COVID-19: DA MINISTERI ISTRUZIONE E SALUTE ANCORA MUTISMO SUI DATI

COVID-19, GILDA: DA MINISTERI ISTRUZIONE E SALUTE ANCORA MUTISMO SUI DATI

“Sono trascorse due settimane da quando abbiamo inviato una richiesta formale ai ministeri dell’Istruzione e della Salute per conoscere i dati dei contagi da Covid-19 su tutta la popolazione scolastica, ma non ci è ancora giunta alcuna risposta. Invece di trincerarsi dietro il mutismo, Azzolina e Speranza farebbero una figura migliore se ammettessero di non disporre dei numeri che abbiamo chiesto”. A dichiararlo è Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti.

“La ministra dell’Istruzione afferma che oggi ci sono le condizioni per riprendere le lezioni in presenza e, rivolgendosi agli studenti che protestano per ottenere un rientro a scuola in sicurezza, li invita a tornare in aula. Ebbene – incalza Di Meglio – vorremmo sapere quali sono i dati epidemiologici che sostanziano le parole della titolare di viale Trastevere e di condividerli rendendoli pubblici. La battaglia per la trasparenza e l’accessibilità dei dati riguardanti l’epidemia nelle scuole ci vede impegnati sin dall’inizio dell’anno scolastico e – conclude il coordinatore nazionale della Gilda – continueremo a condurla fino a quando non otterremo le risposte che cerchiamo e a cui tutta la popolazione scolastica ha diritto”.

Soft skills e competenze chiave dell’apprendimento permanente

Le soft skills e le competenze chiave dell’apprendimento permanente dell’Unione europea (22 maggio 2018)

di Pietro Boccia

Le Indicazioni nazionali per il curricolo (4 settembre 2012) affermano con convinzione che lo studente, al termine del primo ciclo d’istruzione, deve essere in grado di affrontare autonomamente e responsabilmente le difficoltà della vita e le situazioni tipiche della propria età. Deve, poi, applicare, in maniera originale, le otto competenze chiave di cittadinanza (la comunicazione nella madrelingua, la comunicazione nelle lingue straniere, la competenza matematica, la competenza digitale, imparare a imparare, le competenze sociali e civiche, il senso d’iniziativa e imprenditorialità, la consapevolezza e l’espressione culturale).

Nel 2018 il quadro delle competenze-chiave per l‘apprendimento permanente, definite dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell‘Unione europea (Raccomandazione del 22 maggio 2018), modifica, in parte, quello del 18 dicembre 2006.

Prima di parlare delle otto competenze-chiave del 22 maggio 2018, che si articolano in conoscenze, abilità e atteggiamenti personali, sociali e/o metodologici, è necessario introdurre le soft skills o capacità, che il Consiglio dell’Unione europea elenca; esse rappresentano l’essere autonomi, l’aver fiducia in se stessi, il possedere resistenza allo stress, l’organizzare e il pianificare, l’apprendere in maniera permanente, il saper raggiungere gli obiettivi, il saper gestire le informazioni, l’essere intraprendenti, l’avere spirito d’iniziativa, il comunicare, l’esercitare il problem solving, il saper lavorare in gruppo e il possedere capacità di leadership.

Le soft skills possono essere dichiarative (sapere), procedurali (saper fare) e pragmatiche (saper come fare).

Le otto competenze chiave del 22 maggio 2018, relative all’apprendimento permanente, sono:

1. La competenza alfabetica funzionale, che indica la capacità di individuare, comprendere, esprimere, creare e interpretare concetti, sentimenti, fatti e opinioni, in forma sia orale sia scritta, utilizzando materiali visivi, sonori, digitali e attingendo a varie discipline e contesti. Essa si articola in conoscenze (vocabolario, grammatica funzionale, funzioni del linguaggio, tipologie d’interazione, relative al dialogo e alla comunicazione, registro linguistico), in abilità (comunicare in forma scritta e orale, relazionarsi con gli altri in modo efficace e creativo), e in atteggiamenti (sfidare la realtà criticamente, valutare dati e informazioni correttamente, dialogare costruttivamente e impiegare il linguaggio positivamente e responsabilmente).

2. La competenza multilinguistica, che definisce la capacità di utilizzare diverse lingue in modo appropriato ed efficace allo scopo di comunicare. Essa si articola in conoscenze (vocabolario e grammatica delle diverse lingue, gli usi e le convenzioni storiche, sociali e culturali della lingua studiata, attenzione verso la variabilità della lingua diversa), in abilità (capire le comunicazioni delle diverse lingue, conversare in maniera fluente, saper sostenere una conversazione, saper leggere e comprendere testi nelle diverse lingue), e in atteggiamenti (avere rispetto della diversità culturale delle lingue, essere disponibili a una comunicazione interculturale, rispettare il profilo linguistico dei diversi, pensare all’incontro con le lingue diverse come un momento di arricchimento).

3. La competenza matematica e quella in scienze, tecnologie e ingegneria. La competenza matematica è la capacità di sviluppare e applicare il pensiero e la comprensione matematici per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane. La competenza in scienze si riferisce alla capacità di spiegare il mondo che ci circonda usando l’insieme delle conoscenze e delle metodologie, comprese l’osservazione e la sperimentazione, per identificare le problematiche e trarre conclusioni che siano basate su fatti empirici, e alla disponibilità a farlo. Le competenze in tecnologie e ingegneria sono applicazioni di tali conoscenze e metodologie per dare risposta ai desideri o ai bisogni avvertiti dagli esseri umani.

Con la tecnologia e l’ingegneria si vuole evidenziare la capacità di rendere operative le conoscenze e le metodologie, relative a tali scienze per capire le trasformazioni della vita umana e cogliere le responsabilità di ogni cittadino. La competenza in matematica, scienze, tecnologie e ingegneria implica la comprensione dei cambiamenti determinati dall’attività umana e della responsabilità individuale del cittadino. Essa si articola in conoscenze (numeri, misure, strutture, comprensioni matematiche da applicarsi in situazioni quotidiane, impatto tecnologico) in abilità (applicare in situazioni quotidiane i modelli, saper governare e incanalare una concatenazione di argomentazioni, saper condurre un ragionamento matematico, saper utilizzare in modo funzionale e leggere dati e grafici adatti per spiegare la realtà, saper osservare e investigare, sperimentare, possedere un pensiero logico) e in atteggiamenti (essere disponibili a ricercare la verità, ricercare le cause e la validità e uniformità dei fenomeni, possedere la disponibilità in campo etico a sostenere il problema della sostenibilità ambientale e della sicurezza).

4. La competenza digitale. La competenza digitale presuppone l’interesse per le tecnologie digitali e il loro utilizzo con dimestichezza e spirito critico e responsabile per apprendere, lavorare e partecipare alla società. Essa si articola in conoscenze (dispositivi, reti, software, logica sottesa all’impiego, sostegno per la comunicazione, stimolo per la creatività e l’innovazione, acquisizione consapevole del digitale per riconoscere le opportunità e i rischi che comporta), in abilità (impiegare il digitale per una vita responsabile e per assecondare l’inclusione e l’attività creativa), e in atteggiamenti (essere creativi, riflessivi e critici, aprirsi e interessarsi all’evoluzione del digitale, riflettere eticamente sulle opportunità e sui rischi dell’uso.

5. La competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare. La competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare consiste nella capacità di riflettere su se stessi, di gestire efficacemente il tempo e le informazioni, di lavorare con gli altri in maniera costruttiva, di mantenersi resilienti e di gestire il proprio apprendimento e la propria carriera. Essa si articola in conoscenze (strategie di apprendimento, lettura, analisi e interpretazione sulle esigenze personali di sviluppo e di formazione, occasioni di orientamento e di carriera nei diversi ambienti in cui si opera, elementi di uno stile di vita rivolto alla salute personale e sociale), in abilità (concentrarsi e gestire le situazioni di complessità, riflettere criticamente sulle diverse informazioni, gestire una comunicazione in modo costruttivo, organizzare il proprio apprendimento, essere resilienti nel gestire efficacemente le incertezze e lo stress, comunicare, collaborare, negoziare, accettare e confrontarsi con prospettive differenti, creare fiducia ed essere empatici) e in atteggiamenti (realizzare consapevolmente benessere personale, essere predisposti ad apprendere per tutta la vita, collaborare ed essere assertivi, essere attenti alla propria integrità, avere rispetto per le diversità, cogliere i pregiudizi e corredarsi culturalmente per superarli, fare fronte criticamente allo studio professionale).

6. La competenza in materia di cittadinanza. La competenza in materia di cittadinanza si riferisce alla capacità di agire da cittadini responsabili e d i partecipare pienamente alla vita civica e sociale, in base alla comprensione delle strutture e d e i concetti sociali, economici, giuridici e politici oltre che dell’evoluzione a livello globale e della sostenibilità. Essa si articola in conoscenze (concetti e funzioni principali di individui, gruppi, organizzazioni sociali e politiche, fondamentali avvenimenti, relativi alla dimensione regionale, nazionale, europea e internazionale, principali movimenti sociali, sindacali e politici), in abilità (predisporsi al pensiero critico, saper affrontare e risolvere i problemi, sviluppare gli argomenti, relativi agli interessi sociali, essere attenti al tema della società democratica, impiegare criticamente e in modo costruttivo i mezzi di comunicazione, trasformandoli in utili strumenti per vivificare la democrazia) e in atteggiamenti (accogliere e fare fronte ai temi della diversità sociale e culturale, della parità e della sostenibilità ambientale, sostenere i valori della pace e della non violenza, essere attenti alla privacy e superare i pregiudizi per diventare tutti cittadini attivi e partecipi).

7. La competenza imprenditoriale. La competenza imprenditoriale si riferisce alla capacità di agire sulla base di idee e opportunità e di trasformarle in valori per gli altri. Essa si articola in conoscenze (approcci funzionali a progettare e gestire i progetti in tutte le fasi, pianificazione e realizzazione, riferimento alle risorse materiali o personali, dimensione valutativa, dimensione economica, attenzione ai principi etici, come parte integrante della capacità imprenditoriale, attenzione alle sfide dello sviluppo sostenibile), in abilità (avere la capacità di immaginare, di pensare strategicamente, di risolvere in modo alternativo e creativo i problemi, di riflettere criticamente sulle differenti situazioni che si affrontano, lavorare a livello individuale e in collaborazione, saper patteggiare e condurre le diverse fasi della negoziazione per giungere a una convergenza tra soggetti coinvolti sui diversi temi affrontati, saper affrontare le incertezze e gestirle positivamente) e in atteggiamenti (avere spirito d’iniziativa e di autoconsapevolezza, saper cogliere le difficoltà, i punti di forza e di debolezza, riconoscere le opportunità, essere previdenti, essere perseveranti, motivare gli altri, valorizzarne le idee, essere sempre predisposti a collaborare, saper sostenere in maniera empatica le diverse situazioni, sapersi prendere cura delle altre persone e della collettività).

8. La competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturale. La competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali implica la comprensione e il rispetto di come le idee e i significati vengono espressi creativamente e comunicati in diverse culture e tramite tutta una serie di arti e altre forme culturali. Essa si articola in conoscenze (culture ed espressioni culturali, regionali, nazionali, europee e internazionali, patrimonio artistico e culturale, tradizioni, diverse forme di comunicazione, diverse forme artistiche come teatro, musica, architettura e forme ibride), in abilità (esprimere, analizzare e interpretare idee, emozioni, esperienze delle diverse forme artistiche, riconoscere e realizzare le opportunità di valorizzazione personale, sociale e commerciale con le arti e forme culturali, espresse individualmente o collettivamente) e in atteggiamenti (avere rispetto verso le diverse manifestazioni culturali, attestare apertura e rispettare le diverse espressioni a livello artistico e culturale, avere un orientamento etico e responsabile nei confronti della titolarità culturale e artistica, avere apertura per l’immaginazione e la creatività, essere disponibili a partecipare alle manifestazioni culturali, a livello individuale o collettivo).

La colpevole inerzia sulle sanzioni irrogabili dal DS

Francesco G. Nuzzaci

1. Non può sorprendere l’ennesima pronuncia giudiziaria favorevole a un docente che aveva impugnato per difetto di competenza la sanzione disciplinare di sospensione dal servizio di giorni tre, infittagli dal dirigente scolastico seguendo le direttive dell’Amministrazione periferica. Perché il magistrato del lavoro si è semplicemente attenuto al consolidato principio di diritto della Corte di cassazione – da ultimo ribadito con tre ordinanze a stretto giro di tempo: n. 20845 del 2 agosto 2019, n. 28111 del 30 ottobre 2019, n. 30226 del 20 novembre 2019 –, secondo cui il dirigente scolastico può  ben comminare al personale ATA sanzioni disciplinari fino alla sospensione dal servizio edallo stipendio per non più di dieci giorni,siccome previste nel CCNL,ma non può andare oltre la censura per il personale docente.

Sulle ragioni addotte dalle toghe del Palazzaccio sul Lungotevere ci eravamo soffermati giusto un anno addietro (cfr. Le sanzioni disciplinari irrogabili dal dirigente scolastico, in Dirigere la scuola, Euroedizioni, 4/2020), compendiandole nei passaggi che seguono.

a) Attese la tipicità e la tassatività delle fattispecie disciplinari, sulla scorta dei principi penalistici estensibili al più ampio diritto punitivo, per i docenti non può darsi luogo alla sospensione dal servizio fino a dieci giorni, perché prevista solo per il personale ATA.

Sul punto l’articolo 29 del nuovo CCNL, comparto Istruzione e Ricerca, rinvia a una specifica sessione negoziale a livello nazionale la definizione della tipologia delle infrazioni disciplinari e delle relative sanzioni per il personale docente ed educativo; e per intanto, nell’articolo 91, dispone che “continuano ad applicarsi le norme di cui al Titolo I, Capo IV della parte terza del D. Lgs. 297/94”,contemplanti – dopo l’avvertimento scritto e la censura – la sanzione della “sospensione dell’insegnamento fino a un mese”: che non è ex litteris nella disponibilità del dirigente scolastico.

b) Il dirigente scolastico deve infatti, per la definizione della propria competenza, limitarsi a inquadrare la fattispecie in relazione alla sanzione edittale irrogabile sulla base della disciplina codificata nell’art. 492, comma 2, lettera b) del menzionato decreto legislativo. E se ritiene che debba essere superiore alla censura, rimetterà gli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari.

c) Secondo il principio di legalità e del correlato principio del giusto procedimento, non può dunque egli – contrariamente alle indicazioni della fondamentale circolare esplicativa del MIUR n. 88/10 – scindere la fattispecie dell’articolo ultimo citato (Sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio fino a un mese) qualora ravvisi, con una valutazione ex ante, che la sanzione da infliggere in concreto possa essere contenuta entro i dieci giorni di sospensione dal servizio: dato che lo farebbe sulla base di “deduzioni meramente ipotetiche e discrezionali … incerte e opinabili, che ben potrebbero essere smentite all’esito del procedimento (ordinanza 28111/2019, cit.).  

d) Conclusivamente, ha una mera valenza programmatica – per il personale docente e in parte per il personale ATA: infra – la statuizione, pure espressamente qualificata dal legislatore norma imperativa, contenuta nell’articolo 55-bis, comma 9-quater del D. Lgs. 165/01, introdotta dal D. Lgs. 75/17, al di cui tenore “per il personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, il procedimento disciplinare per le infrazioni per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni fino alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per dieci giorni è di competenza del responsabile della struttura in possesso di qualifica dirigenziale”.

Dunque, è precluso al dirigente scolastico il potere di irrogare qualsivoglia delle sanzioni sospensive – anche di un solo giorno – direttamente prescritte dalla legge:

a) “fino a un massimo di quindici giorni” al dipendente che, essendo a conoscenza per ragioni d’ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un’azione disciplinare in corso, rifiuta senza giustificato motivo la collaborazione richiestagli dal soggetto procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti (art. 55-bis, comma 7, D. Lgs. 165/01);

b) per “un minimo di tre giorni fino a un massimo di tre mesi” al dipendente che, in violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, abbia determinato la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una più grave sanzione disciplinare (art. 55-sexies, comma 1, D. Lgs. 165/01).

E sono altresì legittimate ex post per il personale ATA, sempre in via interpretativa, le incursioni contrattuali che – è vero – consentono la definizione pattizia della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, ma “salvo quanto previsto dalle disposizioni del presente Capo” (rectius: Titolo IV-Rapporto di lavoro, artt. 51-57, D. Lgs. 165/01). E queste disposizioni non attribuiscono al CCNL del comparto Istruzione e Ricerca – articolo 12, comma 2, lettere a) e c) – il potere d’incidere sugli aspetti procedurali né sulle competenze dei soggetti che emettono i provvedimenti disciplinari, arrogandosi  il diritto d’indicare che spetta, “in ogni caso”, all’Ufficio per i procedimenti disciplinari la comminazione delle due poc’anzi citate sanzioni di cui agli articoli 55-bis, comma 7 e 55-sexies, comma 1 del D. Lgs. 165/01, in aggiunta – sempre debordandosi dai propri argini – alla sanzione del successivo comma 3, di “sospensione dal servizio fino a un massimo di tre mesi” per il mancato esercizio o per la decadenza dell’azione disciplinare: che non può riguardare il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, e neanche i docenti, in quanto soggetti solo passivi!

2. Ora, non può revocarsi in dubbio che occorre guadagnare la consapevolezza di doversi attenere al predetto principio di diritto. Ma, tanto premesso, ben si può – e di deve – sottoporre a vaglio critico una giurisprudenza quando non si dimostra persuasiva. E soprattutto, per conseguenza, si possono – e si devono – prospettare soluzioni per superarla, recuperandosi il principio della prevalenza della legge sulle sue interpretazioni abrogatrici.

Riprendendo le obiezioni avanzate nel nostro ultimo intervento sulla materia (ante):

a) confermiamo che il ragionamento della Cassazione appare fondato su una falsa premessa: di equiparare, nella struttura e nella funzione, al diritto penale il diritto punitivo in genere e in particolare il diritto disciplinare, ovvero al processo penale il procedimento disciplinare.

Si sa che il diritto penale è preordinato alla difesa dei beni fondamentali e dei valori supremi della collettività, perciò dispiegando effetti totalizzanti sull’intera sfera giuridica dei soggetti che li abbiano violati, o messi in pericolo, una volta che la loro colpevolezza risulti provata oltre ogni ragionevole dubbio. Ne derivano – oltre la tassatività delle fattispecie legali costituenti reato e il conseguente divieto di analogia –  le ineludibili garanzie del giusto processo, che si svolge in contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale precostituito per legge (articolo 111, Cost.).

Il procedimento disciplinare, per contro, è uno strumento di gestione del datore di lavoro: sia esso un soggetto privato o un’amministrazione pubblica, l’unica differenza essendo la facoltatività della sua attivazione nel primo caso e l’obbligatorietà nel secondo, qualora si sia in presenza di fatti ritenuti di rilevanza disciplinare e sempre nel rispetto delle procedure legali e pattizie per evitarsi abusi e per tutelare il lavoratore che si trova in una posizione di soggezione economica.

Esso pertiene dunque al potere direttivo nei confronti dei subordinati venuti meno ai loro doveri contrattuali ed è diretto a ristabilire, con immediatezza, il regolare svolgimento dell’attività lavorativa turbato dalle inadempienze e/o dalle trasgressioni del lavoratore, in tal modo ripristinandosi la posizione direttiva del datore di lavoro nell’organizzazione aziendale (Cassazione civile, sez. VI, 06.02.2015, n. 2330).

Certezza, immediatezza, effettività dello strumento disciplinare costituiscono il fondamento del D. Lgs. 150/09 e dei correttivi introdotti dal D. Lgs. 75/17, nel punto in cui, riscrivendo l’articolo 55-bis del D. Lgs. 165/01 (“Forme e termini del procedimento disciplinare”), statuisce che “il mancato rispetto dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare … non determina la decadenza dell’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività”,essendo perentori solo i termini per la contestazione dell’addebito (trenta gg. dalla piena conoscenza dei fatti) e per la conclusione del procedimento (centoventi gg. da detta contestazione). Ciò che è semplicemente, e giustamente, improponibile nel diritto penale, caratterizzato da un rigido formalismo e dal favor rei.

In altri termini, il legislatore ha inteso rinforzare le ragioni dell’azione disciplinare certa-immediata-effettiva; facente, per così dire ed entro certi limiti, premio sulle garanzie dei soggetti incisi: che ben troveranno – qualora la sanzione inflitta venga impugnata – la naturale loro difesa in sede giudiziaria (giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro per i dipendenti pubblici contrattualizzati, TAR e Consiglio di Stato per quelli rimasti in regime di diritto pubblico), in cui sarà assicurata la piena applicazione delle regole del giusto processo.

Al riguardo appare invero incoerente quel passaggio dell’ordinanza 28111/2019 che opera una scomposizione tra sanzioni disciplinari non gravi (avvertimento scritto e censura per i docenti, sino alla sospensione dal servizio non superiore a dieci giorni per il personale ATA) e gravi (le successive, sino al licenziamento ovvero alla sua versione pubblicistica della destituzione).

Le prime – è scritto – sono legittimamente irrogabili dal dirigente datore di lavoro – che pure qui assomma gli stigmatizzati poteri istruttori, accusatori e decisori –, dovendosi privilegiare “il più veloce esercizio del potere disciplinare”; mentre per le seconde deve prevalere “l’esigenza di apprestare maggiori garanzie al lavoratore pubblico” mercé la specializzazione dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari e “soprattutto la sua indifferenza rispetto al capo della struttura del dipendente incolpato, perché non coinvolto direttamente nella vicenda disciplinare”.

Appare incoerente, perché le esigenze di garanzia non possono essere discriminate ancorandole a meri parametri quantitativi, per sanzioni soggiacenti alla stessa procedura, che partecipano di un’unica natura, che importano i medesimi effetti (si veda art. 12, commi 1 e 3 del CCNL del comparto Istruzione e Ricerca del 19.04.18);

b)sempre lo stesso legislatore, con una sua libera valutazione politica, ha voluto rivedere il preesistente assetto normativo, stimando – a ragione o a torto – che certezza, immediatezza ed effettività delle sanzioni potessero meglio realizzarsi modificando il D. Lgs. 150/09 e affidando agli uffici per i procedimenti disciplinari il potere di comminare le sanzioni superiori al rimprovero verbale. Ma ha conservato, rinforzandola, e qui disattendendo il parere del Consiglio di Stato (Commissione speciale, parere dell’11.04.2007), l’eccezione per i dirigenti scolastici, in considerazione dell’alto numero delle scuole e dei dipendenti in ciascuna di esse, sì da ingolfare altrimenti i predetti uffici e derivandone sostanzialmente la non perseguibilità di gravi o reiterate negligenze in servizio, di violazione dei segreti d’ufficio e del pregiudizio al suo regolare funzionamento, dell’uso dell’impiego a fini d’interesse personale et alia: atteso che con la misura massima della censura – ex art. 493, D. Lgs. 297/94 – potrebbero essere sanzionate solo una generica inosservanza degli obblighi di servizio e le non meno generiche condotte non conformi ai doveri verso i superiori, verso i colleghi e verso l’utenza;

c)l’eccezione prescritta dal legislatore è dunque una scelta assistita da intrinseca ragionevolezza: requisito, quest’ultimo, che sembra invece difettare nel canone ermeneutico adottato dalla Cassazione, che abroga virtualmente una norma imperativa, la cui effettività è fatta dipendere dalla mera volizione delle organizzazioni sindacali del comparto scuola di dar seguito a quanto previsto dall’articolo 29 del CCNL 19 aprile 2018, che al comma 1 ripropone per i docenti la “specifica sessione negoziale” per la definizione della tipologia delle infrazioni disciplinari e delle relative sanzioni, nonché per l’individuazione di una procedura di conciliazione non obbligatoria, fermo restando che il soggetto responsabile del procedimento deve in ogni caso assicurare che l’esercizio del potere disciplinare sia effettivamente rivolto alla repressione di condotte antidoverose dell’insegnante “e non a sindacare, neppure indirettamente, la libertà d’insegnamento”.

Si sarebbe dovuta concludere entro il mese di luglio 2018 e invece, come del resto nel precedente CCNL, è anch’essa abortita, essendosi arrestata al primo e unico incontro del 18 dello stesso mese all’ARAN, al termine del quale le sigle sindacali di comparto firmatarie del CCNL hanno emesso un comunicato per ribadire in via pregiudiziale “la totale indisponibilità a definire la materia qualora dovesse permanere il vincolo della legge Madia (id est: art. 55-bis, comma 9-quater del D. Lgs. 165/01, come novellato dal D. Lgs. 75/17), previsto peraltro solo nel comparto scuola, che assegna al dirigente scolastico la competenza ad irrogare la sanzione disciplinare fino a 10 giorni di sospensione, mentre in tutti gli altri comparti pubblici l’irrogazione di tale sanzione è affidata a un apposito ufficio per i procedimenti disciplinari”. Ne deriva quindi “l’inopportunità di definire un codice disciplinare che, in assenza di un’auspicata e opportuna modifica del quadro normativo, non potrebbe tener conto debitamente delle particolarità e specificità del lavoro docente, a cui va garantita pienamente la libertà d’insegnamento”. Pertanto non se ne farà nulla.

3. Non se ne farà nulla, ma proprio per questo sia il Ministero dell’istruzione che il Dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del consiglio dei ministri, per quanto di rispettiva competenza, non possono più persistere in una colpevole inerzia, determinandosi finalmente a fornire ai dirigenti delle istituzioni scolastiche indicazioni omogenee: nel continuare ad attenersi a quanto a suo tempo disposto dalla citata c.m. 88/10 oppure, assumendo e generalizzando il contenuto della nota n. 1298 del 04.02.2020 emanata dall’Ufficio scolastico regionale per la Toscana (e finora unica, a quanto ci risulta), per conformarsi intanto – come pensiamo debba essere – al diritto vivente, quello effettivo interpretato e dichiarato dal supremo giudice di legittimità, se non si vogliono emanare provvedimenti suicidi, destinati a sicura cassazione in sede contenziosa, con tutt’altro che ipotetica responsabilità erariale (e forse non solo erariale) per colui che li abbia posti in essere.

Allora, andando a stringere, come dovrebbero in concreto regolarsi i dirigenti scolastici – tuttora sospesi tra l’incudine della tralatizia circolare ministeriale 88/2010 e il martello dei tribunali della Repubblica?

Preliminarmente, devono rendersi avvertiti del significato di “fatti ritenuti di rilevanza disciplinare” (art. 55-bis, comma 4, D. Lgs. 165/01), in presenza dei quali – e solo in presenza dei quali! – scatta l’obbligo di attivarsi.

“Fatti” non sono le notizie vaghe, le voci generiche, le mere supposizioni, il sentito dire. Che lo diventano semmai a seguito di una preliminare e informale istruttoria, supportata da evidenze (documenti, testimonianze, riscontri in loco …).

Ciò sulla falsariga di quel che avviene in materia penale, allorquando il Pubblico ministero incarica la polizia giudiziaria di una prima e sommaria indagine allo scopo di verificarne la consistenza e quindi di essere in grado di reggere in giudizio. Solo se l’esito è positivo egli proseguirà con l’obbligato esercizio dell’azione penale, inviando all’indagato l’informazione di garanzia, l’equivalente della contestazione degli addebiti, che da questo momento assume la qualifica di imputato (incolpato, nel procedimento disciplinare).

Dopo di che, se riguardanti i docenti, i “fatti ritenuti di rilevanza disciplinare” vanno inquadrati nelle astratte fattispecie sanzionatorie figuranti negli articoli 492-498 del D. Lgs. 297/94 (c.d. Testo unico della scuola) e ora con l’aggiunta, al primo comma di quest’ultimo, delle lettere g e h ad opera del comma 3, art. 29, CCNL di comparto.

Trattasi, rispettivamente, di:

– atti e comportamenti o molestie a carattere sessuale che riguardino gli studenti affidati alla vigilanza del personale, anche ove non sussista la gravità o la reiterazione;

– dichiarazioni false e mendaci che abbiano l’effetto di far conseguire, al personale che le ha rese, un vantaggio nelle procedure di mobilità territoriale o professionale.

Se accertate e imputate al soggetto passivo, entrambe comportano la sanzione espulsiva della destituzione, versione pubblicistica del licenziamento disciplinare.

Se invece riguardano il personale ATA, vanno inquadrati nelle fattispecie elencate negli articoli 11 e 12 del predetto Contratto.

Compiuta questa operazione sussuntoria, occorrerà ancora verificare l’insussistenza di cause di esclusione della responsabilità, quali il legittimo (cioè non eccedente, adeguato o proporzionato, secondo le circostanze) esercizio del diritto, l’adempimento del dovere, lo stato di necessità, il caso fortuito, la forza maggiore.

Ed è sempre utile, in primo luogo, ricordare che l’obbligo di procedere “immediatamente” nella segnalazione all’Ufficio per i procedimenti disciplinari (art. 55-bis, comma 4, D. Lgs. 165/01) significa solo che non bisogna prendersela comoda. Tanto ciò vero che per il vaglio della rilevanza disciplinare dei fatti, alla stregua del criterio di ragionevolezza, si hanno a disposizione fino a dieci giorni ovvero quarant’otto ore se si versa nella fattispecie della falsa attestazione della presenza in servizio con qualunque modalità fraudolenta: termini peraltro non perentori, non incidendo ex se sul procedimento e sulla sanzione eventualmente inflitta, ferma l’eventuale responsabilità del soggetto ritardatario. Mentre, se si devono direttamente contestare gli addebiti, il principio di tempestività dell’azione disciplinare è parimenti soddisfatto se l’inerente formalizzazione avviene entro trenta giorni dalla conoscenza dei fatti (questo, sì, termine perentorio, unitamente a quello che impone di concludere il procedimento entro centoventi giorni dalla contestazione degli addebiti con l’atto di archiviazione o d’irrogazione della sanzione: ibidem).

In secondo luogo, non è meno utile correggere la radicata convinzione di dover contestare ad horas gli addebiti, magari in seguito a una lettera anonima appena ricevuta, per non incorrere a propria volta nella responsabilità disciplinare: perché è smentita dall’articolo 55-sexies, comma 3 del D. Lgs. 165/01, laddove – oltre al mancato esercizioo alla decadenzadell’azione disciplinare dovuti all’omissione o al ritardo, “senza giustificato motivo” degli atti del procedimento disciplinare e inclusa la segnalazione dovuta all’UPD – sanziona le sole “valutazioni manifestamente irragionevoli” d’insussistenza dell’illecito in relazione a condotte aventi “oggettiva e palese” rilevanza disciplinare.

4. Nello specifico e attenendosi alle coordinate di azione testé riassunte, i dirigenti scolastici contesteranno gli addebiti al personale docente qualora ritengano di non andare oltre la censura (art. 493, D. Lgs. 297/94), se non si determinino per l’archiviazione; e per il personale ATA oltre la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione sino a dieci giorni (lettera d, art. 12, comma 1, CCNL 2016-2018), sempre fatta salva la decisione di archiviare.

Nessun problema pongono le sanzioni di pacifica competenza dell’UPD e importanti il solo obbligo finale della segnalazione (per i docenti elencate negli artt. 495-498 del D. Lgs. 297/94 e lettere g e h, art. 29, comma 3, CCNL 2016-2018; per il personale ATA elencate nelle lettere e, f, g dell’articolo 12, comma 1, CCNL 2016-2018).

In termini diversi si pone la questione per le sanzioni – non più – frazionabili: per i docenti articolo 494 del D. Lgs. 297/94, della sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio “fino a un mese”; per il personale ATA articolo 12, comma 2, CCNL, lettere a e b, rispettivamente sospensione “fino a quindici giorni” e “da un minimo di tre giorni ad un massimo di tre mesi”.

Qui il dirigente scolastico, nel rispetto delle procedure e allegando le motivazioni di cui si è discorso, dovrà rimettere gli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari. Che potrà restituirglieli se riterrà che l’eventuale sanzione possa essere contenuta entro il limite massimo dei dieci giorni di sospensione dal servizio e dallo stipendio.

In tal caso, qualora impugnata, la certa soccombenza in giudizio dell’Amministrazione lo terrà esente da responsabilità per factum principis, perciò escludente gli elementi psicologici del dolo o della colpa.

5. E’ evidente, per quanto argomentato, che l’impasse può essere superata solo con un intervento legislativo sollecitato dall’Amministrazione, che per i docenti introduca nell’ordinamento giuridico la sanzione disciplinare autonoma, o tipica, della sospensione fino a dieci giorni; e/o – per tutto il personale della scuola – l’esplicita previsione della frazionabilità al fine della distribuzione interna delle competenze del dirigente scolastico (fino a dieci giorni di sospensione dal servizio) e dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari (oltre i dieci giorni).

Maturità, torna l’ammissione ma saltano Invalsi e alternanza

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

Se l’anno scorso, dopo un trimestre di lockdown imposto dallo scoppio della pandemia globale, si è scelto di semplificare la vita ai maturandi e optare per un esame solo orale, non sarebbe giusto trattare diversamente i loro successori, che alla sospensione delle attività didattiche in presenza del 2019/20 – vissuta in quarta – adesso stanno sommando un periodo, altrettanto lungo, di Dad e rientri a singhiozzo causati sempre dal Covid-19. È il ragionamento che si sta facendo al ministero dell’Istruzione e che dovrebbe portare alla replica, nel 2021, della maturità semplificata del 2020: maxi-orale in presenza da avviare il 16 giugno, quando in teoria è calendarizzato il primo scritto d’italiano, e più peso al curriculum degli ultimi 3 anni (che varrebbe di nuovo 60/100). Fatta eccezione per il ripristino del giudizio di ammissione, che stavolta ci sarà e terrà conto del percorso scolastico ma non dell’Invalsi e delle ore minime di alternanza. A sancirlo dovrebbe essere un’ordinanza della ministra Lucia Azzolina che dovrebbe arrivare a giorni, sfruttando l’assist contenuto nell’ultima legge di bilancio, e che verrà poi inviato al Consiglio superiore della pubblica istrzuione per il parere di rito da emanare entro sette giorni.

Un esame in fotocopia

I 480mila circa maturandi 2021 molto probabilmente saranno chiamati allo stesso compito dei loro predecessori di un anno fa. Con un colloquio in presenza davanti a una commissione di 6 membri esterni (più il presidente esterno) che partirà dall’italiano e spazierà poi su tutte le altre materie, incluse cittadinanza e costituzione e alternanza scuola-lavoro (o percorsi per le competenze trasversali e orientamento come si chiama da 2 anni). Alternanza che, quanto alle ore minime (90 nei licei, 150 negli istituti tecnici, 210 nei professionali nell’arco del triennio), non costituirà requisito di ammissione. E lo stesso dovrebbe valere per le prove Invalsi di quinta superiore, al punto che si sta pensando di eliminarle del tutto lasciando in piedi invece quelle di seconda oltre che di terza media e di II e V primaria. Per partecipare all’esame stavolta bisognerà essere ammessi. Dunque, serviranno tutti 6 e al massimo un’insufficienza. Quanto al voto, dall’orale dovrebbero arrivare 40 punti; gli altri 60 giungerebbero dal curriculum in base alla stessa tabella adoperata nel 2020 (fino a 18 per la terza, 20 per la quarta e 22 per la quinta).

Il piano B

Nei giorni scorsi era emersa una soluzione alternativa per l’esame di Stato (su cui si veda Il Sole 24 Ore del 19 gennaio), che prevedeva la possibilità di svolgere comunque almeno uno scritto (la prova di italiano) e abbinarci poi l’orale. A caldeggiarla è stato ed è soprattutto il Pd. Ma è un’ipotesi che sembra perdere quota di ora in ora, a meno che il rimescolamento nella maggioranza e il destino appeso a un filo del governo Conte-bis non portino a un cambiamento dello scenario politico complessivo e a un avvicendamento a viale Trastevere.

Le scelte per gli altri anni

A ogni modo, l’ordinanza in arrivo dovrebbe occuparsi solo della maturità. Rinviando a quella successiva la scelta sulla licenza media (che nel 2020 è coincisa con la valutazione finale da parte del consiglio di classe più una tesina discussa da casa). A quel punto, stando sempre alla norma di delegificazione contenuta nella manovra 2021, resterebbe da intervenire solo sulla valutazione per gli anni intermedi. Qui il ragionamento potrebbe essere il seguente: una volta che è stata ripristinata l’ammissione per l’esame di Stato sarebbe coerente ritornare al sistema di promozione/bocciatura applicato fino al 2019. Senza alcun passaggio garantito a tutti all’anno successivo, con eventuale recupero a settembre, come accaduto un anno fa. Ma con il quadro sanitario che resta così incerto non è ancora detta l’ultima parola.

Sul tavolo recuperi formativi per 300 milioni

da Il Sole 24 Ore

di Eu. B. e Cl. T.

Il governo è pronto a mettere sul piatto oltre 300 milioni per recuperare i gap formativi dovuti alla troppa didattica a distanza. Un eccesso segnalato di recente anche da un paper di Bankitalia.

Il sasso nello stagno è stato lanciato dalla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, che, nei giorni scorsi, ha parlato della necessità di un «piano» per i «ristori formativi» a favore degli studenti costretti, dal 5 marzo 2020, a una “scuola a singhiozzo” per via del virus; considerato anche il sostanziale flop dei corsi di recupero dello scorso settembre, che in moltissimi istituti neppure si sono fatti per via della indisponibilità dei docenti.

Del resto, la situazione è delicata, alla luce anche dei primi campanelli d’allarme suonati dalle ricerche internazionali in Usa, Olanda e Francia, dove sono emersi gap formativi stimati in un range dal 35 al 50% in matematica e nella propria lingua rispetto agli studenti degli anni prima allo stesso punto del programma, con variazioni in base al grado di scuola: peggio al primo ciclo, un po’ meglio alle superiori. In Olanda, ad esempio, in otto settimane di lockdown si è perso circa il 20% del progresso previsto per l’anno scolastico. Se in Italia le cose fossero andate in modo analogo (e non ci sono motivi per non pensarlo) gli esperti stimerebbero una perdita di apprendimenti superiore al 30% (il nostro Paese ha avuto più settimane di lockdown). E senza dimenticare l’abbandono scolastico e i disagi psicologici che stanno aumentando tra le fasce giovanili a causa del deficit di contatto fisico e socialità.

Proprio per non rischiare di “perdere” una generazione di studenti, Lucia Azzolina sta premendo per far entrare nel decreto Ristori, atteso a giorni, un pacchetto di misure da oltre 300 milioni. La fetta principale dei fondi andrà ai corsi di recupero. Per gli istituti del primo ciclo (quelli più in difficoltà) le nuove risorse serviranno a mettere in campo «attività didattiche compensative», con particolare attenzione agli alunni delle realtà più colpite dal Covid-19, e quindi che hanno fatto “abuso” di Dad. L’idea, raccontano dall’Istruzione, è quella di realizzare «corsi di consolidamento e recupero degli apprendimenti in presenza», da tenersi in orario extracurriculare, in primo luogo sulle competenze di base. Per quanto riguarda invece le scuole superiori, si punta a mettere in campo «iniziative di integrazione, recupero e sostegno degli apprendimenti», secondo quanto previsto dalle disposizioni vigenti in materia di attività di recupero; e a realizzare «iniziative dirette al contrasto della dispersione scolastica generata», che proprio nel secondo ciclo di istruzione, e aggravata dal coronavirus, sta aumentando con preoccupazione.Con i restanti fondi del pacchetto Istruzione (si parla di 68 milioni ma la cifra potrebbe cambiare) si punterà a realizzare una corsia preferenziale per i tamponi rapidi e contact tracing, e a potenziare le attività di inclusione e di supporto e assistenza psicologica ai ragazzi.

Gli oltre 300 milioni destinati a confluire nel prossimo Dl si sommano ai primissimi 5 milioni inseriti nel precedente decreto Ristori, convertito in legge prima di Natale. Risorse, fanno sapere sempre dall’Istruzione, che coinvolgeranno 1.500 istituti che potranno così avviare tre moduli da 25 ore con cui rafforzare italiano, matematica, inglese.

Senza test uniformi è impossibile stimare i gap

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Gavosto*

Come spesso accade nel nostro Paese, anche sulla didattica a distanza l’opinione pubblica e la stessa scuola si sono divise secondo i registri del tifo calcistico, per adesione sentimentale e pregiudizio, piuttosto che in base a fatti accertati. Chi preme per il rientro in aula viene accusato di denigrare il lavoro degli insegnanti nei mesi di Dad. Chi apprezza la Dad è invece sospettato di volere vendere l’anima della scuola al diavolo delle multinazionali tecnologiche, sulla pelle di bambini e adolescenti. C’è anche chi ha tenuto l’una e l’altra posizione in momenti diversi. Mentre, naturalmente, nessuna delle due è corretta: la Dad è stata e può essere ancora necessaria nel dramma della pandemia; inoltre, è uno strumento, in prospettiva, da valorizzare. Non può, però, da sola impedire l’impressionante calo degli apprendimenti patito dagli studenti con la scuola a singhiozzo.

Questo ci dicono le ricerche in paesi come Stati Uniti, Francia e, soprattutto, Paesi Bassi: in quest’ultimo le competenze linguistiche e matematiche sono state verificate prima e dopo la chiusura di 8 settimane in primavera. Ebbene, per quanto la scuola olandese sia all’avanguardia nella didattica digitale, i suoi alunni non hanno compiuto alcun progresso durante il lockdown; per quelli provenienti da ambienti familiari svantaggiati le cose sono andate decisamente peggio.

È evidente l’utilità di queste analisi, che consentono alle singole scuole di individuare le lacune dei propri studenti nei diversi gradi e porvi rimedio attraverso interventi di recupero ad hoc. Purtroppo, in Italia non si è potuto farle: non conosciamo l’entità della perdita cognitiva dei nostri studenti e, soprattutto, non sappiamo dove intervenire prioritariamente. Il ministero ha, infatti, soppresso le prove Invalsi della scorsa primavera, lo strumento che da anni abbiamo per confrontare i risultati di scuole diverse fra loro e nel tempo. Né ha voluto farle alla ripresa di settembre, quando conoscere il punto di partenza degli alunni sarebbe stato essenziale per programmare l’attività didattica. A quel punto, l’Istituto avrebbe almeno dovuto offrire alle scuole più attente di partecipare a test nazionali su base volontaria.

Quel che è peggio, nei giorni scorsi si è appreso non soltanto che le prove Invalsi dell’ultimo anno delle superiori (fondamentali per il giudizio sugli apprendimenti acquisiti durante tutto il ciclo di studi) saranno di nuovo cancellate, ma che si sta anche seriamente discutendo di abolire quelle degli altri gradi scolastici. Sarebbe una iattura. Il governo così rischia di privarsi dell’unica risorsa a sua disposizione per capire che cosa sia successo durante i mesi della pandemia, di quanto gli studenti siano rimasti indietro, di come sia stata utilizzata la didattica a distanza e quanto abbia funzionato, ma soprattutto di come sia possibile recuperare con azioni mirate nei prossimi mesi le lacune degli studenti, soprattutto di quelli più fragili. Senza tutto quel che serve al recupero, la perdita di apprendimenti rischia di avere strascichi perenni su questa generazione, che incontrerà più difficoltà delle precedenti nel continuare gli studi con successo ed entrare nel mondo del lavoro.

Certo, acquisire le informazioni per preparare al meglio gli interventi richiede una strategia di lungo periodo e la capacità di sfidare la resistenza delle componenti più corporative della scuola. È più facile – ma assai più dannoso – limitarsi a compiacere i tifosi.

Direttore Fondazione Agnelli

Anche Bankitalia lancia l’allarme contro gli eccessi di Dad

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

La pandemia ha fatto fatto fare all’Italia quel cambio di passo nel lavoro agile o smart working che ha coinvolto 1,8 milioni di lavoratori privati, i quali hanno riportato stipendi più alti e preservato l’occupazione, e un terzo di quelli pubblici. In tre distinti paper gli economisti della Banca d’Italia tracciano una prima analisi del fenomeno definendolo “positivo” per le imprese e i lavoratori del comparto privato ma, in attesa di studi più approfonditi, lanciano due caveat sulla Pubblica amministrazione: il primo sono i possibili effetti negativi sull’apprendimento degli studenti e l’aumento delle diseguaglianze a causa del ricorso alla Dad (didattica a distanza) nella scuola. Qui il ricorso allo smart working è stato più elevato (quasi al 60%) di quello potenziale, valutato attorno al 50%.

Poco smart working nella Pa
Nel resto della Pa invece. ed è il secondo avvertimento dei ricercatori, il lavoro agile è stato utilizzato sotto la soglia possibile (36% di media ma oltre il 50% per la P.a in senso stretto) per le “ridotte competenze del personale” che non sono state superate dagli investimenti in tecnologia, spesso dettati dall’emergenza e “marginali”. E inoltre a casa sono andati anche lavoratori con “mansioni operative” con “conseguenze incerte sulla produttività” della Pa. Spesso poi il lavoro agile è stato prerogativa “dei lavoratori più istruiti, anche a parità di inquadramento professionale e anzianità lavorativa”. Infine minore è stata l’adesione al lavoro agile dei Comuni che devono fornire più servizi a un pubblico, quello italiano, che è molto indietro nella capacità di utilizzo delle piattaforme digitali che peraltro non sono a volte adatte. Sia nella pubblica amministrazione, sia nel privato, comunque c’è stata una forte richiesta e adesione al lavoro agile da parte delle donne. Un elemento che anche in futuro potrebbe far superare uno degli elementi di debolezza del mercato del lavoro italiano: la bassa partecipazione femminile e la difficoltà di conciliare famiglia e lavoro. Nel futuro quindi, per gli esperti di Via Nazionale, anche quando finirà la pandemia, il lavoro agile può rappresentare un fattore di miglioramento. Nel paper si mostra cautela in attesa di analisi più approfondite eppure almeno nel comparto privato, dove si dispongono di elementi più certi e misurabili, il giudizio finale è sostanzialmente positivo. I lavoratori a casa hanno avuto, in media, stipendi più alti del 6% rispetto agli altri e un minor ricorso alla Cassa integrazione. I primi dati sembrano indicare “un maggior utilizzo dell’input di lavoro, una più elevata produttività e un maggior benessere” dei dipendenti. In sostanza il lavoro agile “avrebbe quindi contribuito a limitare le conseguenze negative dello shock connesso con la pandemia sulla domanda aggregata e sull’occupazione”. Gli effetti della crisi infatti sono stati forti come rilevato anche dall’indagine del Ministero del Lavoro assieme proprio alla Banca d’Italia: nell’intero 2020 i contratti di lavoro attivati sono stati solo 42.000 in meno rispetto a quelli attivati. il saldo era stato positivo per quasi 300.000 posti di lavoro nel 2019. Questo andamento risente del calo delle assunzioni (4,78 milioni nel 2020 -1,9 milioni) e delle cessazioni (-1,5 milioni) legate al blocco dei licenziamenti e al crollo dei nuovi contratti a termine. L’evoluzione dei flussi – si legge – è stata fortemente condizionata dalla pandemia. (ANSA).

Aule riaperte per 550 mila studenti A Milano scattano i nuovi orari

da Corriere della sera

Gianna Fregonara

Senza aspettare il Tar, anche gli studenti lombardi da domani tornano in classe. Tutti i ragazzi e le ragazze della seconda e terza media e la metà di coloro che già frequentano le scuole superiori. È possibile che alcuni licei e istituti tecnici riprendano da martedì. Il prefetto di Milano, per esempio, «visto il ridotto margine di preavviso» durante il weekend ha concesso alle scuole di decidere in autonomia un «limitato differimento» del ritorno in classe per consentire un’organizzazione migliore e anche per prevenire ulteriori tensioni con genitori e presidi, costretti a cambiare di nuovo i loro piani. Secondo il «Patto Milano per la scuola», contenuto nell’ordinanza firmata ieri dal sindaco Beppe Sala, da lunedì cambieranno non solo le fasce di ingresso degli studenti ma anche quelle di uffici e negozi.

Insieme agli adolescenti lombardi, tornano in classe anche nelle superiori di Liguria, Marche e Umbria: in totale altri 550 mila studenti si alterneranno tra presenza e Dad. A questo punto restano a casa ancora gli studenti del Veneto — dove è stata respinta la richiesta di sospensiva dell’ordinanza del governatore Zaia ma il Tar deciderà nel merito in settimana — del Friuli-Venezia Giulia, della Sicilia (in zona rossa) e della Sardegna, oltre che della Basilicata, Calabria, Puglia e Campania dove invece tornano in presenza gli studenti delle medie dopo il lockdown più lungo e tormentato di questi mesi.

Se non ci saranno altre ordinanze, questi studenti dovrebbero rientrare in classe all’inizio di febbraio. Per ora la maggior parte delle scuole continuerà ad alternare la metà degli studenti in classe e in Dad anche se l’ultimo Dpcm prevede la possibilità di aumentare la frequenza fino al 75 per cento. È comunque sollevata la ministra Lucia Azzolina, dopo settimane di confusione, di tira e molla sul ritorno in classe e i timori per i dati sui contagi del dopo Natale: «Secondo il monitoraggio settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità, l’indice Rt nazionale è sceso sotto 1 — scrive su Facebook —. Dobbiamo restare prudenti, rispettare le regole ed essere molto, molto responsabili, ma è una notizia importante, anche per la scuola».

Buone notizie arrivano dalla Toscana, la prima regione a riaprire le classi già l’11 gennaio. Il presidente Eugenio Giani spiega: «Dopo due settimane dalla riapertura delle scuole possiamo dire che la nostra scelta è stata accompagnata da risultati che non hanno interferito con i dati sui contagi: vediamo che nella percentuale dei contagiati per fasce di età non c’è stata nessuna variazione rispetto a quando le scuole erano chiuse».

A Roma intanto continuano le occupazioni e le tensioni con gli studenti: ieri le forze dell’ordine sono intervenute al liceo Kant dove gli studenti avevano provato ad occupare i locali della scuola.

Quando tornare in classe? È lo Stato che deve decidere

da Corriere della sera

di Agostino Miozzo*

Caro direttore, nei giorni scorsi ho visto un breve articolo che mi citava, pubblicato da una rivista online specializzata sulla scuola. La veloce lettura del testo, ma soprattutto del calendario di rientro delle superiori ha confermato quella riflessione cui mi sono lasciato trasportare qualche settimana fa quando ho parlato di necessità di ricorrere all’articolo 120 della Costituzione che prevede il potere di sostituzione delle autorità politiche locali qualora non siano garantiti i diritti costituzionalmente previsti.

Le Regioni vanno in ordine sparso.

Senza voler essere provocatori si fa molta fatica a comprendere la ragione dietro questa fantastica «autonomia differenziata» che presumibilmente vede in ogni regione un team di esperti, il Cts Regionale, che consiglia il proprio presidente secondo i concetti della «scienza e coscienza localmente validi». Su ventuno Regioni e Province Autonome sono previste ben otto diverse modalità di rientro a scuola, cui si dovranno presumibilmente aggiungere altre differenziazioni sulla percentuale degli studenti che avranno il diritto di rientro in presenza al 50, al 70 e poi forse passare al 100%.

Ci saranno quindi gli studenti che sono rientrati il 7 gennaio, altri l’11, il 18, il 25 o il primo di febbraio, accanto a quelli che essendo in zona rossa sono in Dad; ma ci sono anche coloro che pur essendo in area rossa vedono il loro diritto al ritorno sui banchi garantito dal presidente della Regione. Infine ci saranno quelli che faranno quello che gli pare, in ragione del principio della libera scelta. Che dire? Personalmente da mesi invoco il dovere dello Stato di preoccuparsi dei propri giovani con quel senso di responsabilità e di priorità politica che l’attenzione nei confronti delle future generazioni dovrebbe prevedere. Ho visto il dibattito sulla scuola tornare timidamente al centro dell’attenzione, con interventi che finalmente sembrano essere realizzati per risolvere gli antichi problemi della scuola.

Poi il tutto scivola in decisioni che paiono frutto di calcoli politici locali, rivendicazioni del territorio contro lo Stato centrale, decisioni spesso improbabili frutto di libere interpretazioni e giustificazioni scientifiche. Da nessuna parte è, ad esempio, emersa la richiesta di un confronto tra gli esperti dei vari Cts regionali con il Cts nazionale sui rischi della scuola, con i dati disponibili riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Un confronto che potrebbe far chiarezza in questa devastante bulimia comunicativa di cui oggi soffre molto la comunità scientifica del nostro Paese.

Mettere quindi a confronto chi ritiene si possa tornare in presenza anche se si è in zona rossa, con chi dice che il rientro a scuola è una libera scelta; quanti in area gialla evidenziano ancora gravi rischi e quelli che avendo trovato risposta alle criticità emerse ritengono possibile il ritorno anche se in area arancione.

L’opinione pubblica è disorientata non soltanto da un’evoluzione convulsa e ricca d’imprevisti di questa pandemia che ogni giorno offre novità inquietanti; i nostri concittadini si aspettano di vedere un minimo di chiarezza e coerenza nelle decisioni che le autorità del territorio prendono, soprattutto quando di mezzo ci sono i nostri figli e nipoti, il bene più prezioso del nostro disgraziato Paese.

La mia esperienza di governo delle crisi mi ha insegnato che la gestione di un’emergenza espone il «comandante» a posizioni spesso autoritarie, in ragione dei tempi e della necessità di dare ordini che vengano eseguiti per ottenere risultati accettabili.

A quanti hanno fatto il mio lavoro, e ricorrono spesso a metafore militari, viene spontaneo dire che nella gestione delle crisi non c’è spazio per i dibattiti; alcuni arrivano a sostenere che non c’è molto spazio per la democrazia nel governo delle crisi, dove è necessario avere solo uno che decide che a posteriori risponderà delle sue decisioni. Faccio spesso queste riflessioni, ovviamente estreme, ma guardando il calendario dei rientri qualche dubbio mi viene!

*Coordinatore del Comitato tecnico scientifico

Licei, tecnici o professionali: ecco come scegliere la scuola superiore giusta guardando al lavoro che cambia

da la Repubblica

Ilaria Venturi

Scegliere la scuola superiore con un occhio anche al mercato del lavoro: giusto o sbagliato? Anche se in tre o cinque anni lo scenario cambia, perché il mondo del lavoro corre veloce, e anche se con la pandemia nulla sarà più come prima, “è giusto avere attenzione ai dati sull’occupazione dei diplomati. Ma attenzione a scegliere solamente schiacciati su quella variabile. Guardate piuttosto a quanto un istituto attrezza i ragazzi sulle competenze trasversali, a come li prepara ad adattarsi allo scenario mutevole”. L’indicazione viene da Mauro Borsarini, presidente di AlmaDiploma, l’associazione che ogni anno esce con un’indagine sulla condizione occupazionale dei giovani a uno e tre anni dal diploma.

“In realtà lo sforzo che andrebbe fatto è quello di superare un sistema sbagliato che porta chi va bene nello studio ai licei, chi va meno bene ai tecnici e chi va male ai professionali – spiega Renato Salsone, direttore di AlmaDiploma e docente di Economia aziendale all’istituto Sassetti-Peruzzi di Firenze – anche nell’ambito professionale ci sono settori ad elevate competenze, che richiedono ragazzi con ottime capacità”.

Gli ultimi dati ad oggi disponibili riguardano oltre 47mila diplomati 2018 analizzati nella loro condizione formativa o lavorativa nel 2019. Cosa raccontano? Ad un anno, il 66,9% dei diplomati del 2018 prosegue la propria formazione ed è iscritto ad un corso di laurea (il 51,4% ha optato esclusivamente per lo studio, il 15,5% ha scelto di frequentare l’università lavorando); il 20,3% ha invece preferito inserirsi nel mercato del lavoro, tanto che ad un anno dal titolo si dichiara occupato (la definizione esclude attività di formazione retribuita come stage in azienda, tirocinio o praticantato per l’iscrizione ad un albo). La restante quota, infine, si divide tra chi è alla ricerca attiva di un impiego (7,2%) e chi invece, per motivi vari (tra cui la formazione non universitaria, motivi personali o l’attesa di chiamata per un lavoro già trovato), non cerca un lavoro (5,6%).

L’analisi sui professionali distingue solo tra “Industria e artigianato” e “Servizi”: a un anno dal diploma il 48% lavora, il 61% col primo tipo di diploma, il 43,5% con il secondo. Prevalgono in emìntrambi i casi i contratti precari (definiti non standard) e formativi, nel pubblico. Chi esce con un diploma “Industria e artigianato” lavora soprattutto nel settore metalmeccanico e della meccanica di precisione (32,5%); chi esce con un diploma nei “Servizi” lavora in maggioranza nel commercio (53,5%). La retribuzione mensile netta è di 946 euro, che varia dai 108 per chi è occupato nell’industria e 875 per chi lo è nei servizi.

Diversa la fotografia sui tecnici. Chi lavora a un anno dal diploma è il 32%, chi prosegue all’università è il 38,6%. Poi c’è chi studia e lavora (12%) e chi cerca lavoro (10%). Gli occupati per indirizzi? Eccoli: amministrazione, finanza e marketing (28,8%), turismo (33,5%), Costruzione, ambiente e territorio (29%), elettronica ed elettrotecnica (43,7%), informatica e telecomunicazioni (30,5%), altri indirizzi tecnici e tecnologici (35%).

Questi dati contano molto per le scuole, avverte Borsarini: “Un esempio? Se vedo che i miei liceali dopo tre anni hanno abbandonato o che il loro percorso negli studi è lento, devo farmi delle domande sulla mia offerta formativa. Ancora, devo intervenire se i miei diplomati di elettronica non trovano lavoro, lo cambiano spesso o vanno a lavorare in settori non coerenti col titolo di studio”. Dalla parte delle famiglie, invece, “è uno dei parametri di valutazione e tra i meno significativi rispetto alle attitudini del ragazzo, ai suoi desideri”.

Covid scuola, il rientro in classe delle superiori resta critico: il matematico Sebastiani insiste

da OrizzonteScuola

Di Fabrizio De Angelis

Il matematico Giovanni Sebastiani, ricercatore presso l’Istituto per le Applicazioni del calcolo “Mauro Picone” del CNR è uno dei primi sostenitori della correlazione dell’aumento dei contagi covid in coincidenza della riapertura delle scuole.

Dal 23 settembre al 10 ottobre c’è stata una incidenza del 16 % della popolazione generale secondo un monitoraggio del Ministero dell’Istruzione“, dice l’esperto su La Stampa.

Il matematico tira in ballo anche uno studio condotto nel Regno Unito tra il primo giugno e il 17 luglio, dove indica un’incidenza di casi positivi fra gli studenti pari a 12 su 100.000, mentre nella popolazione generale il valore era addirittura più alto: 55 su 100.000. Fatto, secondo Sebastiani, probabilmente dovuto allo screening. Il campionamento però “non è casuale e molti casi asintomatici, frequenti tra i giovani, vengono persi“. Un’altra ricerca britannica, condotta fra il 16 e il 25 ottobre, in questo caso con campionamento casuale, indica che la prevalenza di positivi sale dall’1% nella popolazione generale all’1.37% nella fascia di età fra 13 e 24 anni e rimane all’1% nella fascia di età fra zero e 12 anni.

I dati relativi al Piemonte nel periodo del picco della seconda ondata, fra il 9 e il 16 novembre, ad esempio, indicano secondo Sebastiani “un aumento statisticamente significativo della percentuale di positivi tra gli studenti testati di età compresa fra 11 e 19 anni, pari al 42% contro il 35% nella popolazione e al 34% per tutti gli studenti. Si sale al 50% nel personale scolastico testato“, osserva.

Sebastiani tiene a precisare che è importante ragionare in termini di fasce d’età, perchè queste non sono tutte uguali: “La fascia da o-13 anni ha un impatto molto basso sui contagi. Poi non abbiamo il problema dei trasporti affollati in questa fascia“. Quella più critica, pertanto, resta la fascia degli studenti di scuola superiore, dove l’incidenza covid è decisamente più importante.

Infine, il matematico rafforza la sua tesi prendendo due diverse ricerche: su Lancet si dimostra come 28 giorni dopo la riapertura delle scuole, su 131 stati in tutto il mondo, ha visto un incremento del 25 % di contagi covid.

Su Science, invece, la ricerca è stata condotta al contrario: su 41 stati che hanno chiuso la scuola, ha registrato una riduzione della trasmissibilità del virus del 35%.

Esami integrativi e di idoneità, BOZZA del nuovo decreto

da OrizzonteScuola

Di redazione

Il ministero dell’Istruzione ha già predisposto la bozza del nuovo decreto in merito agli “esami integrativi ed esami di idoneità nei percorsi del sistema nazionale di istruzione”. La bozza è stata già inviata anche al CSPI per il parere.

Esami di idoneità nel primo ciclo d’istruzione. Requisiti di ammissione

La bozza riporta che possono accedere all’esame di idoneità alla seconda, terza, quarta e quinta classe di scuola primaria coloro che abbiano compiuto o compiano, entro il 31 dicembre dell’anno in cui sostengono l’esame, rispettivamente il sesto, il settimo, l’ottavo e il nono anno di età.

Possono accedere all’esame di idoneità alla prima, seconda e terza classe di scuola secondaria di primo grado coloro che abbiano compiuto o compiano, entro il 31 dicembre dell’anno in cui sostengono l’esame, rispettivamente il decimo, l’undicesimo e il dodicesimo anno di età. 

Esami di idoneità nel primo ciclo d’istruzione. Modalità di svolgimento

L’esame di idoneità si svolgerà in un unica sessione entro il 30 giugno, secondo calendario definito da ciascuna istituzione scolastica.

Il dirigente scolastico nomina la commissione per gli esami di idoneità, sulla base delle designazioni effettuate dal collegio dei docenti.

Per gli esami di idoneità alle classi di scuola primaria e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado la commissione è composta da due docenti di scuola primaria ed è presieduta dal dirigente scolastico o da suo delegato.

Per gli esami di idoneità alle classi seconda e terza di scuola secondaria di primo grado la commissione è composta da docenti corrispondenti al consiglio di classe dell’anno di corso per il quale è richiesta l’idoneità ed è presieduta dal dirigente scolastico o da suo delegato.

L’esame di idoneità alle classi della scuola primaria e alla prima classe della scuola secondaria di primo grado, inteso ad accertare l’idoneità dell’alunno alla frequenza della classe per la quale sostiene l’esame, si articola in una prova scritta relativa alle competenze linguistiche, in una prova scritta relativa alle competenze logico matematiche ed in un colloquio.

L’esame di idoneità alle classi seconda e terza della scuola secondaria di primo grado si articola nelle prove scritte di italiano, matematica e inglese, nonché in un colloquio pluridisciplinare.

Le prove d’esame sono predisposte dalla commissione tenendo a riferimento la programmazione di cui al comma 1 nonché, nel caso di alunni con disabilità o disturbi specifici di apprendimento, il piano educativo individualizzato o il piano didattico personalizzato.

L’esito dell’esame è espresso con un giudizio di idoneità/non idoneità. I candidati il cui esame abbia avuto esito negativo possono essere ammessi a frequentare la classe inferiore, a giudizio della commissione esaminatrice.

Esami integrativi nella scuola secondaria di secondo grado

Gli esami integrativi nella scuola secondaria di secondo grado si svolgono, presso l’istituzione scolastica scelta dal candidato per la successiva frequenza, in un’unica sessione speciale, che deve aver termine prima dell’inizio delle lezioni.

Il dirigente scolastico, sentito il Collegio dei docenti, definisce il calendario delle prove e lo comunica ai candidati in tempi utili per garantire loro adeguata conoscenza del calendario medesimo.

La commissione, nominata e presieduta dal dirigente scolastico o da un suo delegato, è formata da docenti della classe cui il candidato aspira, in numero comunque non inferiore a tre, che rappresentano tutte le discipline sulle quali il candidato deve sostenere gli esami.

Possono sostenere gli esami integrativi:

a) gli studenti ammessi alla classe successiva in sede di scrutinio finale, al fine di ottenere il passaggio a una classe corrispondente di un altro percorso, indirizzo, articolazione, opzione di scuola secondaria di secondo grado;

b) gli studenti non ammessi alla classe successiva in sede di scrutinio finale, al fine di ottenere il passaggio in una classe di un altro percorso, indirizzo, articolazione, opzione di scuola secondaria di secondo grado, corrispondente a quella frequentata con esito negativo.

Esami di idoneità nella scuola secondaria di secondo grado. Sessione e requisiti di ammissione

Prima di tutto la bozza ricorda che gli esami di idoneità nella scuola secondaria di secondo grado si svolgono, presso l’istituzione scolastica scelta dal candidato per la successiva frequenza, in un’unica sessione speciale, che deve aver termine prima dell’inizio delle lezioni.

Il dirigente scolastico, sentito il Collegio dei docenti, definisce il calendario delle prove e lo comunica ai candidati in tempi utili per garantire loro adeguata conoscenza del calendario medesimo.

Possono sostenere gli esami di idoneità:

a) i candidati esterni, al fine di accedere a una classe di istituto secondario di secondo grado successiva alla prima, ovvero gli studenti che hanno cessato la frequenza prima del 15 marzo;

b) i candidati interni che hanno conseguito la promozione nello scrutinio finale, al fine di accedere a una classe successiva a quella per cui possiedono il titolo di ammissione.

L’ammissione agli esami di idoneità è subordinata all’avvenuto conseguimento, da parte dei candidati interni o esterni, del diploma di scuola secondaria di primo grado o di analogo titolo o livello conseguito all’estero o presso una scuola del primo ciclo straniera in Italia, riconosciuta dall’ordinamento estero, da un numero di anni non inferiore a quello del corso normale degli studi. Sono dispensati dall’obbligo dell’intervallo dal conseguimento del diploma di scuola secondaria di primo grado i candidati che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età il giorno precedente quello dell’inizio delle prove scritte degli esami di idoneità.

Non è prevista l’ammissione agli esami di idoneità nell’ambito dei percorsi quadriennali nonché nei percorsi di istruzione di secondo livello per adulti, in considerazione delle loro peculiarità.

Esami di idoneità nella scuola secondaria di secondo grado. Commissioni e prove d’esame

Per quanto riguarda invece le commissioni e le prove d’esame degli esami di idoneità nella scuola secondaria di secondo grado, il testo prevede che la commissione, nominata e presieduta dal dirigente scolastico o da un suo delegato, sia formata dai docenti della classe cui il candidato aspira, che rappresentano tutte le discipline sulle quali il candidato deve sostenere gli esami, ed è eventualmente integrata da docenti delle discipline insegnate negli anni precedenti.

Inoltre, all’inizio della sessione ciascuna commissione provvede alla disamina delle programmazioni presentate dai candidati; la conformità di tali programmazioni ai curricoli ordinamentali è condizione indispensabile per l’ammissione agli esami.

I candidati sostengono gli esami di idoneità su tutte le discipline previste dal piano di studi dell’anno o degli anni per i quali non siano in possesso della promozione.

I candidati esterni, provvisti di promozione o idoneità a classi di altro corso o indirizzo di studi, sono tenuti a sostenere l’esame d’idoneità su tutte le discipline del piano di studi relativo agli anni per i quali non sono in possesso di promozione o idoneità, nonché sulle discipline o parti di discipline non coincidenti con quelle del corso seguito, con riferimento agli anni già frequentati con esito positivo.

Gli esami sono volti ad accertare, attraverso prove scritte, grafiche, scritto- grafiche, compositivo/esecutive musicali e coreutiche, pratiche e orali, la preparazione dei candidati nelle discipline oggetto di verifica. Il candidato che sostiene esami di idoneità relativi a più anni svolge prove idonee ad accertare la sua preparazione in relazione alla programmazione relativa a ciascun anno di corso; la valutazione delle prove deve essere distinta per ciascun anno.

Supera gli esami il candidato che consegue un punteggio minimo di sei decimi in ciascuna delle discipline nelle quali sostiene la prova.

LA BOZZA COMPLETA DEL DECRETO

Vaccino covid-19, docenti e Ata potrebbero averlo in ritardo. Ecco perchè

da OrizzonteScuola

Di Fabrizio De Angelis

I ritardi delle consegne a cura delle aziende farmaceutiche potrebbero far slittare il calendario vaccinale previsto dal Ministero della Salute. E con questo, anche il turno per il personale scolastico.

Il problema legato alle mancate consegne di tutte le dosi di vaccino previste dalla campagna di vaccinazione potrebbe avere ripercussioni sulla tempistica prevista dal Ministero della Salute. Ecco perchè, per il personale scolastico, i tempi di somministrazione del vaccino potrebbero allungarsi.

Il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri è consapevole che si tratta di un obiettivo quasi dimezzato rispetto a quanto previsto dal piano strategico di vaccinazione del ministero della Salute. E sul quale, si legge su La Repubblica, non è neanche pronto a mettere la mano sul fuoco. Perchè – ieri lo ha detto chiaro ai governatori riuniti insieme ai ministri della Salute Speranza e degli Afari regionali Boccia – “delle aziende farmaceutiche che sono così pesantemente venute meno rispetto ai contratti firmati con la commissione europea non c’è da fidarsi“.

A rischio dunque anche il numero effettivo delle dosi che Pfizer e Astrazeneca hanno “promesso”.

Facendo una stima, a gennaio, tra Pfizer e Moderna dovrebbero arrivare quasi 2 milioni di dosi che a febbraio dovrebbero diventare 6,2 milioni aggiungendo ai 3,36 milioni di dosi di Pfizer e alle 650.000 di Moderna i primi 2,31 milioni di dosi di Astrazeneca che dovrebbe cominciare a consegnare il 15 febbraio se, come si spera, la prossima settimana otterrà il via libera da Ema e Aifa. A marzo sono attesi altri 6,43 milioni di dosi con Astrazeneca ancora a scartamento ridotto.

Nelle migliori delle stime il ritardo potrebbe essere di un paio di settimane ma al momento non è possibile fare delle previsioni certe. E comunque, a fine marzo, bene che vada, saranno stati vaccinati tutti i medici e il personale sociosanitario, gli ospiti e gli operatori delle Rsa e gli over 80 e forse i 75enni con fragilità, per un totale circa di 7 milioni e mezzo di italiani. A seguire gli italiani della fase 2, fra cui docenti e Ata, che però potrebbero dover aspettare rispetto ai tempi previsti dal calendario del Ministero della Salute.

Ricordiamo che al momento, per il personale scolastico, il vaccino anti covid è previsto a partire dal mese di aprile e fino al mese di settembre.

La diversità come talento: il nuovo modello del PEI in una nuova prospettiva della disabilità certificata

da OrizzonteScuola

Di Daniele Scarampi

“Loro ridono di noi perché siamo diversi, e noi rideremo di loro perché sono tutti uguali”; così Giacomo Mazzariol – nel fortunato best seller “Mio fratello ricorre i dinosauri”, poi divenuto un film di successo – ha provato a sintetizzare al mondo l’essenza della diversità.

Diversità intesa come risorsa da comprendere e da valorizzare, non già deficit da diagnosticare e catalogare; perché ogni individuo “funziona” in modo differente e l’efficacia di ogni approccio didattico, educativo o metodologico sta proprio nell’intuire l’essenza di tale funzionamento, dimodoché possa costituire un talento piuttosto che un deterrente.

In quest’ottica è stato pensato e strutturato il nuovo Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.), approntato in ottemperanza del Decreto Interministeriale n.182 del 29 dicembre 2020 (corredato da specifiche Linee Guida), a sua volta soggiacente al disposto dell’articolo 7 del D.lgs 66/2017.

Il D.I. 182, redatto di concerto tra il Ministero dell’Istruzione e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, segue fondamentalmente due distinte direttrici: la prima, più operativa, riguarda la formulazione del P.E.I., la composizione e i compiti del GLO e il raccordo tra P.E.I., Profilo di Funzionamento e Progetto Individuale (art. 2-6); la seconda invece, più tecnica e programmatica, è legata alle attività di progettazione degli interventi necessari a garantire il diritto allo studio, l’inclusione e le modalità d’assegnazione delle risorse per il sostegno (segnatamente articoli 8, 12, 13, 15 e 18). L’articolo 16, poi, ripreso e commentato nella Nota Ministeriale n.40/2020 a firma del capo Dipartimento Max Bruschi, dettaglia le modalità di redazione – in via provvisoria, a beneficio dei neo-iscritti – del P.E.I “previsionale” per l’anno scolastico successivo, da ultimare entro il 30 giugno.

Ora, lo sguardo del legislatore si è orientato verso il raggiungimento di tre obiettivi strategici, riassumibili nel raggiungimento della piena corresponsabilità educativa di tutto il team o del Consiglio di classe (in modo che il sostegno diventi un valore aggiunto), nello sviluppo di una visione olistica del discente con disabilità (mediante lo sviluppo dei quattro assi portanti del Piano revisionato: le dimensioni sociale, comunicativa, orientativa e cognitivo-neurologica) e nella costruzione di una sinergia più fluida tra scuola, famiglia e stakeholders esterni.

Obiettivi impegnativi e assai lungimiranti, che sostanziano appieno quel “modello sociale della disabilità”, che mira a mettere in condizione di partecipare alla vita sociale con successo e che rappresenta il traguardo finale di tutta l’evoluzione normativa di settore.

Questa peraltro è una tappa decisiva nel lungo e tortuoso percorso che, negli anni, ha traghettato dal concetto di integrazione (avviato dalla legge 577/1977 e ultimato con la 104/1992) a quello d’inclusione (di cui, tanto per restare nella stretta attualità, al D.lgs 66/2017 e s.m.i.). Il nuovo P.E.I., almeno nell’intento di chi lo ha pensato e strutturato, punta infatti a restituire un concetto di diversità che, lungi dall’esser solo la fotografia di un deficit, costituisca un talento, ovvero un potenziale elemento capace di incidere su un progetto di vita più ampio, che si realizza in tutti i contesti quotidiani e sociali, ben oltre la dimensione scolastica (D. Scarampi, 2019).

Con la recente evoluzione normativa, quindi, si cementano le mutate prerogative dell’inclusione e diventano indice di valutazione dell’offerta formativa erogata.

Chiave di volta risulta il Profilo di Funzionamento, documento propedeutico ad ogni intervento operativo e redatto in base all’ICF (classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute) dell’OMS; il Profilo infatti è totalmente prodromico alla scrittura del nuovo P.E.I. nonché base ideologica del Progetto Individuale a cura dell’Ente Locale, come già previsto all’art. 14 della Legge 328/2000.

Ecco che vengono rovesciate le logiche vetuste legate all’handicap: non si tratta più di enucleare una serie di deficit con le loro minuziose fattispecie mediche (come proponeva l’ICD, ovvero la classificazione internazionale della malattia), ma al centro dell’indagine si pone il funzionamento della persona in tutte le contingenze quotidiane, cosicché possano esser pianificate le migliori soluzioni inclusive e sociali. Date queste premesse, il termine “handicap” scompare, lasciando spazio a una dimensione bio-psico-sociale nella quale lo stato oggettivo del soggetto dialoga e si confronta con l’ambiente circostante (D. Regolo, 2020). Ne consegue che lo svantaggio non è una menomazione oggettiva a sé stante, ma dipende piuttosto dalle dinamiche che si creano in una società incapace di soddisfare con servizi efficaci la specificità degli individui; di più: il nuovo modello del Piano Educativo Individualizzato fornisce una prospettiva al contempo semplice e inclusiva, che permette di comprendere tutti gli individui (a prescindere dai deficit) dai punti di vista biologico, psicologico e sociale, il cui il livello di funzionamento è la risultante della relazione tra l’individuo stesso e ambiente.

In conclusione non è superfluo notare che l’evoluzione normativa facente capo al D.I. 182 – nonostante le aspre polemiche ideologiche che di recente ne hanno accompagnato taluni passaggi (perlopiù in merito alle modalità di richiesta e di utilizzo delle risorse adibite al sostegno) – necessiti di adeguati interventi economici per potersi compiere in modo sostanziale: la L.148/2020 (Bilancio per il 2021) ha toccato il capitolo inclusivo sotto diversi aspetti, riferibili essenzialmente all’ampliamento del contingente degli insegnanti di sostegno, alla formazione del personale e all’acquisto di ausili e strumenti didattici; inoltre il tanto contestato Recovery Plan, all’interno della Missione n.4, ha previsto il rilancio dell’inclusione sociale per mezzo d’investimenti mirati all’abbattimento delle barriere all’istruzione e l’Atto di Indirizzo politico-istituzionale del Ministero, per il 2021, ha contemplato altresì, nel suo primo obiettivo, il contrasto alla dispersione scolastica e la promozione dell’inclusione e dell’equità del sistema educativo nazionale, mediante il finanziamento di azioni didattiche in favore di tutti gli studenti con bisogni educativi speciali, con disabilità certificata in particolare.

La traccia impressa dal Decreto 66 del 2017 è profonda, occorrerà ora che le disposizioni delle norme successive si traducano in azioni coerenti ed efficaci.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA DI RIFERIMENTO

D.gs 66/2017 e s.m.i.

D.I. n.182/2020 e relative Linee Guida

L.148/2020

Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)

L. Tramontano, Il nuovo PEI: alunno preso in carico dall’intero CdC, docente di sostegno diventa risorsa. Ruolo del GLO, partecipazione delle famiglie su www.orizzontescuola

D. Scarampi, Il valore del “diverso”e la percezione dell’inclusione scolastica nella recente evoluzione normativa, in Dirigere la Scuola, Euroedizioni, 2019

D. Regolo, Il modello sociale della disabilità, su www.superando.it

Fabio Corsi, Pedagogia Speciale, Università degli Studi di Verona Corso di Laurea in “Scienze della Formazione nelle Organizzazioni”, 2013

Il nuovo Programma ERASMUS+ 2021-2027

da La Tecnica della Scuola

Il Programma Erasmus, nato nel 1987, nei suoi 34 anni di vita si è notevolmente ampliato e oggi copre tutti i settori dell’istruzione e della formazione, dall’educazione e cura della prima infanzia all’istruzione scolastica, alla formazione professionale, all’istruzione superiore e all’apprendimento degli adulti, sostiene la cooperazione sulla politica giovanile e promuove la partecipazione allo sport.

Obiettivi del Programma

Erasmus plus intende raggiungere i significativi obiettivi appena descritti, grazie alla collaborazione delle Agenzie nazionali, che hanno il compito di favorire l’aumento del numero di beneficiari, facilitando il raggiungimento di persone di ogni estrazione sociale, adoperandosi per costruire relazioni più forti con il resto del mondo. Importante per sostenere il Programma sarà anche la promozione di ambiti di studio che guardano al futuro come le energie rinnovabili, i cambiamenti climatici, l’ambiente, l’ingegneria, l’intelligenza artificiale e l’innovazione digitale.

Struttura del Programma

Il programma Erasmus+ 2021-2027 continuerà ad essere strutturato in tre azioni chiave:

  • Azione chiave 1, a supporto della mobilità delle persone;
  • Azione chiave 2, per i progetti e tutte le misure di cooperazione;
  • Azione chiave 3, per il supporto alle politiche dell’Unione in materia di Istruzione, Gioventù e Sport.

Il Programma mobiliterà tutti i settori per la ripresa dalla crisi dovuta al Covid19 e per promuovere la crescita, con l’obiettivo di raggiungere lo Spazio europeo dell’educazione entro il 2025, per fornire nuove opportunità per gli studenti europei, a partire dalla scuola, grazie a una maggiore accessibilità e formati di mobilità più flessibili. In particolare, il nuovo Erasmus plus, nel settennio 2021-2027, darà ampio spazio alla promozione di innovazione in campo didattico, fornendo alle scuole maggiori opportunità per i discenti nell’area dello svantaggio, ma anche promuovendo l’innovazione nella progettazione dei curriculum, nell’apprendimento e nelle pratiche didattiche, con attenzione verso le competenze green e digitali. Tutto questo con un investimento crescente di risorse, dai 14.7 miliardi di euro della vecchia Programmazione Erasmus+ (2014–2020) si passa agli oltre 26 miliardi di quella appena iniziata (2021-2027).

Programma Erasmus e Brexit

A seguito dell’accordo sulla Brexit dello scorso 24 dicembre, il governo britannico ha deciso di interrompere la partecipazione del Regno Unito al programma Erasmus, in ogni caso a seguito dell’art. 138 dell’Accordo di Recesso del 1°febbraio 2020 il Regno Unito è pienamente eleggibile a partecipare e ricevere finanziamenti nell’ambito dei programmi della UE relativi alla programmazione 2014-2020fino al completamento di tali programmi. Per gli studenti e lo staff in partenza per il Regno Unito dopo il 1gennaio 2021 potranno applicarsi le nuove regole di immigrazione previste dal governo britannico.

La Brexit è un fatto di portata storica che avrà sicuramente un impatto sulla mobilità in entrata e in uscita di studenti tra Ue e Regno Unito, ha affermato Flaminio Galli, il direttore dall’Agenzia Nazionale italiana INDIRE, tuttavia, non tutto è definitivamente perduto. Il Programma Erasmus, infatti, è uno strumento molto flessibile e adattabile. Già adesso vi sono significativi accordi bilaterali con realtà extraeuropee, con Paesi come il Marocco, la Tunisia o altri paesi nel mondo, che rendono possibili esperienze di mobilità.