza di diverse modalità di valutazione, basti pensare ai voti in decimi dei risultati scolastici, e dei  livelli nelle prove standardizzate e nella certificazione per competenze del primo ciclo.

C’è da dire anche che la valutazione in decimi si porta dietro delle criticità dovute al fatto che spesso è lontana da un percorso formativo progettuale didattico, in quanto ormai il significato è automatizzato in tutto il personale docente e di conseguenza negli studenti e nelle famiglie.

10, 9, 8, 7, 6 hanno un valore che va al di là delle griglie di valutazione di ogni singolo istituto, in barba all’autonomia, e la media aritmetica dei voti delle verifiche un’ancora dove approdare per non avere problemi con la propria coscienza, ma neanche con i genitori, in quanto si sa, la matematica non accetta opinioni.

Pertanto, una riforma che sposta ulteriormente il focus sul valore formativo della valutazione, sulla progettazione delle unità di apprendimento, su una riscoperta delle indicazioni nazionali, faro indiscutibile della scuola italiana. Peccato che in fondo, fino ad oggi, verso quella direzione hanno guardato in pochi.

Nella cornice dell’art 4 del DPR 275/99, l’ordinanza n. 172 del 4 dicembre 2020, apre nuovi scenari per la scuola primaria, superando quel limite della coesistenza del giudizio globale descrittivo previsto dal D.lgs. 62/2017 con i voti numerici e riportando il focus sugli obiettivi di apprendimento e sui livelli di raggiungimento degli stessi, ottenuti attraverso criteri facilmente misurabili, allineati in parte con quanto previsto nella certificazione delle competenze e nelle prove INVALSI.

E se nella scuola primaria il tema della valutazione crea ansia e preoccupazione nel corpo docenti, nella scuola secondaria di primo e secondo grado, soprattutto per le zone rosse, i problemi sono ben più seri: una generazione di studenti cresciuti da ormai un anno con la Didattica a Distanza, livelli di competenza difficilmente misurabili a distanza, studenti privati delle relazioni sociali, almeno di quelle in presenza, ma per molti a tutto questo si aggiunge l’orientamento.

Ebbene sì! Gennaio è anche periodo di iscrizioni al nuovo anno scolastico, e per le classi prime un periodo insolito quest’anno, senza Open Day, senza incontri in presenza, con il virtuale a farla da padrone, video tour, videoconferenze, utilizzo dei social ai fini promozionali, con Dirigenti e Docenti impegnati in una competizione senza pari, per poter mantenere le classi e di conseguenza le dotazioni organiche.

Tutti contro tutti, ma in fondo vittime di un calo demografico che inevitabilmente porta al ridimensionamento, al riaccorpamento, e anche se le ultime misure adottate tranquillizzano un pò, di fatto le previsioni sono drammatiche.

Già nel 2018 una ricerca condotta dalla Fondazione Agnelli, “Scuola. Orizzonte 2028 – Evoluzione della popolazione scolastica in Italia e implicazioni per le politiche”, evidenziava una riduzione della popolazione scolastica che comporterà un minor fabbisogno e dunque una contrazione degli organici dei docenti, a partire dai gradi inferiori, per un totale di oltre 55.000 posti/cattedre che verranno persi in 10 anni (2018-28).

La scuola si racconta, dunque, in un mese di Gennaio che aggiunge anche le criticità della programmazione finanziaria, gli adempimenti legati alla redazione del programma annuale  e alla trasmissione dello stesso al collegio dei revisori e al consiglio d’istituto entro il 15 e che necessariamente dovrà essere approvato da quest’ultimo entro il 15 febbraio.

Ma è anche la scuola del lavoro agile, del POLA, delle modalità dello sciopero cambiate, e gli studenti?

Questa è la domanda che dovrebbe farci riflettere, serve il tempo per la riflessione, il tempo per il presidio, il tempo anche, perché no, di sbagliare e poi correggersi e rimediare, in una ritrovata umanità oggi sempre più compromessa dai processi in atto.

Adulti con deficit di attenzione

Adulti con deficit di attenzione, se ne occupano in pochi
Salute del 23/01/2021

I bambini con ADHD crescono ma da grandi trovano solo nove centri pubblici in tutto il Paese. Ecco come funzionano.

Una impietosa indagine su centri pubblici italiani e le procedure per diagnosi e trattamento negli adulti con ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività) è appena apparsa sulla Rivista di Psichiatria  ad opera di un ampio gruppo di specialisti. Sconfortante il risultato: «Non esistono linee guida nazionali per l’ADHD nell’adulto. I dati raccolti suggeriscono che non esiste una pratica condivisa tra i centri né per quanto riguarda la transizione del paziente dai servizi per l’infanzia e l’adolescenza a quelli per l’età adulta né rispetto al processo diagnostico-terapeutico». La comparazione con linee guida e servizi in Germania e Gran Bretagna (NICE) è servita per osservare carenze e ritardi. I primi firmatari dello studio sono Giovanni Migliarese del Fatebenefratelli-Sacco di Milano, Elsa Zadra e Giancarlo Giupponi dell’ospedale di Bolzano, Francesco Oliva dell’università San Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino), Pietro De Rossi dell’Asl 5 di Roma, Francesco Gardelli dell’Aulss8 di Berica,(Vicenza), Paolo Scocco dell’Aulss6 Euganea, Padova e altri psichiatri di università e ospedali di Roma, Torino, Lodi, Bergamo e Pisa.

Le linee guida 
“La scelta di far riferimento alle linee guida inglesi (NICE) e tedesche è nata dal desiderio di utilizzare delle indicazioni valide tra quelle presenti nel panorama internazionale, e allo stesso tempo non eccessivamente distanti dal nostro contesto (le linee guida americane o canadesi ad esempio hanno meno punti in comune) – racconta lo psichiatra del Fatebenefratelli-Sacco, Migliarese – le linee guida tedesche inoltre sono state utilizzate come riferimento, più di 10 anni fa, dal servizio di Bolzano del professor Andreas Conca che per primo ha iniziato a portare in Italia il tema dell’ADHD negli adulti, mentre le NICE inglesi hanno la particolarità di una scrittura multidisciplinare (non solo psichiatri e psicologi ma anche infermieri e familiari)”.
L’interessante sondaggio è stato effettuato su 48 servizi accreditati per l’ADHD in sei Regioni (Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Veneto) e la Provincia autonoma di Bolzano, ha portato alla selezione di soli 9 centri che si occupano di adulti. Qui il primo elemento.
E’ così emerso dalla ricerca che circa due terzi dei ragazzini con ADHD mantengono i sintomi fino nell’età adulta. Un quadro clinico aggravato da disturbi della personalità e di comportamento, difficoltà sociali ed emotive, dipendenze e abusi di sostanze. Bassa autostima, problemi relazionali e frequenti incidenti, scarsa istruzione, inattività lavorativa e coinvolgimento in attività criminali, poca affidabilità sul lavoro sono altre aggravanti. Parecchi studi hanno mostrato inoltre un’alta incidenza di ideazioni suicidarie e una possibile alterazione dei ritmi circadiani. “Ancora in Italia – affermano con sicurezza gli psichiatri – solo una minoranza di adulti con ADHD sono correttamente diagnosticati e trattati (…) Uno studio recente su 20 Paesi stima la prevalenza di ADHD tra gli adulti in circa il 2,8%” (significherebbe in Italia 270 mila-360 mila bambini). L’ADHD colpisce più i maschi che le femmine in rapporto 4 a 1. 

Sintomi negli adulti
Spiega lo psichiatra Giovanni Migliarese: «Nell’ADHD una quota rilevante dei bambini (circa il 50%) non risolve il problema entro il limite dei 18 anni e le tipiche modalità di funzionamento (disattenzione, disorganizzazione, impulsività e tendenza all’iperattività) si mantengono, seppur leggermente modificate dalla traiettoria evolutiva e dagli adattamenti determinati dalla crescita e dall’esperienza. La storia evolutiva del disturbo è molto variegata, ma generalmente vi è un sostanziale mantenersi della disattenzione, mentre gli aspetti iperattivi tendono a ridursi e a mostrarsi in altre forme come iperattività mentale, irrequietezza, impulsività”. Poi continua: “Per alcuni soggetti le condizioni dell’età adulta, che sono più complesse di quelle che deve affrontare un minore, favoriscono una “slatentizzazione” di un quadro fino a quel momento non significativo. Allo stesso tempo anche altri eventi, possono far emergere un funzionamento ADHD fino a quel momento poco evidente (es. traumi cranici)”. Un registro nazionale per adulti ADHD è stato istituito (ora in carico all’Agenzia del Farmaco-AIFA) e l’Istituto Superiore di Sanità ha da tempo sollecitato le Regioni ad individuare i centri di riferimento per adulti ADHD ma con scarsi risultati. Solo poche Regioni lo hanno fatto e non esiste una lista ufficiale. Non vi sono linee guida e vi è una carenza di servizi specializzati per la diagnosi e il trattamento.

Approccio multidisciplinare
Un approccio globale e multidisciplinare, non solo né prevalentemente farmacologico (metilfenidato e atomoxetina), sembra essere la risposta più adatta anche nelle esperienze e linee guida tedesche e inglese. Sotto-diagnosticare e sotto-trattare gli adulti ADHD ha una conseguenza: maggiori costi sanitari e sociali. AIFA Onlus (Associazione italiana famiglie ADHD), la  Società italiana di psichiatria e la Società italiana patologie da dipendenza dal 2018, insieme, denunciano questa situazione. La comparazione dei 9 centri specializzati individuati nella ricerca denota una scarsa o nulla condivisione delle esperienze di diagnosi e trattamento, seppure vi siano alcuni elementi simili. E soprattutto nessun protocollo nel passaggio dai servizi – in verità assai più diffusi- per bambini e adolescenti ADHD a quelli – inesistenti a volte – per adulti. I 9 centri sono il Centro di Eccellenza ADHD per adulti di Bolzano, DSM dell’AULSS 8 Berica (Vicenza), il Centro per diagnosi e trattamento ADHD nell’adulto di Milano e il Centro di Riferimento ADHD Adulti di Torino, il Centro ADHD di Roma, il CSM della ULSS 6  di Padova, il Centro per adulti ADHD dell’ASL Roma 5  e quello di Pisa, il DSM dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Tentativi di fare rete 
Racconta ancora Migliarini, tra i firmatari dello studio: “L’anno passato a gennaio, nel corso del XXI congresso di Neuropsicofarmacologia, è stato lanciato il progetto di creare una rete per i centri che in Italia si occupano di ADHD nell’adulto, al fine di rendere sempre più uniformi le modalità diagnostiche e di intervento clinico (cosa in Italia complessa in molti ambiti anche in relazione al diverso assetto organizzativo su base regionale). È stato un successo purtroppo rallentato dal COVID.  Il 27 gennaio ci sarà il XXII congresso di neuropsicofarmacologia, dal titolo Quando tutto cambia e nell’occasione sarà presentato il primo testo per addetti ai lavori sull’ADHD nell’adulto (curato anche dal professor Claudio Mencacci e con la partecipazione di diversi colleghi esperti del tema). Speriamo possa essere una buona base di partenza per aumentare la consapevolezza di questa condizione e favorire interventi per le persone che ne sono affette, in modo più semplice e specifico”.

Psichiatria computazionale
Per concludere, sul fronte delle diagnosi del deficit di attenzione/iperattività, dall’Ohio State University arriva una metanalisi (50 studi) pubblicata ora sul Psychological Bulletin che sostiene l’utilizzo della simulazione al computer come ulteriore e utile strumento oggettivo di valutazione dei sintomi e gravità di problemi di comportamento. Non solo test cognitivi, interviste cliniche e questionari ma utilizzo della cosiddetta psichiatria computazionale nella diagnosi dell’ADHD nei bambini. Vengono analizzati tre modelli computazionali in particolare per “meglio caratterizzare l’ADHD e altre diagnosi come ansia o depressione, migliorare la riuscita dei trattamenti (circa un terzo dei pazienti non risponde alle cure mediche/farmacologiche) e predire potenzialmente quali bambini “perderanno” la diagnosi di ADHD da adulti”. Secondo i ricercatori l’utilizzo della psichiatria computazionale aiuta ad individuare meglio le diverse forme di ADHD e “personalizzare” le cure. La psichiatria computazionale è un approccio «basato sull’uso di precisi modelli matematici che si propone di fornire ai clinici basi più solide su cui lavorare», come lo descriveva in un articolo l’epistemologo Massimo Piattelli Palmarini. Una risposta a quello che anni fa su Nature Human Behavior, Sophia Vinogradov, psichiatra alla University of Minnesota Medical School annotava: «C’è un segreto di cui noi psichiatri non amiamo parlare: lo stato spaventosamente primitivo del nostro modo di valutare, capire e trattare la malattia mentale». 

di Maurizio Paganelli

Il 25 gennaio le mobilitazioni di Priorità alla scuola

Scuola: il 25 gennaio FLC CGIL sostiene le mobilitazioni di Priorità alla scuola

Roma, 23 gennaio – Il 25 gennaio si chiudono le iscrizioni alle scuole di ogni ordine grado, momento che prelude alla formazione delle classi per il prossimo anno scolastico. Una data simbolica in cui torneranno a far sentire la propria voce i lavoratori e le lavoratrici, gli studenti, le studentesse e le famiglie, per dire BASTA alle “classi pollaio”. Come FLC CGIL sosteniamo la mobilitazione promossa da Priorità alla scuola, che lunedì 25 gennaio sarà davanti agli uffici scolastici regionali di tutta Italia e a Roma al Ministero dell’Istruzione, per ribadire la propria contrarietà a classi sovraffollate e organici precari e sottodimensionati.

L’emergenza sanitaria ha reso ancora più evidente quanto sia necessario diminuire il numero di alunni per classe per la qualità della didattica e per la sicurezza di alunni, docenti e ATA. Diminuire il numero di alunni per classe significa, come chiediamo da anni, recuperare i tagli del duo Gelmini -Tremonti, investire significativamente e strutturalmente sugli organici ampliandone il numero e stabilizzando, attraverso procedure snelle e per titoli, le lavoratrici e i lavoratori precari.

Come FLC CGIL abbiamo più volte denunciato il grave ritardo del Governo su una serie di provvedimenti a garanzia del diritto allo studio e della sicurezza. Ribadiamo ancora una volta gli interventi che riteniamo necessari:

  • Dati certi e consultabili sui contagi nelle scuole
  • Corsia preferenziale sull’effettuazione dei tamponi e dei tracciamenti
  • Fornitura adeguata di dispositivi di sicurezza per il personale
  • Aggiornamento tempestivo dei protocolli sulla sicurezza, a partire da quello nazionale
  • Inserimento del personale della scuola nel piano vaccinale nazionale
  •  Interventi sul sistema dei trasporti
  • Risorse per l’ampliamento degli organici docente e ATA e per la riduzione del numero di alunni per classe
  • Organici stabili con docenti e ATA assunti in maniera tempestiva rispetto all’avvio dell’anno scolastico

La scuola ha bisogno di risposte credibili e in tempi brevi.