Salute mentale, progetti terapeutici individualizzati

Salute mentale, “progetti terapeutici individualizzati per una vita dignitosa”

Redattore Sociale del 26/01/2021

PALERMO. Linee guida per budget di salute con indicazioni per la elaborazione e la gestione dei Progetti Terapeutici Individualizzati (PTI) di presa in carico comunitaria per pazienti con grave patologia mentale e ripristino al più presto, dopo 10 mesi di fermo, delle visite per i familiari delle persone che sono dentro le Comunità Terapeutiche Assistite. Sono tra le principali richieste dell’associazione “Si può fare per il lavoro di comunità”. La realtà siciliana rappresenta gli interessi di migliaia di persone che hanno una patologia psichiatrica. All’associazione, nata il 30 giugno del 2019, aderiscono 30 realtà di tutta la Sicilia: associazioni di utenti e di familiari insieme a realtà del terzo settore no profit.
Il Budget di Salute è uno strumento integrato a sostegno del progetto terapeutico riabilitativo personalizzato di persone con disturbi mentali gravi. I beneficiari sono gli utenti in carico ai Dsm con situazioni socio-sanitarie complesse in atto o potenzialmente alti utilizzatori di risorse del sistema sanitario.
Intanto, la Consulta regionale delle associazioni di familiari e utenti della salute mentale, attivata da due mesi grazie alle sollecitazioni dell’associazione “Si può fare”, ha inviato un parere e delle osservazioni al Coordinamento regionale tecnico salute mentale dell’assessorato in merito all’applicazione delle linee guida per il budget di salute per l’operatività piena e concreta dei progetti terapeutici individualizzati. Non appena il Coordinamento valuterà queste osservazioni si confronterà con l’assessore Razza per capire in relazione alle linee guida come meglio fare applicare a tutte le Asp della Sicilia quando previsto dal Budget di salute.
“Alla luce dell’obiettivo alto che è il riconoscimento di una vita dignitosa per le persone con problemi di natura psichiatrica con l’applicazione piena dei progetti terapeutici individualizzati, ci aspettiamo che il Coordinamento regionale salute mentale tenga conto delle nostre osservazioni – afferma il dott. Gaetano Sgarlata presidente dell’associazione Si può fare -. Il progetto di vita per queste persone sarà finalmente un vestito su misura che l’Asp elaborerà insieme alle famiglie ed al terzo settore. Inoltre, dopo alcune specifiche sollecitazioni, in merito a parecchie criticità che erano presenti nella sua Asp, Siracusa, ha avviato il processo del budget di salute prima ancora delle linee guida. Adesso ci aspettiamo che non appena l’assessorato farà partire le linee guida anche tutte le altre provincie siciliane si adoperino in tal senso”.
“Un altro obiettivo che abbiamo raggiunto è stata pure la creazione di una cabina di regia tra l’assessorato alla sanità e alla famiglia per l’integrazione socio-sanitaria – continua il dott. Gaetano Sgarlata -. In particolare si dovrebbe affrontare il nodo centrale di chi deve pagare le prestazioni socio-sanitarie tra i comuni e le aziende sanitarie. L’intenzione è quella di capire sul piano delle regole in che termini stabilire un equilibrio di spesa a carico di enti locali e Asp”.
Restano altri aspetti ancora aperti che l’associazione “Si può fare” sta portando avanti e che non hanno trovato una risposta. “Ci aspettiamo che si affronti con competenza l’inadeguatezza delle piante organiche dei Dsm – aggiunge ancora Gaetano Sgarlata – perché i servizi di salute mentale stanno diventando purtroppo dei punti di erogazione di farmaci composti solo da medici ed infermieri. Nonostante, infatti, si preveda pure la presenza di equipe multidisciplinari con psicologi, assistenti sociali e terapeutici della riabilitazione, queste figure non sono ancora ritenute obbligatorie da parte delle aziende sanitarie. Allora è necessario ribadire l’importanza di queste figure professionali per il benessere complessivo della persona”.
“Spostando poi il tema alla pandemia, cosa altrettanto grave è che, ancora, dopo 10 mesi dal primo lockdown, le persone delle Cta non possono avere delle relazioni organizzate e protette con i loro familiari (ricevendo visite o andando a casa dei familiari) e svolgere le loro attività riabilitative. Nonostante le proteste, non avendo avuto ancora risposte, si possono immaginare le ricadute negative sulla salute delle persone con disabilità. In merito ad una nota del sottosegretario Sandra Zampa che ribadiva proprio l’importanza di favorire queste relazioni, segnaleremo questa grave inadempienza della Sicilia rispetto ad altre regioni italiane. L’ultimo tema è poi quello dell’apertura della vertenza sulla legge 68 del’99 che è quella dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità psichica. Sebbene sia stata avviata e vinta una causa da un familiare (oggi nostro associato) di una persona con disabilità ancora l’Asp di Palermo non si è attivata nel merito. Prendendo atto di tutto ciò, in questo momento stiamo sviluppando un contenzioso”.

di Serena Termini 

Trasformazione luoghi di lavoro e predisposizione POLA

Dalla trasformazione dei luoghi di lavoro alla predisposizione dei POLA (Piani Organizzativi del Lavoro Agile)

di Cettina Calì

La stagione del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni sta trasformando l’economia e la società producendo esiti inarrestabili, irreversibili e spesso imprevedibili. La pandemia da Covid-19, che ha contribuito ad accelerare questo tipo di trasformazione, ha messo in evidenza l’importanza di concepire politiche lavorative nuove che valorizzino gli strumenti digitali. Facendo un breve excursus normativo, possiamo notare che questa “diversa forma di lavoro” era stata avviata già prima della disciplina della legge 81/2017, in quanto anticipata dalle previsioni contenute nella Riforma Madia, la Legge n. 124 del 2015, che delegava al Governo la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, prevedendo l’introduzione di nuove e più agili misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei propri dipendenti. Infatti, con la Legge n. 124/2015 all’art. 17 venivano introdotte nelle pubbliche amministrazioni misure organizzative di telelavoro, che avrebbero permesso, entro tre anni dall’entrata in vigore della stessa legge, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, di richiedere tale nuova organizzazione.

Con il D.L. 2 marzo 2020, n. 9, recante “Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, viene superato il regime sperimentale e viene sancito l’obbligo per le amministrazioni di adottare misure organizzative per il ricorso a nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa: il lavoro agile diventa la modalità di lavoro ordinaria. 

E’ con il decreto del 9 dicembre 2020 che vengono, infine, emanate le Linee guida che indirizzano le amministrazioni nella predisposizione del “Piano organizzativo del lavoro agile” – POLA – con particolare riferimento alla definizione di appositi indicatori di performance.

Tutte le amministrazioni pubbliche, tra cui anche le istituzioni scolastiche, sono chiamate, entro il 31 gennaio di ciascun anno – a partire dal 2021 -, a disciplinare l’organizzazione interna degli uffici, redigendo, sentite le organizzazioni sindacali, il Piano organizzativo del lavoro agile (POLA), quale sezione del Piano della performance. In tale piano viene organizzato il lavoro dei dipendenti dell’amministrazione e si garantisce l’erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell’orario di lavoro, con l’introduzione di soluzioni digitali, anche non in presenza.

Almeno il 60 percento dei dipendenti potrà avvalersi, senza subire penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera, di modalità di lavoro agile. Nei POLA, pertanto, devono essere definite le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati. In caso di mancata adozione del POLA, il lavoro agile si potrà applicare soltanto al 30 per cento dei dipendenti, ove richiesto.

Il Dirigente Scolastico, sulla base della proposta organizzativa formulata dal DSGA, determinerà le quote di personale necessarie ad assicurare l’apertura dei locali scolastici e l’operatività dei servizi ATA.

Sulla base delle esigenze di funzionamento della scuola, spetta, quindi, al dirigente scolastico definire, informandone le RSU, i criteri generali per l’individuazione delle quote di personale che potrà accedere al lavoro agile. Nella determinazione di tali criteri, il dirigente scolastico dovrà tenere conto delle esigenze delle lavoratrici madri,  dei genitori che accudiscono figli minori e/o parenti o congiunti non autosufficienti, dei lavoratori pendolari che utilizzano mezzi  pubblici per raggiungere la sede di servizio etc etc.

Inoltre, spetterà all’istituzione scolastica prevedere e programmare attività di formazione, integrando in tal modo “il piano di formazione del personale ATA” – quest’ultimo documento è parte integrante del PTOF di ogni istituzione scolastica –

La formazione per il personale ATA, infatti, senza ulteriori oneri per lo Stato, va attivata ai sensi degli articoli 63 e 64 CCNL 2007, nella misura di 4 ore mensili nell’ambito delle 36 ore di orario settimanale, da dedicare alla formazione e/o aggiornamento professionale, non solo per ciò che concerne i corsi riservati alla materia della sicurezza e salute dei lavoratori, ma anche su materie specifiche che rientrano nel piano di lavoro. Se tale formazione viene svolta non in orario di lavoro deve essere  retribuita, in sede di contrattazione integrativa, o computata nel quantitativo orario come ore di recupero.

Fermo restando l’assenza di un obbligo specifico a carico dell’Amministrazione datrice di lavoro di fornire la strumentazione necessaria, è data facoltà ai lavoratori, che richiedono di svolgere la loro prestazione in modalità agile e  non sono dotati di adeguata strumentazione di connettività personale, di farne richiesta alla propria Amministrazione.

Sia il DS che  il DSGA, ciascuno per quanto di propria competenza, monitorano ogni  prestazioni resa dal personale che svolge attività lavorativa in modalità agile, verificando l’impatto sull’efficacia e sull’efficienza dell’azione amministrativa, nonché sulla qualità dei servizi erogati e sulle misure organizzative adottate.

Nell’ambito dell’autonomia organizzativa datoriale, al fine di monitorare e rendicontare i risultati ottenuti e nell’ottica di un miglioramento continuo, si potrà ricorrere a schede o documenti di sintesi degli obiettivi raggiunti dal lavoratore agile con riferimento a periodi temporali più o meno lunghi. 

Per completezza, occorre infine ricordare che i lavoratori agili hanno uguale trattamento – economico e normativo – rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie; sono tutelati in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall’INAIL; possono richiedere di partecipare alle assemblee sindacali durante l’orario di lavoro come richiamato dall’articolo 23 del CCNL 2016/2018.

I presidi agli studenti: basta con le occupazioni

da Il Sole 24 Ore

di Redazione scuola

«Ai ragazzi che vogliono occupare propongo di parlarne pacificamente perché vogliamo tutti la stessa cosa: tornare a scuola in sicurezza e rimanerci».

La posizione dell’Anp
Il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, interviene sulle occupazioni esprimendo la propria preoccupazione: «Spero che quello che sta succedendo in alcuni licei non sia replicato altrove e che venga ripristinata quanto prima la legalità. Gli studenti dei quali abbiamo apprezzato il desiderio di tornare a scuola in presenza, cosa per la quale le scuole hanno duramente lavorato in questi mesi, devono continuare a essere responsabili».

«Il rientro a scuola non può diventare motivo di scontri e assembramenti pericolosi. Esistono molti modi per manifestare preoccupazione o per contribuire al dibattito e sicuramente le occupazioni non sono tra questi», prosegue il presidente dei presidi, che conclude: «Ci sono ancora problemi da risolvere come quello del trasporto pubblico locale ma il perdurare della pandemia non ci permette passi falsi o leggerezze che potremmo pagare duramente. Ai ragazzi dico: parliamone pacificamente, senza occupazioni o forzature. Vogliamo tutti la stessa cosa e cioè tornare a scuola in sicurezza e rimanerci».


Capi d’istituto: «Per la maturità sarebbe ipotizzabile almeno uno scritto insieme all’orale»

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

La maturità quest’anno «sicuramente sarà diversa da quella ordinaria, perché le condizioni sono diverse, sarebbe irrealistico pretendere di svolgere un esame di maturità come quando non c’era la pandemia». Così ieri a Buongiorno, su SkyTG24 il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli. «Credo che rispetto all’anno scorso si possa pensare a un esame più consistente. Al momento è prematuro identificare un format, ma per il momento è ipotizzabile almeno una prova scritta oltre a quella orale. Dipende molto anche dal piano vaccinale: se potessimo contare su una vaccinazione diffusa per quell’epoca sarebbe diverso».

«Sono assolutamente contrario all’ipotesi di mettere da parte le prove Invalsi, perché servono a valutare lo stato di salute del sistema educativo e non gli studenti, sarebbe un grave errore non farle», ha aggiunto Giannelli.

«È indubbio che ci sia un certo ritardo, che ci siano carenze formative, che vanno a colpire le fasce più deboli dal punto di vista socioculturale. I ragazzi che alle spalle non hanno una famiglia in grado di sorreggerli nello studio, nella convinzione dell’importanza dello studio, possono incontrare difficoltà. Stiamo facendo la didattica a distanza proprio per ridurre al minimo i rischi derivanti da questa situazione», ha ancora affermato il presidente dell’Anp.

«C’è un ritardo nell’apprendimento delle nozioni – ha detto – che è un po’ più facile da recuperare, poi c’è un ritardo sulla crescita psico-razionale, che colpisce di più le frange più piccole. Queste però sono state quelle più tutelate nel nostro Paese, oggi c’è il rientro a scuola delle superiori al 5°%, però tutte le altre fasce hanno sostanzialmente frequentato», ha concluso Giannelli.

Ritorno a scuola: modificati orari e introdotti turni solo per uno studente su due. Resta l’affollamento dei trasporti

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Tutto (o quasi) come prima. Per molti ragazzi delle scuole superiori il ritorno in classe finora è stato un film già visto. Rispetto allo scorso autunno sono pochi gli istituti che, pur avendo riaperto, hanno cambiato radicalmente l’organizzazione della giornata scolastica, recependo i consigli operativi contenuti nelle linee guida approvate dai Tavoli prefettizi di fine dicembre.

Solo 1 studente su 2 ha dovuto fare i conti con orari d’ingresso e di uscita scaglionati, lezioni accorciate e didattica pomeridiana; appena 1 su 4 ha visto prolungare la didattica anche al sabato (molti, però, già la facevano). Per non parlare, poi, dei trasporti: meno della metà (47%) ha notato dei miglioramenti.

Eccole le prime settimane di scuola in presenza del 2021, raccontate da 3500 studenti di licei, istituti tecnici e professionali – raggiunti da un sondaggio di Skuola.net – residenti in quelle Regioni in cui è ripresa la didattica “dal vivo”.

Ammesso che ciò sia realmente avvenuto, visto che quasi 3 su 10 dicono, per ragioni varie, di non essersi ancora potuti sedere al proprio banco. Il vero nemico delle riaperture, oltre alla curva dei contagi, è sempre stato l’affollamento (fuori e dentro le scuole o sui mezzi pubblici). Così, per scongiurarlo, si è pensato di invitare gli istituti a dividere ulteriormente le classi che quotidianamente sarebbero dovute andare fisicamente in classe (garantendo la presenza di almeno il 50% degli iscritti).

Individuando due turni: 8 -14 e 10 -16. Ma, ad oggi, per il 56% dei ragazzi l’orario è rimasto quello di sempre. E, anche laddove sono stati fatti dei cambiamenti (44%), l’ipotesi delle lezioni al pomeriggio è comunque stata evitata il più possibile: solo 1 su 4 ha il turno fisso fino alle 16:00, gli altri (72%) o vanno sempre e solo di mattina oppure si alternano tra le due fasce. Il motivo? E’ duplice. Da un lato, infatti, non tutte le scuole sembrano ancora aver digerito appieno le novità.

Un esempio? Per chi dovrà sperimentare il nuovo orario (10:00-16:00), in 4 casi su 5 non è stata data un’indicazione precisa per il pranzo (il 36% dice addirittura che non è stata prevista una vera e propria pausa). D’altro canto, però, non sempre è una precisa volontà dei singoli istituti visto che non tutti i territori hanno dato il via libera al restyling.

Tra le altre ipotesi messe a punto per agevolare il ritorno alla didattica in presenza c’è anche quella di aggiungere un giorno di lezione a chi in precedenza faceva la settimana corta, prolungando le lezioni al sabato. Ma, se togliamo quel 46% che già diceva di fare sei giorni di scuola su sette, ci si accorge che appena il 28% degli altri ragazzi sperimenterà per la prima volta la settimana lunga.

Caduto parzialmente nel vuoto pure l’invito ad assegnare a ogni studente un orario d’ingresso specifico, per evitare l’affollamento davanti agli istituti: il 50% continuerà a entrare in qualsiasi momento, basta che sia in tempo per la campanella. Stessa sorte per il suggerimento di accorciare l’ora delle singole lezioni – da 60 a 45 minuti – soprattutto per consentire l’aerazione delle classi: sta avvenendo solo nella metà dei casi.

Ma, alla fine, la cosa che interessa di più ai ragazzi è un’altra: quando si deve andare a scuola e quando, invece, si resta a casa? Anche su questo, ogni scuola ha adottato un proprio modello. La maggior parte degli studenti (62%) dice che la scuola ha cercato di alternare le classi e non gli alunni: si sta tutti in presenza o tutti in Dad ma non tutte le classi vanno a scuola. Il 28%, invece, ha visto dividere la propria classe in gruppi (alcuni vanno a scuola e gli altri restano a casa, alternandosi sui giorni) per avere tutte le classi rappresentate. Non manca, infine, chi sta subendo una doppia alternanza: in 1 caso su 10 l’istituto ha diviso sia le classi sia, al loro interno, gli alunni. Perché l’approccio che sembra prevalere è quello più prudente: solamente il 18% degli studenti dice che nelle prossime settimane proverà a fare più giorni di scuola in presenza che in Dad, un altro 72% arriverà al massimo a metà e metà, il 10% sostiene che non è ancora stata decisa un’articolazione chiara.

Si continua, dunque, a navigare a vista. Non stupisce quindi che il 60% avrebbe aspettato ancora per riaprire.

Recovery plan, tutto da rifare

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

L’unica certezza è che questa mattina alle 9 ci sarà il consiglio dei ministri per le comunicazioni del premier. Probabili le dimissioni e poi la salita al Colle di Giuseppe Conte per l’avvio formale della crisi. A pochi giorni dalla fiducia al Senato, quella maggioranza di 156 sì che aveva fatto sperare di essere autosufficienti, è bastata la calendarizzazione del voto sulla giustizia a far capire che l’autosufficienza non c’è. E così ora gli scenari possibili, salvo il ritorno alle elezioni, sono quelli di un governo Conte ter, l’ambizione di Pd e M5s, o un governo tecnico, con una base di consenso allargata che ricomprenda non solo Italia Viva ma anche i cosiddetti responsabili. In attesa di capire come proseguirà la crisi, è stato sconvocato il previsto vertice tra la ministra Lucia Azzolina e le 16 sigle, tra sindacati e associazioni, previsto per oggi per fare il punto sui fondi e i progetti del Recovery plan: 28, 5 miliardi tra istruzione e ricerca.

I sindacati avevano affilato le armi per frenare quello che a molti era parso il ritorno a un sistema «falsamente meritocratico», dicono alcune sigle, e che per molti versi richiamava la legge 107, la cosiddetta buona scuola di Matteo Renzi, un richiamo che risultava urticante per molta parte della scuola e soprattutto per i sindacati. Non è piaciuto il riecheggiare della carriera, che come un filo rosso lega il Piano nazionale di ripresa e resilienza, le Linee guida sulle priorità del 2021 e infine il contratto, letto come l’intenzione non di migliorare gli stipendi di tutti i docenti, in media più bassi di quelli dei colleghi europei, ma solo dei docenti più dinamici e capaci.

Se sulle misure per l’edilizia, la digitalizzazione e gli investimenti al Sud era prevedibile un consenso generale, richieste erano pronte ad essere formalizzate per rafforzare gli organici, stabilizzare i precari, premiare i docenti impegnati nelle aree a rischio e di maggiore disagio così da rendere attrattivo nel tempo l’incarico. E ancora, un investimento di lunga durata anche per tenere basso il numero degli alunni per classe, non oltre i 20 alunni, che passa necessariamente ancora una volta attraverso il rafforzamento del personale oltre che la messa a norma delle strutture. Ora la partita «slitta», per utilizzare il verbo dei rumors di viale Trastevere, ad altra data.

La Azzolina è tra i ministri che nel caso di un nuovo governo Conte potrebbero dover dire addio all’incarico: a lei vengono addebitati gli errori nella pianificazione della ripresa delle lezioni dopo la prima ondata, errori in realtà quantomeno condivisi con altri ministri. Ma a pesare sono soprattutto i dissidi interni, da ultimi con il Pd che spingeva per la prosecuzione in Dad contro la ripresa in presenza, e con Italia viva, contraria a una maturità con la sola prova orale.

Ora che la crisi sta per essere formalmente aperta, le carte si rimescolano. E lo stesso Recovery plan potrebbe essere riscritto per dare spazio alle istanze dei nuovi -e vecchi- soci di maggioranza.

Scattano le nuove regole contro gli scioperi selvaggi nella scuola

da ItaliaOggi

Carlo Forte

In occasione di ogni sciopero, il prossimo in calendario nella scuola è per il 29 di gennaio, i dirigenti scolastici dovranno invitare i docenti e il personale Ata a comunicare in forma scritta, anche via e-mail, la propria intenzione di aderire allo sciopero o di non aderirvi o di non aver ancora maturato alcuna decisione al riguardo. E dovranno anche inviare una nota alle famiglie per informarle sulla data dello sciopero e sul peso delle sigle sindacali che lo abbiano indetto. Così da consentire ai genitori degli alunni di valutare i probabili effetti dell’agitazioni e decidere se sia il caso di mandare i figli a scuola oppure no. È l’effetto dell’entrata in vigore dell’accordo sui servizi minimi in caso di sciopero, sottoscritto il 2 dicembre scorso dai rappresentanti dell’Aran e dei sindacati Cgil, Cisl, Uil, Snals, Gilda-Unams e Anief. Che i dirigenti scolastici stanno già applicando in vista dello sciopero indetto per il 29 gennaio prossimo dai Cobas. L’intesa, infatti, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 12 dicembre e dispiega effetti. E il testo è stato notificato ai dirigenti scolastici dal ministero dell’istruzione con una nota emanata il 13 gennaio (1275).

L’amministrazione ha ricordato ai dirigenti scolastici che l’intesa prevede che, a livello di singola istituzione scolastica, dovrà essere stipulato con la Rsu e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali territoriali rappresentative il protocollo sui servizi minimi da garantire in caso di sciopero. L’accordo va stipulato entro 30 giorni dall’entrata in vigore dell’intesa. E cioè entro il 12 febbraio prossimo.

Il protocollo dovrà essere conforme alle disposizioni contenute nell’articolo 3 dell’accordo nazionale. Non è prevista la precettazione dei docenti. Entro il quarto giorno dalla comunicazione della proclamazione dello sciopero i dirigenti scolastici dovranno inviare ai docenti e al personale Ata in forma scritta, anche via e-mail, una lettera di invito a manifestare la loro volontà di aderire o non aderire allo sciopero oppure a comunicare di non avere ancora preso una decisione al riguardo.

La manifestazione di volontà di aderire o non aderire allo sciopero assumerà carattere vincolante. Gli interessati, quindi, non potranno più modificare la loro decisione. Qualora abbiano dichiarato di avere intenzione di aderire allo sciopero, ciò comporterà in ogni caso l’applicazione della trattenuta dell’importo della retribuzione spettante nel giorno in cui è prevista l’astensione dal lavoro. Chi dichiarerà di non aderire, invece, perderà il diritto di partecipare allo sciopero e sarà tenuto ad erogare regolarmente la prestazione. Non è previsto alcun vincolo, invece, per coloro che dichiareranno di non avere ancora preso una decisione al riguardo.

Nella lettera di invito il dirigente scolastico dovrà riportare, obbligatoriamente, il testo integrale dell’articolo 3, comma 4, dell’intesa che regola le modalità di redazione e trasmissione della lettera di invito e delle eventuali risposte da parte del personale interessato. Cinque giorni prima della data dello sciopero i dirigenti scolastici dovranno inviare alle famiglie una comunicazione recante la data in cui è prevista l’agitazione e le motivazioni della stessa. La comunicazione dovrà indicare anche la sigla sindacale che l’abbia indetta, il tasso di rappresentatività nazionale della medesima, i voti riportati alle elezioni delle Rsu e la percentuale di adesioni alle agitazioni pregresse. Infine, il dirigente scolastico dovrà anche informare le famiglie circa gli eventuali servizi minimi garantiti.

I dirigenti scolastici dovranno garantire, inoltre, gli adempimenti successivi allo sciopero che prevedono, tra l’altro, oltre la comunicazione a Sidi dei dati di adesione e il controllo dei limiti individuali stabiliti (in modo analogo al precedente accordo), l’assicurazione della erogazione nell’anno scolastico di un monte ore non inferiore al 90% dell’orario complessivo di ciascuna classe. Tenuto conto, inoltre, che le iniziative di sciopero potrebbero svilupparsi in ambiti territoriali ridotti, se non addirittura limitati alla sola istituzione scolastica, l’amministrazione centrale ha invitato i dirigenti scolastici ad attenersi scrupolosamente alle disposizioni da rispettare in caso di sciopero contenute nell’articolo 10 dell’intesa ed ha raccomandato di rispettare le tempistiche delle operazioni ivi riportate e riguardanti specificatamente la fase antecedente la data di effettuazione dell’astensione lavorativa.

Spunta il middle manager

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

I soldi per il rinnovo del contratto di lavoro, stanziati nella legge di Bilancio, saranno utilizzati per il merito e per incrementare i compensi dei docenti che collaborano con il dirigente scolastico. Che diventeranno middle manager. E l’avere rivestito questo incarico costituirà requisito essenziale per accedere al concorso per i dirigenti scolastici. Lo prevede l’atto di indirizzo politico istituzionale per il 2021 emanato dalla ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, il 4 gennaio scorso. Secondo quanto risulta a Italiaoggi, e linee guida sono già state invitate alla Funzione pubblica, dove è fermo l’atto di indirizzo per il rinnovo del contratto. La funzione docente sarà organizzata su base gerarchica.

I percorsi di carriera si articoleranno su due canali. Il primo riguarderà la funzione docente in senso stretto. Che non sarà più paritaria. Perchè gli importi delle retribuzioni saranno collegati al cosiddetto merito. E un secondo canale, basato sul conferimento di incarichi fiduciari da parte del dirigente scolastico, che consisteranno nello svolgimento di compiti su delega del preside.

Le risorse per finanziare la carriera e lo sgravio degli oneri dei dirigenti scolastici saranno tratte dai finanziamenti stanziati per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di docenti e Ata. L’avviso della titolare del dicastero di viale Trastevere si inquadra in un filone culturale che parte dal disegno di legge Aprea (AC953 del 12 maggio 2008) che prevedeva la suddivisione della carriera in tre step, docente iniziale, ordinario ed esperto, la cui progressione avrebbe dovuto essere «fondata su modalità e su criteri di valutazione basati sul merito professionale» applicati discrezionalmente dal dirigente scolastico.

Un disegno al quale si collega idealmente la legge 107/2015, emanata durante il governo Renzi e tuttora in vigore. Che prevede la corresponsione di erogazioni ai docenti sulla base di valutazioni adottate dal dirigente scolastico e a seguito dello svolgimento dei cosiddetti incarichi di staff. Che vengono assegnati a docenti ai quali il dirigente delega lo svolgimento di parte della propria prestazione dirigenziale.

Sia le erogazioni collegate al merito che quelle relative agli incarichi di staff rientrano nel cosiddetto compenso accessorio: emolumenti che vengono versati a parte rispetto allo stipendio in senso stretto e solo ad alcuni.

Dunque, se l’orientamento della ministra Azzolina sarà trasfuso nell’atto di indirizzo governativo, che darà il via al tavolo negoziale per il rinnovo del contratto di lavoro, le risorse saranno utilizzate solo per incrementare i fondi per lo straordinario e non per aumentare lo stipendio. Particolare attenzione sarà rivolta alla dirigenza scolastica. Che sarà sgravata di buona parte dei propri oneri tramite la creazione di quello che, nell’atto di indirizzo, viene chiamato «middle management». E cioè tramite la creazione di figure intermedie tra la docenza e la dirigenza.

Un tentativo in tal senso, peraltro, era già stato fatto nel comparto ministeri con l’istituzione della vicedirigenza: una qualifica alla quale avrebbero potuto accedere funzionari laureati in possesso di determinati requisiti.

La norma che lo prevedeva, però è stata abrogata (art. 17-bis del decreto legislativo 165/2001). Il modello del middle management, peraltro, è mutuato dall’impresa privata, laddove il middle manager è una figura che si colloca tra gli operai e il top manager. Secondo le intenzioni della ministra Azzolina, potranno accedere a questa qualifica: «docenti capaci, per esperienza, professionalità e vocazione, di gestire attività complesse formalmente delegate, tra quelle di competenza del dirigente scolastico», si legge nell’atto di indirizzo, «anche al fine di determinare nuove e più compiute professionalità che possano successivamente concorrere al ruolo della dirigenza scolastica con un bagaglio di esperienza organizzativa e di sensibilità amministrativa maturato in tale nuova area professionale».

In buona sostanza, dunque, sembrerebbe delinearsi un nuovo sistema di reclutamento dei dirigenti scolastici basato essenzialmente sulla cooptazione: non più una selezione concorsuale su base paritaria, ma una sorta di progressione interna alla quale avranno accesso solo i docenti individuati dai dirigenti scolastici come collaboratori.

Il processo di cooptazione, peraltro, è già in nuce nel sistema attualmente vigente. Che prevede l’attribuzione di una maggiorazione di punteggio ai docenti-collaboratori ai fini del concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici. Con l’avvento della nuova disciplina, però, l’avere svolto incarichi fiduciari conferiti dai dirigenti costituirà un requisito essenziale per accedere alla dirigenza scolastica. Si tratta, peraltro, di una innovazione che dovrà necessariamente passare attraverso una modifica legislativa.

Anche perché il reclutamento dei dirigenti scolastici già fa eccezione rispetto alle altre qualifiche dirigenziali della pubblica amministrazione, alle quali si può accedere direttamente dall’esterno e solo una parte dei posti (non più del 50%) può essere riservata ai candidati già dipendenti della stessa amministrazione.

Regioni: no dati, no chiusura

da ItaliaOggi

Le misure più restrittive rispetto alla normativa nazionale, che i presidenti di regione possono adottare per fronteggiare l’emergenza Covid a livello locale, devono essere necessitate da situazioni che si siano verificate dopo l’emanazione delle disposizioni nazionali. E devono scaturire da un quadro territoriale aggravato rispetto a quello su cui si basano le disposizioni nazionali. L’aggravamento della situazione a livello locale, però, va provato. E le risultanze devono essere esplicitate nella motivazione dell’ordinanza regionale più restrittiva. Se manca questo elemento, le ordinanze sono illegittime e vanno annullate. È questo, in buona sostanza, il principio che i Tar stanno applicando nei provvedimenti cautelari che sono stati pubblicati in questi giorni, in accoglimento totale o parziale di altrettanti ricorsi presentati da genitori e associazioni.

Campania: in tal senso il decreto emanato il 20 gennaio scorso dal presidente della V sezione del Tar per la Campania. Che ha sospeso l’ordinanza 2/2021 emessa il 16 gennaio scorso dal presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, nella parte in cui sospende la didattica a distanza nelle classi quarta e quinta delle scuole primarie e prima, seconda e terza delle secondarie di I grado (142/2021). Il giudice monocratico ha accolto un ricorso cautelare evidenziando, inoltre, che l’ordinanza regionale si pone in contrasto con le disposizioni contenute nel decreto del presidente del consiglio dei ministri del 14 gennaio scorso.

Il Dpcm, infatti, non prevede queste misure se non per le classi seconde e terze della secondaria di I grado, ma solo per le zone rosse. La Campania, invece, è stata collocata attualmente in zona gialla. Situazione, questa, che non prevede questo genere di restrizioni. Sospesa anche la parte dell’ordinanza 2/2021 che disponeva la Dad alle superiori. Il presidente della V sezione del Tra Campania, peraltro, con il decreto 153/2021, ha motivato la decisione richiamando le stesse motivazioni del decreto 142/2021.

Friuli Venezia Giulia: nel filone della carenza di motivazione si inquadra anche l’ordinanza del presidente della prima sezione del Tar per il Friuli. Che ha sospeso l’ordinanza n. 1/2021 emanata dal presidente della regione, Massimiliano Fedriga, con la quale aveva disposto la didattica a distanza alle superiori al 100% fino al 31 gennaio prossimo. Secondo il Tar l’ordinanza è carente in motivazione. Perché anziché spiegare il motivo per cui la didattica in presenza potrebbe aumentare i rischi di contagio, la motivazione si fonda solo sul rischio degli assembramenti. Il decreto è stato emesso dal Tar il 15 gennaio (n.7).

E Fedriga non ha perso tempo: il giorno successivo ha emanato una nuova ordinanza nella quale ha confermato la sospensione della didattica in presenza alle superiori fino al 31 gennaio. Riportando nella motivazione della nuova ordinanza (2/2021) i dati sui contagi in Friuli Venezia Giulia resi noti il 16 gennaio scorso.

L’ordinanza, però è stata nuovamente impugnata in sede cautelare, ma il presidente del Tar, questa volta, con il decreto 30/2021 ha ritenuto di non prendere una decisione in merito ed ha rinviato la trattazione della causa al collegio fissando la camera di consiglio al 10 febbraio 2021.

Il giudice monocratico, peraltro, ha rigettato anche l’istanza di abbreviazione del termine per la fissazione dell’udienza. E quindi la pronuncia del collegio avverrà quando l’ordinanza 2/2021 del presidente Fedriga avrà cessato di produrre effetti. Il provvedimento, infatti, sarà in vigore fino al 31 gennaio prossimo. E in ogni caso, quand’anche il presidente del Tar avesse accolto la richiesta di abbreviazione dei termini, l’udienza non avrebbe potuto tenersi prima del 27 gennaio: a soli 4 giorni dal termine di cessazione degli effetti. Di qui la presa d’atto, da parte del giudice monocratico, della inesistenza dell’incombenza del danno grave e irreparabile necessario ad adottare il decreto presidenziale.

Veneto: di diverso avviso, invece, il presidente del Tar veneto che, pur negando la tutela cautelare monocratica, ha fissato la camera di consiglio al 27 gennaio prossimo.

Ciononostante il fatto che l’ordinanza 2/2021 del presidente della regione Luca Zaia preveda identiche misure per le scuole superiori del Veneto (didattica a distanza al 100% alle superiori fino al 31 gennaio). In questo caso il presidente del Tar triestino ha stabilito che gli elementi per l’accoglimento dell’abbreviazione dei termini per la fissazione dell’udienza davanti al collegio sussistano. E quindi, se il collegio accoglierà il ricorso, potrà sospendere l’ordinanza del governatore del Veneto dal 27 gennaio.

Obbligo mascherine resta alle elementari

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Salvo l’obbligo di portare le mascherine in classe per gli alunni delle primarie. Almeno per ora. Il presidente della I sezione del Tar del Lazio ha rigettato il ricorso cautelare presentato da alcuni genitori. Ed ha fissato la camera di consiglio al 10 febbraio prossimo (n.382 del 21 gennaio scorso). I ricorrenti avevano chiesto al presidente della I sezione di sospendere il decreto del presidente del consiglio dei ministri, del 3 dicembre scorso, nella parte in cui non prevede l’esenzione o le circostanze di esenzione per i minori tra i 6 e gli 11 anni come previsto dalle indicazioni internazionali Oms e Unicef.

La procedura in questa fase prevede che il giudice monocratico debba pronunciarsi «inaudita altera parte». E cioè senza attendere la costituzione dell’amministrazione convenuta e senza contraddittorio con quest’ultima. Ma il presidente del Tar ha ritenuto che non fosse tale da giustificare una tale pronuncia. E ha rinviato la decisione al collegio. Sulla stessa materia c’è anche un precedente del Consiglio di Stato contrario ai ricorrenti (6795/2020).

Maturità 2021, Azzolina punta sul maxiorale: “Lo chiedono gli studenti”. I presidi: “Si può fare uno scritto”

da OrizzonteScuola

Di Fabrizio De Angelis

L’esame di Stato sarà probabilmente simile a quello dello scorso anno. Ci sarà però l’ammissione. Se Azzolina punta al maxiorale i presidi non si rassegnano e invitano a non escludere anche una prova scritta. Cosa accadrà però con la crisi di Governo?

Prende sempre più forma il prossimo esame di Stato: appare piuttosto probabile che si adotterà una formula simile a quella dello scorso anno, con un solo maxiorale e nessuna prova scritta.

Una differenza potrebbe essere quella del ripristino del giudizio di ammissione: non saranno tutti gli studenti ammessi in automatico all’esame di Stato. Invece, sarà confermata l’esclusione delle prove Invalsi e del PCTO come requisito di ammissione, come lo scorso anno.

“Nel giro di pochi giorni decideremo, daremo risposte agli studenti che hanno bisogno di certezze. La  decisione non sarà presa in solitudine, stiamo ascoltando tutti,  famiglie, sindacati, docenti e studenti. Loro vorrebbero un esame  serio ma che sia simile, se non uguale a quello dell’anno scorso. Questo è l’orientamento. Nelle prossime ore decideremo”, ha detto Lucia Azzolina nel corso del suo intervento ad Agorà del 25 gennaio.

Anche se appare improbabile un altro modello, sono sono pochi coloro i quali vedrebbero quest’anno l’aggiunta di una prova scritta, oltre all’orale. Come ad esempio Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi: “Credo che rispetto all’anno scorso si possa pensare a un esame più consistente, più solido, con una verifica delle competenze più significativa di quella dell’anno scorso. Al momento è prematuro identificare un format, rischiamo di essere smentiti dai fatti, ma per il momento è ipotizzabile almeno una prova scritta oltre a quella orale”, ha detto Giannelli a Sky Tg 24.

Invece, secondo Maddalena Gissi, segretaria nazionale Cisl Scuola, bisogna comunicare al più presto ai ragazzi che esame sarà: “Dobbiamo rispettare la difficoltà degli studenti. E soprattutto bisogna programmare sin da subito e dare la certezza di farlo. Se si aggiunge una prova si deve dire adesso. Non possiamo dire ai ragazzi a marzo o aprile che ci sarà un saggio. I ragazzi vanno rispettati”, ha spiegato la sindacalista nel corso di un’intervista a Orizzonte Scuola.

Ma in realtà proprio la tempistica della nuova ordinanza potrebbe anche cambiare: le dimissioni del premier Conte potrebbe portare con sé uno strascico non solo politico ma anche burocratico. La crisi dell’attuale Governo e la formazione del nuovo esecutivo, potranno incidere su quella tempistica di cui la segretaria Cisl Scuola Gissi faceva riferimento?

Gissi (Cisl Scuola): “Perché mancano i dati sui contagi a scuola? Stop alla confusione sul rientro in classe”

da OrizzonteScuola

Di Fabrizio De Angelis

Dai dati covid nelle scuole alla maturità 2021, passando per il rinnovo contratto scuola. Intervista a Maddalena Gissi, segretaria nazionale Cisl Scuola.

Il covid ha portato sotto i riflettori la scuola nel dibattito pubblico. Con la chiusura e la riapertura delle scuole docenti, studenti, personale scolastico hanno guadagnato la scena pubblica come mai in precedenza. Eppure si tratta per lo più di problemi: problemi di sicurezza del rientro in classe. Sicurezza anche non “monitorata” in modo sistematico per via dell’assenza di dati certi di contagi nelle scuole. Covid che condizionerà in un modo o nell’altro anche l’esame di Stato, con un probabile ritorno del maxiorale come quello dello scorso anno. Ma anche il personale, a causa dell’emergenza, ha trovato posto nel dibattito: oltre ai soliti problemi legati alla retribuzione dei docenti, ci sono le questioni spinose delle ore di sostegno per gli alunni disabili alla luce del nuovo Pei, oltre al fatto che con la didattica a distanza sono proprio gli insegnanti che hanno un ruolo fondamentale.

Di questi argomenti ne abbiamo parlato con Maddalena Gissi, segretaria nazionale Cisl Scuola, che a Orizzonte Scuola fa il punto della situazione.

Si tratta di un ritorno in classe a singhiozzo. Cosa può provocare tutto ciò in studenti e famiglie

Le scuole sono sicure per le lezioni in presenza: Permane una grande confusione. Tante regioni dove le ordinanze regionali per un verso e le ordinanze dei Tar per un altro, non fanno altro che alimentare grandi dubbi. Ad ogni modo, l’idea che possa decidere la famiglia se avvalersi della Dad o meno è assurdo. Così come è assurdo è per gli insegnanti avere 10 ragazzi in classe e 10 a casa. Significa non seguire bene entrambi. 

La Ministra dice che la scuola è un luogo sicuro. E’ davvero così?

Io so solo che mancano i dati dei contagi covid nelle scuole, nell’80 per cento delle regioni. È stato secretato il sistema sanitario legato alla scuola perché il Comitato Tecnico Scientifico regionale non fornisce dati. Sarebbe fondamentale avere la casistica per capire come si stanno andando le cose all’istituto professionale x o il liceo y. Il ministero avrebbe dovuto coordinare il tutto, ma non lo ha fatto. La domanda che mi pongo è: perché non abbiamo dati? Tutti abbiamo interesse a fare scuola in presenza ma non deve essere scuola arlecchino. Anche dal punto di vista dell’organico non va bene: per sdoppiare servirebbero almeno 4 unità in più. Ma non mi sembra che abbiamo avuto un rinforzo simile.

A proposito di organico. Cosa ne pensa del nuovo Pei? Negli ultimi giorni si ipotizza proprio una riduzione di docenti di sostegno (e di conseguenza di ore) con la nuova formula

Questa circolare del Ministero dell’Istruzione non può essere applicata perché mancano le linee guida del Ministero della Salute. Ad ogni modo, un conto è l’esigenza di trovare un modello migliore e utile per il riconoscimento delle ore di sostegno. Un altro è pensare di tagliare ore e posti. La questione sarebbe paradossale perché nel momento in cui c’è stato un taglio di posti, la magistratura ha sempre dato ragione alle famiglie e ordinato più ore per gli alunni con disabilità. Il rischio c’è, ovvero quello di voler risparmiare sui posti in deroga. Se dovesse accadere interverremo insieme alle associazioni.

Sulla classe di concorso ad hoc sul sostegno, cosa ne pensa?

Non la considero come una soluzione. Avrei valutato un modello di incentivo alla permanenza di natura retributiva e previdenziale, vista la difficoltà di lavorare con gli alunni con disabilità. Sul sostegno dico invece di rivedere il blocco quinquennale: non nasce per chi aveva partecipato e vinto concorsi in precedenza. Così non va bene. Anche se in realtà questo discorso non vale solo per il sostegno, ma anche per tutti gli altri docenti su posto comune.

Il dibattito sulla scuola riguarda anche la maturità. Lei ritiene che possa essere svolta come lo scorso anno oppure si possa aggiungere “qualcosina” come chiedono in molti?

Dobbiamo rispettare la difficoltà degli studenti. E soprattutto bisogna programmare sin da subito e dare la certezza di farlo. Se si aggiunge una prova si deve dire adesso. Non possiamo dire ai ragazzi a marzo o aprile che ci sarà un saggio. I ragazzi vanno rispettati. Noi non non vogliamo semplificare l’esame di Stato, ma questi ragazzi vanno curati. Noi ci troviamo di fronte ad una pandemia, una situazione inedita. Evitiamo di complicare il tutto per il bene dei ragazzi.

Invalsi e Pcto quindi fuori dall’esame di Stato per quest’anno?

Direi di si. Anche se le prove Invalsi rappresentano uno strumento utile, quest’anno è tutto diverso e sarebbe solamente una difficoltà in più per questi ragazzi.

Un’ultima battuta sul rinnovo del contratto scuola. Al di là delle risorse già previste, c’è una cifra che potrebbe rappresentare per lei un buon aumento di stipendio?

Non possiamo previsione di cifre, serve una volontà politica per intervenire. Anche quest’anno non c’è stato un fondo per la scuola. Si è persa un’occasione. Noi abbiamo bisogno di un riconoscimento per il settore scuola che ci permetta di risalire una china per il settore scuola da sempre molto complicato. I nostri lavoratori hanno stipendi bassi e praticamente non esiste una carriera. Si inizia a lavorare con 1200-1300 euro ci si ritrova a 1700-1800 euro a fine carriera. Bisogna abbreviare gli scaloni. Bisogna rivisitare il modello organizzativo.

Iscrizioni on-line, gli adempimenti per le scuole dal 26 gennaio

da La Tecnica della Scuola

Chiuse le funzioni per le iscrizioni on-line (alle 20 di oggi, 25 gennaio), la palla passa alle scuole, che dal 26 gennaio potranno operare sul SIDI per tutta una serie di adempimenti, illustrati con apposita nota del Ministero.

NOTA 245 DEL 25 GENNAIO 2021

Il documento ministeriale riporta nel dettaglio le scadenze che le scuole dovranno rispettare.

Calendario delle attività per la gestione e la verifica delle iscrizioni

Inoltre, dal 1 marzo 2021, per le scuole statali e paritarie, sono messe a disposizione ulteriori funzioni per la corretta gestione delle iscrizioni:

  • “Trasferimento di iscrizione” per trasferire presso la propria scuola un’iscrizione già accettata da altra scuola, a seguito di rilascio del nulla osta;
  • “Spostamento di iscrizione” per prendere in carico le iscrizioni non transitate automaticamente dopo la migrazione sulla nuova rete scolastica.

Graduatorie personale ATA: tutto quello che c’è da sapere

da La Tecnica della Scuola

A breve dovrebbe essere pubblicata l’Ordinanza ministeriale riguardante le graduatorie di istituto di terza fascia del personale ATA per il triennio 2021/2022, 2022/2023, 2023/2024.

Le graduatorie vengono utilizzate dalle scuole per l’assunzione dei supplenti in sostituzione del personale assente.

Le domande per le graduatorie riguardano le seguenti figure:

  • collaboratore scolastico
  • assistente amministrativo
  • assistente tecnico
  • addetto all’azienda agraria
  • guardarobiere, infermiere, cuoco.

Secondo la bozza del bando, la scadenza per la presentazione delle istanze di inserimento e/o di aggiornamento-conferma sarà dall’1 febbraio al 2 marzo, ma è probabile un posticipo.

Le domande dovrebbero presentarsi via web attraverso istanze online, ma si attende conferma.

Pensioni, opzione donna: maturazione dei requisiti entro il 31 dicembre 2020

da La Tecnica della Scuola

L’articolo 1, comma 336, della legge di Bilancio 2021 (legge 30 dicembre 2020, n. 178) ha previsto che: “All’articolo 16 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, al comma 1, le parole: «31 dicembre 2019» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2020» e, al comma 3, le parole: «entro il 29 febbraio 2020» sono sostituite dalle seguenti: «entro il 28 febbraio 2021»”.

In pratica, la disposizione normativa estende la possibilità di accedere al trattamento pensionistico anticipato c.d. opzione donna alle lavoratrici che abbiano perfezionato i prescritti requisiti entro il 31 dicembre 2020.

Quindi, possono conseguire il trattamento pensionistico, secondo le regole di calcolo del sistema contributivo, le lavoratrici che, entro il 31 dicembre 2020, abbiano maturato un’anzianità contributiva minima di 35 anni e un’età anagrafica minima di 58 anni se lavoratrici dipendenti e di 59 anni se lavoratrici autonome.

Decorrenza per il Comparto Scuola

Come chiarito dall’INPS con messaggio del 19 gennaio 2021, con riferimento alla decorrenza del trattamento pensionistico per le lavoratrici del Comparto Scuola e AFAM trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Pertanto, al ricorrere dei prescritti requisiti, le stesse possono conseguire il trattamento pensionistico rispettivamente a decorrere dal 1° settembre 2021 e dal 1° novembre 2021.